24 DICEMBRE di Alessandro Grignaffini
«Sto morendo!»
Guardò il buio corridoio che si estendeva dalla camera da letto al ripostiglio.
La casa era vuota, silenziosa, lui ne era l’unico occupante, ancora per poco, però.
Un macigno gli premeva sul petto e un dolore sordo e annientante si irradiava dal torace alla schiena.
«Questa volta non ne esco!» pensò.
Era anziano, solo, ricco ed era la Vigilia di Natale.
La badante, una signora cinese madre di tre bambini, se ne era già andata da qualche ora. Aveva confezionato in quattro e quattro otto un piccolo presepe all’interno del camino spento con figurine comprate al mercatino cinese e poi glielo aveva mostrato felice.
«Messo bambinello, mezzo bue e asinello!» aveva esclamato, poi, contenta di aver assolto anche a quell’incombenza, se ne era andata augurandogli buon Natale, non prima, però, di avergli preparato la cena.
Cena cui non erano mancate alcune ricercatezze tipiche della vigilia: il salmone con l’insalata russa sarebbe rimasto l’ultimo piatto della sua vita.
Dopo aver ascoltato le banalità insulse della televisione, aveva incominciato ad avvertire un’oppressione al petto e difficoltà a respirare. Si era messo a letto nella speranza che gli passasse, ma l’oppressione si era trasformata in un dolore intenso e continuo.
Aveva intuito che era giunta la fine. Era sicuro che se si fosse alzato per cercare aiuto o anche solo per telefonare avrebbe solamente accorciato il tempo che gli era rimasto da vivere. Anche se fosse riuscito a chiamare soccorso, questo sarebbe arrivato in ritardo.
Era consapevole di cosa si trattava. Dolori simili, anche se non così forti, avevano accompagnato l’ultimo periodo della sua vita. Ischemia miocardica era la diagnosi rilasciatagli dai dottori: due parole che erano scivolate nel fluire del lessico medico apparentemente prive della minacciosa potenzialità che esprimevano.
Tornò ad osservare il corridoio in penombra. Là in fondo, dietro un finto mobile, ci stava il caveau. Era stipato di soldi in contanti, di gioielli, di ori e di oggetti preziosi di ogni genere: un vero e proprio tesoro accumulato durante una vita intera, vita cui peraltro, non erano mancate privazioni e disagi.
Non aveva certo vissuto in povertà, ma molto al di sotto delle sue reali possibilità. La parola giusta sarebbe stata una voluta sobrietà. Ebbene, che differenza faceva adesso? Tutto sarebbe finito e nulla avrebbe contato più veramente. La differenza ci sarebbe stata per chi avesse ricevuto tutto ciò che lui aveva accumulato.
Avrebbe potuto con uno scritto o un testamento, lasciare i suoi averi a qualcuno di sua scelta. Amici veri non ne aveva mai avuto; conoscenti molti. Nessuno, però, che ritenesse degno di entrare in possesso delle sue sostanze.
Ne avrebbero goduto gli eredi, lontani parenti che non frequentava e non vedeva da anni. Se li avesse incontrati probabilmente non li avrebbe neppure riconosciuti.
Lo stato, avido come sempre, vi avrebbe messo su le mani per primo. Se voleva lasciare qualcosa a qualcuno, avrebbe dovuto pensarci per tempo. Ormai era troppo tardi, gli mancavano perfino le forze per alzarsi dal letto.
«Certo avresti dovuto pensarci prima», lo ammonì il giovane vestito di azzurro che si sedette sulla sponda del letto.
Vestiva casual: jeans azzurri, camicia azzurra e maglioncino blu. Le scarpe erano costose e sicuramente firmate.
«Adesso è troppo tardi, amico mio. Non sei più in grado di fare nulla, Ti devi solo rassegnare! Vedrai, il trapasso non sarà difficile, ci riescono tutti e tu, che ti sei sempre reputato superiore agli altri, non ne sarai da meno.»
«Chi sei?» gli chiese il moribondo portandosi una mano al petto.
«Sono te! Sono la vita trascorsa, modificata e idealizzata. L’identità modello che hai sempre represso e combattuto, finalmente, è libera di manifestarsi. Credi a me: non ha importanza alcuna se non hai lasciato disposizioni per il tuo patrimonio. Sono solo cose, oggetti inanimati privi di vero valore. Scarso significato ha la vita delle persone, immagina quello di oggetti di pezzi di carta, di metallo, sostanze destinate a deteriorarsi e modificarsi. Chi ne verrà in possesso, per un po’ proverà una gioia immensa, penserà di aver risolto tutti i suoi problemi, ma si tratta di sensazioni effimere destinate ben presto a cadere nell’oblio. Tu gli attribuisci un gran valore, perché hai speso tutto il tempo che ti era stato concesso per venirne in possesso, senza renderti conto che le azioni erano importanti, non ciò di cui riuscivi a impossessarti. Domani mattina la cinese, quando verrà con una stella di Natale in mano, ti troverà morto stecchito e chiamerà la polizia. La tua casa sarà prima sigillata e poi rovistata da cima a fondo.»
