VENTITRÉ A GODITTI di Annalisa Gaudenzi
genere: FANTASY
«Il Maggiore! C’è il Maggiore Solli in linea!»
L’Appuntato Pomesi, con tono ansioso e stizzito, si fa avanti:
«Le vuole parlare subito! Subito, Marescialla!» continua antipatico «E non so…se vuole far aspettare pure lui, insomma il superiore, eh!» allargando polemico le braccia.
Braccia corte, però, ch’è decisamente bassino.
Il Maresciallo Vanadio fa un gran respiro.
È veramente preoccupata.
Ancora una volta deve interrompere le indagini: si sta occupando della deposizione di un testimone, un ragazzo, riccio, in bermuda, che ha di fronte.
È mattina presto; eppure, nell’atrio l’attende una fila di altre dieci persone, tutte inquiete e agitate per la stessa ragione. È una situazione mai avvenuta prima, in quella piccola stazione dei Carabinieri, là, a Goditti.
Il caldo, intanto, sfianca.
Estate afosissima, quella.
È un luglio senza aria.
Le cicale friniscono, rosolano, e le finestre dell’ufficio (serrate, per consentire al climatizzatore di fare il suo dovere) lasciano intravedere querce, lecci e oleandri che non muovono foglie, non battono ciglio, mentre una luce folgorante abbacina ovunque.
Almeno, il ragazzo riccio sta comodo, seduto, in pantaloncini e maglietta.
Al contrario, la divisa nero intenso della Vanadio non l’aiuta proprio:
«Mi deve scusare!» esclama, seria, la militare (lei che invece avrebbe del festoso nei suoi modi). «Mi devo assentare qualche minuto» continua,senza perdere quella cadenza dolce, tipica dei veneziani, anzi dei venessian, con la esse docile.
«Perciò, l’affido all’Appuntato, l’Appuntato Pomesi, ecco qui, sì!» indicandoglielo «Ma stia tranquillo, stiamo facendo tutte le verifiche necessarie…»
«No no, scusi, aspetti, aspetti Marescialla!» il riccetto non è affatto rassicurato «Mio papà, pure lui ha visto queste cose e dicono che, che…» si interrompe guardandola fisso negli occhi, smarrito, «ma che succede, voi siete Carabinieri, ce lo potete dire, no? Io poi… io, cioè… c’è quella serie, su Netflix, non so se la conosce e…».
Benedetto fiòl!
Ci mancavi pure tu adesso! Cosa potrà mai rispondergli, la Vanadio? Neppure lei non sa a chi dare i resti, sono già tre notti che passa in bianco e – se potesse – prenderebbe proprio volentieri il largo, tornerebbe su dalle sue parti, chessò in laguna, eh sì! Per trovare un po’ di pace!
Qui, adesso, tutti vogliono sapere, tutti le stanno addosso, tutti sparano ipotesi.
E invece lei non sa, non sa niente, niente proprio, non sa da dove iniziare per raccapezzarsi, in tutto questo bailamme. È arrivata in quella Stazione da manco un mese e a malapena ha capito dove si trova!
In verità, fin qui, niente di più facile.
Si trova infatti a Goditti.
Goditti (recita Wikipedia) è un paesino di qualche centinaio di abitanti, frazioncina del Comune di Sirolo, provincia di Ancona, adagiato (inerpicato, vorrebbe correggere lei) su un costone del Monte Conero e affacciato (è una parola grande: non si vede niente, confinato com’è in mezzo ai boschi) sul Mare Adriatico. Regione? Marche. Forse quella più riservata della penisola. La meno conosciuta. E la Vanadio non fa eccezione. Pure lei non la conosceva. Che non c’era neppure mai stata da queste parti, nei suoi quasi trent’anni di vita!
«Se non le spiace…» la veneziana riprende il riccetto in pantaloncini, con un sorriso amabile «…Maresciallo, con la “o.” Sono una donna maresciallo. Il Maresciallo Vanadio. Non Marescialla».
E, rivolta invece al solito precisetti del Pomesi:
«D’altronde, lo ripeto da quando sono arrivata, òstrega…» mentre gli si avvicina per recuperare il cellulare di servizio. «Ma, qui, il farmacista lo chiamate farmacisto?»
«Lo chiamo se sto male, ah Vanadio!» gracchia al telefono, dall’altro capo, stranito il Maggiore Solli, collegato dalla Legione, da Ancona (anche se lui è romano dè Roma, precisa sempre, e nùn se lo scordassero, e pure che lui aspetta la promozione e il nuovo incarico a breve, a brevissimo, entro settembre e tutto deve andare liscio in questi ultimi mesi).
È da stamattina che corre appresso alla RAI e adesso? Adesso pure la CNN! «Emmò so’ sbarcati pure l’americani!» infastidito e caustico «Fenomeni incontrollati li definiscono e i giornalisti stanno montando un macello. D’altronde d’estate non tirano le notizie e figurati gl’incendi! Eh no! Quelli ce tocca piangerceli a noi, a noi Carabinieri, in tutta Italia, mentre qua, adesso, per fare lo scoop, ce vojono i falò paranormali, hai capito?»
Si è sfogato. Non è tipo da spazientirsi ma davvero in queste ore non se ne può più.
«Poi, dico? Proprio là?» riprendendo, sempre perplesso «Da voi, da voi in…in quel cavolo di Conero, in quel posto quasi sconosciuto, vabbè, insomma… a tre ore da Roma!»
Per i romani tutto si misura in rapporto alla Capitale.
D’altronde le super strade le hanno inventate loro e una di queste, la Flaminia, attraversa proprio i dintorni.
Ma – in effetti – il Conero non è famoso. È una montagna dignitosa, senza velleità da protagonista, un bravo montarozzo sommerso di macchia mediterranea, esente da eccessive speculazioni edilizie.
Però è bello! E non passa del tutto inosservato. Ha scelto infatti di spiaggiarsi dentro il mare, enorme, massiccio sui suoi 572 metri e si interseca ovunque, sulla visuale. Sia se provieni da Sud (qualcosa di simile è il Gargano, in Puglia, magnifico ma con rupi marittime più basse), sia se prosegui verso Nord, ossia verso la Riviera romagnola (chilometri di sabbia piatta, effervescenti di vacanze dagli anni ’60, con le disco, le svedesi, il cornetto…).
