IL FANTASMA SPARTACO di Vito Della Bona
genere: FANTASY
-I-
“Sento dei rumori. È entrato qualcuno nell’appartamento al piano di sotto”, questo pensiero attraversò la mente del fantasma, che era intento a riposare dopo la lunga e impegnativa nottata.
“Possibile che siano venuti a vedere la casa. Non lo sanno che qui ci vivo io?”
In effetti qualcuno era entrato nella casa, una coppia, almeno così era sembrato al fantasma dalle voci che sentiva provenire dal piano inferiore, ed era accompagnata dal signore dell’agenzia immobiliare. Sì, proprio quello che qualche settimana prima aveva messo un bel cartello fuori dal portone con scritto:
Affittasi appartamento – prezzo interessante – contattare agenzia Delfino, via dei Cedri, 2.
Il fantasma non gli aveva dato molta importanza. Tutti sapevano che in quella casa “si sentiva”, ovvero c’erano i fantasmi e sicuramente sarebbe stato il solito buco nell’acqua.
Da anni il padrone cercava inutilmente di affittare la casa, ma nessuno si era mai presentato alle varie agenzie che avevano ricevuto il mandato. Anche quelli che non erano del posto venivano subito informati della situazione, ovvero che la casa era già abitata da qualcuno…!
Sì, il fantasma di nome Spartaco abitava nel solaio di quella casa da sempre, almeno così la gente ricordava e raccontava.
Ora, il fatto che il padrone avesse deciso di fare un ulteriore tentativo con la nuova agenzia appena aperta da questo novellino, così lo aveva subito battezzato Spartaco quando era venuto a visionare i locali, non aveva preoccupato minimamente il fantasma.
Spartaco pose l’orecchio sul pavimento del solaio per sentire meglio.
“La casa è completamente arredata. I mobili sono un po’ vecchi, ma tutti in buonissimo stato”, raccontava il novellino dell’agenzia. “Non manca proprio nulla delle cose essenziali. Vedete, qui ci sono anche pentole, padelle e tutto quanto serve in cucina.”
“Sì, ha ragione! Me ne sono subito resa conto, non sembra mancare proprio nulla per la conduzione della casa”, intervenne una voce femminile. “La cucina è molto ampia, con un bel lavandino.”
“Poi, avete una zona pranzo, due belle camere e un bagno, tutto arredato”, continuò il novellino, “non dovrete fare grandi spese per mettere su casa.”
“Sì, ci serve anche una camera per il bimbo”, disse la donna, “ora lo teniamo nel suo lettino accanto a noi, ma è bene che abbia una cameretta tutta sua.”
“È proprio quello che ci serve!”.
A parlare fu una giovane voce maschile.
“Non avete coinquilini”, diceva ancora il novellino. “Il piano inferiore è adibito a sartoria e c’è qualcuno a lavorare solo dal lunedì al venerdì, tra le otto e le diciotto. Poi, avete a disposizione la parte del giardino che va dalla casa fino al cancello, mentre il resto del parco è di pertinenza della villa padronale, che avete visto entrando là in fondo. E, soprattutto, tenete conto del costo dell’affitto, di cui vi ho già detto. Non troverete sicuramente nulla di più conveniente.”
“Ne sono convinto!” disse il giovane. “Ci hanno detto che qui non ci abitano da un bel po’ di tempo per via degli spiriti, ma io e mia moglie non siamo certo dei creduloni, vero cara? I fantasmi sono un puro prodotto della fantasia.”
“Certo caro!”, disse la donna. “Ci pensiamo un paio di giorni e poi le faremo sapere.”
“Benissimo!”, concluse il novellino, “allora possiamo anche andare; mi farete avere una risposta direttamente in agenzia.”
Spartaco sentì che la serratura di casa veniva richiusa e il rumore dei passi che dal ballatoio scendevano lungo la scala esterna.
“Ah! Questi non credono nei fantasmi! Ma che razza di gente c’è in giro”, disse Spartaco, ad alta voce. “Vuoi vedere che vengono proprio ad abitarci, ma se lo fanno se ne pentiranno amaramente e se ne andranno in tempi rapidi. Non voglio avere persone tra i piedi, mi danno fastidio. Devi fare sempre attenzione a non fare troppo rumore, soprattutto di notte. Sarebbe una vitaccia per me!”
E, così detto, si rimise nella sua comoda posizione supina, poggiò la mano destra sul petto e l’altra lungo il fianco, chiuse gli occhi e riprese il sonno che aveva interrotto.
-II-
Spartaco in quella casa ci abitava da qualche decennio.
In precedenza, aveva avuto un’abitazione molto più lussuosa e confortevole. Era vissuto per moltissimi anni in una grande villa d’epoca, posta su tre piani, che poteva definirsi una vera e propria reggia. Era dotata di ben 52 stanze, tra cui diversi saloni, un’immensa biblioteca con tanti vecchi libri, di cui alcuni rari e preziosi, quadri di autori del settecento, più o meno noti, lungo le pareti dei corridoi e dei saloni.
Si poteva affermare, senza tema di smentita, che il fantasma fosse diventato vecchio insieme a quelle mura.
L’ultimo proprietario della nobile famiglia, un anziano signore che aveva ereditato anche il titolo di Conte, era stata persona di grande generosità e di istinto filantropico. Negli ultimi anni della sua vita, trascorsi nella casa con la sola presenza dei due vecchi servitori che si occupavano di tenere tutto in ordine, si era appassionato alla musica e aveva cominciato a prendere qualche lezione di violino. In breve tempo era diventato un virtuoso dello strumento e, ogni volta che lo sentiva suonare, Spartaco, anche se stava dormendo, si svegliava e si metteva ad ascoltarlo per ore con immenso piacere. Era arrivato alla conclusione che il talento naturale e la passione potessero fare veramente dei miracoli, indipendentemente dall’età della persona.
Non avendo eredi diretti, il Conte, alla sua morte, aveva lasciato tutti i suoi beni a varie associazioni benefiche e culturali, mentre la villa e relativo contenuto avevano costituito oggetto di un lascito al Comune, con l’impegno che questo la dovesse adibire, entro un anno, a struttura museale.
Così, in breve tempo, la grande casa era diventata un vero e proprio museo, in cui erano stati trasferiti anche altri interessanti reperti archeologici che il Comune, da tempo, non sapeva dove sistemare.
