RICORDI SOMMERSI di Ivano Chistè
Foto di PublicDomainPictures da Pixabay
Non ho molti ricordi di papà e quelli rimasti, sono come puzzle con pezzi mancanti.
Molte cose che so di lui mi sono state raccontate dalla mamma, da mia sorella o da altre persone che lo conoscevano.
Non rammento di cosa parlavamo, il suo volto, la sua voce e ciò, mi rende triste anche a distanza di molti anni.
Morì all’improvviso l’8 aprile del 1972.
Avevo da poco compiuto dodici anni.
Era sabato e la sera mamma mi costrinse a recarmi in chiesa.
Ho pregato intensamente il Signore che me lo restituisse ma non è successo.
Da allora, io e il Signore non ci frequentiamo molto e ritengo che non sia solo colpa mia.
All’età di quattro anni, papà perse la mamma e poco dopo il suo papà e, non avendo altri parenti, lo misero in collegio con il fratello di qualche anno più giovane.
Erano tempi duri e spesso dovevano saltare il pasto e tirare la cinghia.
Una delle attività che più lo gratificavano era lo studio della musica. Imparò a suonare discretamente la tromba che gli permise, qualche anno dopo, arruolato nell’esercito, di diventare trombettista del suo reparto.
Dopo il conseguimento della licenza elementare, venne iscritto alle scuole di avviamento professionale e, successivamente, andò a bottega da un sarto che gli insegnò il mestiere e al quale fu sempre riconoscente.
Era un bravo sarto, ma con il boom industriale farsi confezionare i vestiti su misura divenne sconveniente, poiché le industrie di abbigliamento sfornavano vestiti a prezzi stracciati.
Andò quindi a fare l’operaio in una fabbrica dove estraevano lana di roccia.
In realtà, era stato contattato da una nota industria locale di abbigliamento, ma l’idea di realizzare vestiti in catena di montaggio non era gratificante, e preferì l’altra opzione.
Una delle cose che mi stupivano, e ancora mi stupisce, era la sua manualità.
Riusciva a riparare qualsiasi cosa inoltre, sapeva costruire mensole, cornici e piccoli mobili.
Verso la metà di dicembre preparavamo sempre il presepe e l’albero di Natale.
Un anno partecipammo al concorso per il miglior presepe piazzandoci al secondo posto. La volta celeste era costituita da un grande foglio di carta che avevo colorato di blu.
Qua e là avevo disegnato stelle, dietro alle quali papà aveva sistemato lampadine da tre volt.
Una novità per i presepi dell’epoca.
Altre lampadine erano state messe dietro la culla di Gesù, nelle capanne dei pastori e all’interno dei falò per simulare le fiamme.
Uno degli aspetti di papà che rammento con piacere riguarda quello della realizzazione di giochi.
Avendo passato la gioventù in collegio in una situazione di estrema indigenza, aveva maturato la capacità di costruirli con materiali di recupero.
Il primo che mi torna in mente è un pinocchio acrobata.
Per prima cosa, bisognava disegnarlo su un foglio di compensato, e poi ritagliarlo con il seghetto del traforo.
Per farlo muovere, servivano due asticelle unite a tre quarti della lunghezza da un’asticella più corta messa in orizzontale.
Le braccia del burattino venivano legate alla sommità tra due cordicelle incrociate. Stringendo le asticelle in fondo, il burattino compiva delle semplici ma aggraziate acrobazie.
Anni dopo, diedi questa idea a due miei amici artigiani che costruirono centinaia di questi funamboli, allo scopo di venderli nelle fiere.
Rammento distintamente il fucile ad elastici, con il quale giocavo ai soldatini inventandomi battaglie interminabili.
Colpivo i soldati di una formazione poi dell’altra fino a quando una delle due, non capitolava per mancanza di combattenti.
Un altro gioco che non posso dimenticare è l’aquilone.
Era rosso, il mio colore preferito e papà mi disse che era dello stesso colore dell’aereo di Manfred von Richthofen chiamato da tutti, il Barone Rosso.
La costruzione fu relativamente semplice.
Due stecche di legno flessibili legate a croce, carta colorata e un filo e il velivolo era pronto per il decollo.
Il collaudo fu eseguito al campetto parrocchiale di calcio sotto lo sguardo curioso di alcune persone e si rivelò un successo.
Ho raschiato il fondo del barile dei ricordi, ma ciò che ho raccolto è composto solo da piccoli frammenti di vita che non riesco a mettere a fuoco completamente.
Forse il tempo, buon demiurgo, mi porterà alla mente altre tessere di questo mosaico incompleto in modo che la precoce mancanza fisica di papà sia in parte compensata dal maggior numero di suoi ricordi.
RICORDI SOMMERSI è un racconto di Ivano Chistè
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