IL FURTO DELL’EREDITÀ di Mariavittoria Isaja

Era l’unica frase scritta su quel foglio giallastro, rovinato dal passare del tempo.

I familiari si guardarono sgomenti, sorpresi per quelle semplici e taglienti parole.

Si trovavano tutti davanti al notaio: un uomo alto, capelli neri tenuti insieme da un gel scadente, occhiali spessi, appannati dal sudore che stava evaporando dal suo corpo a causa dell’ansia mista a paura che stava provando in quel momento.

Accadeva nella monotona città di provincia di Chiavari, non molto distante dalla ridente città di mare di Genova, più grande e con maggiore stima da parte dei suoi cittadini, intenti, ogni anno, a mostrare la loro maestosità ai paesi limitrofi. 

Ciò che la grande e fervente città non sapeva era che nella piccola provincia viveva una ricca famiglia di origini americane che avrebbe scoperto, a momenti, una grande verità: la fuga dalla grande Mela era stata fallimentare e che quel segreto che si erano portati in valigia avrebbe reso famoso ogni antro della ordinaria città di provincia.

Chiusi da ore in quella stanza poco arieggiata, ognuno guardava la persona che aveva accanto come fossero sconosciuti incontrati per caso nello stesso luogo; Zia Mary era l’unica a mostrare un sorriso di approvazione, strano per una donna che aveva appena perso il marito e per una vedova a cui non avevano lasciato nemmeno un centesimo.
Nessuno osava proferire parola, vi era un silenzio assordante in cui si celava un evidente imbarazzo.

“Ma chi è Lucy?”, esclamò Tom, il nipote, rompendo quella insostenibile aria di gelo e sfida.
Nessuno rispose.

“Lo zio ha lasciato tutto a questa donna e nessuno sa chi sia?”, riprese la parola, quasi urlando.
“É evidente che il vostro amato zio avesse dei segreti”, disse Zia Mary, per nulla turbata dall’atteggiamento poco cordiale del nipote.

“E tu non dici nulla? Non ti ha lasciato niente!”

“Calmati Tom”, disse Mary appoggiando la sua mano sulla spalla per farlo sedere.

 “Ero a conoscenza della situazione da anni, ho pianto, gridato, lanciato piatti contro vostro zio, ma ora non mi vedi? Ho raggiunto la pace.”

Tutti guardarono la zia sempre più sconvolti dalle sue parole e dall’imperturbabilità del suo contegno. Tom si alzò di scatto, quasi a voler aggredire il povero e innocente notaio, quando notò all’altezza della statuetta di bronzo un libro che attirò la sua attenzione.

Spuntava dallo scaffale della libreria dietro la scrivania. Lo prese, ne sfogliò alcune pagine e rimase di stucco quando vide nell’ultima pagina una scritta:

Il rimorso mi sta uccidendo, Lucy ti prego aiutami.

Chiuse il libro, si guardò intorno, come se volesse nascondere quella calligrafia così familiare. Percepì un dolore, una fitta lancinante al petto. Non ne sapeva la ragione, ma era certo avesse una connessione con la scoperta inquietante che lo aveva appena coinvolto.

Erano le parole di suo zio; avrebbe riconosciuto quella calligrafia ovunque. La stessa che per molti anni lo aveva implorato in migliaia di lettere di tornare, di perdonare il suo cuore ormai stanco per avere costretto il nipote a interrompere la relazione con Elena, il suo amore più grande.

Prese il libro, se lo mise in borsa e uscì da quella stanza sotto lo sguardo incredulo della sua famiglia.

“Dove vai?”, disse il fratello. “La rabbia e il risentimento di poco fa sono già spariti?”
“Devo andare”, e lasciò quel luogo, senza dare altre spiegazioni.

“Abbiamo bisogno della tua firma per accettare le volontà dello zio”, urlò Sam alle spalle del fratello. Parole che si liberarono nel vuoto del corridoio, ormai vuoto.

Tom si recò a casa con un solo pensiero in testa: quel libro aveva più risposte di quello che pensava. Suo zio non era mai stato una persona enigmatica, gli era stato molto vicino nella sua adolescenza, più dei suoi genitori.

Ma quando Tom si era innamorato di Elena, faceva fatica a rivolgergli la parola, come se quella donna avesse riportato a galla un passato che lo zio Arnold aveva riposto nelle profondità dell’oceano. Aveva smesso di essergli confidente, era schivo, gli parlava a stento. Sembrava nascondesse molti segreti e in quel momento Tom aveva la sensazione che non avesse mai conosciuto lo zio per davvero.