Spartaco, ben presto, non ne poté più di quel via vai di gente. Sì! Era pur vero che a una certa ora il museo chiudeva e, una volta passato il guardiano per il controllo finale, i locali restavano deserti ma, durante il giorno, lui non riusciva a riposare a causa del continuo brusio del pubblico. La sua età plurisecolare non lo aiutava e si accorgeva, sempre più, di avere un estremo bisogno di tranquillità.
Un bel giorno, prese la drastica decisione di trasferirsi in una nuova dimora più consona ai suoi bisogni, piccola ma tranquilla. Si mise subito alla ricerca di una nuova abitazione che avesse queste caratteristiche, e la identificò nella casa dove ora abitava.
Lì, a quei tempi, vivevano due anziani coniugi, un poco sordi e di poche parole, amanti delle lunghe passeggiate e, quindi, lui non veniva disturbato durante il giorno e loro non lo sentivano durante la notte.
Poi erano morti, prima lei e, poco dopo, anche lui.
Chi era venuto ad abitare successivamente se ne era scappato dopo qualche settimana. Infine, più nessuno per anni.
Per qualche tempo, dopo la visita del novellino, rimase tutto tranquillo. Spartaco non sentì più alcuno al piano inferiore. C’erano solo le lavoranti in sartoria, ma erano distanti e alla sera se ne andavano. Sicuramente anche questa volta la casa non avrebbe avuto inquilini, il fantasma ne era convinto.
Un sabato mattina Spartaco, che si era appena appisolato, avvertì un rumore sospetto che gli pareva provenire dal piano sottostante. Gli sembrava di aver udito aprire la serratura di casa. Si svegliò di soprassalto con un pensiero.
“Ma chi mai può essere a quest’ora, sicuramente il rumore non arriva dal laboratorio. Di sabato non viene mai nessuno.”
Ed ecco, nel più assoluto silenzio, delle voci e dei passi proprio al piano sottostante.
“C’è sicuramente qualcuno”, pensò ad alta voce. “Ma cosa ci viene a fare il novellino a quest’ora? Forse che ha trovato un altro sventurato a cui mostrare la casa?”
Tese l’orecchio destro, quello più vicino al pavimento del solaio, e fu allora che riconobbe le voci.
“Ma è la coppia venuta qualche settimana fa. Come potrei non riconoscerli; sono gli unici che sono stati qui a vedere la casa.”
“Dai Anna mettiamoci subito al lavoro. Cerchiamo di dare una bella ripulita durante questo fine settimana”, diceva la voce maschile, “così vediamo, nei prossimi giorni, di cominciare a portare qui qualcosa.”
“Si, Carlo! Diamoci dentro. Abbiamo deciso e non vedo l’ora di organizzarmi e avere una casa tutta mia.”
“Ah! Bene!”, disse tra sé il fantasma, “ora conosco anche i nomi di questi due intrusi. Anna e Carlo, proprio due nomi insignificanti. Speriamo che adesso non facciano troppo rumore, perché ho proprio bisogno di riposarmi. Poi, con calma, vedrò quali provvedimenti prendere. Non li voglio tra i piedi. Non che abbia qualcosa di specifico contro di loro, del resto non li conosco nemmeno, ma non sopporto la vicinanza delle persone, chiunque siano.”
-III-
La normale vita di un fantasma prevede il riposo dalla tarda mattinata fino al calare del sole. Le attività iniziano a sera inoltrata. Spartaco non faceva eccezione.
Infatti le nottate erano sempre lunghe e impegnative, anche se, con il passare dei decenni, i suoi interessi erano drasticamente mutati. Non amava più le attività faticose e rumorose, come spostare mobili, sbattere porte e finestre e così via.
Ora amava svolgere quelle più piacevoli e rilassanti, anche se egualmente impegnative.
A volte giocava a nascondino con i pipistrelli che frequentavano il tetto della casa, altre volte spiava e si divertiva a spaventare i topi che, con il favore dell’oscurità, uscivano dalle loro tane in cerca di cibo.
Ed era dispettoso anche con le farfalle notturne: gli piaceva piazzarsi davanti ai lumi intorno ai quali volteggiavano.
Se i gatti erano in amore, stava volentieri ad ascoltare i loro concerti, in particolare quelli dei randagi, che si esibivano fino all’alba.
Quando la notte soffiava una leggera brezza e il cielo era quindi terso, lasciava da parte le attività ludiche e si metteva a osservare la volta celeste. Conosceva a memoria tutte le costellazioni dell’emisfero boreale e le relative stelle che le componevano; aveva imparato a riconoscerle, ad una ad una, nei periodi in cui queste facevano la loro comparsa.
La sua attenzione si soffermava sugli asterismi più noti e più luminosi del cielo.
Il Grande Carro, nella costellazione dell’Orsa Maggiore, formato dalle sue sette stelle – Dubhe, Merak, Phad, Megrez, Alioth, Mizar, Alkaid -, che vedeva bene da gennaio ad agosto, quando era alto rispetto all’orizzonte. Il Piccolo Carro, formato da tutte le stelle dell’Orsa Minore, che gli era ben visibile in ogni periodo dell’anno, e dove, all’interno, si trova l’indicazione del polo nord celeste, ovvero la Stella Polare, posta all’estremo della coda. La Croce del Nord, con le sue cinque stelle, visibile da giugno a dicembre.
Per lui il firmamento era sempre uno spettacolo appagante e coinvolgente, da mozzare il fiato.
Più volte aveva pensato di fare una puntatina nell’emisfero australe per dare un’occhiata direttamente alle altre costellazioni ma, un poco per pigrizia, un poco perché avrebbe dovuto chiedere ospitalità a qualche altro fantasma sconosciuto, aveva finito per identificarle solo sul grande atlante astronomico. Proprio quello che aveva trovato, un giorno, rovistando tra i ripiani nella biblioteca della precedente dimora, e che aveva deciso di portare con sé nella sua nuova casa.
Quando il tempo era brutto e i suoi compagni nottambuli se ne stavano tutti rintanati nelle loro case, lui passava le nottate disegnando, leggendo. Faceva il solitario di Napoleone, che finiva inevitabilmente per innervosirlo, dato che spesso non riusciva a risolverlo ed era costretto a ripeterlo più volte, cosa che capitava perché non amava barare. Oppure giocava a scacchi contro se stesso; ma le partite finivano immancabilmente in parità, poiché ci metteva il massimo impegno, sia quando muoveva i bianchi sia quando rispondeva muovendo i neri.