«Vanadio? Vanadiooo? Embè?» la risveglia dalle riflessioni il Maggiore Solli.
«Agli ordini, Maggiore!» risponde sollecita il Maresciallo.
«Eh… non mi partire come al solito per la tangente. Piedi per terra, essù! Che dobbiamo riferire all’Ufficio Stampa del Comando Generale, che ci serve la loro autorizzazione, per il comunicato, per le televisioni, per tutte le rogne annesse e connesse, hai capito?»
«Sissignore!»
«Oh! Allora sbrigamose!»
Ma, insomma! Che succede? Perché tutta questa agitazione? Da cosa è scatenata?
Dunque.
Si tratta – proprio a voler sintetizzare – di incendi. Ma di incendi solo iniziati, abbozzati non diffusi, in sostanza appiccati ma non propagati. Come fosse… un’intenzione, uno spunto, uno sprint di partenza, senza voler andare fino in fondo, a causare conseguenze o danni, alle persone, agli animali o alle cose.
E allora? C’è forse da preoccuparsi? Con tutti quelli seri e gravi che piagano la penisola? Con ettari ed ettari di radure e foreste, devastati durante le estati italiane? Con tutto il malaffare di questo vergognoso capitolo criminale e il tormentone dei piromani che, senza scrupoli, minano, a cadenza stagionale, la nostra preziosissima riserva d’ossigeno?
È vero. È così.
Eppure, stavolta c’è qualcosa di strano, di straordinario, un che di eccezionale, che merita un’attenzione speciale. Anche perché in questa vicenda (almeno per il momento) le tipiche dinamiche delinquenziali non sembrerebbero configurarsi.
E dunque?
E dunque la Vanadio sarà pure giovane e inesperta, un po’ con la testa fra le nuvole, arriviamo a dire sprovveduta, ma non è scema.
Il fatto poi che abbia tutte le forme a posto, cioè che sia proprio una bella ragazza, non significa che sia un’ochetta.
E te ne accorgi subito, se ci parli. In particolare, dagli occhi, che brillano, sbucano, due puntini vispi, in quel viso sincero e bello.
Come se è n’è accorto il Generale Scuraci, ieri sera.
Sì, esatto.
L’ufficiale ieri, dopo le 21, all’improvviso si è presentato alla Stazione dei Carabinieri, là a Goditti.
È in congedo da qualche anno, ma il rispetto non va in pensione.
Perciò, tutti sull’attenti, per questo panciuto, canuto e occhialuto signore.
Si è tolto il panama sulle ventitré:
«Mmm…» li ha squadrati tutti (erano una decina, compresi i rinforzi dalla Tenenza), lo ha fatto dalla testa ai piedi (per Pomesi ha finito subito, corto com’è; per la Vanadio, invece una stanga, si è soffermato un po’ di più), poi, su! Aria nei polmoni, tosse da fumatore incallito e, senza alcuna affettazione «Dov’è un posto tranquillo?» rivolto dritto, al più alto in grado presente, quindi alla Vanadio.
«Di qua, la prego, comandi!» la militare indicando il suo ufficio.
No no, (col dito) «All’aria!» risponde il Generale, aspirando largo, a pieni polmoni, afflato da tabacco.
Non ha torto lo Scuraci. Col caldo che fa, fuori almeno si campa. Tira un refolo marino, che dà un po’ di tregua.
Lei ha i capelli (una cascata rossa) raccolti dalla mattina, tirati, stretti nello chignon di ordinanza.
Adesso che è notte, avrebbe una gran voglia di liberarli, mettersi comoda, buttarsi sotto una doccia, mangiare con calma, seduta magari davanti alla tivvù, godersi un film e… ma niente! Per ora niente, per ora si deve accontentare dello spettacolo delle lucciole e della loro bioluminescenza, che punteggiano con piccoli tratti magici il buio sempre più avvolgente. Meglio, certo, delle zanzare a frotte della laguna veneziana, con quella luna incipriata perennemente dall’umido, che…
«Vanadio, mi ascolti?» lo Scuraci la ripiglia dalla distrazione, serve concentrazione «Allora! Partiamo dal fatto che nel 2004 avevo un incarico in Sicilia, nel messinese. E là, in un borgo di pescatori, Caronia (sì, si chiama così, ricordo bene) capitarono cose simili…» ora, panama di nuovo in testa, ci vuole un buon sigaro per raccontare. Lo accende con dovizia e «Iniziarono a prendere fuoco le cappe aspiranti. E i forni. Saltavano i televisori e i citofoni. Esplodevano i frigoriferi. Si carbonizzavano i contatori dell’Enel. I tubi dell’acquedotto erano roventi a tutte le ore. E questo succedeva pure quando era isolata la corrente elettrica! Era veramente inspiegabile, era proprio un enigma! E la comunità?» guardandola in pieno viso, per cogliere lo stupore.
Sì, la Vanadio è ipnotizzata. Bene. Lo Scuraci prosegue:
«Era andata in tilt… La gente era sconvolta…».
Una lunga boccata di fumo, riaggiustato il panama, il bello deve ancora venire:
«E così le provammo tutte. Coinvolgemmo i Vigili del Fuoco, mettemmo in mezzo l’Enel e interpellammo i professori dell’Università: niente! Facemmo anche un’infinità di esperimenti e per questo mobilitammo anche cervelli stranieri: niente! Scienziati, luminari, tecnici, niente di niente, nessuno sapeva dare una spiegazione logica. Mistero!» sistemandosi la falda «E non si faccia sviare dal fatto che, una decina d’anni dopo, intorno al 2014, alcuni cretini, sempre di Caronia, ma dei veri cretini, eh,»ci tiene a sottolinearlo lo Scuraci«pensarono bene di mettere su una farsa, ossia si misero a scimmiottare, insomma, queste… queste strane presenze, tanto per farci qualche truffa, raggirare, in pratica reati poco significativi. Ma quelli li beccammo (figuriamoci!) subito!» compiaciuto e sprezzante.
«Strane presenze… che intende?» chiede la Vanadio sorpresa e inquieta.
Il Generale scuote la testa. Sembra perso nel buio e nelle sue lucciole.
«Ma scusi…»più agitata la Veneziana«mi faccia capire…» dosando bene le parole «avete pensato, ipotizzato, chessò… fenomeni paranormali? Potevano essere… tipo, ad esempio… UFO? Alieni?»