Appoggiando il libro sul tavolo della cucina, analizzò da subito il titolo.

 Aveva tre lettere sbiadite, come se qualcuno avesse volontariamente cercato di cancellarle. Si trattava dell’Inferno, la prima cantica della Divina Commedia di Dante Alighieri, il primo luogo visitato dallo scrittore nel suo viaggio ultraterreno che lo avrebbe portato alla Salvezza.

“E se proprio questo era ciò che lo zio desiderava come sua ultima volontà, che questa donna, Lucy, gli desse quella pace eterna come Beatrice la diede allo stesso Dante?”, si chiese Tom, nella solitudine della sua cucina.

“I-O-M-C.…mmm…cosa vogliono dire?”, si chiese ad alta voce Tom.

Istintivamente chiamò sua madre.

“Tom! Dove sei sparito? Ti stiamo aspettando…arrivi?”

“Raccontami qualcosa dello zio a New York, cosa sai?”, chiese incurante delle domande di sua madre.

“Cosa vuoi sapere?”, rispose subito senza esitare, percependo la tensione nella voce del figlio.

“Quanti anni ha vissuto lì lo zio?”

“Tom…ora che lo zio non c’è più, posso rivelarlo. Lo zio non era di New York, ma aveva origini messicane che è riuscito a nascondere sposando una donna americana, della Georgia.”

“Ma la zia Mary è di Philadelphia, di chi stiamo parlando?”

“Della prima moglie…e se te lo stai chiedendo non si chiama Lucy…”, disse la donna, anticipando la domanda successiva.

“Come fai a…”

“Ti conosco abbastanza bene da capire che stai cercando informazioni su questa donna. Io stessa vorrei saperne di più, ma non saprei da dove iniziare.”

“Ho ancora una domanda, perché avete mentito sulla provenienza dello zio? Siamo la sua famiglia”

“Hai ragione, lo sappiamo in pochi. Lo zio ha preferito che solo chi gestiva il suo patrimonio sapesse la verità. Ormai era conosciuto in molti paesi degli Stati Uniti e non voleva che il suo nome fosse associato a una storia non molto piacevole del nostro paese o in generale con il Messico. Non se ne vergognava, ma quando è riuscito a raggiungere il Texas, i due paesi erano in conflitto.”

“E la prima moglie? Come l’ha conosciuta?”

“A un ballo, lui suonava la fisarmonica, lei ballava con le sue amiche. Il suo sguardo è stato folgorato dalla sua non comune bellezza: occhi chiari, capelli neri e evidenti lentiggini sul naso e guance. Ne rimase ammaliato, tanto che le chiese di sposarlo dopo pochi mesi. Lei inizialmente…”, disse accompagnando il racconto da un sorriso dolce appena apparso sul suo volto, “lo aveva rifiutato, pensava si fosse avvicinato a lei solo per la cittadinanza americana. Non so se le sue intenzioni fossero state anche queste, ma dalle sue storie traspariva tutto l’amore che aveva provato per lei, fin dal primo momento”.

“E poi cos’è successo?”

“Non lo so, quando Arnold è arrivato a Philadelphia aveva già divorziato. Non so come aiutarti”, disse la madre con tono dispiaciuto.

“Come mai ha deciso di trasferirsi in Italia?”

“Perché è qui che ha sposato la prima donna e ha fatto il viaggio di nozze. Poi quando ha divorziato è tornato in America e ha conosciuto tua zia”

“Mi sento terribilmente confuso…noi siamo nati in Italia. Come mai lo zio ha voluto tornare a Chiavari anche dopo aver sposato la zia? Cosa lo ha spinto a comprare casa proprio in questa città? E soprattutto, sai dove posso trovare la donna?”, chiese Tom, sempre più avvilito dalle numerose domande.

“Non ho risposte per questo, ma se chiedi alla zia sono certa che ti potrà aiutare…aspetta, cos’hai intenzione di fare?”

“Voglio avere risposte e capire la ragione per cui lo zio ha lasciato il suo patrimonio a questa Lucy. Non mi interessano i suoi soldi, non mi sono mai interessati. Vi è stato un tempo in cui eravamo molto legati e voglio scoprire perché non ha lasciato niente a voi, sei sua sorella no?”