Poi, quando scoppiavano forti temporali, tirava fuori dalla custodia il violino del Conte. Lo aveva preso quando aveva lasciato la vecchia casa. Non si sentiva in colpa, perché riteneva di non averlo rubato, ma portato con sé come doveroso ricordo e omaggio al suo ex-coinquilino. Allora, si metteva a suonare, cercando di ricordare le melodie che eseguiva il vecchio Conte, anche se era ben consapevole di non essere alla sua altezza. La sua traccia preferita restava sempre il concerto in D maggiore, op. 35 di Petr Ilic Cajkovskiy, che ben si adattava ad accompagnare tuoni e saette.
Aveva diversi parenti sparsi un po’ ovunque per il mondo, ma gli unici con cui aveva mantenuto i contatti erano quelli che vivevano in Germania, e che abitavano in un grande castello della Baviera. Era stato loro ospite alcuni decenni prima, e aveva così scoperto che erano particolarmente rumorosi nel manifestare la loro presenza.
Tornato dalla vacanza in Germania, aveva provato a fare anche lui alcune delle cose che piacevano tanto ai suoi parenti bavaresi, ma la cosa non riusciva a divertirlo minimamente e, così, dopo poco, aveva abbandonato l’idea ed era tornato alle sue solite occupazioni.
In effetti, il loro nome Poltergeist, ovvero Spiriti Rumorosi, era veramente appropriato, dato che avevano l’abitudine di manifestarsi con forti rumori come battiti contro i muri, sbattimenti di porte e finestre, trasporti di catene, e quant’altro di più rumoroso si potesse immaginare.
In quella occasione gli era proprio venuto da ridere ripensando a quanto aveva letto in un vecchio libro di parapsicologia, scovato casualmente durante una delle sue solite scorribande nella grande libreria della casa in cui allora viveva. Era stato attratto non tanto dal titolo, che citava “Le manifestazioni dell’inconscio”, ma dalla particolarità del dorso del libro, che era in cuoio scuro con le scritte dorate.
Si era messo a sfogliarlo e la sua attenzione era caduta proprio sul capitolo “le capacità della psiche”, dove si parlava di Poltergeist. L’autore spiegava che il Poltergeist non sarebbe un’anima, ma semplicemente una manifestazione da attribuirsi all’inconscio di persone con forti capacità psichiche, le quali interagirebbero a propria insaputa con il mondo materiale circostante.
A quel ricordo, pensò dentro di sé: “Se avessi qui tra le mani quell’incompetente glielo farei vedere io che cos’è un Poltergeist. Mi divertirei un mondo a terrorizzarlo e a rovesciargli addosso bottiglie e bicchieri.”
-IV-
Nel giro di un paio di settimane la casa fu occupata dai nuovi inquilini Carlo, Anna e il piccolo Luca.
Spartaco scoprì che Luca doveva avere circa sei mesi e che, nonostante ciò, venne subito sistemato nella sua nuova stanza. Sì! Proprio in quel locale dove, al piano superiore, il fantasma aveva scelto di collocare il suo giaciglio.
Quando Spartaco andava a riposare, alle prime ore del pomeriggio, e se ne stava ben sdraiato sospeso a quattro dita dal pavimento del solaio, non gli poteva certo sfuggire quanto avveniva al piano sottostante, dove il bimbo veniva messo a fare il suo sonnellino pomeridiano.
La mamma gli cantava sempre qualche bella ninna nanna e Spartaco, nel dormiveglia, si lasciava anche lui cullare da quella voce suadente. Gli tornavano alla mente immagini che si perdevano nella notte dei tempi, e finiva per cadere in un sonno tranquillo e profondo.
Il fantasma non aveva ancora escogitato un piano per convincere gli attuali coinquilini a sloggiare, e rimandava ogni decisione in merito.
In effetti, questi vicini di casa non erano poi così fastidiosi. Carlo partiva al mattino presto per andare a lavorare e tornava a sera inoltrata; la signora Anna sbrigava le sue faccende domestiche sempre con la radio accesa, ma con un volume molto moderato. L’unico che gli dava qualche problema era il piccolo della famigliola che, quando era ora della pappa, si metteva a strillare come un forsennato. Per il resto, la giornata poteva considerarsi tranquilla.
Fino a quel momento aveva cercato, senza rendersene conto, di non fare troppo rumore durante la notte, ed era quasi certo che al piano di sotto non si fossero ancora accorti della sua presenza.
Lui non era affatto come molti altri fantasmi, che erano nati per terrorizzare le persone, e svolgevano il loro ruolo con orgoglio e impegno. Non avrebbe mai potuto spaventare alcuno, anche se il suo aspetto era, evidentemente, quello di un fantasma.
Aveva un solo problema che, con il passare dei decenni, era diventato sempre più evidente e frequente: c’erano dei momenti della sua vita in cui amava stare in pace, solo e pensieroso, periodi in cui di fronte alla bellezza di un quadro, di un verso poetico, di una musica celestiale, si sentiva profondamente coinvolto e lacrime tonde rotolavano fuori dai suoi spenti occhi. Allora, la presenza di altri esseri nelle vicinanze gli dava tremendamente fastidio.
In realtà, aveva cominciato ad analizzare il problema intrusi, ma al piano di sotto c’era un bambino piccolo che viveva e dormiva proprio a pochi metri da lui.
Per la prima volta si accorgeva che questo fatto gli stava impedendo di trovare una soluzione radicale.
In un lontano passato, gli era capitato di avere a che fare con la presenza di bambini nella casa dove abitava, ma in un contesto completamente diverso. Loro erano sempre vissuti nei piani bassi, mentre lui frequentava sottotetti e solai e, solo saltuariamente, si avventurava all’interno della casa per le sue attività.
In effetti, non gli era mai capitato di avere un contatto così ravvicinato con un bimbo, e questa esperienza gli faceva provare delle sensazioni del tutto nuove.
Le settimane passavano e il suo problema rimaneva irrisolto.
Una notte in cui fuori era tutto nuvolo, cadeva una pioggerellina sottile e tirava un vento fastidioso, gli venne improvvisamente in mente che doveva dedicare un po’ di tempo a mettere a posto il solaio.
In un angolo del sottotetto giacevano alcune travi, assi di legno con vecchi e lunghi chiodi oramai arrugginiti, e altre vecchie cianfrusaglie che risalivano probabilmente a quando avevano rifatto il tetto, ben prima che lui vi si trasferisse.
Si mise all’opera di buona lena. Intendeva sistemare tutto quella notte stessa.
