OMICIDIO SULLA GIANT’S CAUSEWAY di Angelo Azzurro

Un nugolo di gabbiani insistenti aveva atti­rato l’attenzione di alcuni pescatori occa­sionali.

I volatili si accanivano in un’inse­natura della roccia basaltica, sfumata di rosso. Le grida ripetute erano come un ri­chiamo sinistro, in una mattinata uggiosa, senza vento, nella contea di Antrim. 

I pescatori avevano pensato a una carcas­sa animale, magari un grosso pesce arenato tra le acque limacciose.

Man mano che si avvicinavano all’antro, il fetore di morte e decomposizione cominciò ad aggredirli in tutta la sua prepotenza.

Il primo che si avvicinò stentò a riconoscere un corpo umano in un groviglio di alghe e brandelli di carne.

Un gabbiano banchettava tranquillo nelle orbite ormai vuote di un cranio scarnificato.

Il pescatore emise un urlo soffocato e ri­tornò sui suoi passi con le viscere sconvol­te, che urgevano una via d’uscita. I compa­gni lo trovarono in un angolo in stato di shock. Riuscì solo a tendere l’indice. 

L’ispettore O’Byrne giunse con calma sul luogo del ritrovamento.

Un cadavere di pelle nera non era mai una grossa urgenza, trattandosi del terzo in un paio d’anni, qualcuno aveva cominciato a fare pressioni sulle indagini. Si parlava già di un ipotetico serial killer o peggio ancora di una setta razzista.

Per O’Byrne erano tutte balle: semplici regolamenti di conti tra spacciatori e cor­rieri della droga.

La sua faccia grassa e lentigginosa espri­meva unicamente fastidio. Il colletto della camicia compresso sul doppio mento lo aveva reso paonazzo, la giacca catarifran­gente e il cappello d’ordinanza lo facevano grondare di sudore.

Era domenica, avrebbe di gran lunga pre­ferito trovarsi a casa con una lattina di bir­ra in mano, davanti alla TV via cavo, ma gli ordini erano stati perentori. Aveva ma­ledetto i tre pescatori che non avevano avuto niente di meglio da fare quella matti­na e si era accodato al medico legale e a un paio di tizi della scientifica.

Il cadavere presentava ferite di arma da punta e da taglio sulla fascia posteriore dell’emitorace sinistro, alla testa e nella parte posteriore e laterale destra del collo.

O’Byrne provò fastidio alla vista del cor­po, pareggiabile soltanto all’ascolto del rapporto del coroner in un secondo tempo. Non si era mai ritenuto debole di stomaco, ma il cadavere era davvero in cattive con­dizioni.

 La Causeway Coastal Route abbracciava la costa atlantica ed era piena di spiagge sabbiose, villaggi di pescatori, valli rico­perte di ginestre e percorsi sulle scogliere bordati di fucsie.

L’ispettore Kelly e la sua vice McCoin giunsero davanti alla parete di un canyon, di un verde brillantissimo, che declinava verso una serie di formazioni rocciose di origine vulcanica, assolutamente surreali: rocce quasi perfettamente esagonali accatastate l’una accanto all’altra, come scagliate dalle mani di un gigante.

I due poliziotti appartenevano alla divisione crimini razziali ed erano determinati a trovare un colpevole.

L’ispettore O’Byrne li attendeva sul luogo del ritrovamento con indolenza. «Non so perché vi siate presi il disturbo di venire fin qui alla Giant’s Causeway, se non per il panorama.» Li accolse in tono sarca­stico.

«L’omicidio di tre ragazzi di colore in due anni, mi pare una buona motivazione. La pista razziale ha dato frutti?» chiese Kelly con freddezza.

«Vagabondi, spacciatori, si ammazzano tra di loro. Non è questione di razzismo. La gente ha altro a cui pensare da queste parti.» replicò O’Byrne, ergendosi in tutta la sua stazza. L’atteggiamento indisponente cominciò a innervosire Kelly.