“Certo, ma lo zio ha sempre avuto segreti. Dopo qualche tempo, ci siamo arresi alla realtà e abbiamo cercato di vivere al meglio la sua malattia. Nessuno si aspettava però che lasciasse ogni cosa a una donna di cui non sapevamo l’esistenza”, disse amareggiata. “Prima di fare qualche sciocchezza, chiedi alla zia Mary”

“Ho qualcosa di molto meglio”, disse Tom, posando lo sguardo sul libro. “Voglio trovare quella donna!”

“Non pensi che la tua impresa sia troppo ardita? Ci sono circa otto miliardi di persone al mondo! Come pensi di fare?”

“Ho una guida personale che farà al caso mio, non credo di dovermi spostare di molto”, e riattaccò il telefono, senza dare ulteriori spiegazioni.

Provava una sensazione strana verso quel libro che teneva ancora stretto tra le mani, come se avesse delle pagine ancora da scoprire, dei codici ancora da rivelare.
Non poteva essere solo il titolo, doveva esserci di più.

Perché lo zio aveva scelto proprio quella cantica?”, pensava tra sé e sé.

Non riusciva a prendere sonno, iniziò ad analizzare ogni singola lettera, margine, punteggiatura. Trascorse tutta la notte a trovare una connessione tra le lettere, quando la mano del destino lo aiutò a capire cosa stesse cercando.

Gli cadde, il libro cadde dal tavolo e il riflesso della luce del lampadario della cucina rivelò una terzina che riconobbe subito:

Era chiaro che Tom non dovesse fare molta strada per scoprire la verità, tutto riconduceva a un unico punto: il fiume Entella, famoso per dividere due dei comuni che sorgevano proprio nella piana del torrente, Lavagna e Chiavari, quest’ultimo luogo natio e in quel momento divenuto del mistero.

Tom notò subito un particolare: in alto, sotto a due numeri vi era un tratto quasi impercettibile di matita, come a sottolineare l’importanza di quelle due pagine, la 65 e 66.

Era certo che questi elementi, sebbene pochi, potevano portarlo a svelare un arcano che era sconosciuto a molti all’interno della sua famiglia.

Ma Tom era testardo, cocciuto come lo zio e non voleva arrendersi di fronte a quella che percepiva come una montagna che stava per essere scalata. Quelle poche informazioni gli bastarono decidere di intraprendere quell’avventura la mattina seguente. 
Nonostante gli ultimi anni in cui avevano smesso di parlarsi, Tom doveva allo zio molto. Gli aveva insegnato a non accontentarsi, a meravigliarsi di fronte a tutto ciò che era semplice e genuino, ma soprattutto aveva fatto nascere in lui una forte passione per i romanzi gialli e per i misteri.

E per Tom di questo si trattava: doveva svelare il segreto della donna misteriosa.

La mattina seguente, appena sveglio, Tom si diresse immediatamente verso il ponte che sormontava il fiume, sperando di trovare delle risposte.

Mentre stava camminando lungo l’argine, il suo sguardo fu attratto dalla numerazione adiacente ai portoni delle case che incontrava lungo corso.

“58..59…60…”, pensava ad alta voce, “Ma se le pagine corrispondessero al numero civico?”, disse con una luce che stava illuminando i suoi occhi.

Proseguì con la numerazione con il cuore che batteva nel petto e rimbombava nelle sue orecchie, unico suono che percepiva, nonostante il traffico e la strada molto affollata.

Dopo qualche chilometro, si fermò.

I numeri arrivavano fino al 64.

Com’era possibile?”, si chiese.  

Stava per tornare in città, quando il suo sguardo cadde su una zona lontana, boschiva e poco ordinata.

Si avvicinò, incuriosito dalla stranezza e diversità del posto.

Il paesaggio sembrava segnare una linea immaginaria: sulla sponda destra vi erano abitazioni, giardini ben curati con giochi per bambini, vi era vita.

Ma in quella parte del fiume, la sponda sinistra, sembrava che gli alberi volessero nascondere qualcosa, forse proteggere una vita passata.

A fatica, Tom si inoltrò in quei luoghi sconosciuti, in cui la vegetazione sembrava coprire ciò che un tempo cresceva rigogliosamente.

E poi la vide, scorse in mezzo agli alberi una casa di legno, rovinata dal passare degli anni e dalla mancanza di una presenza umana.

