NON C’È LUCE STANOTTE di Anna Di Narda
genere: INFANZIA E ADOLESCENZA
Finalmente stasera ci siamo imbarcati.
Forse dovrei dire “siamo saliti su una specie di zattera”, ma preferisco non pensarci e stringere forte la mano di papà.
Lui ha lottato per farci ottenere un passaggio e ora che ci siamo riusciti, bisogna adattarsi. Siamo in quarantasette su una barca a motore di sei metri per tre, seduti uno di piedi e uno di schiena di modo che possiamo stare di più, in questo piccolo spazio.
Io mi appoggio alla mamma, Lula invece si è addormentata tra le ginocchia aperte di papà. Lei e più piccola di me ed ha già preso sonno. Quando riaprirà gli occhi, forse saremo arrivati a terra: Lampedusa è il porto di arrivo.
Non ci vorranno più di dieci ore mi ha spiegato papà. Da lì poi, con un po’ di fortuna, prenderemo il traghetto che ci accompagnerà a Linosa e poi il treno, un traghetto e un altro treno fino a Düsseldorf.
Lì, lo zio Ladin ci sta aspettando. Ha trovato un appartamentino con due stanze in cui alloggeremo, un lavoro in cantiere per papà e uno ad ore per la mamma che laverà i piatti nel ristorante sotto casa nostra.
Io sono elettrizzata all’idea di cambiare finalmente vita e allo stesso tempo, paralizzata dalla paura di cominciarne una nuova in un paese di cui ho sentito solo raccontare e che cerco di immaginare ad occhi chiusi.
Non voglio addormentarmi, ho tanta paura dell’acqua e di questo odore di petrolio che mi serra la gola e non mi permette di abbandonarmi ad un riposo necessario al mio corpo quasi undicenne.
Se penso a quanta strada abbiamo percorso negli ultimi cinque giorni su fuoristrada o a piedi, mi viene ancora il vomito. Non ne potevo più di sassi e sabbia, terra gialla e roccia.
Il mio amato paese, il Sudan è una terra ostile che non regala nulla neppure a noi bambini e ci chiede tanto sudore anche solo per dissetarci. Quando poi dobbiamo lavarci, l’impresa si mostra faraonica per tanto lavoro e strada che richiede.
Penso che in Germania avrò acqua a volontà e che non dovrò trasportarla fino alla bacinella in pesanti secchi di latta dopo che la mamma ha faticato con la carrucola per estrarla dal pozzo.
Sono sicura anche che nei negozi troveremo tutto quello che alla bottega del villaggio scarseggiava.
Io ho visto alla TV l’aranciata in lattina, ma ho assaggiato solo quella che Jumbai, proprietario del bazar di Jadda, mi versava nel bicchiere azzurro. Penso che non siano la stessa cosa: una sembrava di un bel arancione e con le bollicine, l’altra, quella che bevevo io, era rosso scura e densa. Ma tanto buona ed ora che sono qui, ne scolerei due bicchieri da tanta sete che ho! Meglio non pensarci!
Chissà come sarà la scuola lassù: sono abituata a camminare per due chilometri sotto il sole prima di entrare in classe; lo zio dice che invece a Düsseldorf il sole a volte non si leva e tutta la giornata è grigia e umida anche in estate. “Vedremo”.
Non mi ero accorta, ma ora qui, siamo completamente al buio, non riesco a capire come il capitano della motonave possa orientarsi. So che ha il radar, ma come fa a vedere i numeri con quella piccolissima torcia che a volte quasi si spegne. Non c’è la luna stanotte e rischiamo di andare alla deriva chissà dove!
Avverto l’agitazione delle altre persone accanto a me e capisco dai loro bisbigli, che hanno più paura di quella che dimostrano standosene sdraiati in una sorta di torpore.
Il vento sibila tra i nostri poveri vestiti e fa freddo. Noi africani siamo un po’ così: quando capiamo che c’è poco da fare, ci abbandoniamo al destino con rassegnazione. Io invece mi sento forte e vorrei con tutta me stessa gridare:
“Accendete quei fari, fate luce, qui ci sono donne e bambini che hanno paura e anche gli uomini tremano! Possibile che nessuno faccia niente per noi?”
Mamma si gira, vede che sono sveglia e mi dice di stendermi tra le sue braccia. La obbedisco e appoggio il viso tra le sue gambe.
Adesso è ancora più buio e un silenzio assordante è calato sulla motonave. Vorrei che il tempo passasse in fretta e fosse già mattina.
Mi sento persa e per la prima volta dopo tanto tempo, desidererei essere nel mio letto accanto a Lula e vicino a nonna.
Nella nostra casa che assomiglia più ad una baracca, la luce si spegne alle venti. Non perché giriamo l’interruttore, ma proprio perché non c’è corrente fino al mattino.
Noi bambine abbiamo imparato a fare i bisogni alla sera, prima di coricarci e a fare attenzione a non bagnare il letto. Se succedesse dovremmo stare così fino all’alba perché non si vede nulla e le candele comprate al mercato, devono durare a lungo; molto a lungo perché costano troppo, come dice papà!
Però, a casa è un po’ meglio di qui. Li sarei tranquilla ad ascoltare il respiro leggero di Lula e quello greve della nonna che a volte diventa un po’ ansimante. Io non ci faccio caso, anzi quel sibilo mi culla e mi fa addormentare tranquilla. Poi quando al mattino apro gli occhi, il sole è già alto e si torna alla vita di sempre anche se faticosa!
