IL DESTINO DELL’EROE di Massimo Bencivenga

Zeus stava accarezzando languidamente la spalla di Metide, quando fu percorso da un brivido.

Il Padre degli dèi si allontanò dall’Oceanina. Lo fece a malincuore, dal momento che quella pelle, dalla tessitura così fine e dall’odore così sensuale, era stata la causa del primo serio litigio con Era.

Zeus capì la ragione della scarica: qualcosa gli era stato strappato, per sempre.
O forse no.

Ancora nudo, il Re dell’Olimpo chiamò a gran voce le sorelle.

«Non possiamo cambiare le cose» disse Lachesi al capo degli dèi.
«Proprio no», le fece eco Atropo.

«Vi scongiuro», piagnucolò Zeus, «Eracle ha patito tanto per colpa mia, per via del fatto che rappresentava la prova vivente delle mia infedeltà.»

«Come se fosse l’unica prova», sospirò ironica Lachesi. «Che poi, davvero, non si capisce il perché di questo accanimento di Hera nei suoi confronti.»

«Cara sorella, l’Ade non conosce la furia di una donna respinta e offesa», ribatté Atropo.

«Vieni da noi parlando di Eracle al passato, o Re dell’Olimpo, ben consapevole che ciò che Ananke stabilisce e l’Oracolo profetizza è ineluttabile», affermò Atropo.

«Può essere posticipato, in qualche caso», Cloto parlò per la prima volta alzandosi dal fuso e trasformandosi, mentre si accingeva a raccogliere per terra un filo reciso, nella giovane e avvenente bionda che era stata in gioventù, quando non era ancora intenta a tessere i destini del mondo.

«E questo è uno di quei casi», continuò Cloto riannodando il filo della vita di Eracle che Atropo aveva reciso.

«Fai presto, Padre degli dèi», concluse civettuola, attirandosi le occhiatacce di Atropo e Lachesi.

Zeus li aveva convocati.

E adesso erano lì, raccolti e intenti, ognuno preso e compreso in mille pensieri, Demetra con le Moire, Afrodite e Ares, Apollo e Artemide, nel momento in cui Hera entrò nella fucina di Efesto tuonando:

«Fermi tutti, quello che state facendo è una grave violazione all’ordine delle cose».

Gli automi al servizio di Efesto non si fermarono affatto, ma gli altri, dèi e semidei, si pietrificarono: non si sfida impunemente la Regina dell’Olimpo.

«Non c’è nessuna violazione, Signora dell’Olimpo», le rispose Cloto, calcando ironicamente la parola Signora e trasformandosi, per far dispetto alla moglie di Zeus, nell’avvenente fanciulla corteggiata invano da tutti gli dèi.

«È tutto regolare. Abbiamo già spiegato le cose a Zeus e agli altri, e non abbiamo tempo né voglia di spiegarlo anche a te.» Sfrontata, adesso, non solo bella, Cloto.
La replica della Moira spezzò la paralisi, ognuno ritornò ai propri pensieri e alle proprie attività.
«Mi appellerò ad Ananke. Poi vedremo», le rispose sprezzante, e schiumando rabbia, Hera.
La moglie di Zeus si avvicinò alla capsula trasparente intorno alla quale trafficavano gli automi di Efesto, mentre Igea e Panacea, Iaso e Podalirio, si avvicendavano sul corpo esanime di Eracle.

Hera afferrò un automa e lo scagliò nella fornace.

«Madre, ti prego…», cominciò a dire Efesto.

«Madre? Avrei dovuto assicurarmi della tua morte misero sgorbio. Quando il paparino chiama, lo storpio risponde presente. In cambio di cosa? Del pubblico ludibrio! Guarda lì, c’è Afrodite, nella tua fucina, mano nella mano con Ares. Non era stata assegnata a te, stupido che non sei altro?»

«Hera, adesso basta», tuonò Zeus. Il corpo del Dio sembrò aumentare di intensità e di calore mentre scariche elettriche crepitavano intorno alla sua epidermide.