Quello si gira a guardarla, senza battere ciglio, imperscrutabile.
Se si è caricato centinaia di chilometri fino a là, è per spirito di corpo, senso di appartenenza, gioco di squadra.
Ma non può negare neppure a sé stesso che più di tutto è per capire se quanto capitato a lui, tanti anni fa, a Caronia, possa finalmente trovare qui, oggi, una spiegazione plausibile, concreta e soprattutto definitiva.
«Ostrega! Neanche si trattasse di un segreto di Stato!» tra il serio e il faceto, la donna, di fronte al silenzio.
Quello ghigna: non è autorizzato a svelare alcunché. Prende aria, stavolta senza tabacco, aspira anzi un po’ di brezza marina, così piacevole, rinfrescante, e poi riprende, con tono più morbido:
«Tu come fai di nome, Vanadio?» mirando il sigaro tra le dita.
«Lucia» asciutta.
La sta tenendo sulle spine e lui lo sa.
Annuisce l’uomo, mentre sorseggia il fumo e:
«Il nome è giusto».
Giusto per cosa?
«Vanadio, Vanadio…»garbato il Generale«un cognome, fammi pensare… d’origine… dalla tua cadenza, tu hai un accento… non so, direi, cos’è? Trentino? No, friulano. Anzi, aspetta: Veneto!» soddisfatto, l’ha azzeccata. Ha girato così tante regioni, nella sua carriera, che i dialetti li conosce (e riconosce) piuttosto bene.
La Vanadio, graziosa e un po’ sorniona:
«Il professore di chimica quando mi interrogava, iniziava sempre con ‘Vanadio! Numero atomico 23!’»
Sorridono tutti e due.
Bei tempi per tutti, quelli.
«Per un carabiniere, la gentilezza è una virtù da non sottovalutare. Bene, brava!»si complimenta austero. Poi, come trasalendo, sposta il polsino e guarda l’orologio:
«È tardi. Si è fatto tardi, veramente tardi! Devo andare!»
Lo Scuraci prende l’avvio verso la sua auto, parcheggiata poco distante.
Non è sua intenzione lasciarla in ambasce, ma di strada ne ha parecchia davanti ed è tutta notturna e poi – in ogni caso – non ha altro da aggiungere.
Sale in macchina e abbassa il finestrino per salutarla.
La faccia della Vanadio però è tutto un programma: è stracarica di preoccupazione.
Lo Scuraci ha esperienza di motivazione, sa cosa significhi stimolare i sottoposti e spronarli come si deve, altrimenti si ottiene l’effetto contrario.
Ma lui non è nella linea di comando. Anzi, ormai ne sta fuori, è in pensione. Quindi non può neppure farlo. Sta ai superiori della Vanadio “spolettarla” nella giusta misura, cioè incoraggiarla e darle gli ordini per orientarla. E quindi lui vorrebbe chiuderla lì.
Tuttavia, l’età avanzata e l’averne viste tante (e non tutte a lieto fine) lo inducono a indugiare. Non solo perché la militare che ha di fronte è proprio giovane, ma pure per via del ricordo riacceso in lui da quei fatti: quanto aveva patito anche lui, in quella faccenda!
Per questo, con una certa benevolenza, se non tenerezza:
«Vai a riposare, adesso, Vanadio. Ne hai bisogno. E affidati alle tue intuizioni. Anche femminili. Insisti! Ce la puoi fare!» e, quando ha già ingranato la prima, conclude «E usa tanta fantasia!»
Riposare è un bell’invito, un’ottima speranza o meglio una pia illusione.
Ma, di certo, non è assolutamente praticabile.
Circola ancora troppa stramberia, là, in giro. Questi incendi, che si accendono, si spengono e poi si riaccendono, sono veramente assurdi, ma (come se non bastasse) c’è un ulteriore aspetto, ancora più angosciante, che correda questi fenomeni decisamente incomprensibili.
Di che si tratta?
Beh… questa “cosa” lascia a terra una sorta di sottile traccia bruciata. Mai casuale ma sempre con una forma precisa: a forma di serpente e a forma di tridente. Serpente e tridente. Pazzesco! Insomma: perché? Come è possibile? Chi o… cosa li produce? Cosa significano? Avranno poi davvero un significato?
Tutte le ipotesi finora avanzate non reggono.
Si brancola ancora nel buio.
Dalle (tante) deposizioni raccolte fino a quel momento emerge solo che questa faccenda non sembra frutto di allucinazioni di adolescenti perditempo o di burloni etilici o di squilibrati in cerca di notorietà.
Tutti i verbali avvalorano questa interpretazione!
Oh… a dirla tutta… no. Anzi! In effetti… insomma, a dir la verità, proprio tutti… no.
Ce n’è uno, che in qualche modo si discosta e delinea nuove direzioni.
Merita per questo maggiore attenzione, scrupolosa.
La testimonianza l’ha raccolta purtroppo il Pomesi, proprio ieri sera, quando lei era impegnata con lo Scuraci.
L’Appuntato Pomesi è asfittico di suo e si è limitato a riferire di un signore, tal Gunter Zutt, tedesco, (Direttore artistico dello Sferisterio di Macerata), il quale vive d’estate in una colonica ristrutturata, poco fuori Goditti. È appassionato di questi luoghi, perché (asserisce) “la riviera del Conero è la sintesi ideale della leggendaria Arcadia”.
Mah! Forse esagera. O forse no.
Di leggende qua, in ogni caso, ne circolano parecchie.
Si narra infatti che già gli antichi greci si fossero stabiliti in questa area per governare in modo strategico le rotte adriatiche.
Addirittura, non mancano vicende oscure legate a tunnel scavati nella roccia (sembra) da schiavi romani, con tanto di anelli ai muri, per tenerli segregati a catena, anelli ancora visibili ai moderni turisti.
E sopravvivono pure racconti di fantasmi e tesori di pirati, nascosti nelle tante grotte calcaree, a filo d’acqua.
Tutt’altro che effimero poi, ma ben saldo sulle sue fondamenta, il Fortino, di mirabile fattura, che secoli dopo, ai tempi di Napoleone, venne eretto su queste sponde, con l’obiettivo costante di tenere sotto controllo i transiti.