«Ispettore O’Byrne, avete o no, indagato? Siete risaliti all’identità della vittima? Non è il primo omicidio del genere in questa zona. Non vi interessa fare giustizia?»

Il tono si fece più aspro e determinato.

La faccia grassa e lentigginosa del poliziotto ebbe una sorta di sussulto e lo sguardo si fece bellicoso.

«Sa cosa le dico? Se li cerchi lei i partico­lari, io non ho tempo da perdere. Quello che dovevamo fare, io e i miei uomini lo abbiamo fatto. Questi negri arrivano a frot­te come clandestini e diventano irrintrac­ciabili. Il caso sarà archiviato: vittima e motivazione di reato sconosciute. Il posto è laggiù, se avete voglia di saltellare da una pietra all’altra.»

O’Byrne gettò a terra un kit da rile­vamento e si allontanò senza salutare.

Kelly indossò un paio di guanti e di so­prascarpe e si avviò per primo senza fiata­re, scrutando in ogni dove lungo il percor­so. La pioggia dei giorni precedenti e l’andirivieni dei pescatori e dei poliziotti rendevano impossibile una valutazione coerente. Il nastro giallo e nero e un tendo­ne approssimativo delimitavano la scena del crimine, senza ulteriore protezione, i gabbiani banchettavano indisturbati tra le rocce.

 «Il cadavere è stato sicuramente trascina­to fino a qui. Ci sono diverse impronte, al­cune sono sicuramente dei pescatori che hanno ritrovato il corpo, ce ne sono parec­chie differenti. Ma una in particolare, an­cora ben formata, là sotto a quella roccia, mi incuriosisce. Avranno fatto i calchi? O’Byrne non mi sembra molto disposto a disturbarsi. Per lui il caso è già pratica­mente chiuso.»

Sarah McCoin si chinò sull’impronta.

«È molto strana, mi ricorda uno scarpone chiodato. Non penso che i pescatori ne facciano uso. Le altre sono troppo pasticciate: un sovrap­porsi di carrarmato, probabilmente stivali o scarpe da trekking.»

«Chiamiamo la scientifica di Derry e facciamo fare i calchi. Dubito che O’Byrne ci voglia pas­sare il suo materiale e non abbiamo nessun potere per pretenderlo.»

«Concordo, faremo a meno della polizia di Antrim. Ma sei sicuro che ne valga la pena? E se O’Byrne avesse ragione?»

«Qualcosa mi dice che ci sia un collega­mento tra i vari omicidi.  Voglio vederci chiaro. Noto una certa omertà qui al nord.»

Le impronte vennero esaminate da un particolare software che ne analizzò la for­ma, la taglia e, in particolare, il disegno della suola. Vennero confrontate con un database che raccoglieva migliaia di suole, con relativi disegni, e di cui ci si poteva servire per arrivare anche alla data di rila­scio sul mercato di un particolare modello.

Come avevano supposto i due poliziotti le sneakers e gli stivali apparte­nevano ai pescatori, mentre la “strana” im­pronta apparteneva a uno scarponcino militare tedesco, usato nella seconda guer­ra mondiale.

«Scarponi militari e per giunta tedeschi, cosa ti fanno venire in mente?» chiese Kelly alla sua vice.

«Naziskin? O qualsiasi altro stupido no­stalgico.» rispose Sarah pronta.

«Skinhead e Naziskin, l’odio verso lo straniero è la loro forza trainante. Ho visto girare parecchie teste rasate qui e a Derry, per non parlare dei tatuaggi esoterici o raz­ziali e della varietà di anfibi, mimetiche e pantaloni stretti con bretelle. È tra questa gente che dobbiamo cercare.»

«Penso che online si trovi ormai di tutto, potrebbe essere chiunque», considerò l’ispettrice.

«Con la polizia di Antrim non abbiamo avuto molto feeling, ma possiamo contare su quella di Derry.»

Tra le varie teste rasate nel database di Derry, una in particolare aveva suscitato la curiosità di Kelly.

