GIOCHI DEL DESTINO di Giancarlo Pertile
genere: ROMANCE
I due giovani erano seduti l’uno di fronte all’altro.
Il parlatorio aveva pareti azzurre come il cielo ed il secondino di guardia, dall’altra parte del vetro, sembrava finto.
Chissà a cosa pensava? Certamente agli affari suoi, di quei giovani seduti al tavolo non gli importava proprio niente.
Eppure, nella stanza c’erano due persone in posizioni completamente diverse, il giovanotto era un detenuto che stava scontando una pena e la signorina era un giovane magistrato ai primi casi.
Se i due fossero stati seduti ai tavolini di un bar non ci sarebbe stato nulla di strano scambiarli per una coppia di fidanzati che progettano il matrimonio e la vita futura, ma dentro a quel parlatorio agli occhi del guardiano erano solo due anonimi personaggi.
Forse, chiedendo al guardiano chi fosse il detenuto dei due avrebbe impiegato un po’ a rispondere, magari avrebbe poi indovinato visto che si trovavano nella sezione maschile del carcere.
Anche la ragazza stentava a riconoscere quel detenuto nella persona descritta nel dossier che aveva attentamente studiato, la stessa foto sembrava di un’altra persona.
Quando Davide iniziò a rispondere alle prime domande questo senso di avere a che fare con la persona sbagliata era aumentato ancora, rispondeva con piena padronanza di linguaggio ed una pacatezza degna del miglior politico intervistato da un giornalista d’attacco.
Gaia, mentre l’ascoltava e prendeva appunti, tornava con la mente alle note del dossier e ricordava:
”Trattasi d’individuo violento e collerico, pericoloso per la socialità.”
Certo che l’aspetto era quello di un angelo: gli occhi grigio azzurro con un’espressione molto buona, un modo di fare gentile e garbato, un viso regolare con labbra pronunciate ma composte, le mani grandi e fini nello stesso tempo, alto con un fisico longilineo.
Aveva notato che c’era un contrasto con le note del dossier ed altre informazioni, tipo il diploma di liceo classico, gli incarichi di bibliotecario all’interno del carcere e gli studi universitari di medicina che seguiva. In ogni caso quanto era accaduto dava ragione alle note e il lato angelico di Davide per ora era solo di copertina, come molti pensano il diavolo si presenta con sembianze angeliche.
Gaia aveva preparato le domande come il solito, aveva studiato il caso e poi definito una linea di comportamento e d’indagine da seguire, ma dopo le prime risposte si trovò ad essere incuriosita sul giovane ed a volere sapere tutto di lui.
Fu così che venne a sapere che Davide era stato vittima di un destino poco benigno, già dall’infanzia con la prematura morte del padre aveva incontrato il lato duro della vita. La madre costretta a lavorare lo aveva affidato agli asili, alle scuole, al suo istinto conservativo. Lui era cresciuto precocemente, era abituato a darsi da fare, doveva farlo.
Tornando da scuola trovava una casa vuota e desolata ad aspettarlo, spesso con i letti ancora sfatti. Mamma usciva anche lei presto il mattino ed aveva appena il tempo di svegliarlo e fargli le solite raccomandazioni. Non era un problema per Davide cuocersi un po’ di pasta, rifare i letti e lavarsi i piatti, trovava quelle occupazioni normali, come lavarsi i denti dopo pranzo. I compiti poi gli richiedevano poco tempo, era molto sveglio, per lui era sufficiente ascoltare gli insegnanti e leggere una volta a casa sui libri e la sua mente registrava a meraviglia, lo dimostravano gli ottimi voti.
Durante il giorno, aveva molto tempo libero nel quale riusciva a compiere molteplici attività, addirittura guadagnava qualcosa facendo consegne per un negozio sotto casa.
In questo modo, Davide si tirò su da solo, superò anche il liceo classico a pieni voti ed era pronto ad iscriversi all’Università, ma il destino con un gioco crudele, non lo lasciò fare e gli mise sulla strada un giovane coetaneo molto diverso da lui.