Sì. D’accordo. Tutte belle storie. Ma alla Vanadio quella che in verità sembra più interessante è un’altra. Ed è quella che le avevano raccontato appena arrivata, là, al Bar, su al paese e cioè che dentro, proprio dentro il Conero, negli anni ’50, le Forze Armate avevano costruito una base militare per affrontare un eventuale attacco dall’est, dall’Unione Sovietica.
Stiamo parlando dei tempi della Guerra Fredda.
E qualcuno (senza bicchiere in mano) si era sbracciato per convincerla che sicuro là sotto c’era pure stipata la bomba atomica.
E qualcun altro (altrettanto lucido) aveva sollecitato l’incredula Maresciallo ad andarsi a vedere il maxi-bunker, costruito sempre in quella zona, completamente circondato da filo spinato e da cartelli “Zona militare – Non oltrepassare”.
«Eh! Pure noi qua, una volta, al di là del mare, avevamo i Comunisti, mica solo voi, là, ai confini, lassù, a Venezia!»convintissimo un commercialista sui 40 anni «E non è che adesso i Servizi Segreti vengono a dirci tutto, a noi, alla gente. Sennò che segreti sarebbero?»
E a sostegno il barista:
«Mio padre mi raccontava di camion e camion che salivano su per le ripe. E per un periodo (un mesetto circa) navi scaricavano pile di container, proprio sulla spiaggia.
E non ci si poteva avvicinare. Tutto presidiato. Sembrava un inferno. La pace era finita!
Poi un giorno…»facendo la mossa del fiore che sboccia«tutto finito, tutto calmato e… noi siamo tornati ai nostri affari. Oh! Però,»fissando negli occhi la militare«questo non vuol dire che…»puntandosi la testa e acutizzando la cadenza marchigiana«…c’emo la capoccia pè sparti’ le ’recchie, eh!»
Questi antefatti spiegano perché alla Vanadio, in quelle ore concitate, è venuta in mente pure l’opzione “esperimento scientifico”.
Insomma, vuoi vedere che qualche settore delle nostre stesse FF.AA. sta eseguendo delle prove?
Si sa che non sono ammesse in prossimità di abitati, ma magari le stanno facendo in mezzo al mare e vattelappesca per quale ragione fisica gli effetti si stanno riverberando sulla terraferma… Oppure… che a questi fosse sfuggito qualcosa? Come al laboratorio cinese col Covid?
NOONIINOONIINOO…
«Pomesi! Ma che óstrega fai? La sirena?» la Vanadio si è risvegliata bruscamente dal suo soprappensiero.
È sulla macchina di servizio con l’Appuntato e stanno per partire alla ricerca del Signor Zutt, al suo casolare, visto che non risponde al cellulare, da ore ormai «La sirena non serve! Andiamo in mezzo ai boschi! Dai, su, metti via, e andiamo!»
Poi, però, si accorge:
«Dio Bon! Aspetta, aspetta, ferma! Scusami, ho dimenticato il berretto. Mi sbrigo in un attimo!»scendendo al volo.
Una corsa trafelata su, in ufficio, in questi giorni di totale confusione e ansia onnipresente, e per fortuna che non ha uno straccio di marito o di fidanzato. Perché qua, al momento, se c’è uno straccio in giro, è lei.
E basta e avanza pure.
Scordato su una sedia, stiloso, compìto, nero, eccolo, il berretto! Oh! Almeno lui non sembra agitato:
«Almeno tuuuu, nell’universoooo…» mentre lo recupera, canticchiando Mia Martini e ritornando lesta alla gazzella.
«Se ci distraiamo pure, peggioriamo le cose, eh! E poi è un gran guaio!» l’accoglie in piedi il Pomesi, stirato sulle punte, che così potrebbe sfiorare l’uno e sessanta, con un fare misto tra il paternale e l’agrume.
Ognuno ha il suo modo di reagire allo stress. Ma quello del Pomesi è di rompere gli zibidei.
Perché, sì, d’accordo, che sono tutti sulla graticola ormai da tre giorni, ma lei quasi si sente una martire.
Ma la ardessero come la pulzella d’Orleans e festa finita! Tanto di pire ormai ce n’è a oltranza in giro. Anzi, vuoi vedere che, prima o poi, su una ci finiscono pure loro?
“Oh Giovanna! Senza sepolcro e senza ritratto, tu che sapevi che la tomba degli eroi è il cuore dei viventi”. Questa scritta, a caratteri cubitali, campeggia a Rouen, in Normandia, nel punto esatto dove Giovanna d’Arco è stata arsa viva. Per eresia. A 19 anni.
No. Questa fine non ha tanta voglia di farla. Il dovere sì, anche il sacrificio pure, va tutto bene, ma il martirio… ecco: il martirio anche no.
Per cui nessuna miscredenza ha intenzione di caldeggiare e nemmanco sostenere.
Lei constaterà i fatti, con perizia, onestà e coscienza, proprio come un bravo Maresciallo dei Carabinieri deve fare. Punto.
Questo pensa, mentre l’Appuntato le passa il telefonino di servizio, che lei aveva a lasciato in auto nella fretta.
«Il Maggiore Solli ha telefonato e io ho risposto»il Pomesi asprigno.
«Ho dovuto rispondere»sottolinea,mellifluo come una salamandra «Eh, qua, sennò, facciamo tutti la figura degli assenteisti…».
Assenteisti? Loro? Lei? Eh no! Ci mancherebbe pure:
«Beh, cosa ti ha detto?»innervosita la Vanadio.
«Il Maggiore ha chiesto dov’era. E io ho precisato che non c’era, perché si era persa il berretto. La verità insomma.»gongolante «Andava di fretta il Solli e ha concluso che se abbiamo novità, lo chiamiamo».
«Se non ne abbiamo, non chiamiamo, va ben?» fa un gran respiro la militare, per sforzarsi di superare il fastidio che monta.
Ma adesso occorre tornare alle cose importanti:
«Senti, nel frattempo che saliamo su dal tedesco, mi ripeti con calma le parole esatte, insomma cosa ti ha detto ieri, mentre ero con lo Scuraci, per favore?»
«È già precisato tutto nella testimonianza» con uno sbuffo insofferente l’Appuntato.
Dio Bon! Ha una gran voglia di fargli fare la fine di Giovanna d’Arco:
«E tu ripetimi tutto lo stesso, grazie.»
