NERO di Viviana Mascardi
Eugenio raggiunse l’uscita degli artisti, in fondo alla discesa.
Angelica stava uscendo. Indossava il vestito nero corto con cui si era esibita e un paio di sandali con lacci che risalivano il polpaccio affusolato, lasciando i piedi quasi nudi. Eugenio rimase sorpreso a vederla già fuori.
La osservò senza essere visto. Il profilo di Angelica si stagliava in controluce nello specchio della porta degli artisti, i capelli raccolti evidenziavano il collo elegante, il corpo era snello e scattante.
Si avvicinò perplesso, indeciso se etichettare il brivido che lo aveva scosso come profondo orgoglio o struggente malinconia, e le porse il bouquet di rose.
«Papà! Grazie! Che profumo! Mi avete vista? Ho ballato davanti alle altre per quasi tutto il tempo! Come sono stata? Prima di salire sul palco mi si è sciolto lo chignon, me lo ha rifatto Anna appena in tempo! Eppure, mi ero spruzzata tutta la bomboletta di lacca. Senti che capelli duri! Margherita si è dimenticata le coulotte: Anna le ha creato una specie di pannolone con una sciarpina nera, per non far vedere le mutande sotto. Abbiamo riso tanto che stavamo per farcela addosso…»
Margherita uscì dopo qualche secondo sghignazzando, e poi tutte le altre compagne della Scuola d’Arte, stravolte, sollevate, ipereccitate come ogni anno dall’aver portato a termine il Saggio di Danza nel teatro più bello della città.
Tiziana aspettava davanti all’ingresso principale con Orazio e Fabio per mano, che crollavano dal sonno.
«Amore, sei stata bravissima e bellissima! Siete state tutte bravissime e bellissime!»
«Sì mamma, questa volta è stato davvero difficile, ma Anna ci ha fatto i complimenti, ha detto che siamo le regine del palcoscenico e che l’anno prossimo faremo un musical!»
«Che bello, magari a Broadway! Eugenio, sarà meglio che tu porti Orazio e Fabio a casa? È l’una passata. Non me li metto mai ‘sti dannati tacchi, ci sarà un motivo… ha pure piovuto, rischio di scivolare. Vengo piano con Angelica che intanto deve sfogare l’eccitazione e parlerà a raffica per tutto il tempo: più piano andiamo, più si sfoga…!»
Tiziana prese il bouquet e lo zaino di Angelica che continuava a confabulare e ridere con le amiche, mentre Eugenio si allontanava con i figli più piccoli.
«Dai amore, vieni, attraversiamo i giardinetti così evito quel tratto ripido di strada.»
Si avviarono verso casa lentamente, costeggiando i cespugli di pitosfori fioriti lungo i viali dei giardini urbani che profumavano ancora di pioggia.
Un lampione era spento e un altro sfarfallava. Angelica si fermò nel punto dove la luce era più fioca.
«Mamma… hai sentito?»
«Mi è sembrato…»
«Stiamo zitte…»
«Viene da quel cespuglio dietro le altalene?»
«Vado a vedere…»
«Aspettami Angelica, non riesco a correre!»
Angelica si lanciò verso il cespuglio, frugò per qualche secondo, tornò velocemente indietro.
«Mamma…»
«Oh!»
«Mamma… abbiamo qualcosa per asciugarlo?»
Tiziana le porse lo scialle.
«Trema. Poverino. Mamma, cosa facciamo?»
«Asciugalo e scaldalo con lo scialle, a casa gli diamo un po’ di latte tiepido e domani mattina lo portiamo subito dal veterinario, mi sembra davvero piccolo, non sarà ancora stato svezzato.»
«La sua mamma non c’era.»
«Andiamo a casa, è tardissimo e dobbiamo assicurargli in posto caldo per la notte; domattina torniamo qui e la cerchiamo.»
«E se non la troviamo? Piccolo, tutto solo e tutto bagnato. Non avere paura, piccolo… adesso ci sono io. Se non troviamo la sua mamma, possiamo tenerlo? Ho sempre sognato un gattino nero!»