Era molto grande, vi era un camino in pietra, imponente sul tetto, ancora perfettamente intatto. Qualche tegola alzata, finestre rotte, vetri sbriciolati.

Venne spinto ad avvicinarsi, il portone era integro. Vi era segnato un numero: 65. Lo stava cercando ed era lì, davanti a lui, una targhetta in ceramica che aveva resistito alla crudeltà dell’età.

Entrò senza riflettere, deciso ad andare fino in fondo a questa storia, così simile a tutti quei racconti di Edgar Allan Poe che aveva letto da bambino e che in quel momento sembravano avessero preso vita.

L’interno della casa si mostrava differente, aveva avuto una sorte migliore.

Si apriva con un enorme salone, tutto in legno con della pittura giallo ocra che ancora si intravvedeva in alcuni punti del muro. Tom si avvicinò al tavolo centrale, vi era un centrino ricamato giallastro e rovinato, ma si leggevano dei numeri che riuscivano a risaltare nonostante l’azzurro poco acceso: 06 giugno 1953, Villa Rocca.

“Una data, forse?”, si chiese Tom, “si tratta di circa 70 anni fa…lo zio deve aver avuto vent’anni…e se fosse la data del suo matrimonio? Con la zia si è sposato tardi…se non ricordo male negli anni 80…aspetta…6 giugno…06/06…66! É il secondo numero della pagina del mio libro! È possibile questa coincidenza? Era la casa di mio zio?”, disse Tom, urlando. 

Corse fuori, impaurito dai suoi stessi pensieri.

Troppe domande con nessuna risposta.

Cercò di uscire da quei luoghi, ma sembrava che qualcosa lo trattenesse, i rami, le foglie stavano diventando delle catene che lo imprigionavano in un passato da cui stava cercando di scappare.

“Perché cercare una casa così nascosta dal mondo? Cosa voleva mascherare?”. Non aveva risposte, ma in mano aveva degli indizi che si stavano rivelando più utili di quello che pensava; il mistero si stava aprendo a lui come un fiore che mostrava il bocciolo alle prime luci dell’alba primaverile.  

Aveva una sola direzione in mente; doveva scoprire come Villa Rocca avesse a che fare con lo zio e come quella data che aveva impressa nella memoria potesse portare a qualcosa di inaspettato, imprevedibile.

Quando arrivò davanti al cancello, lo spettacolo si palesò davanti ai suoi occhi: un immenso parco con vegetazione rigogliosa, giovane, viva. Fiori, alberi da frutto, fontane, ruscelli, grotte. Era sempre stato incuriosito da quel posto, ma non si era mai soffermato sui particolari, sempre troppo di fretta o con la testa immersa in altri pensieri.

Decise di entrare, notando un piccolo gabbiotto poco più avanti all’entrata con all’interno un signore che leggeva un giornale.

“Mi scusi, salve…”, si avvicinò Tom timidamente, “son Tom Geraldi e vivo a Chiavari da molti anni, ma non ho mai trovato il tempo di visitare questi luoghi magnifici. Potrei avere delle informazioni?”

“Sì, certo. Sono qui apposta, sono il guardiano della Villa. Venga, le faccio strada…”

Mentre il signore parlava, Tom notò un padiglione con delle foto, racchiuse in una teca di vetro.

“Aspetti…”, si fermò Tom, “potrei prima vedere quelle foto?”

“Va bene, ma non so se può conoscere qualcuno, le ultime sono state scattate negli anni 60 e lei mi sembra così giovane e di origine straniera. Da dove viene?”

“In realtà, sono nato in Italia, ma i genitori di mia madre sono americani. Mio zio però qualche anno fa ha deciso di trasferirsi con tutta la famiglia qui a Chiavari e da allora non ce ne siamo più andati. Mi sa dire chi è questo signore?”, chiese Tom, indicando la foto di una coppia, in abiti matrimoniali.

“Sì, aspetti che la prendo. Sul retro dovrebbe esserci il nome e la data di quando è stata scattata…ehm…Arnold e Grace, 6 giugno 19…non si vede bene l’anno, mi dispiace”
“1953?”, chiese Tom, elettrizzato.

“Può essere…è passato molto tempo e l’umidità ha cancellato i numeri finali. Lo conosce?”
“Lo sto conoscendo ora…”, disse Tom, enigmatico.