«Zeus, a te non interessa affatto difendere Efesto, della cui paternità peraltro non sei affatto sicuro. No, tu difendi lo storpio perché il suo lavoro è essenziale in questa inosservanza delle regole che state compiendo.»

Hera si voltò e sgusciò via in un baleno.

Nell’antro di Efesto, la tensione si sciolse e tutti tirarono un sospiro di sollievo. Zeus aveva salvato la faccia, ma s’incupì pensando al caratteraccio di Hera.

 Non era di quelle che minacciavano invano.

«Dove lo custodirai?», chiese Zeus a Efesto mentre toccava, con la mano destra ancora elettrizzata, il vetro speciale della capsula che avrebbe tenuto in sospensione, in attesa dell’antidoto al sangue del centauro, la vita del figlio prediletto di Zeus, Eroe tra gli eroi, semidio tra gli uomini.

«C’è una terra che si allunga nel grande mare prima dei confini del Mondo, c’è un bellissimo golfo e una montagna eruttante che Eracle già ben conosce dai tempi della fatica dei buoi. Lo nasconderò all’interno del monte, e farò in modo che la città lo glorifichi con il nome di Herculaneum», rispose l’artigiano degli dèi.

«Bene», riuscì a rispondere, nascondendo a fatica il groppo in gola, Zeus.

Questa volta, intorno alla capsula dell’eroe c’erano meno dèi.
Nel cuore di un Vesuvio sempre più instabile, Efesto aspettava il segnale di Zeus per svegliare Eracle.
«Apollo arriva o no?», chiese il Padre degli dèi ad Atena.
«Eccomi.» Una luce cominciò a fendere l’oscurità del luogo, anticipando l’ingresso del gemello di Artemide.
«Ce ne hai messo di tempo», disse Zeus osservando la divinità della fronda peneia.
«Son dovuto passare prima dalla madre delle muse.»
«Da Mnemosine? Per fare cosa?», chiese Zeus, pentendosi subito della domanda stupida, e scrutando l’ampolla verde che Apollo teneva nella mano destra.
«Procedo?», domandò Efesto.
Zeus annuì, e vide il figlio deforme premere un bottone.
Il vetro della capsula tremolò prima di aprirsi.
Eracle, tenuto fermo delle catene elettro-meccano-magiche inventate da Efesto, aprì gli occhi e gridò talmente forte che la roccia sembrò sul punto di creparsi. Igea piantò una siringa nel petto dell’eroe, mentre Iaso e Podalirio cominciarono a massaggiarne i possenti muscoli. Apollo si avvicinò a Eracle, gli prese la testa in modo amorevole e gli versò in bocca il liquido contenuto nell’ampolla.
Eracle sembrò calmarsi per un po’.
Poi cominciò a sussultare, scosso da spasmi che avrebbero spezzato la schiena a ogni umano.
Ma Eracle non era umano, non del tutto almeno.
«È normale tutto ciò?», chiese apprensivo Zeus.
Efesto lo guardò con il solito sguardo da cagnolino bastonato che metteva su quando si sforzava di compiacere il padre, poi scrollò le spalle.
«Possente Zeus, quello che stiamo facendo qui, per compiacere te e per amore di Eracle, rappresenta una primizia. Queste urla e questi spasmi dovrebbero essere normali: c’è una lotta feroce dentro il nostro caro Eracle», rispose Igea. «Dentro di lui la linfa vitale sta lottando contro il liquame della morte. La lotta è dura, ma Eracle tornerà a calcare la Terra, per andare oltre le Colonne erette dall’Eroe tante clessidre fa», aggiunse sospirando la dea della salute.
«È proprio necessario?», domandò Zeus
«Cosa?», chiese Igea.
«Che vada lontano dall’Olimpo e da questo vulcano?», precisò Zeus. 
Apollo intervenne:

«Zeus, le Moire hanno fatto uno strappo». Il poliedrico Dio delle arti e, nel suo lato più oscuro, anche delle pestilenze, venerato nell’Iperboreo come divinità belluina, si fermò un attimo, forse soppesando e sorridendo dell’involontaria battuta appena pronunciata, prima di aggiungere: «In cambio, come ben sai, hanno chiesto delle garanzie e delle concessioni».  
«Ma quella parte del mondo è sotto la sfera d’influenza di Hera e Poseidone, che non l’hanno mai troppo digerito.» 
Apollo scrollò le spalle.
Zeus sentì Eracle cacciare un altro urlo terribile, poi lo vide chetarsi. Gli istanti successivi, con il respiro dell’eroe che da affannoso divenne normale, parvero eterni a Zeus.
Infine, l’Eroe aprì gli occhi, si guardò intorno con una luce smarrita negli occhi e, dopo secoli, gli Dèi sentirono di nuovo la sua voce.
«Dove mi trovo? Cosa mi è successo?», ruggì il Semidio.
Zeus interrogò con lo sguardo Apollo e, incoraggiato dal cenno di assenso del Dio delle arti, rispose: «Figlio mio, stavi per morire, ma siamo riusciti a salvarti appena in tempo, tenendoti in animazione sospesa». 
Eracle spalancò la bocca, stava per dire qualcosa, ma si trattenne: con ogni probabilità la pozione di Apollo stava cominciando a fare effetto, fornendo all’Eroe una serie di informazioni sul mondo. Zeus osservò il viso barbuto di Eracle distendersi in un leggero sorriso, seguito da una risata talmente tonante da far temere una possibile eruzione magmatica.
«Cosa ti diverte, Eracle?», domandò Apollo.
«Un po’ tutto! Questa è un’epoca incredibile! Questa storia degli Illuminati semidei rettiliani mi fa scompisciare. Mi fanno più pena di quelli che credevano in Nimrod e Gilgamesh. E poi ci sono altre cose divertenti.»
«Quali?», inquisì Zeus.
«Ercole. È davvero un nome divertente, come lo sono i film girati su di me. Così com’è divertente che ritengano Efesto una divinità ctonia. Roba da non credere.» 
Zeus abbracciò il figlio e pianse.
Piansero tutti, meno Efesto.

«E così devo andare oltre le rupi di Calpe e Abila?» chiese Eracle all’atletica divinità che gli aveva fatto da tutor dopo il Risveglio.
«È necessario», rispose Apollo, che con il cognome Rouvas era conosciuto nel mondo come uno stimato uomo d’affare cretese, frequentatore del jet-set e proprietario di team sportivi.
«La nostra famiglia è in fermento, Erebo ha provato a detronizzare Zeus e, sia pure a fatica, l’abbiamo ridotto a più miti consigli. Adesso le mie spie umane parlano di una alleanza tra Hera e Poseidone al largo del Costarica. Ti voglio lì come mio osservatore.»
«Perché io?», domandò l’eroe.
«Perché eri e sei il migliore», rispose Apollo senza guardarlo in faccia, gli occhi persi nella distesa blu del mediterraneo.