«Ieri il signor Zutt» il Pomesi controvoglia, mentre armeggia piccato con la retromarcia «ha notato intorno la sua casa due pastori, un uomo e una donna (gli è sembrato almeno). Erano a una quarantina di metri, con un gregge piccolo, una ventina di capi.
Asserisce che lassù, da lui, non gli capita di vedere pecore al pascolo. Poi, dato che lui ha piantato degli arbusti giovani e temendo li rovinassero (pestandoli), si è avvicinato, per chiedere loro di allontanarsi, ma questi sono… ecco sono… sì, spariti.» fa spallucce «E fine della storia».
«Spariti, nel senso…?»
La Vanadio non si può certo accontentare.
«Ma niente, niente, dice… scomparsi, cioè non li ha più visti, né loro né le loro pecore»rifacendo spallucce, il Pomesi.
«Magari si è distratto, il tedesco, con questa vegetazione, alta, rupestre, è un attimo, qua imbucarsi…» dubbiosa la Veneziana.
«Però ha aggiunto…» col dito in su e il fare da maestrino, l’Appuntato.
«Ha aggiunto?»la Vanadio comincia a sudare, ma non per il caldo che picchia, piuttosto per la resistenza del collega, che certo non rinfresca.
«Ha aggiunto che ieri sera, al crepuscolo, stava guardando il mare e a un certo punto…»il Pomesi abbassa la voce, perché la stranezza c’è «nel cielo ha visto delle strisce di luce, delle bande luminose, insomma, così, improvvise, senza ragione o almeno lui… non lo sa».
Òstrega! Ci mancava solo E.T.
«Bande luminose a forma di…»il Pomesi ha preso l’avvio.
«Serpente! E di…» lo sa, la Vanadio lo sa!
«Tridente!» la brucia il Pomesi, adesso. Anche se non è che ci voleva chissà che genio, eh! «Ed è per questo che si è fiondato da noi, alla Stazione».
Poi, col solito fare saputo:
«Ma lo capisce pure un bambino che i cittadini adesso sono tutti galvanizzati, stravolti, con tutto quello che schiamazzano i tiggì!»
I tiggì?
Eccoli i tiggì! Sono appena giunti nella piazzetta di Goditti e proprio di fronte a loro è tutto uno sciamare di furgoncini e doblò, un numero davvero impressionante, eccezionale per un paesino tanto remoto come quello. Inconfondibili, tutti carichi di telecamere e loghi delle più disparate regioni e canali. Non solo italiani, pure stranieri.
«Che casotto! D’andar fora de levada!»la Vanadio, battendosi il palmo sulla fronte.
In particolare, il camioncino dei francesi sta parcheggiato a metà tra il portone della chiesetta in mattoni e la canonica in pietra a vista.
Affacciato da quest’ultima, Don Marcello fa cenni clamorosi (e inconfondibili, in tutte le lingue) di “no no” e “via via”.
Ma, appena intravede la pattuglia dei Carabinieri, cambia repentino destinatario e si sbraccia a più non posso per richiamare la loro attenzione, che puntuale viene riscossa.
«Finalmente!» tirandoseli dentro casa entrambi e serrando la porta alle sue spalle «Signora Marescialla, non se ne po’ più, non se ne po’ p-i-ù!» sfinito.
Pomesi gongola tra sé e sé:
“Vedrai adesso come ti sistema la Signora Marescialla, eh eh!”
Ma la Vanadio ha altro per la testa e mentre il prelato si dirige in cucina per preparare un caffè:
«Padre, lei che conosce tutti qua, mi aiuta a capire?»
E il prelato affaccendato con la macchinetta: «I fedeli? Io non li tengo più, io li faccio benedire tutti, tutti a L-o-r-e-t-o!» animato e burrascoso «Una volta…» facendo il gesto dell’allora «una volta il prete sapeva vita, morte e pure m-i-r-a-c-o-l-i delle persone. E come?» risolino ironico «Con la confessione!» alzando le spalle, come a sottolineare un’evidenza «Ma adesso? Adesso? Chi si confessa più? Chi, Madonna santa! Noi, noi non ci considera più n-e-s-s-u-n-o!» è amaramente lapidario «Oggi?»ancora più sconsolato «Oggi? Solo a fare foto, foto e foto. E a pavoneggiarsi. E il resto? Le cose che contano? Perse, p-e-r-s-e!»porgendo il vassoio con le tazzine calde ai Carabinieri.
Quindi, si butta su una poltrona rifoderata di blu scuro e prosegue:
«Anche il Vescovo è estremamente cauto. Perché, qua, è un attimo a parlare di miracoli, di diavolerie e con tutti questi assatanati, sì, lo voglio dire, a-s-s-a-t-a-n-a-t-i di giornalisti, che quelli sì! Li voglio portare tutti dall’esorcista!»sprofondando stizzito nel morbido della seduta buia, stavolta ammutolendosi.
Il silenzio dura poco.
Infatti, si rimette subito dritto Don Marcello:
«Però! C’è un aspetto, ecco, sì…»e prende fiato«il serpente, ecco mi… inquieta… eh sì!»riflette ancora e poi a mimare qualcosa di grande, enorme «Il serpente è… il p-e-c-c-a-t-o!» con gli occhi spalancati.
«Ad essere sincera, Padre, a me queste apparizioni… francamente, eh? Parlo in sincerità… a me non fanno pensare a faccende sataniche, a me fanno pensare invece più a… numeri! Numeri, sì… Il serpente è a forma di 2, no? E il tridente (lo ribalti, Don Marcello) non potrebbe essere un… 3? Quindi… 2 e 3. Oppure 23. Ecco. Che ne pensa, eh?» la Vanadio è in vena di elucubrazioni, d’altronde lo Scuraci l’ha spolettata a usare la fantasia… «Ma sul 23, la Chiesa che dice? Dice qualcosa?»
«E che dice? Che deve dire? Niente. N-i-e-n-t-e» guardandola tra lo stupito e l’infastidito: non è che ci si siamo giocati pure la Signora Marescialla, adesso?
«Oh sì, mi scusi, era solo una curiosità» imbarazzata.
Sì, probabilmente ha detto una stupidaggine, meglio rientrare nei ranghi:
«Lei non si preoccupi, Padre, stiamo monitorando con molta attenzione e quindi…»rassicurante, come da manuale«ci aggiorniamo presto e se ha problemi mi chiami subito, mi raccomando».
