IL CORSO DI SCRITTURA di Guido Rella

Violetta era la mia compagna di banco a un consesso letterario al quale mi ero iscritto per migliorare la mia tecnica di scrittura.

Sin da piccolo avevo ceduto all’impulso di scrivere poesie e favole per bambini e ragazzi. Crescendo, avevo abbandonato le favole e mi ero accostato al racconto breve, quello che si scrive in un paio di ore o in un paio di giorni e che il lettore può leggere in pochi minuti, venti al massimo.

I miei libri erano tutti raccolte di racconti brevi, tenuti insieme da un filo conduttore, che poteva essere un sentimento, una biografia, un luogo geografico, oppure una situazione temporale.

Violetta recepiva l’incipit assegnato e iniziava a scrivere, ma sovente si fermava, in preda alla insicurezza di non aver elaborato qualcosa di interessante. Il giudizio del lettore è importante per uno scrittore, ma il primo critico, è lo scrittore stesso.

 Il corso di scrittura era durato tre giorni.

Violetta aveva prodotto una pila di fogli piena di cancellature e correzioni. Io avevo fatto altrettanto. I docenti, comunque, restituendoci le cartelline con i fogli impilati, colmi di suggerimenti in rosso, avevano apprezzato i nostri lavori.

Era inevitabile che dopo tre giorni seduti allo stesso banco, ci fossimo scambiati pareri, opinioni, suggerimenti e consigli. Non eravamo diventati precisamente amici, ma avevamo fatto una conoscenza più ampia e profonda di due persone normali.

Gli interessi comuni tendono a unire due, oppure un gruppo di persone. Ecco, con gli altri partecipanti al corso, era stato così: uniti fino alla condivisione di un interesse; con Violetta, invece, data la vicinanza obbligata per volere del destino, era nato qualcosa in più. Ci eravamo scambiati il numero di telefono, assieme alla promessa di chiamarci di tanto in tanto.

Per diverse settimane non avevo ricevuto nessuna sua chiamata, ma a dire il vero, nemmeno io avevo avuto il pensiero di inviarle un messaggio. Non conoscevo le sue motivazioni; le mie erano dovute agli impegni di lavoro, al non sapere di cosa parlare, ma soprattutto perché in quel periodo non avevo scritto nessuno rigo da sottoporle per una lettura critica.

L’ estate era esplosa d’improvviso, con delle temperature alte di giorno, insopportabili di notte.

Non avevo la forza, né gli spunti per scrivere qualcosa. Gli inviti a partecipare a concorsi di narrativa e di poesia arrivavano con la posta elettronica, ma li cancellavo ancor prima di leggere il bando. Arrivavano anche le proposte di pubblicazione, ma gli editori formulavano richieste economiche insostenibili.

Il cestino della mia casella di posta elettronica si riempiva ogni giorno e una volta a settimana la svuotavo. Qualche editore insistente era finito nella lista delle spam, assieme a quelle associazioni letterarie che bandivano concorsi letterari con quota di partecipazione esagerata.

Non avevo bisogno di comprare un attestato di partecipazione, una pergamena con una menzione di merito, oppure una medaglia con inciso il mio nome. Mi bastavano i premi che già possedevo, ritirati nei concorsi ai quali avevo partecipato da ragazzo, quando l’inesperienza aveva la meglio sulla reale conoscenza del perché si bandissero i concorsi letterari. Avevo fatto quel passaggio anche io, ma da diversi anni avevo smesso di parteciparvi.

Violetta si era fatta sentire con un messaggio che, in effetti, era la locandina di un corso di scrittura, accompagnato da una sola parola e un punto interrogativo: “Partecipiamo?”

Si trattava di un corso di scrittura tenuto da due giornalisti famosi che lavoravano anche in Rai. L’ unica cosa interessante era la location: un villaggio turistico a Rivisondoli. C’erano anche un paio di foto del posto, nelle quali si vedevano delle casette di legno, accanto a un bosco e a un lago, con tanto di vialetti alberati che convergevano verso una piscina di grandi dimensioni.

Il posto era invitante. I

 giorni nei quali si tenevano le lezioni coincidevano con i miei giorni di libertà dal lavoro. La quota di iscrizione era la sola cosa che non mi piaceva.