Salvatore un bullo di quartiere, ultimo figlio di una famiglia numerosa, coccolato e viziato da genitori e fratelli più grandi, una famiglia come tante, arrivata a Bologna dalla Puglia per cercare un lavoro che là mancava. Gente onesta, poca cultura ma gran cuore, padre muratore madre casalinga, tutti per i figli. Quei figli che avevano imparato il mestiere dal padre e che già giovanissimi guadagnavano molto spendendolo male.
Così Salvatore, dopo avere scaldato il banco nelle scuole dell’obbligo, nelle quali si era attardato per il suo comportamento poco educato nei confronti degli insegnanti e dei compagni, iniziò a lavorare con il papà ed i fratelli.
Con loro era piuttosto insofferente non amava ricevere ordini, si credeva già esperto prima ancora di imparare. I fratelli lo trattavano sempre come un bambino piccolo e prendevano con simpatia i suoi modi impertinenti.
Questo suo modo d’essere maleducato e scontroso, gli aveva creato una discreta fama di duro e dai ragazzi del quartiere era considerato un “boss”. Non che Salvatore fosse un piccolo delinquente, lui non aveva bisogno di rubare per avere i soldi, ma era forte, aveva un coltello e se qualcuno lo apostrofava male glielo metteva subito sotto il naso.
Riusciva così ad imporsi anche su prepotenti pregiudicati di età superiore alla sua.
A modo suo Davide era altrettanto considerato dai suoi coetanei, infatti, era dotato di una forza fuori del comune. Il suo fisico, pur non dimostrandolo, aveva un equilibrio di muscoli e nervi sviluppati in modo naturale che gli conferivano una prestanza al di sopra della norma.
Lo avevano notato al negozio dove Davide aiutava e quando gli vedevano sollevare pesi considerevoli con disinvoltura lo canzonavano chiamandolo Golia. Inoltre, si era sempre distinto negli sport per forza ed agilità. Si, forse per un tipo come lui certi sport non sono indicati, era meglio non incrementasse la sua forza naturale con le tecniche della lotta. Invece fu proprio in palestra frequentando lezioni di Karatè che si guadagnò la fama da duro.
Davide non amava la violenza e anche quello sport lo annoiò subito, durò pochi mesi ma per il suo innato modo di apprendere quei pochi mesi valsero anni.
Quel mattino, Salvatore era particolarmente eccitato perché i fratelli lo avevano mandato a fare una commissione che non gli piaceva, a lui non piaceva andare in banca, fare la coda e sentirsi fare domande dall’impiegato alle quali non sapeva mai rispondere.
Era una giornata calda e i fratelli pensavano di fargli un piacere a mandarlo in giro con il suo scooter inoltre stavano facendo un lavoro difficile e lui era di poco aiuto.
Davide, invece, si stava recando alla Segreteria dell’Università, era inquieto perché non sapeva se avesse soldi a sufficienza per pagare le tasse per l’iscrizione, il suo solito problema: i soldi.
Non voleva pesare sulla madre, sapeva che lei faticava a pagare l’affitto e tutte le altre spese, così si era accantonato un po’ di soldi per farle la sorpresa di sopperire lui a tutte le spese. La mamma spesso diceva:
“Ragazzo mio come faremo poi quando andrai all’università, ci vorranno milioni per frequentarla.”
Con quei soldi voleva comprarsi un ciclomotore usato, sarebbe stato comodo con quel caldo averne uno.
Era immerso in questi pensieri alla guida della piccola e vecchia auto che possedevano, quando, ripartendo da uno stop, arrivò uno scooter a forte velocità e grazie all’ abilità del conducente si evitò un brutto scontro.
Purtroppo, il conducente era Salvatore e con lo stato d’animo che lo animava iniziò ad insultare Davide, il quale si sentiva già vittima d’ingiustizie burocratiche e vedersi aggredire ingiustamente da quel giovane possessore di uno scooter che lui sognava da tempo, gli fece perdere la pazienza.