Ma ecco che, nel rimuovere con cautela alcune assi, gli apparve una vecchia bottiglia un poco panciuta. La prese e vide che era piena a metà, la girò per guardare l’etichetta e con sorpresa lesse “Vecchia Romagna Etichetta Nera – Brandy Invecchiato in Botti di Rovere”, e una indicazione 38% vol.
Subito pensò “Chissà cosa vorrà dire questa cifra, ma il rovere me lo ricordo bene. Ho visto tanti mobili, pavimenti di pregio fatti con questo legno; forse anche le travi che sostengono questo tetto sono in rovere, però non sapevo che facessero anche delle botti.”
Tolse il tappo e subito percepì un aroma particolare e fragrante uscire dal collo di quella bottiglia: sentori di frutta tropicale si mescolavano con quelli di vaniglia, cannella e chiodi di garofano. L’avvicinò al naso per sentire ancora meglio e, subito, gli arrivò un elegante profumo di pera cotta, caramellata al forno.
Quelle sensazioni gli fecero venire una pessima idea. “Quasi, quasi ne provo a bere un goccio, vediamo se è buono. Non ho mai bevuto liquori e voglio proprio sentire come sono. Questo profumo mi ha stregato.”
Così detto, avvicinò alla bocca il collo della bottiglia e ne ingollò una buona sorsata. Sentì un certo bruciore in gola, ma la cosa gli piacque e decise di farsene un’altra sorsata. Poi, non ricordò più cosa fosse realmente accaduto.
Quando si risvegliò, ed era pomeriggio inoltrato, vide di fianco a sé la panciuta bottiglia vuota. Diede un’occhiata in giro e osservò che, effettivamente, il lavoro era stato fatto. Tutto era stato sistemato in buon ordine in fondo al solaio, in modo che non desse noia a chi ci doveva abitare, anche se non ricordava proprio nulla. In realtà, qualcosa di particolare era successo e lo avrebbe presto saputo.
-V-
Infatti, l’effetto dell’alcool non si era fatto attendere. Aveva cominciato a lavorare di buona lena, ma senza accorgersi che pian piano, anziché sollevare gli oggetti, aveva cominciato a trascinarli, perché così gli risultava più comodo e meno faticoso. Si era dimenticato che sotto c’erano delle persone che stavano tranquillamente dormendo.
Così quella notte, mentre lui trascinava e sbatteva, Carlo ed Anna si svegliarono di soprassalto, per un attimo si guardarono, poi, Anna disse “Possibile che sia il temporale, e che il vento abbia sbattuto qualcosa che rotola sulle tegole del tetto?”
“Ma non senti che è proprio sopra di noi?”, rispose Carlo. “I rumori sembrano provenire direttamente dal solaio.”
“Non saranno mica dei topi?”, disse Anna allarmata, “sai che solo l’idea di averli vicini mi mette l’angoscia.”
“Non vedo che cos’altro potrebbe essere. Senti… vanno da una parte all’altra del tetto. Speriamo che il piccolo non si svegli.”
Anna si alzò. “Vado di là a dare un’occhiata.”
Poco dopo ritornò. “Tutto a posto. Dorme profondamente, non lo sveglierebbe neanche una cannonata.”
“Beato lui”, intervenne Carlo. “Io non ho più il sonno pesante di una volta, ma con questi rumori mi sveglierei in ogni caso. Senti… continuano ancora, vanno da una parte all’altra del solaio. Non possono essere che dei topi. Dopodomani, che sono a casa dal lavoro, cerco qualcuno che abbia una lunga scala che arrivi fino al tetto e vado a dare un’occhiata.”
“Ora non riuscirò più a dormire”, soggiunse Anna, “con i topi sopra la testa come faccio a riposare… e anche a vivere in questa casa!”
“Ho notato che un ramo dell’albero, nel giardino dietro casa, va a toccare la gronda. Non vorrei che salissero da lì. Saranno sicuramente topi di campagna, visto che qui intorno c’è ancora tanto verde e il parco della villa”, disse lui, “quando salgo con la scala ne approfitto per tagliarlo, vedrai che il problema si risolverà.”
Anna non aggiunse altro e, mentre Carlo si riaddormentava, lei continuava ad ascoltare quei rumori che oramai andavano via via affievolendo, fino a quando non udì come un tonfo, e poi più nulla.
Ci pensava e la cosa le pareva strana. Possibile che i topi fossero sopraggiunti proprio quella notte piovosa e ventosa, e passando per i rami dell’albero. Li vedeva di più rincantucciati nelle loro tane a godersi il tepore, piuttosto che in giro a scorrazzare.
Poi, nel rigirarsi nel letto, insonne, le era tornato alla mente che un paio di settimane prima, mentre Carlo dormiva profondamente, lei era stata svegliata da un forte tuono. Accortasi che era in corso un violento temporale, si era alzata, cercando di non svegliare il marito, ed era andata a vedere se era tutto a posto in camera di Luca. Tra un tuono e l’altro, le era parso di sentire qualcosa di strano, che pareva il suono di un violino.
“Strano”, si era detta, “a forza di tenere sempre la radio accesa, mi sembra di sentirla anche di notte”, poi era tornata a letto e aveva finito per non pensarci più.
Due giorni dopo, nel primo pomeriggio, Carlo andò a cercare un conoscente che faceva lavori di ristrutturazione. Sapeva che disponeva di una lunga scala a tre elementi, che poteva arrivare fino a dodici metri. Tornarono insieme con il furgoncino e portarono la scala nel giardino, proprio vicino a dove era il grande albero che, secondo Carlo, avrebbe potuto agevolare il passaggio dei topi.
Il trambusto svegliò Spartaco, che sbirciò nel cortile attraverso un piccolo varco delle tegole. Vide che c’era Carlo, un signore a lui sconosciuto, e Anna con il bimbo in braccio.
“Ma cosa stanno facendo Carlo e quello sconosciuto che lo accompagna”, si domandò.
Poi, vide la lunga scala che veniva appoggiata alla gronda del tetto, mentre la signora Anna diceva, a gran voce, al marito “Non avrai mica intenzione di salire tu su quella scala?”
“Certo che sì! E’ già tanto che il signor Giovanni ce l’abbia prestata e sia venuto con il suo furgone.”
“Fai attenzione!”, riprese Anna, “salire così in alto è pericoloso!”
“Stai tranquilla! La gronda mi pare ben solida. Per ora sposto qualche tegola per controllare se si vede il passaggio di topi e ne approfitto per tagliare quel ramo lassù, che arriva proprio alla gronda.”
Spartaco capì. Carlo stava salendo a controllare il solaio, il cui accesso era possibile solo tramite il tetto.