A quel punto dovetti prendere una decisione e rispondere a Violetta. Le comunicai che la proposta era interessante, ma la quota di iscrizione era onerosa per me.

Lei mi inviò una faccina con la lacrima. Le dispiaceva il mio rifiuto. Non volevo deluderla, ma allo stesso tempo non volevo investire la cifra per il corso. Avevo altre idee per quell’estate.

Violetta insisteva. Io tentennavo.

Forse lei aveva intuito che con una proposta diversa, avrebbe avuto il compagno che aveva scelto per quella avventura e me la fece.

Condividendo lo stesso villino, avremmo risparmiato entrambi. Il villino per quattro persone, con due camere separate, consentiva un congruo risparmio.

Promise che non avrebbe occupato il bagno oltre il tempo consentito a una civile coabitazione. Si offrì di cucinare per entrambi, naturalmente preparando anche la colazione. La ebbe vinta. Diedi il mio assenso e lei prenotò.

Caricai la mia valigia, il computer e le cose che mi sarebbero potute servire in quei tre giorni e andai a prenderla sotto a casa sua.

Lei scese accompagnata dalla mamma, con due valigie, un beauty case, uno zainetto, la borsa con il pc portatile e un cappello di paglia a falde larghe.

Il portabagagli si riempì totalmente, ma non era finita. Spuntò anche suo padre con una borsa termica, contenente acqua minerale e bibite varie, per affrontare meglio il viaggio. Con una sola sosta tecnica per una pipì, raggiungemmo il villaggio con sole tre ore scarse di viaggio. Avevamo trovato traffico solo nel tratto di autostrada intorno a Napoli.

Una volta fatto il check-in e ritirato la cartella con gli incipit per i racconti da scrivere e i vari gadget in omaggio, ci siamo recati in piscina per un momento rilassante e rinfrescante.

Con un’occhiata in giro, avevamo capito che i partecipanti erano circa un centinaio. Non immaginavo che ci fosse tanta partecipazione a un corso di scrittura. Probabilmente aveva giocato un ruolo a favore il periodo e il posto.

Avevo dato un’occhiata alla cartella dei compiti. Il mio incipit riguardava le montagne che ci circondavano e le acque limpide del lago. L’ altro assegno era comporre una poesia d’ amore.

Violetta non volle dirmi nulla circa i suoi compiti, però la vedevo preoccupata.

Al ristorante del villaggio comprammo due piatti pronti da consumare nella casetta, dopo la doccia e la sistemazione dei bagagli.

La chiave portava il numero 6, un numero che non era mai stato indicativo per me. Quando giocavo a calcio, avevo la maglia numero 7; a scuola ero il numero 17 del registro; ero nato il 3 di luglio; il giorno 1 di giugno era stato il mio inizio di carriera professionale. Il 6 non indicava nulla, non mi apparteneva.

Fuori al giardino c’erano delle sedie a sdraio, un tavolo ovale con quattro sedie di plastica verde, un ombrellone e un barbecue di pietra. L’ ombra fatta dai pini era abbastanza sufficiente per coprire quasi l’intera piazzola. Non era necessario aprire l’ombrellone.

Mentre Violetta armeggiava con la moka, mi accomodai al tavolo e iniziai a scrivere.

La poesia d’amore mi venne facile. Mi ero invaghito di Eleonora, la cassiera del supermercato dove ero solito fare la spesa. Eravamo usciti insieme qualche volta e le avevo fatto capire che mi interessava, anzi, che mi piaceva. A Eleonora piaceva la mia compagnia, ma non si sentiva di iniziare una relazione con me, non era pronta.

Un poco mi pentivo di stare con Violetta in quello chalet, sia pure per un corso di scrittura. In fondo, quella era una vacanza di tre giorni. A parti invertite, io non sarei stato contento di sapere che Eleonora avesse condiviso una casetta sul lago, seppure si fosse trattato di lavoro.

Mi era venuta di getto e mi piaceva. La inviai a Eleonora, sperando che mi perdonasse per essermi allontanato con un’altra donna.

La risposta di Eleonora fu una semplice parola: bella.

