LA LUCE NEGLI OCCHI di Alessandro Santin
Foto di Stefan Keller da Pixabay
Matilde era felicissima.
Finalmente riusciva a scorgere le guglie svettanti nel cielo limpido.
Quella mattina era partita insieme ai suoi genitori per raggiungere quel castello che tante volte aveva visto sulle riviste e sul suo PC.
Non stava più nella pelle dalla voglia di vederlo nella realtà.
Una volta che il padre ebbe parcheggiato l’auto, subito aprì la portiera per uscire all’aria aperta.
La giornata era piena di sole ed una leggera brezza faceva muovere le foglie degli alberi creando così un dolce fruscio nell’aria.
Dopo poco imboccarono la stradina che portava alla biglietteria e si misero in coda.
Presi i biglietti, la bambina ed i suoi genitori si recarono al piccolo bar del centro accoglienza in attesa del loro turno di entrata.
Decisero di sedersi ai tavolini all’aperto per godersi l’aria fresca e la bella giornata di sole.
Da quella posizione, Matilde vide un gruppo di visitatori che stava uscendo dal castello proprio in quel momento.
Era perlopiù composto da persone adulte, ma in fondo alla fila vide un bambino che poteva avere più o meno la sua età.
Appena lo notò, fu subito incuriosita dal suo volto radioso e felice.
Senza volerlo, o forse volendolo inconsciamente, gli sguardi dei due si incrociarono per un attimo.
Matilde vide il bambino rivolgersi alla madre dicendole qualcosa.
Lasciatala, si avviò di corsa verso il piccolo bar dove lei era seduta.
Quando fu a pochi passi dalla ragazzina, si fermò e le fece un cenno per farla avvicinare. Incuriosita, Matilde si alzò e andò verso di lui.
«Ciao» le disse quello.
«Ciao» rispose la bambina. «Io sono Matilde, tu come ti chiami?».
«Marcello» disse lui. «Ho una cosa pe te, le disse».
«Una cosa per me?».
«Sì, tieni» fece il ragazzino porgendole una piccola scatola di cartone che pareva essere molto vecchia e consumata.
«Ma cos’è?» chiese lei.
«Sono dei fiammiferi speciali. Tienili per quando entrerai nel castello. Potrebbero servirti, come sono serviti a me».
«Grazie» rispose la bambina un po’ confusa da quello strano ed inaspettato dono.
«Ora devo andare» disse Marcello iniziando ad allontanarsi.
«Mi raccomando, portali con te» fece quello indicando i fiammiferi.
«Se ti serviranno, te ne accorgerai».
Matilde rimase un attimo interdetta mentre guardava il bambino tornare dalla madre, ma dopo qualche secondo mise la scatoletta in tasca e si risedette al tavolino del bar dove i suoi genitori la stavano aspettando.
Matilde, per evitare domande a cui non avrebbe saputo rispondere, disse loro che quel ragazzino era un suo amico di scuola.
Trangugiato il suo succo di frutta, giunse finalmente il momento di visitare il castello.
All’ingresso, una volontaria stava illustrando la storia della fortezza.
Dopo una breve introduzione, la ragazza disse: «…e poi c’è la leggenda dello spettro, di cui vi parlerò nella prossima sala».
Matilde strabuzzò gli occhi.
Aveva sentito bene? Uno spettro?
La ragazzina era elettrizzata e sempre più contenta di trovarsi lì.
Le era sempre piaciuto leggere storie di fantasmi alla sera al riparo nella sua cameretta.
«Questa è la sala dove Sir Donhovan fu ucciso molti anni fa» iniziò a raccontare la guida non appena giunsero in un grande stanzone pieno di armi e di insegne appese ai muri.
«Si narra che in una notte talmente buia e fredda che nemmeno il fuoco acceso nel grande camino riusciva a rischiarare ed a scaldare, il nobile Donhovan, qui ritratto» disse la guida indicando un grande dipinto agganciato al muro «fu assalito e colpito alle spalle da un cavaliere suo nemico».
Matilde si girò a guardare il dipinto ed improvvisamente emise un gridolino di paura.
Per un attimo le era sembrato che il dipinto le avesse sorriso malvagiamente.
«Cosa c’è?» le chiese la madre.
«Niente, mi sono distratta e sono inciampata».
Non voleva fare la figura di quella che si spaventa davanti ad un quadro.
«Stai più attenta» le disse la madre tornando ad ascoltare la guida.
«Dopo quei tragici avvenimenti, storie spaventose si sono diffuse in tutto il circondario del castello. Ancora oggi, sono in molti a poter giurare di aver udito lo spettro aggirarsi tra le grandi sale, cercando di rapire vittime innocenti. Chi l’ha sentito, afferma che Sir Donhovan voglia placare la sua rabbia portando chi gli capiti a tiro in una eterna oscurità. Lì è infatti rimasto intrappolato fin da quella notte buia e fredda in cui venne ucciso».
«E chi sono le sue vittime?» chiese un uomo del gruppo.
«In particolare, sembra prediliga chi possieda uno sguardo luminoso e limpido, specchio di un’anima altrettanto pura. L’unico modo per sfuggirgli, racconta sempre la leggenda, è di accendere una luce di speranza, anche quando tutto sembra perduto».
Dopo quel racconto, che lasciò nella bambina uno strano sentimento di preoccupazione, il tour proseguì.
