FIGLIA DI UN RAGAZZO DEL SUD di Sara De Rosa

La mia mamma ha un rapporto speciale con me.

Abbiamo, oramai, ambedue istituzionalizzato un litigio continuo.

Però, con fine costruttivo.

Io sono la primogenita, fortemente voluta, nonostante che fosse una vera impresa, negli Anni Settanta, comunicare ai propri genitori che ci si sposava a soli 18 anni; che si aspettava una bambina; e, per di più, da un ragazzo non del proprio paese, quindi sconosciuto …, insomma un ragazzo del Sud!

«Che vergogna, tutto il paese parla di noi!» ripetevano i saggi del paesello.

«Ti sei conquistata un articolo in prima pagina!» aggiungevano altri.

Per non parlare di quelli che esprimevano, sulla questione, personali opinioni poco piacevoli da raccontare.

Eh sì, avete capito bene, il mio papà non è originario del mio paese in cui sono nata e cresciuta, in provincia di Reggio Emilia, ma proviene dallo sconosciuto Sud; … anzi, dal temuto Sud.

Ancora oggi, che ne dovremmo essere ben lontani, rivivo pregiudizi.

Ancora oggi, che sono mamma di tre figli, mi scontro spesso con l’insensato modo di pensare che il “diverso” sia un pericolo.

Sorrido, forse per pietà, ma sorrido!

È incredibile assistere alla enorme ignoranza che c’è alla base di tali comportamenti!

Mi capita spesso di pensare a come reagirei io stessa se dovesse accadere che i miei figli intraprendessero una strada, diciamo, un po’ più complicata. Perché, è accertato, barriere culturali, modi di pensare, accettazione dell’altro, sono situazioni difficili da fare cadere.

Ma tornando alla mamma, che è il mio esempio vissuto dal vivo!

«Come è potuto accadere che una brava ragazza, figlia di un reggiano da generazioni, si stesse mettendo in ridicolo; stesse dichiaratamente calpestando la sua reputazione di giovanissima ragazza, per un colpo di testa?» si diceva.

No, era inaccettabile!

Inaccettabile, così come lo è, ancora oggi, per tutti noi. È difficile comprendere il prossimo, qualsiasi provenienza abbia. È facile, invece, lasciarsi andare a banalità e cattiverie gratuite sulla presenza dei “diversi” nel nostro vivere dorato. È, probabilmente, una caratteristica generalizzata di tutti gli appartenenti alla specie sapiens.

Figuriamoci, allora, come poteva essere cinquant’anni fa!

Il paesino d’origine del mio papà è piccolo, sulle prime colline in prossimità di Caserta.

Lo riconosco quando arrivo dal profumo fine e intenso degli alberi di limoni, aranci e di olive.

Soprattutto l’odore della legna derivante dagli olivi. Sa di buono, sa dei ricordi di mia nonna che andava, insieme al resto della famiglia rimasta in paese, a cogliere le olive tanti anni fa.

Una volta l’anno, quando andavamo, ci portavano con loro per la annuale raccolta.

Era, per noi, un grandissimo divertimento assistervi.

Credo, anche, che fossimo di grande impaccio. Ma nessuno lo dimostrava, né ce lo diceva.

Poi, c’era la visita al frantoio del paese dove avviene la spremitura per ottenere l’olio, per uso familiare, ovviamente. Quel profumo rimaneva impresso per giorni e giorni, e ancora nel ricordo.

La realtà in cui si vive è quella del paese, come tanti paesi sparsi in tutta Italia. Ma, il ritmo dello scorrere della vita, degli impegni, dello scandire dei giorni, la mentalità, sono diversi.

La nonna aveva un cuore grande.

Con poco rendeva felici tutti i nipoti. Ci sapeva dare l’affetto necessario e la massima libertà. Con lei potevamo tutto. E lo facevamo! Poiché, per il resto dell’anno, ci era proibito.

Non faccio paragoni tra il modo di concepire il trascorrere della vita calmo e assaporante delle piccole cose del paese e quello veloce, frenetico, distratto su molti valori, della città.  Sono due prospettive diverse.

Io ho avuto la fortuna di viverle tutte e due.

Una, nell’adolescenza e nella prima giovinezza, legata agli affetti, solamente per qualche giorno all’anno.

L’altra, da adulta, per obblighi imposti dal vivere in un consesso civile, per lavoro, forse, ormai, per abitudine.

Ritorno al presente per osservare quanto il mio papà abbia dimostrato una grande intelligenza poiché è riuscito, sempre e con facilità, a superare ogni scoglio derivante dal “razzismo moderno”.

Sì, razzismo. Perché di razzismo si tratta.

E il tempo gli ha dato ragione poiché la famiglia che abbiamo è favolosa.

Lui stesso ammette, ogni volta che andiamo sull’argomento, che la realtà di quel paesino gli andava stretta, aveva bisogno come prima cosa di lavorare (al tempo scarseggiava già) ma anche di uscire da quegli schemi un po’ imposti dalla mentalità del tempo e dal contesto.

Anche lui, a suo modo era un ribelle, per i tempi in cui era giovane.

La casualità lo ha portato fino qui, lontano dagli amici e dalla propria famiglia.

Io e mia sorella, a nostra volta, abbiamo sposato due ragazzi del Sud con i quali abbiamo creato una famiglia. Siamo uniti. I nostri figli (io tre e mia sorella due) si amano.

Tutto questo è soltanto meraviglioso e dimostra che, ieri, oggi, e domani, l’incontro di mentalità e stili di vita diversi sono la fusione accrescitiva e colorita delle diverse culture.

Certamente, a volte, appare difficile conciliarle. Altre volte, alcuni aspetti appaiono davvero incomprensibili. Col tempo, però, e l’apertura mentale adeguata si possono superare.

Prima la barriera era solamente tra il Nord e il Sud del nostro paese.

Ora si sono aggiunte le varie culture degli immigrati provenienti da ogni parte e con ogni motivazione.

Insomma, la storia si ripete!

Ma io, grazie ai miei tre ragazzi, mi affaccio sui loro mondi, sui loro saperi a me sconosciuti.

Le loro amicizie sono varie e ognuna importante a proprio modo.

Penso che spetti a noi tutti favorire la loro integrazione facendo chiarezza sui nostri modi di vivere differenti dai loro originari. Ne riusciremmo tutti accresciuti.

È quello che sta succedendo ai nostri ragazzi che, provenendo da tutti i continenti, non sono condizionati, non sentono e percepiscono differenze gli uni con gli altri, si vogliono bene, si aiutano reciprocamente, giocano ed escono insieme.

Li vedo e percepisco la gioia della vita nelle sfumature dei suoi colori.

FIGLIA DI UN RAGAZZO DEL SUD è un racconto di Sara De Rosa

Della stessa autrice “POLVERE DI MAGIA”

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