Non la aveva fatta sua. Di sicuro aveva capito che era dedicata a lei, ma non le aveva lasciato nulla. Lei non provava per me il sentimento che io provavo per lei.

Violetta si avvicinò con le tazzine del caffè e si accorse che io ero sovrappensiero. Mi guardò con aria indagatrice, ma non mi domandò nulla. Si sedette di fronte a me e prese a scrivere anch’essa.

Nei loro chalet, anche gli altri partecipanti erano impegnati a scrivere racconti e a comporre poesie. Ogni sera, prima di cena, sarebbero passati i giornalisti per raccogliere gli elaborati. Non li invidiavo.

Avrebbero trascorso la notte a leggere e a correggere i nostri lavori. Quasi sicuramente avevano altri collaboratori che li aiutavano nelle correzioni, degli editor ai quali lasciavano un piccolo contributo economico.

Alle diciannove in punto vennero a ritirare le cartelline e a consegnarcene delle nuove, con altri due compiti: un racconto di cinquemila caratteri e una poesia in rima baciata a tema libero.

La cena si compose di una pizza e una birra, seguita da un gelato.

La sera, l’aria era più fresca e per stare in giardino, ci voleva una magliettina di cotone sulle spalle. Il cielo stellato di luglio era bellissimo. In città, con le luci delle strade e dei negozi, era impossibile vedere le stelle. Il lago rifletteva la luna. Era un paesaggio molto romantico. Lanciai un pensiero a Eleonora. Le inviai il messaggio della buonanotte. Non ricevetti risposta.

Violetta mi chiese se potesse usare il bagno per prima.

Glielo concessi. Non ne avevo necessità. Restai ancora un po’ in giardino, con la compagnia delle cicale e di un paio di rospi.

Era bello stare lì.

Riuscivo a concentrarmi su ogni piccolo rumore e a fare dei ragionamenti con me stesso. Cadde una pigna dall’albero e passarono tre lucertole. Dal laghetto saltò fuori una trota e un cane abbaiò un paio di volte.

Violetta cacciò fuori la testa dalla finestra per avvertirmi che il bagno era libero.

Dopo la doccia, vidi che la porta della sua camera era accostata e c’era la luce accesa. Bussai per darle la buonanotte e la vidi che stava scrivendo.

Le chiesi di cosa stesse raccontando e lei mi invitò a entrare. Si mise da un lato del letto e mi fece segno con la mano, battendo sulla parte libera per farmi sedere.

Iniziò a leggere quello che aveva scritto. La storia parlava di un uomo che non riusciva a decidersi di dichiarare il suo amore a una donna. Si sentiva attratto da lei, ma anche da una sua amica. La paura di sbagliare donna lo angosciava e lui rimandava sempre la decisione, con l’inevitabile sofferenza del cuore.

L’ idea non era male e il racconto scorreva bene. Violetta aveva una bella voce e rispettava la punteggiatura da fine dicitrice. In genere uno scrittore non è mai bravo a leggere agli altri quello che ha scritto. Violetta sapeva farlo e per questo la invidiavo. Io non ero bravo a farlo.

Quando terminò di leggermi il suo componimento e avermi raccontato la sua idea di prosecuzione e chiusura, io mi alzai per andarmene in camera mia.

 Davanti alla sua porta fui fermato dalla sua voce.

Mi invitò a non essere timido e a dividere il letto con lei, se avessi voluto. La guardai titubante e dubbioso. Scelsi di dormire con lei.

Eleonora non avrebbe mai saputo che la avevo tradita, se quella notte di sesso senza amore, poteva definirsi tradimento.

Il professor Gianfranco Tajana, illustre istologo, ci aveva spiegato che le cellule tumorali avevano perso l’inibizione da contatto e a differenza delle cellule normali, continuavano a dividersi e moltiplicarsi, costituendo delle masse tumorali.

Violetta aveva perso ogni forma di inibizione. Al mattino, al risveglio, non aveva avuto più il timore di mostrarsi nuda e girava serenamente tra la cucina e la camera da letto.

Stava preparando la colazione e le cose che avrebbe dovuto indossare dopo, per la lezione sul discorso diretto e indiretto.