Gli rispose per le rime e fermò l’auto, di solito quando gli capitavano discussioni alla guida lasciava perdere, trovava stupido litigare per cause sciocche.
Quella mattina non riuscì ad essere calmo e riflessivo come il solito e così scese dall’auto. Salvatore non aspettava altro e vedendo quel ragazzo magrolino con la faccia angelica, esternò tutta la sua prepotenza, tutta la sua voglia di dimostrare che lui era un duro. Voleva dimostrare d’essere uomo, di essere un dominatore, di essere un potente.
Andò incontro a Davide e, quando gli fu vicino, tirò fuori il coltello.
Non voleva usarlo, lui aveva il coltello ma conficcarlo nelle carni a qualcuno era un pensiero che non aveva mai considerato.
Pensava di vedere Davide risalire in auto di corsa e scappare come una lepre, neanche quando vide l’espressione di ghiaccio nei suoi occhi si rese conto di essere di fronte ad una persona determinata. E, vedendo che il suo antagonista non scappava, commise l’ingenuità di mettere il coltello a portata di mano del suo avversario. Davide reagì con una calma non comune e come da manuale afferrò con la mano sinistra il polso con il coltello e con il gomito destro scattò verso la gola di Salvatore.
Un colpo semplice, lo avevano provato molte volte in palestra, un’elementare tecnica d’autodifesa, fermi il braccio con il coltello e dai un colpo alla gola dell’aggressore, questi resta senza respiro e lo disarmi facilmente.
Davide non aveva fatto i conti con la propria forza, Salvatore cadde a terra rantolando senza respiro, la gente iniziò ad arrivare, qualcuno disse che si doveva portare subito all’ospedale.
Davide lo caricò sui sedili posteriori della sua auto e corse al pronto soccorso.
Ma, quando giunsero, Salvatore era morto, la trachea spezzata non aveva permesso all’aria di arrivare ai polmoni e così era morto soffocato.
Raccontò tutto ai poliziotti di guardia all’ospedale e poiché era maggiorenne e reo confesso fu subito condotto in carcere.
Poco valsero le sue tesi. Al processo fu giudicato un eccesso di legittima difesa e nonostante la testimonianza di un maresciallo dei Carabinieri in pensione che aveva assistito al fatto, furono inflitti a Davide sette anni di reclusione.
Il fatto suscitò stupore tra gli amici e conoscenti di Davide, meno tra quelli di Salvatore.
La madre di Davide si trovò una seconda volta perseguitata dalla sfortuna, aveva perso un marito ed ora l’unica sua ragione di vita gli veniva portata via per sette anni.
Sapeva che suo figlio era stato vittima del destino, che non era un violento, si era solo difeso.
Sarebbe sicuramente tornato dopo sette anni senza aver subito alcuna influenza sul suo carattere. Forse avrebbe potuto studiare anche in carcere, forse sarebbe riuscito ancora a vivere una vita normale. Lei doveva aspettarlo e dargli tutto il supporto possibile, tutto quello che non gli aveva dato negli anni precedenti.
Ora aveva trovato Mario, aveva faticato a presentarlo a Davide, un uomo semplice e buono. Si trovava bene con lui era gentile e premuroso nei suoi confronti.
Certo, per anni anche lei, come tutti i colleghi, lo aveva considerato uno scapolo scorbutico e poco simpatico.
Poi, un giorno lo incontrò per caso a teatro, era anche lui solo come lei, fu spontaneo per entrambi socializzare.
Mario, fuori dell’ambiente di lavoro, si rivelò subito un’altra persona, era la timidezza il suo problema come per tutti i timidi un po’ introversi, per imporsi doveva essere poco gentile. Quella sera a teatro si sentì a suo agio con Marta ed uscì il lato migliore: Il suo bisogno di parlare con qualcuno, la sua necessità di scherzare e ridere su cose banali, il suo desiderio di lasciarsi andare senza sempre aver paura di usare un termine sbagliato o un’espressione inadeguata.