Si rese conto che in quella notte passata a lavorare, non proprio sobrio, doveva aver fatto rumori insoliti, se si erano decisi a controllare l’eventuale presenza di topi nel sottotetto.
Non dovevano accorgersi della sua presenza.
Rapidamente passò per tutto il solaio, ridistribuendo la polvere in modo uniforme.
Prese le sole cose che potevano far pensare a qualche strana presenza, ovvero il violino e l’atlante planetario, che teneva sempre a portata di mano, proprio al centro del solaio. Raccolse la bottiglia colpevole di quella deplorevole situazione, e andò a nascondere il tutto proprio dietro ai legni che aveva accatastato in fondo al tetto, esattamente dalla parte opposta rispetto a dove stava salendo Carlo.
Lì si sistemò anche lui, ma solo come ulteriore cautela…
Appoggiata la scala per bene alla gronda e presa la sua pila portatile, che aveva prima verificato avesse le batterie funzionanti, Carlo aveva iniziato a salire, mentre il signor Giovanni gliela teneva saldamente, e la moglie lo guardava preoccupata.
Arrivato al tetto, scostò alcune tegole, accese la pila e si mise a guardare all’interno.
Quello che si presentò alla sua vista fu un solaio che da tempo non doveva aver visto alcuna presenza. Le travi del tetto apparivano in ottimo stato, segno che un lavoro di ristrutturazione era stato fatto non molti anni prima. Il pavimento presentava un spesso strato di polvere, distribuito in modo uniforme. Nessun segno che ci fosse passato qualche topo.
“Strano”, disse a sé stesso, “qui nessuno è passato da diverso tempo. Però quel ramo lo taglio lo stesso.”
Risistemò le tegole e ridiscese lungo la scala.
“Non c’è proprio alcun segno di presenze, lassù”, disse alla moglie che era rimasta con il figlio a guardare il suo lavoro, “però ho deciso che quel ramo lo taglio lo stesso.”
“Eppure sembrava di sentire qualcosa l’altra notte”, rispose Anna, “forse saranno transitati sul tetto e, nel silenzio, sembravano proprio sul solaio.”
“Signor Giovanni, vado a prendere le sue cesoie che sono rimaste sul furgoncino e poi risalgo a tagliare quel ramo, che arriva alla gronda”, disse Carlo, mentre si incamminava per uscire sulla strada a recuperare l’attrezzo.
Così risalì e tagliò il ramo. Ridisceso, aiutò il signor Giovanni a sistemare la scala e le cesoie sul suo automezzo e, dopo averlo ringraziato, rientrò in casa, dove nel frattempo era già tornata Anna con il bimbo.
“Comunque è molto strano”, disse ancora Anna, “ma, se hai controllato, sarà così.”
“Non è che adesso cominci anche tu a pensare a qualche presenza insolita, e a tutte quelle stupidaggini che dicono su questa casa?”
“Ma no, caro, sai come la penso su queste cose”, rispose Anna, “e, poi, non è mai successo nulla in questi mesi.”
E così si esaurì il discorso.
-VI-
Spartaco, che per tutto quel tempo se ne era stato rincantucciato in fondo al solaio, dietro alle travi, avvertì il rumore della scala che veniva riposta, poi la messa in moto del furgoncino, parcheggiato lungo la strada. Solo allora si mosse. Gli sembrava di aver sudato freddo all’idea che potessero scoprire la sua presenza.
“Ma a ripensarci bene non volevo che questi scocciatori se ne andassero? E allora cosa di meglio che lasciar scoprire che qui ci abita veramente qualcuno!”, pensò ad alta voce mentre usciva dal suo nascondiglio, “comincio veramente a dare qualche segno di vecchiaia e di incoerenza. Non so se devo preoccuparmi.”
Riprese il suo violino e il suo atlante e li andò a rimettere al loro posto, lasciando la bottiglia vuota là dove l’aveva riposta.
Per qualche giorno non ci pensò più, ma si accorse che cercava di fare ancora meno rumore di prima, anzi, era diventato particolarmente attento nei suoi movimenti.
Al piano di sotto, non si parlò più della cosa. Il ramo era stato tagliato e nessun topo avrebbe potuto risalire le pareti della casa.
Anna aveva, comunque, continuato a fare attenzione a eventuali rumori.
Quando la notte si alzava per verificare che tutto fosse a posto nella cameretta del piccolo Luca, si fermava sempre, un attimo, ad ascoltare. Non era successo più nulla di particolare, ma una certa presenza l’avvertiva.
A fare ben attenzione non le sfuggivano alcuni strani rumori: le sembravano dei passi, quasi felpati, che qualche volta andavano da una parte all’altra del solaio; così come le sembrava di percepire sempre una musica lontana, quando c’erano in corso dei temporali.
Carlo se la dormiva tranquillamente.
È vero che arriva a casa stanco”, considerava Anna, “ma anche quando è a casa per il fine settimana è la stessa cosa. È proprio tale e quale a suo figlio, quando dormono non li sveglierebbero neanche le cannonate!”
Spartaco, pian piano, riprese la solita vita.
Non avrebbe più bevuto, questo era per lui una certezza. Quanti problemi gli aveva creato quella malefica bottiglia, ma alla prova dei fatti aveva anche chiarito definitivamente il suo dilemma. Sì! La convivenza con i nuovi ospiti gli andava bene. Anzi, cominciava a pensare a come avesse mai fatto a vivere fino ad allora come un anacoreta, staccato dalla vita attiva e dal consorzio degli uomini, ritirato in un’esistenza di solitudine e quasi ascetica.
Arrivò alla conclusione che i fantasmi, che non hanno nulla a che vedere con gli altri tipi di spiriti, hanno da sempre convissuto con il “genere umano”, e che forse la presenza così ravvicinata di un bimbo lo aveva indotto a nuove considerazioni. Sta di fatto che, in quella situazione, si sentiva proprio a suo agio.
La sera, continuava a passare gran parte del suo tempo ad ascoltare quanto succedeva al piano sottostante, fino a quando tutto diventava silenzioso.
Anche durante il giorno, aveva cominciato a svegliarsi per ascoltare cosa facevano i suoi vicini. Aveva ridotto le ore di sonno diurne e, di conseguenza, aveva finito per limitare le sue attività notturne, andando a riposare ben prima che arrivasse l’alba.
Ben presto, queste erano diventate le sue normali abitudini e così aveva imparato anche quelle del piccolo Luca: quando si svegliava, i suoi pianti per richiamare l’attenzione della mamma, i primi versi nel tentativo di dire qualche parola, ma soprattutto le favole che Anna gli raccontava, per tenerlo buono e per farlo addormentare.