Nella luce soffusa della luna che entrava attraverso uno spiraglio della finestra aperta, non avevo avuto modo di apprezzare le sue fattezze. Era vero che ne avevo potuto toccare la consistenza e la morbidezza, ma alla luce del giorno e a figura intera, lo spettacolo era ben differente.

La mia situazione si stava complicando e non stavo facendo niente per rimediare. Eleonora stava di certo lavorando. Che avesse un pensiero per me non era scontato, ma che io ne avessi più di uno per lei era sicuro.

Nel frattempo, mi godevo il corpo di Violetta in tutta la sua esplosiva bellezza.

Stavo tradendo due donne contemporaneamente, oppure no? Eleonora non era la mia fidanzata e a Violetta non avevo promesso nulla. Dal punto di vista prettamente maschile, anzi maschilista, mi trovavo in una situazione invidiabile, ma non riuscivo a valutarne tutti i vantaggi.

Violetta mi invitò in cucina per la colazione. Sapeva preparare la tavola e il caffè, zuccherato in quantità giusta.

Ebbi il piacere di apprezzare il modo particolare con cui sapeva spalmare la Nutella e ancor di più come la mangiava. Mi occorse una doccia con abbondante schiuma per eliminare i residui grassi. Il resto, i residui nel cervello, quelli l’acqua non li riusciva a eliminare.

Violetta era una donna che serbava molte sorprese. Cominciai a pensare che l’invito al corso di scrittura fosse stato una scusa per stare con me. Forse ero vittima di un disegno bel progettato, però la tortura a cui mi sottoponeva Violetta, in un certo senso, mi piaceva.

La lezione sul discorso diretto e indiretto era stata piacevole.

La lingua italiana è una delle più belle, ma è piena di regole e di segni ortografici. Nei discorsi diretti si possono usare le virgolette, il doppio segno di minore all’apertura e il doppio segno di maggiore alla chiusura, oppure i trattini, ma se si vuole includere un inciso in un discorso, le virgolette sono il segno ortografico da preferire. Per certi versi è meglio usare il discorso indiretto, purché si rispettino i tempi al passato; per altri versi, il discorso diretto arriva più rapidamente al lettore. Io, personalmente, preferisco il discorso diretto, con i due punti, le virgolette e il punto di termine discorso alla fine. Le indicazioni su chi parla, le scrivo dopo e siccome c’è il punto prima, inizio con la maiuscola, poi punto e a capo.

“Ti sta piacendo il corso di scrittura?” Chiese Violetta.

“Ti sei pentito di essere venuto con me?” Aggiunse, prima che rispondessi alla prima domanda.

“C’è sempre qualcosa da imparare e qualcosa da ripetere. La lingua italiana è difficile.” Risposi io, temporeggiando a dare la risposta alla seconda domanda.

“E di me cosa pensi?” Sparò la domanda, abbracciandomi e porgendomi le sue labbra.

“Di te penso che, oltre a essere stata una sorpresa, aggiungo che dovremmo affrontare un lungo discorso, ma dopo, in un altro momento.” Precisai.

La presi e la portai sul letto ancora sgualcito, possedendola con ardore.

Violetta era serena, allegra e partecipava attivamente alle lezioni. Scriveva più spigliatamente, senza tutte le cancellature che avevano caratterizzato il suo primo lavoro.

Io, invece no. In preda al blocco dello scrittore, non riuscivo a mettere sul foglio tre parole in fila. Le uniche due parole scritte erano; Eleonora; Violetta.

Non mi si presentò il problema della scelta se dormire in camera mia, oppure insieme a lei, perché Violetta decise per me.

Avrei potuto impormi e andare a dormire nel mio letto, ma quando la vidi uscire nuda dal bagno e infilarsi sotto il lenzuolo, non seppi resistere al richiamo della carne. Non sI vive di solo pane.