“In che senso, mi scusi?”

“Potrebbe essere mio zio. La foto ha dei tratti molto familiari, ma purtroppo è mancato da poco e non posso più averne la conferma. Credevo di conoscerlo bene, ma in questi giorni sto scoprendo molte cose di lui che non pensavo gli appartenessero. Come mai sono state appese queste foto? E poi, chi ha costruito il parco? E il palazzo accanto? Fa parte della Villa? Mi scuso per le troppe domande.”

“Sì, tutto è partito proprio da quel palazzo adiacente. Fu edificato nel XVII secolo dai marchesi Costaguta che vi abitarono per oltre un secolo ed ebbero da papa Innocenzo X il titolo di signori di Rocca Alvecce. Passando per diversi proprietari di famiglie nobili che ampliarono il terreno, finalmente passò tra le mani di Giuseppe Rocca da cui trasse definitivamente il nome. Quest’ ultimo decise di donarla, nei primi anni del ‘900 alla municipalità chiavarese, ma per molti anni, nessuno aveva il tempo o il denaro necessario per la manutenzione, troppo grande e troppo costosa. Negli ultimi anni, per fortuna, il comune di Chiavari ha preso in mano la situazione e ha voluto donare a questi spazi lo splendore di un tempo. Nonostante ciò, nessuna coppia è più venuta a continuare questa tradizione di scattare una foto davanti alla fontana, fino a che qualche anno fa quando due giovani della zona decisero di dare alla Villa una possibilità, sebbene non fosse ancora perfetta.”

“Sì, sarebbe una bella tradizione che potrebbe ridare al parco anche una nuova rinascita…aspetti…vi è un’altra scritta dietro alla foto”, disse Tom, notando alcune lettere, mentre il guardiano stava rimettendo l’immagine al proprio posto. “Posso?”

L’uomo gli porse la foto, curioso di scoprire un dettaglio nuovo.

“Non si vede molto…VENETO 15…ma la prima parte si è cancellata. Può essere una via?”
“A Chiavari una delle vie più famose è via Via Vittorio Veneto, ma non so se si riferisce a questo.”
“Grazie, è stato molto utile, davvero. Devo andare, ma tornerò sicuramente a fare un giro su queste piccole strade. Credo ci sia molto da imparare.”, e lasciò l’uomo al suo lavoro.

Dopo qualche minuto a piedi, Tom raggiunse il palazzo indicato dal guardiano, un edificio antico, con pochi piani. Il portone, di legno appena riverniciato di nero stonava con la maestosità e pomposità della facciata con le sue decorazioni dorate contornate da linee rosso mattone che ne risaltavano le forme cuneiformi. Tom prese coraggio e suonò il campanello, l’unico su cui vi era segnato un cognome. 

Una, due, tre volte. Nessuno rispose.

Stava per abbandonare la sua folle idea, quando la porta si schiuse dolcemente e apparve un volto femminile, intimorito da quell’uomo che aveva già conosciuto.

“Ttt…om?” disse con la voce tremante.

“Come conosce il mio nome? Come sa chi sono?”, rispose l’uomo con tono arrogante, mescolato al timore della risposta.

“Vieni, entra che parliamo”, disse la donna, dalla voce quasi familiare.

Tom non si aspettava questa accoglienza; era sorpreso, eccitato e timoroso. I suoi passi erano pesanti, si trascinavano.

“Sospettavo che qualcuno della famiglia di Arnold venisse a suonare alla mia porta dopo la lettura del testamento. Lo avete saputo giusto? Ti posso assicurare che ho provato a convincerlo di non farlo, che non mi sembrava corretto nei vostri confronti, ma lui insisteva. Lucy è una brava ragazza, lavoratrice, onesta. Non voglio che pensiate che si sia approfittata di lui e dei suoi soldi”, disse d’un fiato la donna con il volto ancora coperto dal buio della sala. Le parole le uscirono come se non aspettasse quell’incontro da tutta la vita, dall’ultima volta che guardò Tom negli occhi.

“E… Elena? Sei tu? Cosa ci fai qui?”, disse Tom, con voce tremante.

 “Tom…mi dispiace per tutto quello che è successo tra noi, ma non pensare che non sia stato difficile per me lasciarti andare…scoprire che sei il nipote di Arnold fu terribile anche per me…ma credimi, ogni parola che ti ho detto non è mai stata una bugia”

“Scusami, ma forse credi che io conosca più di quello che realmente so. Cosa c’entri con zio Arnold e chi è Lucy?”

