COSE D’ALTRI TEMPI (2) di Daniela Trombetta

Il sole sorge timido dietro le montagne e ci delizia della sua luminosità con cautela.
Non abbiamo riposato granché, è stato un continuo dormiveglia per il timore che ci trovassero da un momento all’altro.
Rimontiamo in sella, diretti alla prima uscita dal parco: Druento. La pedalata è più lenta, ci prendiamo il tempo di immortalare nelle nostre menti la bellezza che abbiamo intorno: vaste distese di prati verdi di cui vediamo la fine solo grazie agli alberi che danno l’impressione di delimitarne il perimetro.
Le foglie danzano coi colori caldi dell’arancione, del rosso e del marrone. Il cielo si appresta a tingersi di un azzurro intenso, limpido e che non concede spazio alle nuvole.
Per i primi chilometri, nessuno dei due parla; ci limitiamo ad ascoltare ciò che di naturale ci circonda.
Il sentiero sterrato scricchiola sotto il peso delle ruote e accompagna i miei pensieri che faccio subito scivolare via, lasciandomi indietro anche l’auto della polizia.
Poi spalanco gli occhi: ho di nuovo quella sensazione. Scopro che non è spiacevole, è soltanto… strana.
La mia attenzione viene catturata da due panchine in legno con un tavolo in mezzo, al centro del prato, sulla mia destra. Non vi sono altri tavoli nelle vicinanze.
Il sole subito mi disturba ma poi scorgo una figura e freno di colpo.
«Che stai facendo?» mi interroga Peter. La sua voce, per me, è un’eco lontana.
Scendo dalla bici e l’abbandono col cavalletto sul ciglio del sentiero. Mi avvicino al tavolo. Seduto su una delle panchine, individuo un uomo. Ha i capelli ricci, lunghi e brizzolati; è molto affascinante. I suoi vestiti mi sorprendono: indossa un farsetto rosso, con un ampio colletto bianco ricamato, che scende su un paio di calzoni neri voluminosi.
Ai piedi porta delle scarpe nere col tacco e decorate con nastri rossi. Indossato su una spalla sola, c’è poi un mantello, nero anche quello. Tutto accuratamente abbinato.
Man mano che mi avvicino, intuisco che quelli non sono i suoi capelli, si tratta di una parrucca.
La sua espressione è fiera e quasi inafferrabile.
Non si è accorto di me; la direzione del suo sguardo non accenna a cambiare. Per un attimo mi fa credere che sia finto, il che è probabile.
“Cosa ci fa un nobil uomo, tutto solo, nel bel mezzo di un prato?”
Non ho risposta, ma qualcosa mi spinge a proseguire.
«Ruby, si può sapere dove stai andando?» sbotta mio fratello.
Non mi giro per guardarlo, non ci riesco, mi sento rapita.
L’uomo si volta verso di me, di circa quarantacinque gradi, e sfoggia una lunga catena dorata appesa al suo collo, con un ciondolo scintillante.
“Sembra una chiave” penso.
Adesso sono molto vicina a lui, potrei quasi toccarlo. Allungo una mano ma subito avverto delle vibrazioni in tutto il corpo. Mi fischiano le orecchie e il riflesso del sole sul ciondolo annienta la mia visuale: non vedo più nulla, se non un fascio di luce così potente da farmi venire il mal di testa.
Davanti a me, l’uomo con la parrucca «Seguimi» mi dice; la sua voce rimbomba.
Mi guardo intorno, cercando Peter, ma sembra essersi dissolto. Lo sento gridare mentre il mio corpo diventa sempre più leggero «Ruby!»

Cose d’altri tempi è un racconto di Daniela Trombetta

Continua . . .

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