Violetta aveva acceso il climatizzatore, impostandolo a venti gradi. Il lenzuolo ci voleva. Era inutile andare a letto con qualcosa addosso. Violetta nuda aveva dato l’incipit per quella notte, così come ci assegnavano gli incipit per scrivere i racconti. Mi sorprendeva il fatto che lei non avesse affrontato l’argomento dal titolo:

“E adesso che facciamo? Ci consideriamo sempre amici, oppure…”

A lezione avevamo parlato anche dei punti sospensivi. Essi servivano per non scrivere cose ovvie, cose delle quali non si sapeva bene, cose che non si potevano scrivere perché offensive o volgare, oppure per lasciare un dubbio. Era inutile eccedere sul numero dei punti. Erano tre e basta e dopo si ricominciava con la lettera maiuscola. In un discorso, era conveniente, ma non obbligatorio, andare a capo per riprendere con un nuovo periodo.

In camera c’era il televisore, ma fino a quel momento non era stato mai acceso. Avevamo parlato, avevamo letto le cose scritte, avevamo fatto altro prima di dormire. Il televisore non ci era servito, anzi, credo che avrebbe solo disturbato.

Violetta venne vicino, si passò il braccio destro sotto il collo, poggiò la testa sul mio petto e la gamba allacciò le mie, in una morsa di protezione, o forse di possesso.

Era dolce, morbida, fresca e bella. Come potevo sottrarmi a quel punto?

Eleonora si era fatta sentire con un paio di messaggi ai quali avevo risposto sinteticamente. Sentiva la mia mancanza? Non lo sapevo. Lo speravo, però.

Al mio ritorno le avrei dovuto raccontare tutto? No, assolutamente no, sarebbe stato un grave errore. Non sapevo come poteva andare a finire la storia con Violetta; mancava ancora una notte e un giorno alla conclusione del corso di scrittura. Per una volta, almeno quella volta, mi conveniva vestire i panni dell’attendista. Almeno quei panni ipotetici li potevo portare, considerato che fino a quel momento ero stato più nudo che vestito.

Se l’avessi previsto, mi sarei portato una valigia più leggera. Per un attimo mi lasciai andare a un sorriso, totalmente dedicato a me.

Pensavo a desideravo Eleonora, invece stavo abbracciato a Violetta, con la quale a breve avrei consumato un amplesso. Che bello stronzo, permettetemi il francesismo!

Non mi ero sbagliato. Violetta mi sedusse, mi accese e poi mi spense, in un grido voluttuoso di soddisfazione. Il bacio della buonanotte chiuse il sipario su di noi, che cademmo in un sonno profondo e ristoratore.

Il pino che stava nell’angolo del giardino del nostro chalet filtrava il sole. La sdraio stava all’ombra ed era un buon posto per godersi la fresca aria del primo mattino. Violetta non mi aveva sentito uscire. Io avevo bisogno di recuperare le attività cognitive, prima di ripartire con le lezioni conclusive del corso di scrittura. La stretta vicinanza con Violetta di quei giorni aveva prodotto un turbine di emozioni che avevano portato dei cambiamenti radicali nella mia vita.

Io continuavo a pensare a Eleonora. Non la avevo cancellata, ma solo messa in un angolo nei momenti di sesso con Violetta. Quella era l’unica certezza che avevo formulato. Con Violetta era solo sesso appagante, molto lontano da un rapporto sentimentale. Se volevo stare con Eleonora, significava che Violetta era soltanto un corpo dal quale prendere pozioni abbondanti di carnalità. Il cuore aveva delle motivazioni che facevano solo rima con la parola ragioni, ma per il resto restavano incomprensibili.

Mi raggiunse la voce di Violetta che mi aveva chiamato.

Ritornai nella casetta per vedere se avesse avuto bisogno di qualcosa.

“Che brutta esperienza mi hai fatto vivere. Ho allungato la mano e ho trovato il tuo posto vuoto. Ho avuto la sensazione di solitudine, che mi avessi lasciata.” Confessò Violetta con la voce da gattina ferita.

Era una cosa che complicava di molto la mia posizione. Violetta si era innamorata di me? Mi considerava suo? Si era fidanzata con me senza nemmeno chiedere la mia volontà? Ci volevano almeno due tazze di caffè forte.

