OBLIO di Claudia Celé

Ci siamo conosciuti due anni fa scontrandoci sulla rampa delle scale. Stavi scendendo come un fulmine per non aspettare l’ascensore, come al solito eri in ritardo. Ai nostri appuntamenti non sei mai arrivata puntuale: sei fatta così, non c’è niente da fare. Sempre di corsa, sempre all’ultimo momento, ormai l’ho imparato.

Quella mattina facevi i gradini praticamente a due a due. A tracolla avevi la tote bag blu con la scritta bianca, quella che ti eri comprata al Museo del Prado di Madrid durante la vacanza in compagnia delle tue amiche Letizia e Sofia dopo la maturità. Dentro ci metti i libri, insieme a un quaderno ad anelli per gli appunti e il panino da mangiare a pranzo tra i corridoi dell’università. Il tuo desiderio è fare la giornalista e perciò ti sei iscritta a Lettere Moderne. Io invece, per mantenermi, faccio il ryder e consegno pacchi a domicilio ma è dura arrivare a fine mese tra l’affitto, le bollette e la spesa, anche se ho un secondo lavoro: realizzo siti web a poco prezzo, ovviamente in nero, per sbaragliare la concorrenza.

Per poco non mi ero ritrovato giù dalle scale e, con me, il pacco da consegnare alla signora Toninelli quella che abita al secondo piano. Ordina sempre un mucchio di roba online, praticamente faccio tappa nel tuo palazzo un paio di volte la settimana solo per lei.

“Scusa, mi dispiace averti urtato. Ti sei fatto male?” avevi chiesto.

“No, non è niente” avevo risposto alzandomi in piedi dopo avevo sbattuto il ginocchio su uno dei marmorei gradini grigi della scalinata.

“Ah, meno male. Eppure hai preso una bella botta!”

“Sì, in effetti…però non credo di avere niente di rotto. Vedi, riesco a muovere la gamba” avevo replicato con tono rassicurante.

“Okay. Allora scappo, sono in ritardo per la lezione. Nei prossimi giorni fammi sapere come stai, tanto sai dove trovarmi. Abito al quarto piano, sono Alice” mi avevi sorriso salutandomi con la mano.

“Io sono Valerio” avevo risposto già completamente affascinato da te. 

Due giorni dopo la caduta ho suonato il campanello di casa tua per informarti che stavo bene. Il ginocchio si era gonfiato, avevo messo il ghiaccio ed era migliorato. Non c’era nessuna frattura.

“Per fortuna, sono stata in pensiero” avevi risposto felice.

Mi ero fermato sulla soglia poi mi avevi proposto di entrare a bere una lattina di Coca insieme. Seduto su una delle sedie della cucina ti guardavo incantato in silenzio mentre ridevi di gusto raccontando la scena del nostro incontro-scontro sulle scale.

Love of my life.

Ricordi la prima volta in cui siamo andati al mare, nell’appartamento che i tuoi hanno a Sestri Levante? Indossavi un vestito giallo con piccoli fiori bianchi che ti stava da favola. L’avevi comprato prima di partire in occasione dei saldi perché volevi qualcosa di nuovo da mettere in vacanza. Ti stava davvero bene quell’abito, eri bellissima! Un sogno per me.

Mi avevi portato a mangiare una pizza in uno dei locali sul lungomare. Avevamo ordinato due Margherite e le birre, poi avevi chiesto il dolce, la solita panna cotta, il tuo dolce preferito. Al momento di pagare il conto, il gestore del ristorante ti aveva riconosciuta, nonostante fossero passati diversi anni da quando c’eri andata con tua nonna Ines e ci aveva fatto lo sconto.

Eri meravigliosa e allegra. Rammento ancora i capelli ricci mossi dal vento, le guance arrossate e le spalle scottate dal sole. Sei sempre stata così delicata, Alice!

Nel giro di dieci minuti eravamo già rientrati a casa. Ti eri spogliata e io ero rimasto inebriato dal profumo della tua pelle. Mi facevi impazzire, mi avevi baciato in modo appassionato; io avrei voluto mollare tutto quanto e avvolgermi attorno a te, per sempre.  Quando sei con me il tempo si ferma, esistiamo solo noi, il mondo attorno non c’è.

E ora siamo insieme.

Venivo a prenderti con il mio scooter alla fine delle lezioni e andavamo in giro a ridere, a divertirci. Mi raccontavi storie fantastiche che ti venivano in mente così, d’istinto, in modo semplice e naturale perché tu sei portata a narrare, ci metti passione e sono sicuro che saprai scrivere articoli fantastici. È bellissimo poterti ascoltare, sono fortunato.

Con te finalmente mi sento vivo, tu hai portato luce, allegria e felicità. Prima la mia vita era vuota, incolore e piatta.

Dopo gli studi tecnici come perito informatico mi ero dato da fare per trovare un impiego. Avevo risposto a un sacco di annunci, fatto sei o sette colloqui, ma niente: tutti cercavano uno con un po’ di esperienza. Già, come faccio a farmela se nessuno mi dà la possibilità di cominciare!?

Mi ero stancato della situazione, avevo fatto le valigie e preso il treno per Milano lasciando i miei al paese al sud, in Calabria. Mi sono trovato catapultato nel caotico capoluogo lombardo, grigio e nebbioso. Non ero abituato e mi sentivo solo e triste; poi quel giorno, quel fatidico martedì tutto è cambiato…Benedico il momento in cui ho accettato il lavoro di delivery man; se non l’avessi fatto non avrei conosciuto te. Noi due siamo l’universo, il fulcro del creato!