Sparì anche il suo timore di essere sempre giudicato.
Marta si sentì un po’ ragazzina, aveva un segreto che non poteva confidare a Davide. Telefonava a Mario di nascosto e si incontravano in posti poco frequentati da Davide.
Una domenica, le attenzioni non valsero e mentre passeggiavano per il centro incontrarono Davide insieme con alcuni amici.
Sia Marta sia Mario diventarono rossi come due papaveri e nelle presentazioni la parola amico si ingarbugliava nella lingua di Marta. Contrariamente alle aspettative Davide si dimostrò felice di vedere sua madre in compagnia e Mario gli fece un’ottima impressione. Davide sembrava la persona matura e gli altri due invece fidanzatini alla prova di presentazione ai genitori.
In carcere Davide benediceva il destino, che per quanto a lui sfavorevole, aveva messo accanto a sua madre un uomo onesto come Mario.
Nel parlatorio Gaia non poteva comprendere Davide, aveva a disposizione un fascicolo informativo e stava traendo notizie per capire quel giovane che la ispirava molto dal punto di vista personale.
Si accorgeva che non stava lavorando bene. Lei doveva fare un’indagine in merito ad un duplice omicidio avvenuto all’interno del carcere dove Davide risultava fortemente sospettato.
Finito il colloquio, seduta alla scrivania del proprio ufficio a palazzo di giustizia, Gaia rifletteva pensando di aver sbagliato mestiere, un magistrato non deve farsi influenzare dal soggetto che esamina, certo soggetti come Davide non ce n’erano molti, anzi lui era unico. Lei doveva essere sopra tutto, analizzare scientificamente i fatti ed i soggetti, trarre le conclusioni e formulare un capo d’accusa con argomenti raziocinanti.
Invece, si trovava a pensare a Davide, al suo tenero modo di fare che non poteva racchiudere la belva che traspariva dal suo dossier. Sensazioni di donna non freddo esame di funzionario.
Dopo vari colloqui, Gaia iniziò a valutare i fatti e anche se si sentiva di parte, voleva condurre quel caso fino in fondo. Voleva provare che Davide era innocente, quel ragazzo era già stato abbastanza sfortunato, era ora che qualcuno gli desse una mano.
Lei, pur facendo bene il suo lavoro, doveva dimostrare che era tecnicamente impossibile che un uomo da solo potesse in pochi secondi uccidere due pericolosi delinquenti come gli ammazzati.
C’era poi la testimonianza dell’agente di custodia, per fortuna, egli confermava che quando aveva ispezionato le docce in quei locali erano presenti solo Davide e Tony. Certo nessuno aveva poi visto entrare le vittime ma nemmeno gli assassini, eppure il fatto era successo.
Si, il guardiano era fondamentale per l’indagine, la sua testimonianza scagionava completamente Davide e Tony.
Per contro, le persone su cui potevano cadere i sospetti erano loro. I due erano stati gli ultimi a lasciare i locali docce, quel giorno era il loro turno di pulizia. Tony apparteneva ad un clan opposto a quello delle vittime ed ultimamente correva voce ci fosse battaglia tra le due cosche. Davide aveva già ucciso con le mani e quei due sembravano stati uccisi senza l’uso di armi o oggetti: uno aveva il collo spezzato e all’altro era stata sbattuta la testa contro il muro spaccandogliela con un colpo solo.
Per contro, il guardiano avrebbe dovuto vedere la macchia evidente sul muro quando entrò nei locali.
Forse il caso era più semplice di quanto si pensasse, qualcuno aveva ucciso i due ma non Davide e Tony, anche se facilmente sospettabili erano quelli che avevano l’alibi migliore.
Gaia pensava a Davide in quelle docce, nudo in mezzo agli altri detenuti.
Lo trovava indifeso, fragile, poco adatto a quel posto. Vedeva in lui una vena sensibile e poetica e pensarlo in quel brutto ambiente la turbava. La turbava anche pensare al suo corpo nudo.
