ANFIBI DI CRISTALLO di Ida Daneri

Lidia era lì, in mezzo alla campagna e in piena notte.
Faceva freddo, con gli ingombranti anfibi e il giubbotto striminzito di finta pelle scura.
I lunghi capelli neri, disordinati spaghetti, si annodavano nel vento gelido, annoiati e distratti.
Cosa diavolo ci faceva in quel posto di merda, la vista inutile nella nebbia fitta e maleodorante?
Un colpo di vento come una frustata di ghiaccio sul viso, i capelli in bocca, sputacchiati e strappati via da dita nervose.
La nebbia corre via, rotola disordinata nella notte, si sfilaccia e infine si dissolve davanti agli occhi curiosi della ragazza.
Dove imperava il nulla piatto, appare un castello, le torri bianche illuminate dalla luna piena. Cielo terso e nero, nemmeno una nuvola, miliardi di stelle, roba da lezione di astronomia. Chi diavolo le fa le previsioni del tempo?
Notte da lupi mannari. Brividi nella schiena e cuore eccitato.
Tende l’orecchio. Silenzio. Nessun ululato. Il cuore si calma mentre si stringe nel giubbotto freddo.
La domanda torna insistente nella mente: che diavolo ci fa lei, proprio lì, in quella stupida notte nera?
Il castello scintilla sotto la candida luce lunare, perla occulta negli abissi notturni. Mura bianche, protettive, brillano di luce fatata.
Che diavolo c’entrano le fate, adesso?
Mica ci saranno anche le principesse, eh?
Lidia comincia a sentirsi a disagio, fuori posto: passino gli incubi insanguinati, ma i sogni incantati sono davvero troppo.
Scrolla la testa, rifiuta la visione, cerca di cambiarla.
Ma il castello rimane lì, inamovibile, il portone chiuso nell’insopportabile aura magica.
La punta del piede, protetta dall’anfibio, scatta in avanti, incosciente, e spinge il portone.
Intanto è sbarrato.
Vana speranza.
Una piccola resistenza iniziale, un cigolio metallico, stridente e fastidioso – e metteteci un po’ d’olio, che vi costa? – e l’anta arretra, docile e obbediente.
Ma chi glielo ha chiesto?
Stupido piede.
Qualcuno doveva farlo.
Inutile battibecco col piede.
Andiamo avanti, mica avrai paura, Lidia, vero?
La mano interviene, col forzato permesso della ragazza, e spinge cauta la porta.
Buio.
Silenzio.
Cuore che batte.
Stupido piede curioso.
Lungo respiro.
All’improvviso, la luce.
Candele, candelabri e antichi lampadari in un soffitto troppo alto avvampano di piccole fiammelle animate.
Mai visto il cartone della Bella e la Bestia?
Ecco, bravi, proprio così. Immaginate bene.
No, un momento. Ricordate Cenerentola e l’abito del ballo?
Lidia per un attimo si sente male: il fiato le manca mentre l’abito la avvolge nel soffocante bustino, il brillante sfolgorio che quasi la acceca.
Maledette favole e dannate principesse. Mai potuto soffrirle.
Muove un passo incerto.
La suola si appoggia piatta e sicura.
I fidati anfibi neri, carichi di catenelle e borchie, sono sempre lì, rassicuranti, sotto i mille strati di tulle luccicante.
Qualcosa richiama la sua attenzione sulla sommità del capo. Le mani corrono a controllare e, con orrore, Lidia si rende conto di indossare uno scintillante diadema. Sì, proprio la classica coroncina da principessa.
Cerca di strapparla via. Impossibile. Appiccicata con l’attack al cuoio capelluto.
Per fortuna i capelli sono ancora i suoi, i lunghi spaghetti neri che all’improvviso scopre di amare in modo sfegatato. Niente boccoli biondi, grazie al cielo.
A proposito di cielo, da dove arriva la musica celestiale, che, crudele, le ferisce le orecchie?
Musica e luce, pericolo in agguato.
Gli effetti scenografici scompaiono e Lui appare.
Lui, il principe perfetto, occhi azzurri e capelli biondi. Calzoncini a sbuffo e calzamaglia bianca. Mantello azzurro.
Aaarg!
L’urlo le è sfuggito. Non è paura, peggio: è panico puro!