Eracle amava nuotare a dorso.
Questa tecnica gli consentiva di allontanarsi dall’isola senza rinunciare allo spettacolo di guardare quel blu così particolare miscelarsi in lontananza con il bianco incontaminato delle spiagge, prima di sfumare nel verde lussureggiante della vegetazione.
L’Isla de Coco appartiene alla Costa Rica, ma di fatto può essere annoverata tra le meraviglie del mondo, visto e considerato che questo Eden in mezzo al Pacifico è anche Sito Patrimonio dell’Umanità.
L’incanto e i colori, l’isolamento e la formazione vulcanica, hanno consentito la crescita e la formazione di una flora e di una fauna florida e variegata, capace di attrarre turisti e studiosi di piante e animali, endemici e non.
Non sempre docili.
La fauna marina dell’Isla del Coco è caratterizzata da un’ampia varietà di specie, ma in cima alla catena alimentare ci sono squali toro e squali martello.
Nuotare in quelle acque è bellissimo.
È pericoloso.
Perlomeno se non ti chiami Eracle; o se non sei in grado di aprire in due, a mani nude, uno squalo toro come aveva fatto in un paio di occasioni l’Eroe.
Quasi si fossero passati parola, gli squali si tenevano alla larga da Eracle.
Stanco di nuotare a dorso, Eracle passò allo stile libero.
E fu così che li vide.
A un quarto di miglio di distanza scorse un piccolo motoscafo.
Sembrava fermo.
Strinse gli occhi, e la super vista da Semidio gli permise di mettere a fuoco sul natante una donna quasi nuda che si dibatteva tra due uomini. Uno dei due rovesciò qualcosa sul corpo della donna, che poi venne catapultata in acqua.
I sensi sviluppati consentirono a Eracle di udire il grido di disperazione, le risate di scherno e l’olezzo di frattaglie e sangue.
Quella poveretta era stata marcata, gli squali avrebbero fiutato il sangue e sarebbero accorsi a frotte.
Eracle cominciò a nuotare velocemente verso la donna, e solo qualche volta, mentre copriva la distanza, alzò la testa per controllare la posizione.  
E che fosse ancora viva, perché le grida erano assordanti. L’imbarcazione, intanto, prendeva il largo.
Trovò la donna in preda allo shock. Eracle sentì opporre resistenza al suo tocco, perlomeno sinché non la costrinse a fissare i suoi occhi.
«Calmati, sono qui per aiutarti!» le disse.
Eracle si ritrovò a guardare dei bellissimi occhi verdi, spalancati e colmi di terrore.
La sentì annuire, ma subito dopo ridiventare isterica e gridare ossessivamente, come un cd difettoso: «Vattene via, salvati! Tra poco arriveranno gli squali. Va’ via e riferisci che Sandra Poll è stata ammazzata da quelli della Serapo.» 
Eracle le prese la testa tra le mani. Quel gesto inatteso sembrò calmarla.
«Andiamo a riva, sono un amico!», le ripeté.
Cominciarono a nuotare verso la spiaggia.
«Vattene via.» Eracle sentiva continuamente queste parole, la ragazza le ripeteva come un macabro mantra.
Il Figlio di Zeus avvertì una vibrazione.
Gli squali stavano arrivando.
«Continua a nuotare, a loro ci penso io.»
L’Eroe si tuffò in quell’universo blu.
Un branco di squali toro stava salendo, Eracle puntò il più vicino, diede una potente gambata e partì all’attacco.
Lo squalo saliva.
Il Semidio scendeva.
All’ultimo istante, Eracle deviò passando sotto il ventre dello squalo. In una frazione di secondo, dopo una rapida torsione, il Semidio affondò un poderoso pugno nel ventre dello squalo.
La mano di Eracle riemerse insieme alle interiora del predatore.
Mentre risaliva, Eracle vide gli squali avventarsi sul proprio simile e azzannarlo con ferocia.
Riemerse e fu contento di vedere quasi a riva la donna. La trovò nell’acqua bassa a lavarsi, cercando di togliersi di dosso quella schifezza, ma forse anche qualche brutta esperienza.
«Io sono Rick, tu come hai detto che ti chiami?»
Lei affondò ancora di più nell’acqua. Era seminuda.
«Non è che avresti anche una maglietta da prestarmi?», rispose.

