CELESTE COME IL CIELO di Valeria Catufi

genere: INFANZIA E ADOLESCENZA

Mi chiamo Celeste.

Direte voi, Celeste?

Sì, i miei hanno deciso questo nome nel momento in cui mia mamma ha partorito. Un giorno di maggio dove il cielo era, appunto, celeste.

Nome meno indicato per me.

Perché? Perché il celeste è associato alla chiarezza, alla purezza e alla tenerezza che rappresentano il cielo e il mare.

Sì, sono nata al mare e lo hanno scelto guardando il colore del cielo di quel giorno.

Però, per la cromoterapia i toni del blu significano pace, relax, libertà, freschezza e pienezza; il celeste, in particolare, è ideale per controllare l’intensità delle emozioni.

Ecco, le intensità delle emozioni.

Io vivo tutto intensamente. O tutto nero cupo o tutto giallo splendente. Tutto quello che succede dentro di me è paragonabile a un uragano. Non c’è pace in me, non c’è relax in me.

Avete mai visto il mare in tempesta?

Ecco quella sono io. Mi arriva un pensiero in mente ed ecco che ne arrivano altri cento, mille, diecimila … e, oltre a pensarli ho anche l’intenzione di metterli in pratica.

Ho un senso di libertà ampio; ovvero, sono libera di fare ciò che voglio perché non mi sento regole addosso né tantomeno percepisco confini per cui se ho voglia di ballare in riva al mare lo faccio, se ho voglia di stare sul divano un intero fine settimana lo faccio. Se ho voglia di lasciare calzetti all’ingresso, bottiglie di acqua vuote in cucina, spazzola per capelli dentro il lavandino lo faccio.

Non ho regole e non ho confini.

Immagino che gli altri la pensino come me, e vivano la vita come me.

Non amo i confini tanto che, quando cammino, spesso sbatto i miei piedi contro quelli di chi ho davanti o, quando cammino, vado contro gli stipiti delle porte.

Quando parlo ho il tono di voce così alto che obbligo chiunque vicino a me ad ascoltarmi, senza mettermi nei suoi panni e pensare che possa essere fastidioso.

Io vivo così, pensando che il mio modo di fare sia corretto e giusto e in simbiosi con gli altri.

Se stanno male, sto male anche io. Se stanno bene, sto bene anche io.

Mio padre mi dice che vivo un po’ allo stato brado.

Lo ammetto, è vero. Ma perché limitarmi quando ho tanto da esprimere? Perché io sono espressione vivente. I miei capelli, leggermente mossi, dal colore castano caldo, come le castagne d’autunno, esprimono intensità.

Il mio sguardo a volte perso, a volte introspettivo a volte esplorativo esprime curiosità.

Cerco sempre di osservare gli altri per capire come ci si muove in questo mondo e per comprendere che non ci si sta solo come ci stanno mio padre e mia madre, ma anche come il vicino di casa, la mia amica del cuore, il fornaio, …

Il mio corpo esprime un malessere, con me stessa e con il mondo esterno.

Le mie gambe muscolose mi permettono di volare verso il cielo quando arriva la palla, esprimono movimento, leggerezza, bisogno di evadere e di non fermarmi.

Non posso fermarmi … non mi è stato mai concesso di fermarmi, perché dovevo essere la bambina che sapeva già leggere il primo giorno di scuola, la bambina che già aveva fatto mille esperienze rispetto agli altri, la bambina dal pensiero alternativo perché come dice mia madre la diversità è una risorsa, fino a quando però questo non ti esclude dal mondo. Dovevano sempre riempire i vuoti perché in famiglia mia il vuoto spaventa. Lo stare fermi terrorizza.

E io non potevo essere da meno in una famiglia dove tutti eccellono.

E qui penso al senso di freschezza e pienezza del colore celeste.

Ecco. Qualsiasi passo faccio ho il fiatone e sudo. Sento sempre caldo e mi rifugio in luoghi con l’aria condizionata.

Se posso cammino poco e se sono costretta invento che ho dolori alle gambe o ai piedi, aggiungendo qua e là lacrime e frasi come “ma sono stanca, ti prego ho diritto di riposarmi anche io! Ho fatto due ore di pallavolo questa settimana”. 

Altra attività fisica che faccio è lo scroll, ovvero passo le giornate a muovere il dito dall’alto verso il basso per aggiornare il feed dei social media.

Pienezza, il mio stato attuale. Il mio corpo pieno riempie un vuoto. Ma ho bisogno di pienezza perché ho un vuoto dentro. Quel vuoto attraverso cui passa il gelo, la tristezza, il dolore. Quel vuoto che senti di dover riempire con dei tappi.

Il mio tappo principale è il cibo. Mi alzo alla mattina pensando alla colazione. Silenziosa, se tutti dormono, vado in cucina e prendo dal cestino delle merendine la crostatina che a me piace tanto e me la porto in camera. Con delicatezza e tossendo per nascondere il rumore della plastica, la scarto e la mangio a occhi chiusi come se sviluppassi maggiormente il gusto. O forse occhio non vede e cuore non duole.

 Facendo finta di niente poi mi alzo e vado a fare colazione con i miei. Come se nulla fosse successo. Riempio il mio buco interno con biscotti al cioccolato.

Ho una passione per i numeri per cui il mio numero è cinque. Cinque biscotti al cioccolato, con una grande tazza di latte e caffè.

Finita la colazione attendo con ansia il momento della seconda colazione a metà mattina. I miei genitori tendono a propormi un frutto, ma io vado su pane e qualche schifezza al suo interno.

E poi attendo il pranzo. Non possono mai mancare pasta e pane.

E così poi arrivano le sedici per la merenda fatta di pizza o gelato e poi la cena.

La sera puntualmente vado a letto ansimando e la notte ho gli incubi. Quegli incubi che ti fanno parlare, che ti appesantiscono e che la mattina ti fanno svegliare con il mal di testa e il malumore.

Ed ecco che il cibo viene in aiuto per rallegrarmi un attimo solo, perché poi vado sempre più giù.

Il mio corpo è pieno, sono goffa ma cerco in tutti i modi di stare al mondo. In una famiglia dove tutti eccellono.

La pallavolo mi fa vibrare l’anima. Quando sono in campo concentrata, attenta alle avversarie, alla palla in movimento non sento il mio vuoto, non sento il mio peso, non sento i miei problemi, non sento gli altri. Sento me stessa. Perché è questo, in fondo, di cui ho bisogno. Sento la terra sotto i piedi, sento che sono ancorata. E sento che, quando lo decido io, posso volare fino al cielo.

Dove tutti eccellono solo io gioco a pallavolo.

Mi chiamo Celeste, come il cielo, come qualcosa di grande e infinito.

Io ho 13 anni e tanti sogni.

CELESTE COME IL CIELO di Valeria Catufi

genere: INFANZIA E ADOLESCENZA

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