Ecco, le favole erano diventate l’argomento che più attirava l’attenzione di Spartaco. Gli erano sempre piaciuti questi mondi di fantasia, dove gli animali parlano ed entrano in competizione con gli uomini.
Aveva scoperto che Anna era dotata di una fantasia incredibile. Al piccolo raccontava sempre una delle solite quattro favole – Cappuccetto Rosso, Biancaneve e i Sette Nani, I Tre Porcellini, Il Gatto con gli Stivali -, ma ogni volta questi racconti erano diversi. Non solo cambiava la storia, ma faceva entrare anche dei nuovi personaggi, e anche i finali erano a sorpresa.
Spartaco non sapeva quale versione amare di più, se l’originale o quelle che ascoltava, la sera, con le modifiche di Anna.
Aveva anche pensato di scendere nella cameretta a trovare quel bimbo, ma poi aveva desistito. Troppo pericoloso, aveva convenuto con sé stesso, dato che con il suo aspetto lo avrebbe potuto spaventare. Meglio rimanere nell’anonimato.
-VII-
E così il tempo passava.
Ma un bel giorno, però, qualche cosa di veramente grave accadde.
Quella notte aveva cominciato a tirar vento, l’aria era diventata ben tersa e quindi si poteva osservare un cielo bellissimo. Spartaco ne aveva approfittato per passare tutta la nottata a osservare le sue amate costellazioni. Si era ritirato nel solaio solo quando aveva cominciato ad albeggiare, e la visione del cielo stellato era via via scemata, lasciando spazio alla luce del sole.
Nel frattempo, il vento non era calato ma era diventato sempre più fastidioso.
Vinto dalla stanchezza cadde in un sonno profondo. A un certo punto gli parve di udire delle voci alterate, che gridavano qualcosa. Si svegliò, stropicciò gli occhi e si mise ad ascoltare. Sì, una di quelle voci la riconosceva sicuramente, era quella di Anna e gli pareva che avesse un tono veramente disperato.
Si alzò e, dato che provenivano dall’esterno della casa, smosse leggermente una tegola per osservare e sentire meglio.
“Ma adesso come faccio a rientrare”, diceva Anna, “forse la porta si è chiusa per via del vento.”
“Ma non c’è una maniglia all’esterno?” chiedeva la sarta che gestiva il laboratorio al piano terra.
“No! Io glielo avevo detto a Carlo che era bene cambiare questa maledetta serratura e mettere un pomello o una maniglia anche all’esterno, ma lui ha risposto che era meglio così. Era fatta in quel modo per dare maggior sicurezza”, diceva Anna, “ma ora io non riesco più a entrare. Se ora il piccolo si sveglia come faccio? E, poi, Carlo chissà quante me ne dirà, quando tornerà a casa questa sera.”
“Bisognerebbe chiamare qualcuno esperto, che sappia metterci mano”, diceva la giovane lavorante della sartoria.
“Ma non c’è qualche finestra aperta?”, chiedeva la sarta, “si può cercare di passare da lì.”
“Si!”, rispondeva Anna, “è aperta quella della cucina, che forse ha fatto corrente e la porta si è chiusa per questo motivo. Ma come si fa ad arrivare fin lassù?”
“Se hai lasciato la finestra della cucina aperta, si può cercare qualcuno che abbia una lunga scala e passare da lì”, diceva ancora la sarta.
Tutto questo gran baccano sul pianerottolo di casa svegliò il piccolo Luca, che riposava ancora nella sua cameretta. Si guardò intorno, fece alcuni tentativi per richiamare l’attenzione della mamma, poi, non avendo ricevuto alcuna risposta, cominciò a piangere.
“Sentite! Il mio piccolo sta piangendo.” Anna aveva una voce ancora più disperata. “Se potessi butterei giù la porta, ma credo che neanche un uomo forzuto riuscirebbe a scardinarla, tant’è solida.”
“Vado a cercare io qualcuno”, disse la sarta, “voi restate qui e vedete se potete fare qualcosa per il bimbo.”
Così detto, ridiscese le scale fino al piano terra e si diresse velocemente verso il cancello che dava sulla strada.
Spartaco, che era rimasto perplesso ad ascoltare quanto veniva detto dalle donne, quando sentì Luca iniziare a piangere, cominciò a preoccuparsi seriamente.
“Adesso, come fa Anna ad andare dal suo piccolo? E Luca cosa può mai pensare non vedendo arrivare la mamma? Sicuramente si spaventerà sempre più! Speriamo che non gli succeda nulla di grave!”
Questi pensieri cominciarono a creargli un senso di angoscia.
“Sicuramente io non posso fare nulla!”
Anna e la lavorante della sartoria erano scese dalle scale e si erano dirette verso l’altra parte della casa, dove dava la finestra della cucina. Spartaco non riusciva più a sentire cosa stessero dicendo, ma le vedeva molto agitate. Forse volevano controllare se la finestra della cucina era veramente aperta.
“Io non posso fare nulla, non posso fare proprio nulla!”, quel pensiero continuava a turbinargli nella mente.
Luca, tutto solo, non smetteva di piangere. Allora, Spartaco prese una decisione.
“Sì! Io posso veramente fare qualcosa, dato che non ho alcun problema ad attraversare pareti e pavimenti.”
E agì di conseguenza.
Discese direttamente nella stanza di Luca che, nel suo lettino, si agitava e piangeva sempre di più. Era diventato paonazzo per il continuo urlare e stava quasi facendosi venire le convulsioni.
“Devo cercare di non spaventarlo ancor di più”, pensò, “cosa posso fare per attirare la sua attenzione e calmarlo?”
Si guardò intorno. Il suo sguardo cadde su alcuni pupazzi, che erano appoggiati su una vecchia cassapanca, sul fondo della stanza.
Ne prese alcuni, tra cui un orsetto di peluche, si avvicinò al bimbo e cominciò a farli muovere, poi a farli parlare e discutere tra loro, con l’orsetto che si rivolgeva direttamente a Luca.
Il bimbo rimase, in un primo tempo, perplesso. Poi, smise di piangere e cominciò a interessarsi a questo nuovo gioco. Dopo un po’ si mise anche a ridere, l’orsetto che parlava con lui pareva divertirlo moltissimo.
Spartaco continuò l’attività di animazione ancora per un poco poi, visto che Luca si era tranquillizzato, andò a riporre i pupazzi sulla cassapanca.