«Va bene, certo, certo», frettoloso, «ma si ricordi: “il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”, cara la mia Signora Marescialla», stigmatizza, perentorio, il don, mentre li accompagna alla porta.
«Basta che non ci accenda il fuoco, sotto, però…», commenta a voce bassa la Veneziana, mentre sta sulla soglia.
Poi si gira di scatto. Le è balzata in mente, d’improvviso, un’ultimissima domanda:
«Perdoni, Padre, una questione veloce, velocissima. Dunque… è appena arrivata in paese una coppia nuova, un uomo e una donna, sono pastori, hanno una ventina di pecore,» fiduciosa «per caso ne sa qualcosa?»
«Pastori?» scuote la testa perplesso «No, non qua. Questa vegetazione non si presta per i pascoli. Troppo fitta. Più in basso, giù in pianura, quanti ne volete, ma proprio qua, no. Piuttosto…», spingendoli fuori con una certa decisione, «cercate di far sgomberare tutti questi indiavolati dalla piazza, grazie, g-r-a-z-i-e!»
La Vanadio annuisce, calza il berretto, saluta alla militare e si volta verso il larghetto.
Eh, sì. Ha di fronte un gran caos. Una vera Babele. Scuote la testa. E guarda l’Appuntato.
Quello risponde con la solita espressione anti-empatica.
Lei incassa, fa un respiro profondo, si sistema meglio il copricapo e fa per avviarsi.
Ma una mano sulla spalla la ferma.
«23, salmo 23. Il Signore è il mio pastore!»
È il prete, che, come allucinato, l’ha raggiunta, fatta voltare e adesso integra pure, «E poi, 23 come le figlie di Adamo ed Eva!» e si fa il segno della croce. Così dicendo, scansa il reporter francese, già fiondatogli addosso, e, in un lampo, rapidissimo, si rintana nella piccola canonica.
La donna è sconcertata, ma non può neppure permettersi il lusso di rifletterci, perché ha già due giornalisti col registratore acceso sotto la bocca.
Ella li sposta con un certo garbo e urla:
«Pomesi, in auto, veloci. Qua sistemiamo dopo! Su, veloci, via via, Òstrega!»
Sembra facile!
Non hanno preso laJeep perché è in revisione.
Si sono dovuti accontentare della Punto, ma – bassa com’è – per le sterrate è disagio puro. Però, il Pomesi adesso esagera: in seconda arrivano domani mattina!
Un filo di guida operativa sarà il caso, no?
«Guarda, accosta Pomesi, per favore, su, guido io».
Che odiosi i perditempo!
«Mi scusi, ma lei le strade, qui, non le conosce e se non si conoscono le strade, ci si rompe l’osso del collo»sarcastico.
Il sarcasmo è la religione dell’Appuntato.
Don Marcello: un esorcista pure a lei!
La Vanadio non gli dà retta. Fanno a cambio rapidi e, finalmente più garibaldini, imboccano strade inerpicate; guadano un fiumiciattolo mezzo arso dalla calura; si infilano coi fianchi della macchina sotto rovi piangenti, sgommano sul brecciolino infido e si lasciano dietro una scia di polvere bianca.
Dopo varie peripezie, raggiungono un sentiero che costeggia un fitto boschetto di corbezzoli.
Proprio da questi arbusti endemici e sempreverdi deriva il nome Conero. Ora sono in fiore, quindi le piante sono puntellate di bianco, inflorescenze che in autunno evolvono in frutti sugosi e saporiti. Rossi. Come delle piccole mele… Mele? L’Eden di Adamo ed Eva!?
«Aiuto! Aiuto!»urla il Pomesi atterrito.
Frenata e quasi derapata della Punto, per scongiurare un bel frontale con una Range Rover datata, ma ben più piazzata sulle sue quattro ruote motrici.
E adesso che le due auto si trovano affiancate e per giocoforza bloccate, c’è da aspettare che la nuvola di polvere si posi, anche solo per capire chi stesse per andare addosso a chi.
Ovviamente, il Pomesi nel frattempo non perde occasione:
«Quando non si ha la necessaria competenza, bisogna farsi da parte e…»
Ma la Vanadio sta già interloquendo dal finestrino con l’ignoto guidatore:
«Mi deve scusare, abbiamo una certa fretta e…»
«Oh, no, kua a scusarmi sono io…»
Dio Bon!
Il Tedesco, il signor Zutt! Eccolo, proprio di fronte: un uomo distinto, pelato, appena in carne e… sì, contrariato, visibilmente contrariato. Dal finestrino del fuoristrada sbuca pure un filo di musica (“L’Estate” di Vivaldi?).
«Abbia pazienza, ma lei ieri sera è venuto da noi, alla Stazione. E io stamani l’ho cercata per parlarle, ma il suo telefono…»
«Sì, sì, ma la prego, ho fretta, kuello che dovevo dire, l’ho detto. Ora sto partendo, vado via per kualche giorno. Vi ringrazio, ma vi saluto, grazie, grazie»e fa per rimettere in moto.
«Aspetti, mi scusi, le rubo solo qualche istante!» insiste con fermezza la militare «Si sta allontanando per una ragione particolare?»
«L’ho spiegato bene, ieri, al suo collega» con un cenno rivolto al Pomesi.
«Capisco benissimo»sottolinea la Vanadio, conciliante.«Non vorrei però che… sa, i telegiornali, a volte, montano su dei tali polveroni! Sarà così anche in Germania, no?»
«Telegiornali?»
«Massì. A parte i nostri, i nazionali, ne parlano pure da voi, giusto, no?» per spronare il tedesco.
«Non saprei… io non ho la tivù. Kua, in kuesta casa io non l’ho mai portata. Kua io compongo e kuando compongo ho bisogno di silenzio, di pace. La televisione è nemica di tutto kuesto. Solo isolandomi posso concentrarmi» nettamente convinto.
«Quindi lei non sa che… Scusi, ma giù in paese non è sceso ultimamente?»
«Faccio la spesa una volta a settimana, ad Ancona. E mi basta. Sarei dovuto andare domani, ma a kuesto punto…»scuotendo la testa.
«Abbia pazienza, lei sta fuggendo da due pastori? Ma finora non ha mai avuto paura, chessò di ladri, malintenzionati, squilibrati…?»incalza la Vanadio, non può lasciarlo andare, non ancora, almeno.