Il rifugio di Eracle/Rick si trovava in una splendida insenatura, e la casetta, a pochi metri dal mare, dovette sembrare stramba a Sandra.
«Tu vivi qui!», chiese con fare divertito.
«Sì.»
«E che fai?»
«Aspetto il nemico.»
«Come Drogo?»
«Non lo conosco.»
«Lascia perdere. Sei alto, muscoloso come Mister America, castano con barba rossa. Proprio il classico costaricano.»
«Lo stesso potrei dire di te. Ragazze bionde ne ho viste poche da queste parti.»
«Mio padre era un uomo d’affari svizzero.»
«E mio padre è originario della Grecia.»
Entrarono e si fermarono sulla bassa veranda, a osservare il delicato gioco di luci che l’oceano, con la complicità del sole, sapeva mettere in scena.
«Che volevano da te?» domandò Eracle/Rick, andando ad affrontare l’argomento che era lì, sospeso tra loro, e che sino a quel momento nessuno aveva messo in gioco.
Sandra sospirò.
«Allora?», la incoraggiò.
«Sono una giornalista investigativa.»
«E…»
«E ci sono cose che non quadrano intorno allo yacht Sherapo e a Gekas, il proprietario.»
«Sarebbe a dire?»
«Chi entra in contrasto con quella gente, sparisce. Semplicemente. Attraverso un mio contatto sono riuscita ad avere una intervista.»
«Ma qualcosa è andato storto.»
Lei non rispose.
«Sandra?»
«L’intervista era una scusa. Volevo chiedere di Diego.»
«E sarebbe?»
«Diego Acosta, lui era…», si portò le mani alla faccia.
«Era mio cugino», disse in un soffio. «E io l’ho mandato a morire per me. Per uno scoop.»
«Spiegati meglio», la esortò Eracle/Rick.
Sandra tirò su col naso, prima di aggiungere: «Gli parlai dei miei sospetti, e a lui non gli parve vero di poter partecipare in prima persona a una indagine del genere. Si fece assumere. All’inizio mi telefonava regolarmente, poi più nulla». 
«E che ti hanno detto!»
«Che s’è licenziato.»
«Non può essere?»
«È stato ucciso.»
«Hai le prove?», chiese Eracle/Rick passandole un rinfrescante succo di frutta.
Ne bevve una lunga sorsata, lo guardò negli occhi e disse: «Sì e no. Sì, perché uno di quei porci aveva al collo il ciondolo con la tartaruga che regalai a Diego per il compleanno, e dal quale mai si sarebbe liberato; e no, non ho prove perché nessuno crederebbe a una storia del genere».  
«Io sì», rispose incupito. «Dopotutto, non servono prove. Non dopo aver visto ciò che volevano farti.»

Rick fece strada verso un capanno poco distante e, dopo aver armeggiato con la serratura, mostrò a Sandra un mezzo subacqueo avveniristico.
«La ditta per la quale lavoro mi offre il meglio del meglio», esordì Rick, ringraziando mentalmente le Rouvas Industries per avergli dato in dotazione un veicolo veloce, silenzioso e armato di tutto punto.
«Stanotte andremo a caccia», disse Rick guardando negli occhi Sandra. Per un attimo gli parve di scorgere della paura in lei, ma fu solo un attimo, perché fu poi lui ad essere sorpreso dal delicato tocco delle sue labbra.
Rick si ritrasse e lei si scusò.
L’incanto s’era rotto.
Verso le ventidue, il silenzioso veicolo subacqueo, che l’Eroe guidava stando bocconi e attraverso un collegamento neurale, entrò nel raggio d’azione dello yacht.
Eracle lo portò sul pelo dell’acqua.
«Sganciamoci. Da qui in poi andremo a nuoto», disse Eracle passando a Sandra una bombola rebreather.
I due raggiunsero la parte posteriore dello yacht che troneggiava per solo mezzo metro sul livello dell’oceano.

Christian Baroni chiacchierava rilassato, insieme con Gonzalo Chavez e Roland LaForge, altri due veterani delle forze speciali, sul ponte dello yacht Sherapo, di proprietà di Panagiotis Gekas, l’uomo che, sventolando dollaroni, li aveva assoldati come contractor.
Erano militari addestrati e letali, non certo patrioti.
Davanti ai soldi del greco, i tre non impiegarono molto a fare qualche conto, e a voltare le spalle alla bandiera a stelle e strisce per abbracciare quella liberiana che campeggiava sullo yacht.
Molti soldi, poco onore.
Come se avesse bisogno di protezione, si ritrovò a pensare Baroni, ex Navy Seal.
A proteggere Gekas ci sono anche quelle cose.
Un brivido attraversò il mercenario.
Se l’avesse saputo prima non avrebbe accettato.
Il lavoro dei contractor era quello di proteggere, di chiudere gli occhi su traffici, umani e no, che non avrebbero tollerato da militari, e di avere pelo sullo stomaco per qualche operazione bagnata. Come quella compiuta qualche ora prima.
I sensi addestrati di Baroni udirono uno sciabordio sospetto, con un gesto zittì i compagni e si diresse verso la poppa dello yacht.