E, comunque, cosa poteva fare un ragazzo come lui aggredito da quei due energumeni armati di coltello? Anche Tony non era molto robusto, della stessa età di Davide e molto più piccolo di altezza. Le vittime erano due corpulenti malviventi, avevano già ammazzato, rapinato e violentato. Anche Tony stava scontando una pena per omicidio, ma pure lui, come Davide, si era difeso in un’imboscata tesa da un balordo che si era improvvisato killer di professione, assoldato da un clan nemico a quello del padre di Tony, per pochi milioni aveva accettato l’incarico di farlo fuori, ma non sapeva sparare bene e così invece che colpirlo sbagliò mira e lo ferì ad una gamba.
Tony invece con la pistola era un buon tiratore ed il suo colpo di risposta si conficcò nel cuore del balordo uccidendolo sul colpo.
La gamba perdeva vistosamente sangue, quindi, arrivò un’ambulanza che lo portò all’ospedale dove fu curato ma subito incarcerato.
Gaia escludeva che Tony, senza pistola, potesse far male a qualcuno e anche Davide, tutto sommato, aveva ucciso senza armi. Ma si era trattato di una sfortunata casualità.
Aveva incontrato Davide tre volte e forse poteva già chiudere il caso, ma aveva piacere ad incontrarlo.
Sì, doveva confessarsi che vederlo le dava delle sensazioni piacevoli.
Durante i loro colloqui il tempo dedicato all’indagine era minimo, si dilungavano sulla vita di Davide.
Gaia voleva conoscerlo meglio e così dava un senso professionale alle domande che miravano a farle capire il carattere e la vita avuta da Davide, alle sue aspettative ed ai suoi programmi dopo il carcere. Si era persino spinta a chiedergli se fosse fidanzato. Lui, a quella domanda, aveva sfoderato un sorriso che aveva fatto arrossire Gaia, rispondendole che non aveva ancora incontrato la donna della sua vita.
Gaia capì di essersi scoperta un po’ troppo, ma la gioia che ebbe a sapere che non aveva nessuna donna ad attenderlo fuori la fece felice.
Anche lei non aveva ancora incontrato l’uomo della sua vita e vedeva in Davide tutto ciò che aveva sempre cercato in un uomo: la attraeva fisicamente, lo trovava intelligente e brillante e pensava fosse sincero e buono.
Perché doveva crearsi problemi se era un detenuto che stava scontando una pena? La vita lo aveva messo in quella situazione ma lui non era un malvagio assassino. Se quel giorno Davide non avesse incontrato Salvatore ora probabilmente sarebbe un medico stimato e considerato.
I genitori di Gaia erano all’antica e al sapere che la loro unica e prediletta figlia si era invaghita di un detenuto sarebbero inorriditi.
Perché dirglielo?
Se, per caso, tra lei e Davide fosse nato qualcosa poteva aspettare che lui finisse di scontare la pena e presentarglielo, senza raccontargli della disavventura da lui subita.
Davide era al quinto anno di reclusione e grazie alla sua buona condotta e viva intelligenza gli era stata affidata la gestione della biblioteca del carcere. Inoltre, si era iscritto all’università nella facoltà di medicina e stava superando regolarmente gli esami. Durante i primi anni, non poté frequentare l’ateneo ma grazie al computer che aveva a disposizione in biblioteca era stato in contatto diretto con l’università ed era riuscito a seguire i programmi e a procurarsi testi e appunti per studiare. Agli esami era accompagnato da guardie di custodia, per fortuna in borghese ed i professori rimanevano sempre stupiti dal grado di preparazione raggiunto, pur non frequentando le lezioni. Fortunatamente al quarto anno gli fu concesso il permesso di frequentare l’Università e così iniziò la pratica in corsia, i malati mai più sospettavano che quel giovane futuro medico dall’espressione angelica fosse un detenuto.
Davide aveva notato qualcosa di strano nel comportamento di Gaia.