«Possono rubarmi l’arte? Oh, no. Kuella no. Io kua ho solo kuella.»e, sorridendo garbatamente,«La bellezza l’ha inventata la Natura. E io, in kuesto luogo, mi limito a… copiarla!»
«Signor Zutt, senta, ancora un istante…»la militare vorrebbe trattenerlo e magari ci riesce seminando un dubbio«Stavo pensando… in fondo, ciò che le è capitato… non potrebbe essere l’ennesima espressione della bellezza che lei tanto anela?»
«Oh no, no, scusi ma dissento,»ammiccando amaro «è diverso. C’è kualcosa di…» riflette bene, vuole trovare il termine giusto, in italiano.
Lo trova!
E finalmente, illuminato:
«Innaturale!» dicendolo con gli occhi sgranati. Ma subito si riprende «Ora devo andare, non ho altro da aggiungere, buongiorno, grazie, grazie!» mette in moto e si riavvia senza più convenevoli.
Non resta ai due Carabinieri che fare lo stesso, ma in direzione opposta e, dopo circa un chilometro, eccoli finalmente parcheggiare davanti al casolare del tedesco, tutto rigorosamente sprangato.
La casa è in pietra, ben restaurata. Il giardino è curato, per circa 400 metri tutto intorno, poi arriva lo strapiombo a mare e il selvatico riprende il sopravvento.
Il caldo comincia ad essere faticoso.
Saranno le 11 del mattino.
«Pomesi, facciamo un giro, fino a là, fino ai confini del parco» ordina la veneziana, indicando la radura a est, affacciata sul blu. «Mi raccomando attenzione, che finisce a picco, qua, Dio bon…»
Procedono guardinghi, ispezionando con cura i dintorni. Nessuno dei due è sereno e la preoccupazione sale.
Vanno avanti così, per diversi minuti, con l’agitazione che monta, in un’atmosfera di sole accecante, che peggiora tutto, accorciando pure il fiato.
Il berretto nero, la divisa addosso, quei pantaloni di frescolana, il cinturone alto con la pistola, tutto pesa, tutto fa caldo, niente agevola.
Ogni tanto si turbano a vicenda:
«Di là!»e invece è nulla, un passero che svolazza.
«Di qua!»no, è la scarpa che pesta foglie secche.
Vanno avanti diversi minuti, per nulla tranquillizzati, finché (d’improvviso)… un belato: «Beee»
Fanno un salto!
«Beeeeee»
Beee? Che sarà?
E che sarà mai?
Si voltano, eh sì: è una pecora.
Certo! Una pecora. Qualsiasi, come altre, nulla di alieno, nulla di criminale, nulla di satanico. Bianca. È una pecora dal vello bianco. Standard. E sta lì, bianca. A circa 7, 8 metri. E li fissa, gambe a stuficchio ed espressione monotona. Sembra apatica. Non particolarmente acuta. Ma, forse, ciò dipende dall’afa.
Incredibile a dirsi, ma il Pomesi ha un rigurgito di iniziativa! E come se si trovasse di fronte a un gatto, inizia:
«Pciù Pciù» facendo il verso del bacio.
Ma quella (che non è un gatto) non reagisce.
Allora l’Appuntato, per aumentare credibilità, strappa un ciuffo di erba e glielo indirizza, al muso.
Niente.
«Pomesi, aspetta, proviamo a circondarla…» la Vanadio gli si accosta lentamente.
«No, no, faccio io!»categorico e scostante. Poi con voce a sussurro: «Pecorella bella, Pciù Pciù… E che ci vuole, ora ti prendo, pecorella bella, eh? Che ci vuole, qua, Pciù Pciù» avvicinandosi felpato.
Quella di tutta risposta si gira e fa per andarsene e allora il Pomesi via, appresso, che mica se la può far scappare, lui, col ciuffo di erba sulla sinistra, tenendosi il berretto con la destra, via via, dietro, tutto baldanzoso e concentrato in questa opera di convinzione. Ma la pelosa non si arrende affatto, si butta dentro un cespuglio, in mezzo a una parete alta e fitta di vegetazione, proprio sul limitare del burrone.
E l’Appuntato? Via, via! subito, appresso…
«Pomesi!» infastidita.
«Pomesi?» basita
«Pomesi…?» accorata.
La Vanadio non ci può credere, dove si è andato a cacciare il collega?
Un gran sospiro! E adesso?
Adesso… è… sola!
Sola?
Eh, sì. Sola.
E per questo non è affatto tranquilla. Per niente proprio. Anzi le sta venendo una fifa blu, tremenda, quella che origina dal profondo, quello remoto, quello oscuro, buio pesto, nonostante il cielo azzurro limpido che spacca e invece questa fifa scende e sale senza freni, su e giù, per le vene rosse, purpuree, finanche attraverso le scarpe di cuoio nero, compatto, per giungere ai piedi rosa, sudati, parecchio sudati, per farli sudare ancor di più.
La testa intanto comincia a girare, intorno temperature bollenti, assurdo, le manca l’aria, le gira tutto, gira pure il mare che ha di fronte e che non dovrebbe girare, no, proprio no, allora la pressione bassa (da quanto tempo non mangia?), la nausea che sale (quel caffè dal prete, a pancia vuota!), si tocca la cintola, la pistola, sì c’è, è nella fondina, aiuto, la pistola, la testa, l’arsura, ma sì, Oddio! Oddio… oddio… sviene!
Sviene?
«Noi osserviamo».
Una voce alle sue spalle. Una voce dolce e semplice. Monocorde.
La Vanadio tra gran sudore e ronzii deglutisce.
Fa uno sforzo. Prende aria. Tutta quella che può. Riempie i polmoni. E si volta.
Òstrega! Eccoli!
Lei e lui.
Una Donna e un Uomo.
Sono vicini, a 5 metri. A soli 5 metri…
E intorno? Un gregge, anzi meglio sarebbe definirlo: un mucchietto di pecore. Una ventina, appunto.
La cosa bella è che non c’è nulla di spaventoso. Nulla di aggressivo. Piuttosto sembrano tutti molto placidi o meglio si potrebbe dire… “neutri”. Come se – all’apparenza – si presentassero tranquillissimi, pacati, sereni. Tutt’al più con un che di indefinito.