E ora siamo insieme.

Poi è giunto quel giorno maledetto quando, all’improvviso, tutto è crollato. Sei arrivata come un fulmine correndo e mi hai abbracciato. Ti mancava persino il fiato tanta era la tua eccitazione. Faticavi a parlare. Nei tuoi occhi c’era una strana luce, non l’avevo mai vista prima.

 “Andrò in Erasmus, mi hanno presa. Parto per Berlino, andrò a studiare lì per lo scambio universitario” hai detto.

“Ma io non posso venire, devo lavorare” ho replicato angosciato “Dimmi che è uno scherzo.”

“Valerio dai, si tratta solo di sei mesi e poi rientrerò. Sono così felice!”

“Non permetterti di farmi questo” ho gridato infuriato e ti ho dato uno spintone. “Tu non ci andrai”.

“È assurdo, sei pazzo! Basta, vado a casa”.

“Alice ti prego, non abbandonarmi”.

“Esagerato. Sei sempre stato troppo possessivo con me, mi hai impedito di uscire con le mie amiche, non mi hai lasciato aria per respirare, sono stanca, non ne posso più”.

“Se te ne vai io la faccio finita, giuro!” ho gridato.

“Adesso calmati e cerca di ragionare. Ti prometto che ne riparliamo”.

Mi hai piantato lì come uno scemo in mezzo alla strada. Sono stato male per tutta la notte e anche il giorno seguente. Mi pulsava il cervello, mi scoppiava, era un dolore lancinante, insopportabile. Mi sono vestito e sono uscito di corsa per venire sotto casa tua con l’intenzione di farti cambiare idea. “Non lasciarmi, ti prego, non posso vivere senza di te, amore della mia vita. Se lo fai mi ammazzo!”.

“Stai scherzando, vero?” hai risposto preoccupata.

Abbiamo discusso per ore e mi hai fatto intendere che ci avresti riflettuto. Ti ho cercata in continuazione anche nelle giornate seguenti e ogni volta ti ho pregato di ripensarci. Che illuso! Più il tempo passava e più diventavi ostinata e intrattabile: non c’era modo di convincerti, non volevi sentire ragioni. Mi hai urlato la tua rabbia e sei fuggita. Non hai più risposto al telefono. Mi sentivo morire.

Tu, la mia essenza, non dovevi e non potevi andartene via. No, non meritavo tutto questo.

Però ora siamo insieme. Loro non ci troveranno.

Li sento, li sento salire le scale. Io non opporrò resistenza, senza di te non sono niente, non posso nulla. Mi manchi, percepisco un vuoto che mi sale dentro e, per la prima volta, mi rendo conto di essere rimasto solo. Che cosa ho fatto? Perché? Io senza te non posso vivere, non esisto. Tu eri la mia luce, il mio sole, la mia essenza ma ora non ci sei più. Ti guardo e vedo il tuo corpo immobile adagiato sul letto, il tuo petto che non respira. Dormi. No, non stai dormendo, vorrei che fosse così ma io, pazzo, te l’ho impedito. Non ce la faccio a stare senza di te, mi manca l’aria, soffoco, soffoco. La finestra, devo aprirla, adesso, immediatamente.  La spalanco, mi affaccio e mi sporgo. Giù c’è il vuoto, il baratro. Fisso la strada…un capogiro.

Amore della mia vita.

Ecco, suonano alla porta ma non li farò entrare. Aspetterò che irrompano da soli e nel frattempo mi godrò ancora alcuni istanti di te. Ti guardo intensamente. Flash continui lampeggiano in sequenza, uno dopo l’altro: sono gli ultimi istanti in cui respiravi ancora. Ti stringevo, mi fissavi, ti dimenavi e, con le mani, cercavi di spostare le mie che avvolgevano il tuo collo e lo comprimevano. Non riuscivi neppure a gridare, io schiacciavo forte e poi di più. I tuoi occhi riversi all’indietro, le tue gambe che piano cedevano su loro stesse…

Ora siamo insieme. Loro mi troveranno.

Cercano di aprire la porta e tra poco per me sarà finita. Non mi importa, devo pagare per ciò che ho fatto. Dovevi essere mia, solo mia e ora non ti avrà più nessuno. Resterai con me per sempre, saremo uniti. Rimarrai incancellabile nel mio cuore malato, sì perché loro mi cattureranno ma prenderanno il corpo e non la mia anima: quella è tua, perché noi staremo insieme. Eternamente. Mi porterò questo fardello assurdo per il resto della mia meschina esistenza perché, codardo, non ho saputo farla finita e raggiungerti nell’oblio. Amore della mia vita. Love of my life.

«Valerio De Luca sei in arresto per l’omicidio di Alice Bollani».

Mi stanno puntando una pistola in faccia.  Non mi importa, è giusto così. Io ti amavo, non potevo permetterti di spiccare il volo senza di me. Noi ci completiamo, ora tu fai parte di me, siamo una cosa sola, un tutt’uno, per l’eternità.

«Portatelo via …e spegnete quel maledetto disco!».

* Love of my life (Freddie Mercury) – Queen – 1975

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