Lui, indifferente, si avvicina e comincia a parlare. Sorte misericordiosa, almeno non usa l’antiquato voi. Voce concitata, spaventata, va di fretta e si mangia le parole. Difficile capirlo.
– Ti prego ti prego ti prego… devi aiutarmi aiutarmi aiutarmi, ti prego!
Lidia lo guarda: chi dei due è più pazzo?
– Devi credermi credermi credermi!
La ragazza sbuffa:
– Datti una calmata e vedi di spiegarti, ok?
Il principe la fissa, quindi prende un lungo respiro:
– Una maledetta maledizione. – abbozza un sorriso scaltro sulla ripetizione – Davvero, non so perché: sono sempre stato gentile con tutti, un cuore d’oro, ti assicuro; ho sempre accolto al castello tutte le vecchie megere che arrivavano in notti buie e tempestose… ma la Maledizione me la sono beccata lo stesso.
Occhiataccia silente in attesa di spiegazioni. Meglio lasciarlo in sospeso e che non prenda confidenza.
– Sono inchiodato nel castello stregato, che appare solo alle fanciulle pure, nelle quali devo far scoccare la scintilla d’amore.
“Cioè, devo farle diventare impure. Ma è meglio se questo me lo tengo per me. Sorridi principe, sorridi ingenuo, che forse questa è quella buona!”
Lidia scoppia a ridere:
– Fanciulla pura, io? Ma mi hai guardato bene, Principe?
Lei, proprio lei, la più ribelle e scapestrata del liceo? In che cavolo di sogno scemo era finita?
Il ragazzo spalanca i mesti occhioni azzurri e sbatte le palpebre, ma Lidia non si lascia intenerire.
– Mi spiace, ma la tua Signora Maledizione ha preso un granchio con me!
Il principe la guarda, triste e sconfortato, una lacrima che trema tra le ciglia:
– Ma… non è possibile! – piagnucola.
Lidia sbuffa, tra noia e pietà; rovista nello zainetto ed estrae il cellulare.
– Pura, ragazza pura… – digita su Google e cerca scorrendo veloce i risultati con gli occhi. Yahoo answers, miglior risposta. Solleva le sopracciglia e fa una smorfia, sempre meglio di niente:
– “La purezza in senso immateriale come nobiltà di pensiero, di altruismo, e altro, o prettamente fisico nel non avere mai avuto rapporti.” – legge meccanicamente. – “Si può essere puri di pensieri e non vergini, essere odiosi ma vergini.” [1]
Lidia increspa le labbra e corruga la fronte. Lei non è più vergine, però non è nemmeno odiosa. Magari è stiracchiata come definizione, ma, tutto sommato, in fondo si sente pura. E tanto basta. La Maledizione dovrà accontentarsi. In fin dei conti il castello le è apparso, giusto? Ormai è in mezzo al guado e non è da lei tirarsi indietro sul più bello.
Il Principe sorride con diafana dolcezza; le pupille si rivolgono verso l’alto e sembra entrare in trance:
– Maledizione, Maledizione ascoltami… ooomm
Occhi bianchi e vuoti. Cioè, nemmeno un Giga e ti colleghi con la Maledizione? Mai nessun problema di campo? Naaa…
Il Principe sorride felice, le chicche dei denti bianchissimi tra le labbra rosse. Be’… è un Principe, no?
– Sì, tu sei pura. – sentenzia con voce profonda, scandendo inesorabile la condanna.
Il pavimento vibra, le luci si attenuano, le fiammelle ondeggiano nel respiro della Maledizione e Lidia caccia un urlo. Il Principe si esibisce in un balzo atletico e l’abbraccia. Le luci tornano:
– Giù le mani! – grida respingendolo con forza.
È stato un lampo, ma mentre le era vicino ha notato i canini appuntiti e ora lo guarda con occhi dilatati dal terrore.
Il Principe arretra e con gesti veloci toglie la parrucca bionda e le lenti a contatto blu. Arruffati riccioli castani e occhi verdi spruzzati di nocciola. Jeans aderenti e stracciati, con maglioncino dalle maniche troppo lunghe.
Quasi quasi il vampiro è meglio del principe.