«Se potessi consegnerei la chiave del caveau alla badante e le direi di portarsi via tutto» disse il vecchio.
«Un desiderio che emerge quando non può più essere esaudito» rispose il giovane. «Credi a me, a questo punto, è molto meglio neppure esprimerlo.»
«Hai ragione, ne avrò ancora per pochissimo e non voglio sprecare il mio tempo in desideri irrealizzabili, ma puoi almeno dirmi se di là c’è qualcosa?»
«Che ne so io!» rispose il giovane alzando le spalle «Io e tu siamo la stessa cosa!»
Il vecchio girò la testa lentamente sul cuscino con una smorfia di dolore che gli fece chiudere gli occhi.
Quando li riaprì il giovane non c’era più. Al suo posto una donna vestita di nero con le braccia nude, le mani guantate, un cappello nero sulla testa con la veletta abbassata, lo guardava con curiosità.
«Ah, …» fece il vecchio «ti riconosco: sei la Nera Signora.»
«Già, mi chiamano in così tanti modi che non li ricordo neppure tutti: la nera signora, la donna con la falce, la grande mietitrice…… Chissà perché sono sempre al femminile!»
«Adesso ne ho la certezza assoluta,» affermò l’uomo «non mi alzerò mai più da questo letto.»
«E allora? …Che vuoi che me ne importi delle tue certezze e delle volontà irrealizzate? Io sono qua per compiere il mio dovere! Tutto il resto mi è completamente indifferente. Ti voglio, però, confidare una cosa. Generalmente non parlo con chi sto per portarmi via. Lo faccio e basta, senza tante storie e indugi. Talvolta mi capita anche di dare un piccolo aiutino. Quando il soggetto è completamente solo e vedo che soffre troppo e stenta a morire, mi permetto di chiudere un vaso qui o là, bloccare un respiro, interrompere qualche circuito vitale, allo scopo di accelerare il trapasso. Che diamine, …anch’io ho un cuore!»
«Lo farai anche con me?»
«Non stai soffrendo poi così tanto vecchio mio. La tua è una sofferenza più mentale che fisica. Ti duole lasciare tutto quello che hai accumulato durante questa vita. Il pensiero di estranei, gente che non conosci e non ti conoscono, che si appropriano del tuo avere e si spartiscono la tua fortuna, genera gran parte della tua angoscia. Per me questo non conta nulla. Parlarti, invece, prima di portarti via, è del tutto eccezionale. Si devono, infatti, realizzare alcune condizioni particolari perché me lo possa permettere, condizioni che, ovviamente, adesso sono presenti.»
«Allora dimmi, c’è qualcosa dopo la morte? Me ne andrei più rassegnato se sapessi che comunque qualcosa di me rimane e continua a esistere.»
La nera signora si abbandonò a una lunga lugubre sghignazzata che riecheggiò lungamente sotto la volta a botte della grande camera da letto.
«Hai un bel coraggio! È esattamente il contrario! Dovresti essere molto più sereno sapendo che ti perderai nel nulla eterno. Dopo aver insozzato con la tua presenza questa vita, vorresti insozzare anche l’altro mondo, come lo chiamate voi, ammesso e non concesso che esista. Questa è veramente bella, da raccontare! Comunque, vecchio mio, dare informazioni ai moribondi, non rientra nei miei compiti. Io devo solo identificarmi con loro gradualmente e progressivamente, fino a diventare un’entità unica. Quando ci saremo completamente fusi, tu non ci sarai più, sarai scomparso completamente dall’esistenza. Coesistere con me non è assolutamente possibile, vecchio mio!»
«Non sono vecchio tuo, troia in nero, vai a farti fottere e lasciami morire in pace!»
«Ah, … siamo passati agli insulti! … Buon segno! Ti dirò che prima o poi me lo aspettavo, come attendevo che prima o poi sarebbe uscito fuori il tuo misoginismo. Solo perché mi vedi in vesti femminili mi attribuisci un genere che in realtà non mi appartiene, non più di quanto mi appartenga quello maschile. Adesso ascoltami bene. Fra qualche istante appoggerò la mia mano sul tuo petto e tutto sarà finito. Avrai terminato di lottare contro te stesso e contro tutti. Fino a domani mattina, quando ti troveranno, nella stanza regnerà la pace e il silenzio che sono le uniche cose che io apprezzo veramente.»
Con un cenno di assenso, il vecchio chiuse gli occhi e mormorò: «Fai quello che devi fare. Scusami per la volgarità di prima.»
Nella stanza adiacente la vecchia pendola stava battendo dodici rintocchi.
La mano della nera signora si posò sul petto del moribondo. Un alito gelato le uscì dalla bocca quando sibilò la frase di rito:
«Buon Natale!»
«Il migliore della mia vita» rispose in un rantolo il vecchio e, mentre nell’aria risuonava l’ultimo rintocco, spirò.
24 dicembre è un racconto di Alessandro Grignaffini