Tutte quelle domande sulla sua vita privata, quegli sguardi dolci, quei toni di voce a volte emozionati accompagnati da lievi rossori sulle guance gli avevano fatto capire che era interessata a lui come persona.
Davide aveva bisogno d’affetto, quel poco che aveva avuto da sua madre gli era stato tolto da quella sfortunata prigionia. Quando fu recluso aveva l’età in cui gli uomini hanno i primi veri contatti con il sesso femminile, si innamorano e iniziano i fidanzamenti che poi di solito formano le famiglie.
Stava bene con Gaia, durante i loro colloqui si sentiva come spesso gli accadeva con sua madre: protetto, capito, coccolato ed ammirato. Quando Gaia andava via gli restava un senso di solitudine che lo deprimeva molto, ma passava quando si avvicinava la data del colloquio successivo.
Un giorno Gaia gli comunicò che l’indagine era conclusa e che avrebbe archiviato il caso, sarebbe rimasto un delitto non punito perché compiuto da ignoti.
Davide immaginava già quella conclusione per cui l’unica cosa che gli balenò nella mente fu che non avrebbe più incontrato Gaia. Non riusciva a trovare il modo di chiedere a Gaia di rimanere in contatto, era preso da panico, da lì a poco lei si sarebbe alzata, gli avrebbe dato la mano e se ne sarebbe andata.
La fortuna gli venne in aiuto.
Gaia gli disse che gli avrebbe mandato una copia del provvedimento e Davide rispose che poteva anche mandargliela per posta elettronica e gli diede l’indirizzo mail.
Gaia aveva lo stesso problema di Davide non sapeva come rimanere in contatto con lui, poteva forse andarlo a trovare in parlatorio, ma era troppo presto, l’inchiesta era ancora fresca ed un’amicizia con un indagato poteva essere notata.
Così l’idea di essere in contatto mail con Davide le piacque molto, non lo avrebbe perso, ancora due anni da scontare e poi era libero. Anzi facendo domanda di riduzione della pena per buona condotta poteva uscire anche prima.
Decise di aiutarlo, ma doveva essere lui il primo a dichiararsi. Lei gli avrebbe mandato i documenti in modo che venisse in possesso del suo indirizzo di posta elettronica, ma non voleva imporsi, doveva essere certa che anche lui vedesse in lei qualcosa di particolare. La sua posizione di potere poteva influenzare un giovane nella condizione di Davide, ma non lui. Gaia capiva che Davide era un uomo deciso, non era un ragazzo reso insicuro dalle avversità della vita, anzi lo avevano temprato gli avevano dato la grinta per voler emergere a tutti i costi.
In ogni modo Gaia aspettava da lui il primo passo per entrare in amicizia, anche lei era sicura di sé, sapeva di essere carina e non aveva fidanzati solo per sua decisione. Molti le si erano dichiarati, ma lei non aveva visto in nessuno qualcosa che la attraesse come in Davide.
Uno psicologo avrebbe potuto azzardare che un magistrato donna s’invaghisce facilmente per un detenuto perché vede in lui la trasgressione che nel rituale sessuale ha grande importanza.
Non era il caso di Gaia, lei aveva conosciuto molti bei tenebrosi anche come compagni d’Università, giovani con le caratteristiche dei pregiudicati sia fisiche che morali molto più marcate di Davide. Giovani sprezzanti della vita, di quella vita che nulla gli ha negato, di quella vita che ha dato loro molto forse troppo e non capendolo sono sempre alla ricerca di nuove sensazioni. Giovani che non sanno apprezzare le cose semplici, ma per loro il divertimento è concepito solo nell’oblio della mente per mezzo di sostanze eccitanti, nel compimento di azioni esasperate, o nel tentativo di raggiungere falsi obiettivi.
Davide non era di questi, lui era un semplice: un giro in bicicletta, una passeggiata sui monti, una partita a calcio con gli amici, una pizza il sabato sera. Trascinato dagli amici andava anche in discoteca a volte, ma a parte le belle ragazze che vedeva ballare il resto lo lasciava piuttosto intontito ed insoddisfatto.