Da buon vampiro deve averle letto nella mente, quindi nega con enfasi, forse eccessiva. Uno specchio appare servile nelle sue mani:
– Ecco, guarda il mio riflesso!
Si fruga nelle tasche e ne trae una foto: è al mare sotto il sole d’agosto.
– Ecco, impressiono anche le pellicole fotografiche e posso stare alla luce del sole. Non sono un vampiro, credimi!
In effetti, l’ex Principe sembra in regola con le classiche dimostrazioni. Forse ha solo i canini un po’ allunganti e nulla più.
Poi, l’ex-Principe e forse-non-Vampiro la placca in un abbraccio improvviso e la bacia, ma solo per ritrarsi schifato:
– Cos’hai sulla lingua?
Lidia ride:
– Ė un piercing!
Lui è inorridito e la ragazza ride di gusto, calcando la mano:
– Be’, sì, in effetti è una pallina d’argento. – rivela insinuante con aria da finta ingenua. – Ma sono i lupi mannari che hanno problemi con le pallottole d’argento. O no? – conclude, permettendosi di prenderlo in giro.
L’ex-Principe e forse-non-Vampiro si trova ancora a negare la nuova identità attribuita:
– No, no, non sono un vampiro e non sono un lupo mannaro! – ripete sconfortato. – Ti prego, solo tu puoi aiutarmi a liberarmi dalla Maledizione.
Occhioni umidi, peggio di un boxer: chiunque si lascerebbe impietosire.
Un nuovo scatto fulmineo, ancora un abbraccio vincolante e poi le labbra sottili e fredde sul collo. I canini pungono appena, ma il bacio è caldo e umido, languido e sensuale. Niente male. L’ex-Principe e non-questo e non-quello con i baci ci sa fare. Forse forse…
E poi, tra uno sbuffo e l’altro, Lidia deve ammetterlo: in fin dei conti le fa pena, con quello sguardo lacrimoso.
Dubbio atroce: non sarà stata colpita anche lei dalla pericolosa sindrome della crocerossina?
Vabbè, ci penserà domattina.
Mano nella mano salgono sull’ampio scalone, L’ex-non-non in jeans sdruciti e lei con lo strascico scintillante dell’abito da ballo di Cenerentola e anfibi di cristallo nero.
*
Il mattino dopo, Lidia si risveglia nel solito letto.
Merda, era stato solo un sogno!
Si trascina controvoglia in bagno: è mentre si lava i denti che li nota.
I canini.
Allungati e appuntiti.
Frenetica si tasta il collo: i baci dei vampiri tolgono la volontà? Fanno dimenticare?
Non ci sono forellini, anche lo specchio lo conferma.
No, un momento! Guarda meglio: cosa sono quei piccoli segni scuri? Nei, forse. Ma c’erano anche prima?
Solleva perplessa le sopracciglia sottili; i canini, però, sono indubitabilmente diversi.
Momento di panico: possibile sia diventata vittima della Maledizione e debba trovare – fregare sarebbe più appropriato – un giovane puro da cui farsi amare?
Scuote la testa. Naaa… non ha alcun senso!
Allunga il braccio e apre l’armadietto per l’operazione trucco-mattutino. Una parrucca bionda, dai lunghi tentacoli boccolosi,[2] le avvolge prepotente la mano portando con sé un contenitore di lenti a contatto.
Lidia non ha bisogno di aprirlo per sapere che sono intensamente blu.
Scrolla rassegnata la testa:
– Principi, vampiri o ranocchi, mai guardarli negli occhi! – ripete stonata la cantilena, ripensando allo sguardo lacrimoso da boxer del Principe. – Ecco cosa intendeva mamma: se non stai attenta, tutti possono fregarti!
Forse sua madre, in apparenza così per bene e integrata, la sapeva più lunga di quanto apparisse…
Tira un lungo respiro e scrolla le spalle: riflessi nello specchio, gli anfibi di cristallo nero l’attendono facendole l’occhiolino.

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[1] Giuro, è proprio il risultato che è venuto fuori al primo posto nella ricerca su Google, trascritto parola per parola!
[2] No, il termine boccoloso non esiste nella lingua italiana e me lo sono inventato per l’occasione. Però fa rima con petaloso!

Anfibi di cristallo è un romanzo di Ida Daneri

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