Liam Walsh era un giovane alto e allampanato, testa rasata pel di carota, occhi chiari maligni, un sogghi­gno malvagio stampato sulla faccia smunta e soprattutto vestiva in maniera molto particolare.

Giunsero a Bushmills, cittadina di poche anime a un passo dalla Giant’s Causeway.

Puntarono sull’effetto sorpresa.

Dopo un prolungato sopralluogo a vuoto, trovarono il soggetto in un pub buio e semi deserto.

Indossava una maglietta nera raffigurante l’aquila nazista, jeans stretti e bretelle ros­se, scarponcini militari lucidi, in un miscu­glio nazi e skinhead. Si molleggiava indo­lente sulle lunghe gambe, mentre ordinava frittata al salmone e salsicce per colazione.

I due poliziotti decisero di accomodarsi al bancone chiedendo un caffè, un modo di­screto per cominciare a studiare il sogget­to.

La capigliatura a spillo di Sarah e l’aria trasandata di Kelly non destarono so­spetto nel ragazzo, intento a ingurgitare la sostanziosa Irish breakfast.

Terminato il pasto, si stravaccò a gambe incrociate sulla sedia vicina, e fu in quel fran­gente che Sarah riconobbe la suola con le piccole punte di metallo incastonate. Scambiò un’occhiata d’intesa con il suo capo ed entrambi abbandonarono il bancone avvicinandosi.

Il ra­gazzo ebbe un moto di fastidio e indurì l’espres­sione.

«Ci piacciono molto i tuoi scarponi. Non se ne vedono tanti in giro, dove li hai presi?» esordì Kelly tranquillo.

«Già, roba bella, non da tutti», rispose svogliatamente.

«Come hai detto tu, non tutti possono permettersi di comprare questo tipo di scarponcini. Originali tedeschi, vero? Sicuro che siano tuoi?»

«Io non ho bisogno di rubare o di spacciare per vivere, come un fottuto immigrato, se è questo che state pensando. La mia famiglia è ricca e influente», dichiarò Liam osten­tando sicurezza.

«Immagino che tu non sappia niente di un ragazzo di colore massacrato di botte?»

Liam per un attimo impallidì, ma riprese in fretta la sua tracotanza. «Chi cavolo siete e cosa volete? Mio padre ha molti amici che contano nella polizia.»

«Siamo noi la polizia. Stavamo proprio cercando qualcuno che ha stupidamente lasciato le sue impronte sul luogo di un delitto, proprio con questo tipo di scarponi.»

Liam con uno scatto improvviso rovesciò il tavolo e si diede alla fuga verso il retro del locale.

Sarah riuscì ad afferrarlo per le bretelle. Si gettò su di lui, in un corpo a corpo accanito, una successione di calci, ginocchiate e gomita­te. Riuscì infine a immobilizzarlo con una presa al collo a triangolo.

Sotto la minaccia della pistola di Kelly si acquietò.

Il centro di Londondarry, racchiuso dalle mura che dominavano la città vecchia, conservava l’aspetto medioevale con i suoi antichi edifici, le strade tortuose e i suoi vicoli.

I due poliziotti furono accolti da un tramonto viola­ceo e dalla vivace illuminazione che si ri­fletteva sulle acque del fiume Foyle.

Ti va una birra, McCoin?»

«Credo che ce la siamo abbondantemente meritata. Il ragazzo alla fine ha parlato. Ha confessato di essere stato sulla scena del crimine, anche se dice di non aver partecipato all’omicidio, ma soprattutto ha fatto i nomi…»

«Già, quel Liam probabilmente è solo un idiota, figlio di papà. Ma è grazie al tuo intuito sugli scarponi tedeschi che abbiamo sgominato una banda di razzisti assassini. Non saranno gli unici, ma è già un passo avanti. Penso proprio che continueremo a lavorare insieme!» concluse l’ispettore Kelly alzando la pinta di Guinness ghiacciata in direzione della collega.

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