Bene, era arrivato il momento di salutarsi, chiamare la guardia e tornare alle proprie occupazioni.
Mentre si davano la mano guardandosi negli occhi ebbero entrambi la sensazione di perdere qualcosa e così si dilungarono, fu la guardia che disse:
“Dottoressa, andiamo?”
Gaia trasalì, si era scordata della guardia che sembrava avesse capito tutto cambiando atteggiamento: da impersonale ai primi incontri a sorrisi ammiccanti in seguito.
Forse era solo un’impressione di Gaia, si sentiva osservata perché non aveva la coscienza a posto, era in una posizione anomala per un giudice.
Rispose con un sorriso alla guardia dicendo:
“Sì, ora andiamo, sa è l’ultimo incontro.”
Con quella risposta anche se la guardia avesse voluto non capire niente gli si spiegava tutto. Davide prese in mano la situazione dicendo:
”Speriamo di no, magari in altro posto.”
La guardia a quel punto disse che era meglio andare, con un tono che voleva consigliare il silenzio altrimenti chissà cosa sarebbe uscito da quelle bocche.
Gaia lavorò fino a notte tarda per terminare la relazione sull’indagine.
Il mattino seguente la consegnò al Procuratore Capo Dottor Zonza per il pomeriggio a presentare le conclusioni.
Durante la riunione pomeridiana Gaia era imbarazzata al pensiero di relazionare a voce il risultato dell’inchiesta, ma fu aiutata dai colleghi che avendola in simpatia confermavano tutte le sue tesi ed anzi si complimentavano per la buona conduzione dell’inchiesta. Tutti i presenti concordarono pienamente la sentenza di archiviazione per l’indagine avvenuta.
Gaia uscendo tirò un gran sospiro, ora doveva solo aspettare che le tornasse il documento con firme e timbri per inviarlo a Davide e poi aspettare la sua risposta.
Davide ormai aveva considerato il caso superato ed era tornato ai suoi studi a mente serena. Spesso si trovava a pensare a Gaia, la sognava in tutti i modi, aveva bisogno di una donna come lei e sinceramente la desiderava molto anche fisicamente.
La settimana seguente finalmente arrivò il messaggio per e-mail, Davide aveva pensato molto a cosa scrivere per risposta ed aveva deciso di essere sincero con Gaia, almeno per quanto riguardava i suoi sentimenti. Prima doveva cambiare il rapporto detenuto magistrato e poi instaurare quello semplice tra un uomo e una donna alla pari.
Al messaggio rispose così:
“Gentile Dottoressa, la ringrazio per la comprensione e la professionalità dimostrata nel condurre l’indagine, cordiali saluti.”
Gaia restò molto male per quella risposta, immaginava, desiderava, sperava in qualcosa di più. In qualcosa che eliminasse la barriera tra le due posizioni diverse e mettesse le basi per un rapporto di amicizia, di tenerezza, di romanticismo e perché no di amore. Forse si era solo illusa, aveva mal interpretato il comportamento di Davide, quei suoi sguardi dolci, quel suo modo di adularla, quel suo modo di farle capire che era molto interessato a lei come persona e non per il ruolo che ricopriva. Forse aveva solo voluto ingraziarsela per farla essere meno rigida nell’indagine, forse faceva così con tutte le donne, forse essendo da cinque anni in carcere era solo desideroso di rapporti umani.
Mentre Gaia ragionava su queste cose, Davide era intento a scrivere il messaggio che aveva elaborato da tempo nella sua mente. E la sera dopo Gaia lo trovò nella mail box, sperava arrivasse un altro messaggio, ma aveva deciso comunque di scrivere lei se non fosse arrivato. Mentre il messaggio si apriva il cuore di Gaia aveva accelerato il ritmo e dalla prima frase già un sorriso di felicità aleggiava sul suo viso.