La Vanadio è ancora confusa, stordita, sa di non essere per niente in forma, sa che lo stress le sta giocando brutti scherzi, la testa le ronza ancora, ma di una cosa è certa: non prova timore.
Questa sensazione non la prova affatto.
Appaiono, sì appaiono, innocui. Al limite… stranieri, anzi, estranei.
È tempo di rincuorarsi, non può rimanere inebetita in eterno, deve reagire e allora – tanto per cominciare – ripete cortese:
«Osservatori?»
«Da voi»sempre con voce monotona«sulla vostra terra, avviene dello straordinario, qualcosa di unico. E noi veniamo qua per questa ragione. Ogni volta. Ogni volta torniamo e ci trasformiamo in mille forme diverse, per cercare di replicare proprio questo» parlando molto lentamente, la donna.
La Vanadio non capisce, non può capire. Cosa intende la Donna?
«Cosa? Cosa replicate?»chiede, spontanea e inerme.
Senza intonazione, l’altra riprende, sempre con una certa vaghezza:
«Il DNA degli esseri umani ha 23 cellule geminali e per questo siete diversi dalle altre forme di vita, qui, sulla Terra».
Il 23!
«Ecco! Lo sapevo!»la Veneziana esulta in cuor suo «Lo sapevo che il 23 c’entrava, òstrega!»
«Siete unici. Unici sì. Ma unici non significa speciali» sempre con tono monocorde eppure armonioso. Poi, proseguendo nella spiegazione «Quindi noi non siamo qua per voi, solo per voi. Siamo qua per tutto» abbracciando con lo sguardo l’insieme che li sta circondando.
«Ma da cosa siete attratti?» la Vanadio piena di interrogativi ancora insoluti.
«A noi interessa il 2 e il 3» esplicita la donna.
Semplice, no?
No, non è semplice per niente.
La Vanadio è scombussolata, il disorientamento è estremo, ma al contempo non può restare nel dubbio, deve reagire, davanti a lei questa occasione forse è irripetibile.
D’altronde, lei è da un po’ che al 2 e al 3 ci pensa.
E allora? O adesso o mai più:
«Quindi… le scie, le scie che lasciate sul terreno, a forma di 2 e di 3, ecco, insomma… ci state… volete mandarci dei… segnali, degli avvertimenti?» domanda assertiva.
«Voi umani cercate sempre le ragioni nelle apparenze. Mentre esse risiedono altrove. Indagate altrove. Otterrete risposte molto più vitali»senza scomporsi l’interlocutrice.
«Quali?»la Vanadio osa, deve osare.
D’altronde, che alternative ha?
«La vostra specie» lentamente, la Donna,riprende«ha inventato l’odio, il rancore, la vendetta. In tutte le lingue umane esistono parole per esprimerle» e comincia snocciolarle, una ad una: Thanathos. Hate. Akrahh. Inoino. Mauahara…, come si trattasse di un elenco interminabile.
Invece no, lo conclude «Guerra».
È difficile difendersi da queste asserzioni, la Vanadio non sa da dove cominciare, ma soprattutto non sa se sta a lei giustificare l’intero genere umano, adesso, là, su due piedi. Comunque, una risposta si appresterebbe pure a darla, se non fosse che l’altra, piuttosto, preferisce ultimare il concetto:
«Mentre questo pianeta è fatto di Eros.»
Eros?
Sempre più complicato.
O forse no?
«Noi siamo qua per Eros» la Donna parla conservando un equilibrio imperturbabile.«Quando questa combinazione avviene è la perfezione. La perfezione è l’amore. L’amore è 2. Due esseri o entità che si amano, questo è. E il frutto è 3: la nuova vita o la vita che procede. Questo noi veniamo ad imparare, qua. Solo qua, su questa terra, perché solo qua questo succede. Ma impararlo è quasi impossibile. Serve un tempo infinito o abilità di cui non disponiamo. E tutta la nostra conoscenza, pur senza limiti, non è comunque sufficiente. Noi non siamo ancora in grado. Non riusciamo. E dunque per questa ragione torniamo sul vostro pianeta. Ne siamo attratti, enormemente attratti, senza poter rinunciare. E neppure lo vogliamo fare. Non possiamo desistere, infatti. Non possiamo, non vogliamo farne a meno. Eros è senza pari. Noi desideriamo Eros. Sì. Noi desideriamo Eros»ribadendolo, semplice e assoluta.
Con le idee parecchio in disordine, la Vanadio azzarda:
«Allora è per questo che avete preso l’identità di un uomo e una donna?!»
La Donna la corregge:
«No. Non solo. Non solo Amore tra Uomo e Donna. O tra umani. No. Ci sono così tante forme, bellissime e altrettanto sublimi. C’è così tanto 2 e 3 su questo pianeta, che non ci sono termini o barriere o paragoni. Questo 2 che diventa 3, qua, lo incontriamo molte volte. Moltissime. Infinite volte».
Quindi si protende verso il magnifico panorama marittimo, di fronte, per descriverlo:
«Ad esempio questa montagna. Questa montagna si getta dentro il mare che l’accoglie nel suo pieno, nelle sue acque perenni. E l’onda abbraccia il macigno e lo consuma di carezze. Estreme o soffici. E poi lo colora di mitili e di granchi che lambiscono lo scoglio, come un ricamo, sottile, sensibile, mentre le erbe salmastre ne coprono e scoprono le nudità, a seconda delle stagioni. E questo incanto si svela, su e giù, al passaggio della marea. Insieme. Sempre insieme. E intanto, ogni mattina e ogni sera, la bellezza si esprime nella perfezione del nuovo, del nascente, il giorno, come la notte. Ovunque. Dal granello di sabbia alla goccia di pioggia. Il vento che penetra nelle gole di un canyon, la neve che si acqueta su masse di tundra umida, un bambino che corre sorridendo verso sua madre. Tutto questo è l’assoluto. È l’eterno. E lo supera. E va oltre. Con innumerevoli declinazioni, interminabili possibilità. Eros è davanti ai vostri occhi, in ogni istante, in ogni dove. Godetevelo! Fatelo, come lo facciamo noi».
Quindi si ferma.
Non ha altro da aggiungere.
O forse sì:
«L’amore non si divide. Si moltiplica».
VENTITRÉ A GODITTI è un racconto di Annalisa Gaudenzi
genere: FANTASY