FORTUNA . . . di Giorgia Spadavecchia (13 anni – terza media)
Francesco era un giovane soldato arruolato, per volere del destino, nell’esercito italiano, dopo un breve e improvvisato addestramento.
Era stato scelto, insieme ad altri ragazzi, per partecipare alla battaglia che, ancora non si sapeva, sarebbe stata una disfatta piena di morte e di paura; e che avrebbe segnato le sorti della guerra.
Arrivato davanti alla trincea, Francesco era diventato un blocco di ghiaccio. Le sue mani tremavano. I suoi occhi sembravano fissi nel nulla. Non voleva entrare. Si chiedeva se ne sarebbe mai uscito.
Gli affioravano alla mente le parole della madre che, triste ma fiduciosa, gli dava un bacio di addio; quelle di suo padre che, orgoglioso, gli donava il crocifisso dorato da mettere al collo; e i suoi due fratellini, innocenti e confusi.
Non poteva tirarsi indietro adesso. Avrebbe deluso tutti; tutti e soprattutto la patria; anche se non sapeva ben dire chi e cosa fosse questa “patria”.
Si ritrovò dentro senza neanche capire come avesse fatto, dentro una trincea e dentro un mondo che non capiva.
I giorni che seguirono passarono lenti e silenziosi. L’aria era satura di tensione e preoccupazione.
Nessuno parlava, neanche Francesco, che di solito era un ragazzo socievole e simpatico. Ora non si esprimeva, continuava a giocare con la catenina e a guardarsi intorno, forse in cerca di una via di fuga.
Francesco, per caso, era accanto a me. Anche io ero un ragazzo. Ero un ragazzo magro, con i capelli neri; ma della guerra sapevo fin troppo.
Ero stato spostato da una trincea all’altra, avevo combattuto molte volte senza essere mai stato ferito gravemente.
Di divise ne avevo conosciute; ma lui aveva attirato la mia attenzione per i modi cortesi e discreti.
Aveva poco del soldato.
Avremmo dovuto attaccare quel pomeriggio.
Francesco d’un tratto era diventato pallido e sudava. Riuscivo a sentire il suo cuore battere fortissimo; respirava affannosamente; e cercava, con il suo solito sguardo vuoto, di raccogliere nella testa idee e parole da scrivere in una lettera.
Iniziava e si fermava per poi riprendere.
Probabilmente si sentiva solo come tutti noi. Aveva paura, e pensava come quella stupida guerra gli avrebbe fatto perdere la vita. In fondo non aveva vissuto nulla. C’erano ancora un sacco di cose che avrebbe voluto fare. Aveva solo 19 anni, non si era innamorato, non aveva neanche sognato abbastanza.
Si sentirono in lontananza ufficiali gridare e dettare ordini.
I soldati, che erano distesi, si alzarono e, quelli che erano stati scelti per la prima linea, dopo aver fatto un respiro profondo, uscirono.
Si mescolarono spari, grida e feriti.
Tutto il resto taceva.
Nell’aria non c’era neanche più quel senso di nostalgia e paura.
Tutti, nel tentativo di sopravvivere, compivano gesti disperati e io, che stavo avanzando calpestando ciò che non avevo il coraggio di guardare, vidi il corpo di Francesco a terra, privo di vita.
Nell’aria, un foglio stropicciato portato dal vento che non sarebbe mai arrivato a destinazione.
Solo tre parole: “E se domani…”, dal significato incerto ma profondo che dicevano poco ma allo stesso tempo troppo sulla storia di Francesco che solo io, il suo compagno di trincea, conosco veramente.
Ma non c’era tempo per tutto questo, continuai ad avanzare ringraziando la mia solita fortuna.
Fortuna è un racconto di Giorgia Spadavecchia