Eracle fece un cenno come a dire rimani qui a Sandra; quindi, si aggrappò alla dropping line che caratterizzava la poppa del panfilo. Mentre si avvicinavano all’imbarcazione, l’Eroe aveva avvertito come una morsa allo stomaco.
C’era davvero qualcosa di malvagio su quel gioiello del mare.
Stava pensando a questa sensazione quando si ritrovò davanti un uomo.
Anzi tre.

Sandra ignorò il suggerimento di Rick e cominciò ad issarsi a sua volta. Ciò che vide la lasciò senza parole. Con gli occhi sgranati dalla paura, e con la bocca aperta dallo stupore, Sandra vide la differenza tra soldati addestrati e qualcosa che… non poteva essere di questo mondo.
Sandra vide Eracle, non più Rick, in azione.
Lo vide schivare i colpi d’arma e saltare.
Colpire e stritolare.
Squartare e dilaniare.
Poi la sua paura aumentò e credette d’impazzire.
«Rick», urlò.
«Sandra, ti avevo detto che…»
«Rick… guarda… guarda là.» E fu sul punto di svenire.

L’Eroe seguì con lo sguardo la direzione indicata dal dito di Sandra e si trovò davanti un abominio.
«E tu da dove salti fuori?», chiese il figlio di Zeus alla creatura.
«Ti presento Dagon, l’uomo-pesce», disse una voce nuova.
Eracle si voltò e vide un uomo e una donna placidamente appoggiati al montante della porta d’ingresso degli alloggi. Gekas era basso e di mezza età, la donna era bionda e bellissima. In mano avevano due calici di champagne, il sangue e la morte degli uomini sembravano non tangerli affatto.
Una illuminazione colse il semidio.
Sherapo.
La sintesi di Hera e Poseidone.