Man mano che avanzava lungo i corridoi del castello, Matilde aveva sempre più l’impressione che la luce attorno a lei diminuisse, così come stava accadendo alla temperatura.
Le sembrava molto strano dato il calore della giornata estiva, ma probabilmente le spesse mura del castello riuscivano a tenere fuori il caldo, pensò.
Dopo qualche minuto, la ragazzina iniziò a rimanere indietro rispetto al suo gruppo.
Non riusciva a capire cosa stesse accadendo ma era come se le sue gambe fossero frenate, e facesse fatica a muoverle.
Provò a chiamare i suoi genitori, che non sembravano essersi accorti della sua mancanza, ma non riuscì a parlare.
Piena di spavento si sforzò di raggiungere le altre persone, ma alla fine fu costretta a fermarsi.
Non riusciva più a muoversi ed il buio ed il freddo ormai la avvolgevano.
Impaurita da quella situazione, si sedette a terra ed appoggiò la schiena contro la parete del castello.
Tutto intorno a lei non riconosceva più il corridoio che poco prima stava percorrendo e presto l’ambiente si trasformò in quella che poteva essere una segreta.
Ad un certo punto sentì una voce, sempre che di voce si potesse parlare.
Era più che altro un fruscio fastidioso che nascondeva al suo interno delle parole.
«Molto tempo fa il buio mi ha avvolto» cominciò a dire la voce misteriosa.
«Da allora il mio odio verso chi ha la luce dentro di sé non ha fatto che crescere».
Matilde iniziò a comprendere quella strana situazione in cui, suo malgrado, si era ritrovata.
«Si vede, si vede negli occhi… quella luce così odiosa…» continuò la voce.
«Ma ora anche tu sarai avvolta dalle tenebre e la tua luce si spegnerà, proprio come è successo a me».
“Non sapevo di avere una luce dentro” pensò la bambina.
“Peccato che ora non la possa tirare fuori per illuminare questa stanza”.
Improvvisamente le tornò alla mente l’incontro con il ragazzino di qualche ora prima.
Che fosse quello il momento per utilizzare i fiammiferi?
«Beh… quando altrimenti?» si ritrovò a chiedersi ad alta voce.
Prese allora la piccola scatola dalla tasca e la aprì.
Tolse uno dei fiammiferi e cercò di accenderlo.
Dopo un paio di tentativi, riuscì a far scaturire una scintilla che subito divenne una piccola fiammella.
A quel punto accaddero due cose in pochissimo tempo, tanto che la bambina quasi non se ne rese conto.
Per prima cosa sentì un grido di frustrazione provenire da qualche parte in quella segreta in cui si era ritrovata, ed immediatamente dopo una forte luce iniziò a diffondersi in tutto l’ambiente.
Il chiarore era talmente forte che Matilde dovette chiudere gli occhi per non rimanerne abbagliata.
«Tutto bene bambina?» chiese una voce gentile.
Matilde riaprì di scatto gli occhi e si ritrovò nuovamente nel corridoio del castello dove aveva abbandonato il suo gruppo durante il giro turistico.
«Oh… sì, ora credo proprio di sì» rispose al ragazzo che nel frattempo le si era avvicinato. «Mi ero seduta un attimo e forse mi sono addormentata.»
«Sì, a qualcuno ogni tanto succede. Ora è meglio se raggiungi i tuoi genitori…» disse il ragazzo sorridendo.
«Prima però dimmi…: ci sono ancora fiammiferi nella scatola?».
Matilde non poté fare a meno di sorridere a quella domanda.
«Sì, mi pare ce ne siano ancora» rispose porgendo la piccola scatoletta al ragazzo.
«Tienila tu, a me non serve più. Forse fuori troverai qualcuno a cui potrà ancora essere utile» disse quello mentre la aiutava a rimettersi in piedi.
«Oggi hai imparato una cosa. Tutti abbiamo la necessità, prima o poi, di ricevere e dare aiuto, perché solo in questo modo la nostra luce non si spegnerà mai».
«Ma come saprò a chi passare la scatoletta?» chiese Matilde al ragazzo che evidentemente era a conoscenza di come funzionasse quella strana faccenda.
«Guarda negli occhi degli altri, è lì che si può scorgere la loro luce. Quando troverai la persona giusta, la vedrai e la riconoscerai».
La bambina, ringraziato il ragazzo, corse via per raggiungere il gruppo ed i suoi genitori con animo leggero.
Ora sapeva di avere una luce dentro di sé, glielo aveva detto lo spettro, no?
Cosa significasse non lo capiva ancora bene, ma era certa che fosse una cosa molto bella.
Raggiunse gli altri poco prima dell’uscita.
Sembrava che nessuno si fosse accorto della sua assenza.
Una volta all’aperto, Matilde fu felicissima di rivedere il sole e di lasciarsi scaldare dai suoi dolci raggi.
«Ti è proprio piaciuta la visita al castello» le disse il padre. «Sembri raggiante».
«Sì, è stata una bella esperienza dopo tutto, rispose lei un po’ misteriosamente. «Ora però devo dare una cosa a quel bambino laggiù» e corse via.
Aveva visto un ragazzino poco più piccolo di lei avvicinarsi lungo il sentiero che conduceva al castello.
Quando i loro sguardi si erano incrociati, le era parso di scorgere dentro di essi una forte luce, e subito aveva capito che era la persona giusta.
LA LUCE NEGLI OCCHI è un racconto di Alessandro Santin presentato al progetto letterario “I sassi neri”.
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