«Adesso pensiamo a scaldarlo. Io e papà abbiamo sempre avuto gatti: penso che potremo tenerlo, se la sua mamma non c’è.»
«E se la troviamo, possiamo prendere anche lei?»
«Ci penseremo, adesso prendiamoci cura di lui. Chissà come mai la mamma non lo ha messo in un riparo sicuro. Quel cespuglio non era una tana adatta per un micino così piccolo.»
«Magari è morta…»
«Può essere, povera mamma e povero piccolo, ma lui sembra che stia bene. Lui o lei… Non trema più vero?»
«No, è bello caldo in questo scialletto. Se è un maschio lo chiamerò Nero. Pensi che gli piacerà il nome Nero? E il nostro terrazzo gli piacerà?»
«Sì, il terrazzo gli piacerà di sicuro ma quando farà freddo lo terremo in casa.»
«Dormirà con me: gli preparerò un cestino con una copertina morbida e lo terrò di fianco al letto.»
«Potrete tenerlo una notte per uno tu, Fabio e Orazio: anche loro vorranno coccolarlo.»
«Ma per scendere dal terrazzo come farà? Papà potrebbe costruirgli una specie di scivolo chiuso come quelli dei parchi acquatici che parte dal terrazzo e arriva in soggiorno attraverso la finestra facendo due curve. Però piccolo, perché altrimenti ci si infila anche Fabio, quel pazzo.»
«Papà è ingegnoso, sarebbe capace di farlo.»
«In fondo allo scivolo ci dovrebbe essere un altro cestino con una copertina, o anzi, con quelle palline di plastica…»
«Chissà se si divertirebbe… è un gatto…»
«Poi potremmo anche costruirgli una bella casetta: papà la fa con il legno, io, Orazio e Fabio la dipingiamo e tu cuci le tendine! Vorrei pitturarla di azzurro, poi potrei disegnare delle rose rampicanti di fianco alla porta, come quelle che hanno i nonni in campagna, e le persiane delle finestre. Dovrebbe essere accogliente e comoda per Nero, ma anche carina.»
«Va bene, però deve essere abbastanza grande perché ci stia anche la sua mamma, se la troviamo.»
«E se ha dei fratelli?»
«Se li ha prendiamo anche loro: facciamo una bella casetta grande da mettere un terrazzo in estate, e tante cuccette da tenere in casa in inverno!»
Allargando la casetta per accogliere un numero di gatti che andava crescendo a ogni passo, Angelica e Tiziana arrivarono al portone. Tiziana aprì, raggiunse le scale e si sedette sul primo gradino. Si tolse le scarpe con i tacchi a spillo «Non ne potevo più».
Salì scalza seguita da Angelica.
Aperta la porta di casa furono avvolte dal buio: gli uomini grandi e piccoli dormivano già.
«Mamma, posso andare subito a letto?»
«Lavati almeno i denti e togliti il vestito.»
Tiziana posò le scarpe, andò in cucina, prese un vaso dove mise il bouquet di rose che Eugenio aveva comperato per la loro ballerina.
Entrò in camera di Angelica e la trovò a letto.
«Mamma… da quanti anni facciamo il gioco di trovare un gattino in un cespuglio?»
«Da quando hai fatto il tuo primo saggio. Avevi cinque anni, quindi da otto anni.»
«Ci giochiamo sempre dopo il saggio di danza, chissà come mai. Però…»
«Però?»
«Mi sa che questo è stato l’ultimo anno: ormai sono grande. Mi dispiace mamma, lo so che ti piaceva.»
Tiziana guardò Angelica con lo chignon sbilenco e il trucco disfatto, avvolta nelle lenzuola di Hello Kitty.
Lo stesso brivido che aveva assalito Eugenio le percorse la schiena e le bloccò per un istante le parole in gola.
Quando uscirono, erano meno limpide di quanto avrebbe voluto.
«Sì amore, mi piaceva tanto, ma ormai sei proprio grande.»
Ma Angelica dormiva, sognando forse un palcoscenico, forse una casetta azzurra.