“Oddio Tom, scusami. Pensavo ti avessero raccontato la verità, per questo pensavo fossi qui. Io sono la cugina di Lucy, la nipote della prima moglie di Arnold, mentre Lucy è la loro figlia primogenita, nata quando erano ancora sposati.”
“La loro figlia?! E perché non ne sapevamo nulla?!!”, urlò Tom alzandosi di scatto dal divano. “E perché tu vivi qui?”

“Mi dispiace, credevo conoscessi la verità. Da quello che zia mi raccontava da bambina, Arnold è stato un buon marito, ma non un altrettanto padre. Quando aveva scoperto di essere rimasta incinta, lui era nel momento più drammatico della sua carriera. Ha preso in gestione a New York un’azienda che dopo molti errori stava rischiando il fallimento; lui ha fatto il possibile, ma non è riuscito a riportarla alla sua antica fama. Non ha preso bene la notizia della gravidanza, non voleva avere “un’altra bocca da sfamare” come diceva lui e le ha lasciate. Per mia zia fu devastante. Io vivo qui da qualche anno, da quando anche Lucy ha lasciato questa casa…troppi ricordi negativi.”

“Ha a che vedere con Villa Rocca?”

“Come fai a saperlo?”

“Sono stato lì prima di arrivare in questa casa. Anzi, è proprio in quel luogo che ho scoperto l’indirizzo di questo appartamento. Quali ricordi negativi?”

“Quasi vent’anni fa abbiamo trovato il corpo della zia senza vita all’interno della Villa, proprio davanti alla piccola cappella dove si sono sposati. Non tornava da giorni a casa, poi i miei genitori hanno incontrato una sua amica di vecchia data, mentre la stavano cercando che ci ha raccontato di averla vista entrare qualche giorno prima con il volto stravolto, come se avesse pianto per giorni.”

“E non le venne il sospetto di nulla?”

“Anche per me fu strano, ma sia io che Lucy eravamo molto piccole. Ma adesso che siamo cresciute abbiamo deciso di…ehm…no niente…vuoi qualcosa di caldo? Ti va?”, cercò di cambiare discorso.

 “Devi spiegarmi cosa è successo tra noi…credevo avessimo un futuro insieme…perché?”
“Ti assicuro che non era mia intenzione ferirti, ma quando Arnold ha capito chi fossi e da dove provenissi mi ha implorato che chiudessi la nostra relazione.”

“Ed è bastato così poco?”, chiese Tom, con il cuore in gola.

“Me l’ha chiesto come parte dei suoi desideri prima di morire, come potevo rifiutare? Ti amavo, ma sapevo quanto tuo zio fosse importante per te. Non avrei fatto nulla che avesse potuto ferirlo, puoi biasimarmi?”

“No, ma perché non mi hai detto nulla? Ti avrei capita, se mi avessi spiegato la vera ragione. Mi sono tormentato per anni per capire cosa fosse successo, cosa avessi fatto per farti scappare.”

“Non sono scappata…”, disse Elena, quasi risentita.

“Ho trovato un biglietto sul tavolo della cucina con sole quattro parole: DEVO ANDARE, MI DISPIACE. Non è fuggire questo?”

“Per essere amante di gialli, non ti sei reso conto di nient’altro?”

“Cosa vuoi dire?”

“Se avessi messo il foglio contro la luce del sole, ti avrebbe rivelato l’indirizzo di un bar che frequento spesso. Sai quante volte ti ho immaginato lì, seduto ad aspettarmi, che mi alzavi un calice di vino come a dirmi “eccoti, finalmente ti ho trovata!”, disse Elena, sospirando.

“Sarebbe stato stupendo e magico allo stesso tempo, ma se ti avessi trovato, sarei andato contro il volere dello zio.”

 “E vero…ma ho avuto la speranza che riuscissi a capire e che casualmente ti fossi fermato davanti a quelle vetrine e ti fosse venuta la voglia di cappuccino e focaccia”, disse, sorridendo.

“Ho ancora una domanda”, disse Tom avvicinando il suo volto a quello della donna.
“Perchè lo zio non voleva che rivelassi chi tu fossi?”

“Faccio parte di un suo passato doloroso, non voleva che anche tu componessi i pezzi e ne soffrissi. Ti ha sempre considerato un uomo geniale e intuitivo.”