E così leggeva:
“Cara Gaia, ora il nostro rapporto professionale è finito, mi rivolgo quindi a te non più come magistrato ma come persona, come donna. Nei nostri incontri ho maturato un giudizio nei tuoi confronti che mi ha fatto desiderare molto conoscerti meglio. La tua dolcezza, il tuo modo di fare, i tuoi ragionamenti lucidi e perché no, i tuoi occhi belli ed espressivi mi hanno conquistato in tutti i modi. Non vorrei sembrarti invadente, ti chiedo solo di rimanere in contatto, vuoi? So che la condizione di pregiudicato depone a mio sfavore, ma non voglio considerarmi un “diverso” solo perché un caso sfortunato ha voluto sconvolgermi e rovinare una parte della vita. Si, i miei anni più belli sono trascorsi in un carcere ma non voglio rassegnarmi, nulla è perso posso ancora riprendere una normale esistenza e scordare questa brutta parentesi. Ho ancora due lunghi anni da trascorrere qui dentro, per fortuna lo studio mi fa passare il tempo più velocemente e se non ti spiace potremmo cambiarci qualche messaggio e conoscerci meglio.
Tu sai tutto di me, io poco di te, potresti anche essere fidanzata o addirittura sposata, se così fosse avrei un altro brutto regalo dal destino, ma ormai sono abituato.
Spero di leggerti presto.
Davide.”
Il sorriso iniziale di Gaia, leggendo tutto il messaggio, si trasformò in un’espressione di commozione che diede spazio anche ad alcune lacrime. Il messaggio non poteva essere meglio di così, diceva tutto quello che voleva sentirsi dire, anzi era squisitamente delicato e dolce. Era breve e diceva tutto, era romantico ed era razionale. Era stupendo, Gaia non riusciva a contenere la sua felicità, anche i genitori capirono che stava accadendo qualcosa di bello ed importante per la loro figliola. Voleva rispondere subito, dirgli che non aspettava altro che lui facesse il primo passo, che dal primo giorno gli era entrato nella mente, che di lui gli piaceva tutto, che mai un uomo l’aveva attratta in quel modo. Decise di essere diplomatica, non voleva scoprirsi facilmente, doveva essere sincera ma non esagerare.
Gli rispose che sarebbe stata contenta di rimanere in contatto, che anche lei aveva intravisto qualcosa di particolare nella sua personalità e le piaceva, che stava bene con lui. Anzi gli propose subito di accelerare i tempi per la sua libertà, lo avrebbe aiutato a fare domanda per una riduzione di pena per buona condotta. Con un po’ di fortuna il carcere per gli ultimi due anni che gli rimanevano, poteva diventare solo un albergo dove andare a dormire la sera.
Davide rimase contento di quella risposta, anche se sinceramente se l’aspettava, aveva capito che Gaia si stava innamorando di lui. Sapeva anche che poteva avere una riduzione di pena ed i permessi, ma non lo disse a Gaia, gli piaceva essere preso per mano una volta tanto nella sua vita, avere una persona che lo aiutasse, che lo accudisse che pensasse a lui.
Purtroppo, tra lui e Gaia c’era un problema, per ora poteva essere accantonato ma un domani sarebbe uscito. Doveva dirglielo, non poteva iniziare una relazione importante con un vizio di quel tipo, domani Gaia avrebbe potuto diventare sua moglie, dargli dei figli e a quel punto rivelarle cosa era accaduto nelle docce poteva rovinare una famiglia. L’alternativa era tacere per sempre, c’erano poche possibilità che quel fatto tornasse alla ribalta. Tony, l’unico testimone, sicuramente non avrebbe mai raccontato a nessuno cos’era successo, ma non si può mai essere sicuri di quello che può accadere. Davide pensava che chi fosse sincero e convinto di essere dalla parte della ragione era sempre in pace con la propria coscienza.
Certo, confessare tutto al magistrato inquirente, sarebbe stato aggravare un destino già crudele.
CONTINUA
GIOCHI DEL DESTINO di Giancarlo Pertile
genere: ROMANCE