“Violetta cara, prima che accada l’inevitabile e comunque prima di inoltrarci in una strada pericolosa, è meglio chiarire la situazione. Eravamo venuti qui per migliorare il nostro modo di scrittura. Era una scuola e basta. La nostra convivenza ha preso tutta un’altra piega e la cosa ci è sfuggita di mano. Non comprendere male. Tu sei una bella donna, intelligente e piacevole compagna della quale ho potuto anche apprezzare la femminilità e le qualità messaliniche. Io, però, ho nel cuore un’altra donna che ho già tradito abbastanza. Non sono innamorato di te, pur avendoci fatto sesso. Ecco, quello che c’è stato tra di noi in questi giorni va considerato per quello che abbiamo sentito. Io ho provato per te semplicemente piacere carnale. Mi dispiace di averti dato una impressione diversa e di avere approfittato del tuo corpo.”

Dissi tutto di filato, con il timore che Violetta mi interrompesse.

“Lo avevo intuito, poi guardandoti negli occhi, lo avevo capito prima che me lo confessassi. Io non sono pentita di quello che abbiamo fatto. Non sono pentita di quello che ti ho dato e di quello che ho preso. Non sono pentita di avere vissuto questa esperienza.” Disse Violetta.

“Non sai che peso mi togli. Sei e sarai una cara amica, una cara compagna di penna.” Aggiunsi.

“Siamo diventati abbastanza intimi per poterci dire ogni cosa. Quando vorrai qualcosa di più, io ci sarò.” Precisò Violetta, alzandosi dal letto e regalandomi la vista del suo meraviglioso corpo nudo.

Non mi sembrava amareggiata o triste. Violetta aveva messo in bilancio anche questo. Lei era partita per fare il corso di scrittura, poi si era lasciata coinvolgere in altro, forse non previsto, non pianificato, ma non per questo non immaginato. Io, comunque, mi sentivo più leggero.

Inviai un messaggio a Eleonora con la notifica che avvertivo la sua mancanza.

La riposta arrivò dopo qualche minuto e mi rese felice. Si dichiarava contenta della mia esternazione e aspettava il mio ritorno. Aggiunse che desiderava mangiare una pizza in mia compagnia.

Quella sera ci consegnarono gli attestati di partecipazione e organizzarono un rinfresco di saluto. Con le bollicine di uno spumante italiano, Violetta volle fare un brindisi a noi, alla amicizia sincera, alla speranza di poter ripetere quella esperienza. Mi venne spontaneo darle un bacio sulle labbra.

“Così mi piaci.” Asserì Violetta.

“Anche a me piacciono le tue labbra.” Dissi prima di mandare giù con un sorso solo il contenuto del flûte.

“Dormiamo insieme l’ultima volta?” Propose Violetta quando rientrammo nello chalet.

“Sì. Io dormo a destra. Ci guardiamo un film alla tv?” Chiesi a mia volta.

“Se mi tieni abbracciata, faccio con te qualsiasi cosa.” Disse Violetta.

I saluti hanno sempre un velo di malinconia, ma Violetta e io non ci stavamo lasciando per sempre. Avevamo rafforzato la nostra precedente intesa e trasformato la nostra amicizia in qualcosa di più.

Eleonora era bellissima e elegantissima. Seduti al tavolo in attesa delle pizze ordinate, ortolana per lei, capricciosa per me, allungai la mano e le presi la sua.

“Mi sono innamorato di te.” Le dissi guardandola negli occhi.

“Lo sapevo. Secondo te, perché sono qui?” Rispose Eleonora.

Su di noi calò il silenzio. Quello che accadeva intorno non ci sfiorava nemmeno. Era bello stare fermi a guardarci, tanto stavamo parlando con il potere della telepatia.

Lei mi raccontava che avrebbe voluto che tutto quello che stava accadendo, fosse successo prima, ma aveva paura di commettere un errore; io le comunicavo che non avevo mai smesso di pensarla e che quello era il tempo più bello che avessi mai vissuto.

Gli altri clienti della pizzeria erano testimoni inconsapevoli del nostro amore che stava nascendo, così come la luna che spuntava da dietro le montagne.

Il cameriere si era avvicinato al tavolo con i piatti larghi nelle mani, ma non voleva interrompere quel momento magico, disturbandoci nel servirli in tavola.

Le pizze potevano aspettare.

Le nostre bocche non potevano aspettare e iniziarono a baciarsi.

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