“Come vedi, la verità viene sempre a galla, ma come facevi a sapere del testamento?”

“Qualche anno fa, quando tuo zio scoprì la malattia, mi ha chiamato dicendomi di voler recuperare il tempo perso con Lucy e di voler rimediare a un errore. Era l’unica parente rimasta a Chiavari. Le ha promesso soldi, case, macchine, ma a lei non interessava nulla. Voleva solo un padre presente ed era molto arrabbiata con lui, così come lo ero io per tutto quello che ha fatto a noi. Ma nonostante questo, alla notizia della morte ne fummo sconvolte. Mi dispiace molto per questo, non deve essere stato facile per voi che l’avete vissuto fino all’ultimo giorno.”

“Dalla malattia, abbiamo cercato di vivere questi ultimi anni nella serenità cercando di sotterrare i dissapori. Mi dispiace anche a me per come si è comportato. Non ne avevo idea. Ma mi può togliere una curiosità?”

“Certo, dimmi.”
“Conosci l’Inferno di Dante?”

“Uhh…è il preferito di Lucy! Arnold gliel’ha regalato per il suo compleanno, ma poi lei gliel’ha restituito appena ha scoperto da parte di chi fosse il regalo. Allora non sapeva che lui fosse il padre, ma l’ha scoperto dalla sigla IOMR cancellata dal titolo del libro. Era molto appassionata di misteri e le sembrava strano che un libro nuovo fosse già rovinato. MR sta per Mr Rainbow, è il nome con cui da ragazzini la zia chiamava Arnold perché arrivava sempre a portare la luce dopo i momenti più oscuri e Lucy sapeva che il suo primo grande amore fosse Arnold e che la madre lo aveva soprannominato in quel modo divertente perché i miei genitori le avevano raccontato quello che sapevano della loro storia d’amore. Ovviamente Lucy si chiese perché Mr Rainbow le aveva fatto un regalo e i miei non sono riusciti a mentirle.”

“Ma allora perché nel libro ci sono chiari riferimenti a Chiavari, al ponte e al vostro indirizzo?”
“Era un modo per far capire a Lucy che lui sapeva dove ci trovassimo e che ci proteggeva, anche a distanza.”

“Grazie, davvero. Ero tormentato dal conoscere chi fosse Lucy e quale legame avesse con lo zio. Ora ti devo lasciare, ma tornerò. Ora che lo zio non c’è più, non ho intenzione di perderti di nuovo”, e lasciò Elena incredula che lo zio avesse tenuto nascosto un passato per lei così importante.

Tom non era pronto per questo, pensare che lo zio aveva lasciato tutto a sua figlia per cercare di rimediare ai suoi errori confermò il suo pensiero verso quell’uomo. Aveva speso la maggior parte della sua vita pensando che con il denaro si potesse superare ogni difficoltà o espiare le proprie colpe.

Nonostante questo, non riusciva a biasimarlo. La sua è sempre stata una famiglia presente, ma che dava più valore al lavoro che ai sentimenti, alla ragione più delle emozioni. E Tom non era immune da questa educazione.

La storia dello zio, però, aveva fatto nascere in lui un desiderio di cambiamento, di rivincita su sé stesso e sapeva che ora che aveva ritrovato Elena lo avrebbe aiutato a raggiungere il suo scopo. 

“Elena, Elena! Ho recuperato dalla polizia il cellulare della mamma, gli ultimi messaggi di Arnold sono schiaccianti. Non si è trattato di suic….chi è lui?”

“Lucy, ti presento Tom, il primo nipote di Arnold.”
“Cos’è questa storia?”, disse il ragazzo con il panico negli occhi.

Le due ragazze si guardarono per qualche secondo, poi rivolsero lo sguardo verso quel ragazzo che, fremente, aspettava che uscisse dalla loro bocca una parola, un suono.

Lucy fece una smorfia, un piccolo gesto che si avvicinava a un sorriso.

Finalmente aveva messo un punto alla storia di sua madre, la sua morte aveva preso una piega inaspettata.

I suoi occhi rivelavano la gioia, mista all’amarezza per quei messaggi così chiari che erano sfuggiti alla polizia etichettando quel caso come mero e semplice suicidio.

I suoi occhi rivelavano molte cose, ma la sua bocca rimase in silenzio.

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