Dagon appartiene a un altro universo, ma evidentemente l’hanno ingaggiato.
«Tu sei il servo umano di Era e Poseidone», affermò Eracle rivolto a Gekas, ben consapevole che la guerra privata di Sandra era diventata anche parte della sua mission.
«Dagon, fallo a pezzi», sibilò la donna.
Con Dagon era un’altra storia.
Non sarebbe stato semplice come con gli umani.
Eracle afferrò l’uomo pesce, ma le mani scivolarono sulle scaglie.
Dagon contrattaccò, abbracciò Eracle e cercò di buttarlo in mare.
Se cado in mare sono finito. Quello è l’elemento di Dagon.
Solo allora, Eracle di accorse che Dagon indossava una strana imbracatura, con due propaggini infilate nella gola.
Ma certo, ci sono!
Lottando per non farsi sbalzare, Eracle riuscì a infilare una mano dietro il braccio di Dagon.
Afferrò il filo e tirò.
Sentì Dagon urlare.
«L’aria è mortale per te, eh?», sghignazzò Eracle.
Dagon cercò di sgusciare via e di entrare in acqua, ma Eracle non si fece sorprendere. Lo agguantò e lo strinse tra sé e il parapetto per evitare che potesse scivolargli via.
La creatura lanciava urla agghiaccianti mentre cercava di liberarsi dalla stretta d’acciaio di Eracle. L’Eroe tenne duro, e a ogni secondo cominciò a sentire la creatura meno forte, meno furiosa.
Meno viva.
Eracle sentì Dagon afflosciarsi, come vela senza vento a tenderla, tra le braccia, ma per buona misura gli staccò la testa e la scagliò ai piedi della coppia.
«Adesso faremo una bella chiacchierata», sibilò Eracle.
«Non credo proprio.»
Eracle sentì di nuovo una strana morsa allo stomaco.
Qualcosa saliva dalle viscere dello yacht.
Dagon era un abominio, adesso aveva davanti l’orrore puro.
Un enorme serpente era sbucato dagli alloggi.
Aveva nove teste.
«Hera e Poseidone devono volerti bene Gekas, se ti hanno dato come scorta anche l’Hydra», ruggì Eracle all’indirizzo della coppia.
«Hahaha! Paura?», chiese divertita la donna. 
«Sandra, entra in acqua e vattene.» Quando si voltò, Eracle la vide a poppa, pietrificata dalla paura.
Il serpente si sollevò sulle spire e attaccò. Eracle fu morso al braccio, ma la superforza gli permise di tranciare la testa del serpente e di scagliarla in mare.
Davanti agli occhi di Eracle, la testa ricrebbe.
«Hahahaha.»
Ancora quella risata.
Il serpente attaccò ancora.
Per un interminabile minuto, Eracle, pur azzannato ripetutamente, era sempre riuscito a liberarsi e a dilaniare il serpente. Inutilmente però, dal momento che le teste e le membra ricrescevano.
Eracle si lasciò cadere in ginocchio.
Inutile.
Questa è la fine.
Conosco questa creatura, anche se non so spiegarmi il perché.
Poi ricordò.
«Ahahah.» La risata tonante di Eracle risuonò sullo yacht.
«Ridi perché sei impazzito, eroe?», lo sbeffeggiò la donna.
Eracle sfilò in un attimo la bombola dalle spalle di una intontita Sandra, poi cercò nelle tasche a tenuta stagna della muta della donna ciò gli occorreva.
Lo trovò.
Armato della bombola e di un accendino, Eracle lanciò un urlo belluino e si avventò sull’Hydra.
Lasciò uscire l’ossigeno dall’ugello della bombola e lo incendiò con la scintilla dell’accendino.
Adesso aveva un’arma mortale.
Eracle fu una furia.
Troncò e cauterizzò con il fuoco otto teste.
Poi schiacciò l’ultima testa staccata usando la bombola come un maglio.
Sporco di sangue e fuori di sé, Eracle si avventò sulla coppia, la cinse con le braccia possenti e spezzò simultaneamente la spina dorsale di entrambi.
Li lasciò cadere. I due s’afflosciarono, come spinnaker senza vento, ai piedi dell’Eroe, formando un’unica, grottesca figura.
«Uniti per sempre. Si dice così, o no?» ringhiò Eracle, prima di girarsi verso una spaventatissima Sandra.
Le doveva tante spiegazioni.
Si prospettava una lunga nottata.

Emersero dal tornante.
Due centauri, uno dietro l’altro.
Ruggivano affrontando la leggera salita.
Eracle/Rick era davanti, in sella alla sua MV Agusta Brutale; Sandra Poll, la sua fidanzata, lo seguiva a ruota montando la Ducati Monster.
La striscia d’asfalto segnava il limite tra il verde del parco e il blu sottostante del mare. 
Eracle guardò nello specchietto: stava distanziando la sua donna.
All’uscita dall’ennesimo tornante vide un camion che sbandava paurosamente, ora a destra, ora a sinistra.

«Non hanno trovato il corpo, forse c’è ancora speranza», cominciò a dire Zeus ad Apollo.
«No, possente Zeus. Stavolta no», rispose una voce rotta dalle lacrime.
Zeus e Apollo Rouvas si voltarono e si trovarono dinanzi Atropo.
In mano aveva un filo reciso.
«E anche la profezia dell’Oracolo è rispettata. Eracle è stato ucciso da un uomo morto: il camionista ha avuto in infarto», aggiunse Apollo.
«Ti sei servito di lui!», gli rispose indignato Zeus.
«Siamo in guerra, Zeus. E in guerra la prima vittima è la verità, lo sapevamo tutti che…»
Un grido salì dalla spiaggia.
Al Padre degli Dèi giunsero dolorosi e nitidi i singhiozzi della donna di Eracle, alla quale era rimasto come unico ricordo un ciondolo con la testa di Leone.
Le guance di Zeus si rigarono.
Atropo si affiancò al capo dell’Olimpo, lo abbracciò e piansero.
Insieme.
Alla fine, si unì anche Apollo.
E tutti piansero l’Eroe.

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