Convinto che Luca e la sua mamma non potessero aspettare l’arrivo della lunga scala, se mai ne fosse saltata fuori una da qualche vicino di casa, decise di uscire dalla stanza, attraversando la porta chiusa.
“Devo aprire quella maledetta serratura”, si disse, ricordando come l’aveva chiamata Anna.
E così fece, proprio mentre le due donne tornavano indietro e si apprestavano a risalire le scale.
La lavorante si avvicinò allo stipite e vide che la porta non sembrava chiusa, ma semplicemente accostata.
“Ma è aperta! Sei sicura che fosse chiusa?”
Anna si avvicinò incredula. Ma come poteva essere, l’aveva spinta tante volte inutilmente.
“Forse ti sembrava chiusa, ma come vedi ora è aperta.”
“Devo essere impazzita”, si riprese Anna, “ma mi sembrava veramente chiusa.”
Poi, mentre la lavorante rimaneva sulla porta, corse dentro per andare da Luca.
Spalancò la porta, in preda a un’ansia tremenda, e trovò il bimbo che la guardava e le sorrideva. Lei lo prese subito in braccio, lo baciò e se lo strinse forte al petto.
Luca cercò di divincolarsi dall’abbraccio materno e fece capire alla mamma che voleva andare verso la cassapanca, dove erano sistemati i suoi pupazzi.
Lei seguì il suo desiderio e fu allora che si accorse di un particolare: i pupazzi non erano tutti al solito posto.
Di questo era sicurissima, perché l’orsetto l’aveva sempre messo a destra e ora era esattamente dalla parte opposta. Il bimbo allungò le mani per cercare di prenderli, poi guardò la mamma e sorrise divertito.
Ora ne era sicura, in quella casa abitava qualcun altro, che non era solo un puro prodotto della fantasia, come aveva pensato fino a quel momento, anche parlandone con il marito, ma un essere reale, anche se impalpabile, e per nulla ostile.
Nel frattempo, era tornata la sarta che non aveva trovato nessun vicino che avesse una scala adeguata. Appreso dalla lavorante, ancora sulla porta, che era stato tutto un falso allarme e che il problema era stato risolto, se ne tornò con lei in sartoria.
Anna decise di non dire nulla a Carlo, non tanto per evitare qualche suo rimbrotto, ma perché lui non avrebbe capito tutta la storia.
Ora, lei sapeva di non doversi più preoccupare se ogni tanto avvertiva qualcosa di strano, soprattutto di notte. Con quel sonno leggero, che le era venuto da quando erano arrivati nella nuova casa e Luca aveva avuto una stanza tutta sua, la sua mente era sempre pronta a cogliere ogni suono anomalo che potesse segnalare che il bimbo aveva bisogno dei genitori e, quindi, anche quelli provenienti dal piano superiore.
Era più tranquilla, sapeva che c’era anche qualcun altro a controllare che tutto procedesse per il meglio.
-VIII-
Il tempo passava e il fantasma si era abituato ad ascoltare i discorsi che venivano fatti al piano inferiore. Non lo faceva per sola pura curiosità, ma perché oramai si sentiva uno della famiglia; così, gli sembrava di partecipare anche lui alla vita dei suoi coinquilini.
Quella sera, come al solito, stava ascoltando mentre sfogliava il suo atlante astronomico, quando improvvisamente sentì qualcosa che lo riguardava in prima persona.
Allora, avvicinò ben bene l’orecchio al pavimento per sentire meglio.
“Mentre rientravo, mi ha fermato il padrone di casa”, diceva Carlo.
“E che cosa voleva, questa volta?”, chiedeva Anna un po’ infastidita. “ultimamente ha sempre qualcosa da ridire!”
“Ma, niente! Voleva confermarci che non potrà più rinnovare l’affitto alla prossima scadenza di giugno.”
“Ma non glielo avevi già detto che l’anno prossimo ce ne andiamo?”
“Si! Gli ho confermato che la cooperativa avrà pronto il nostro appartamento per l’inizio del prossimo anno.”
“Speriamo che sia così!”
“Ma si! Gli ho anche detto che contiamo di fare il trasloco entro maggio.”
“Ma come mai non lo rinnoverebbe?”, chiese Anna.
“Mi ha detto che sta vendendo tutto, la casa e il terreno circostante, a un’impresa edile. Qui dovrà sorgere un nuovo condominio.”
“Ma cosa stanno dicendo?”, Spartaco avvicinò ancor più l’orecchio al pavimento. Gli pareva inverosimile quello che sentiva.
“Ma come facciamo se la nostra nuova casa non sarà pronta in tempo?”, replicò Anna.
“Ma non preoccuparti. Mi ha detto che i lavori di demolizione non inizieranno prima di ottobre e, quindi, se abbiamo necessità, possiamo restare.”
“Sai che mi dispiace lasciare questa casa”, disse Anna. E la sua voce aveva, veramente, un velo di tristezza. “Ci siamo solo da non molto tempo, ma me la sentivo quasi mia.”
“Spiace un po’ anche a me”, convenne Carlo.
“I nostri vicini sono tanto carini con noi”, aggiunse Anna, “tutte le volte che abbiamo avuto bisogno, sono sempre stati molto disponibili.”
È vero! Ci hanno sempre dato una mano”, confermò Carlo.
“Nel nuovo quartiere dove andiamo non conosciamo proprio nessuno”, disse Anna, “poi, qui c’è Giulia, con il piccolo Andrea. Ci diamo sempre una mano e i piccoli giocano insieme.”
“Stai tranquilla! Vedrai che farai subito nuove amicizie.”
“Tu sei tutto il giorno fuori di casa per lavoro!”, disse ancora Anna. “Qui mi sentivo al sicuro. Ho sempre avuto la sensazione di avere qualcuno che veglia su di noi.”
“Lo sai bene che mi tocca fare un bel po’ di strada per andare al lavoro, e i mezzi pubblici sono costantemente in ritardo!”, aggiunse Carlo, “ma con la nuova abitazione, la fermata ce l’avrò proprio sotto casa.”
“Perbacco!” esclamò Spartaco, rialzandosi, “questi se ne vanno e mi lasciano da solo! E non posso neanche seguirli nella nuova casa. Ma cosa faccio se qui demoliscono tutto? Dovrò trovarmi un nuovo alloggio e non sarà cosa facile.”
Dopo questa prima reazione, il fantasma si accorse di avere assunto un’aria malinconica e assente. Mai avrebbe pensato che quel distacco gli sarebbe stato tanto doloroso.