Penso al mondo stanotte. Che pensieri strani per una bambina piccola come me. In questo buio dove si vede nulla, mi terrorizza l’immensità e il non sapere cosa ci sarà fra un chilometro o due. Penso a tutto: a uomini con i fucili, a pesci spada, a voragini in cui precipitare.
Rabbrividisco e poi vedo che mamma si è tolta il suo copricapo e lo ha appoggiato su di me cercando di scaldarmi.
Mamma, questa dolce creatura che mi sorride e mi consola anche quando sto male e ho paura. Lei ha saputo tranquillizzarci e rasserenarci durante i mesi passati quando il terrore che i soldati arrivassero al nostro villaggio e arrestassero papà, ci faceva impazzire. Eppure, con canti e dolci melodie lei ci ha spiegato che ogni cosa deve andare in un solo senso e che è sciocco angosciarsi:
“Ognuno ha il suo destino bimbe e se il nostro, porta all’oscurità… allora c’è poco da fare se non accettarlo. Ma se dietro l’angolo c’è la luce, quella vera che illumina la speranza, allora tutte le paure non hanno motivo di esserci. Dormite tranquille e fidatevi.”
Ha avuto ragione lei: non ci è successo nulla e la nostra vita è continuata come prima. Non abbiamo mai visto militari con fucili a casa, nel villaggio e neppure andando e tornando da scuola. Forse quella guerra di cui parlano alla TV esiste solo per spaventarci. Forse!
Mi raggomitolo tra mamma e papà e sono certa che tra un attimo, cullata dalle onde tranquille mi addormenterò. Lo voglio fare con la certezza che al risveglio tutto sia migliore e che la mia vita possa andare in una direzione meravigliosa: studio, famiglia, amore… vita insomma! Mamma non può cantarmi una delle sue melodie con quella voce dolce e delicata. Allora mi solleva fino alle sue labbra e poi nelle orecchie mi sussurra:
“Dormi piccola guerriera di Jadda, dormi bambina mia, lascia che il vento ti culli, che il rullio delle onde ti trastulli. Saranno sogni belli, perché è bello il mondo e anche la vita merita di essere vissuta. Dormi Samira, dormi tesoro mio!”
Cercherò di sognarlo e di non dimenticarmi nulla di questa notte senza luna, in un mare che sembra l’olio della pentola che la nonna fa scaldare sulla stufa a legna e dove versa cucchiaiate di farina di manioca per fare le più gustose frittelle del mondo. Quanto mi piacciono con la salsa di barbabietola dolce o dell’uvetta passita!
Tra le mie ciglia socchiuse vedo luci lontane e irreali e mi sembra di essere a scuola con la maestra Fari. Tiene una lezione di geografia sul Sudan e lo descrive come un paese immenso dove regna poca pace a causa dei conflitti tra i popoli e la poca cultura.
Fari, coperta dal suo velo rosa fucsia è una bella ragazza di origini nubiane che a suo modo, fa guerra alla sharia. Ha studiato a Khartoum e poi è tornata al villaggio per insegnare a donne e ragazze come emanciparsi e far valere i propri diritti.
La vedo ancora mentre con gesti pacati, ci insegna una canzone che parla di una ragazza che ha il coraggio di togliersi il velo e andare al mercato.
Fari mi mancherà e non so se troverò più insegnanti così comprensive con me, come lo è stata lei. Mi mancheranno anche le mie amiche di scuola con le quali ho trascorso pomeriggi a rincorrerci tra i resti di una vecchia fortificazione in fondo al villaggio.
Non scorderò neppure le nuvole di sabbia alzate dal vento che entrava dal mar Rosso e portava un carico di umidità che ci regalava la pioggia.
Non dimenticherò le strade, gli alberi sparuti e i rovi con i rami scheletrici alzati al cielo.
Sono certa che difficilmente torneremo in Sudan. Ho abbracciato la nonna e lo ho promesso di scrivere. Ha trattenuto le lacrime come d’abitudine, ma si è battuta il petto in segno di dolore. Nel nostro linguaggio significa anche “addio”. E lei voleva dire:
“Addio bambine mie!”
Sorrido mentre penso ai suoi piedi le cui piante incallite a forza di camminare scalza, sono più dure delle suole dei miei sandali. Quanta strada hanno calpestato e quante spine hanno tentato invano di piantarsi in quella corazza di pelle scura?
Riapro gli occhi convinta che siano passati pochi minuti e invece laggiù dietro la testa della mamma vedo un chiarore. Sta albeggiando, il tempo è trascorso e le lancette girando si stanno portando via il dolore del distacco dalla nostra terra. Ho desiderato con tutto il mio piccolo corpo scappare, ma ora che intravedo una nuova riva, un dolore sordo attanaglia il mio cuore. Lacrime salate scendono a rigare le gote fredde. La mano di mamma prontamente le asciuga e questo mi fa capire che l’alba non è lontana.
Ad un tratto una voce, un grido:
“Terra…terra”.
Mi alzo di scatto e vedo laggiù in lontananza alti scogli e rocce biancastre: sembrano deserti. Mi chiedo come faremo ad attraccare lì visto che sembrano insuperabili e come ci orienteremo poi. A mano a mano che la motonave si avvicina rallenta la sua corsa. Il capitano gira il volante e un attimo dopo spegne i motori. Si gira verso di noi e con un sorriso immenso esclama:
“È fatta, l’alba ci permetterà di attraccare in un posto sicuro. Ognuno prenda le sue cose e poi si allontani nella direzione stabilita. Buona vita a tutti. La luce sia con voi!”
NON C’È LUCE STANOTTE di Anna Di Narda
genere: INFANZIA E ADOLESCENZA