Aveva anche immaginato di trasferirsi con la famiglia, ma non vi erano le condizioni per poterlo fare.
Infatti, un giorno che aveva sentito Carlo dire alla moglie che andava a verificare i lavori alla nuova casa, lo aveva seguito. Così, aveva scoperto che loro andavano ad abitare in una palazzina a cinque piani e il loro appartamento era proprio a metà, al terzo piano. La casa non aveva un solaio, ma il tetto era costituito da un lastrico solare e, quindi, per lui non c’era alcuna possibilità di potersi trasferire lì.
Aveva sentito di un fantasma che si era adattato a dormire, durante il giorno, in una cassapanca di quercia con le borchie di ferro per poi, la notte, scorrazzare per tutta la casa. Ma quella non era una casa normale, ma un vero e proprio castello, perfino con le mura merlate, e lui non lo poteva certo fare in un appartamento.
Stando la situazione in questi termini, aveva necessità di trovare un’altra sistemazione, forse in qualche vecchia casa disabitata.
Ma, ora, non era più tanto certo che questa poteva essere una buona soluzione. Quegli ultimi tempi trascorsi vicino a una famiglia avevano cambiato completamente il suo carattere. L’idea di rimanere in pace, in solitudine e solo con i suoi pensieri, non gli andava più giù. Gli piaceva avere qualcuno nelle vicinanze e se poi c’era anche un bambino, tanto di guadagnato.
-IX-
Arrivò l’anno nuovo e, come previsto, la casa della cooperativa venne pronta per l’inizio della primavera.
Carlo e Anna si organizzarono per arredarla al meglio, acquistando quanto strettamente necessario, e decisero di iniziare a portare pian piano le loro cose nella nuova abitazione.
Spartaco osservava le operazioni con grande tristezza, e la lentezza con cui avvenivano prolungava ancora di più la sua sofferenza. Stava perdendo quella che considerava la sua famiglia e, tra poco, avrebbe perso anche la sua casa.
Arrivò il fatidico giorno. Vennero portate via le ultime cose e poi Anna e Carlo, con il piccolo Luca, vennero a salutare per l’ultima volta quella che era stata per diversi anni la loro casa.
Spartaco li sentì girare per i locali, forse a verificare di non aver dimenticato lì qualcosa. Sentì che parlottavano, ma non aveva voglia di ascoltare quello che veniva detto; ora era lui a sentirsi un’immagine inesistente, illusoria, un puro prodotto della fantasia degli uomini.
Poi, li sentì uscire sul ballatoio di casa e Carlo che diceva alla moglie.
“E’ tutto a posto. Ora chiudiamo definitivamente casa e possiamo andare.”
“Aspetta un attimo a chiudere”, disse Anna, “faccio un salto dentro, poi chiudo io e lascio le chiavi alla sartoria, come d’accordo col proprietario. Tu va avanti con Luca, poi vi raggiungo.”
Mentre il marito con il bimbo scendevano le scale, lei entrò e percorse il corridoio, fino al locale che era stata la cameretta del piccolo; entrata, rivolse lo sguardo verso il soffitto e, ad alta voce, disse: “Non ho avuto modo di conoscerti, ma so che hai sempre vegliato su di noi. Addio e grazie tante per tutto il tuo aiuto.”
Uscì di corsa e, mentre richiudeva la serratura della porta, alcune lacrime le scesero su entrambe le guance. Finì di girare l’ultima mandata, tolse un fazzoletto dalla borsetta e si asciugò il viso.
Scese le scale per lasciare le chiavi in sartoria. Ora, doveva andare a raggiungere Carlo e Luca, che erano già sulla strada.
Spartaco aveva ascoltato quelle parole di commiato e, solo allora, si era reso conto che lei aveva sempre saputo della sua presenza…
Si sentì ancora più malinconico e triste. Per la prima volta qualcuno si era accorto della sua esistenza, gli si era affezionato e lo aveva fatto partecipe della sua vita.
-X-
Trascorsero alcune settimane e, un giorno, Anna uscì con Luca per mano, diretta all’edicola per acquistare il quotidiano. Fu lì che incontrarono Giulia, che stava chiacchierando animatamente con il giornalaio.
“Oh, cara!”, disse Anna non appena la vide. “Che piacere incontrarti. E’ un sacco di tempo che non ci vediamo.”.
“Fa piacere anche a me rivederti”, rispose Giulia. “Da quando vi siete trasferiti nella nuova casa non ci si vede più. E’ pur vero che prima eravamo quasi dirimpettai e che ora siamo, praticamente, ai due estremi del paese.”
Si avvicinarono per un grande abbraccio.
“Hai visto che hanno già demolito la vostra vecchia casa?”, aggiunse Giulia, “Tra poco inizieranno i lavori per le nuove palazzine!”
“Non abbiamo avuto il coraggio di andare a vedere quel che succedeva. Ci avrebbe troppo rattristato”, rispose Anna, “mi ero molto affezionata a quelle mura. Ci stavo bene, anche se ora ho una casa proprio mia!”
“Ma come mai da queste parti?”, chiese Anna.
“L’edicola vicino a casa è chiusa per ferie e, se voglio le mie riviste, devo venire fin qui.”
Nel frattempo, aveva aperto la borsetta e tirato fuori il portafoglio.
“Comunque, tutto bene a casa? E con il piccolo Andrea?”
“Con Andrea va benissimo. Per il resto diciamo di si! Se non ci fosse un problema con la casa, per cui stavo proprio chiedendo qualche informazione al giornalaio.”
“Ma cosa è mai successo? La vostra casa sarà vecchia, ma è molto ben tenuta!”
“Il problema non è la casa in sé stessa, ma, da quando l’impresa edile ha demolito la vecchia casa dove abitavate prima, abbiamo dei problemi nel solaio. Sicuramente dei topi, che abitavano dalle parti della vecchia casa, si devono essere trasferiti da noi perché di notte, ogni tanto, si sentono degli strani rumori in solaio.”
“Ma dai!”, disse Anna, “”non credo che i topi salgano fino al solaio.”
“Sembra di sì!”, riprese Giulia. “Stavo proprio chiedendo al giornalaio se per caso conosce qualcuno che può venire a dare un’occhiata. Potrebbe farlo anche mio marito, ma serve una lunga scala perché l’accesso al solaio è possibile solo dal tetto, e non sappiamo a chi rivolgerci.”
Anna sorrise a quelle parole.
“Guarda che non c’è proprio nulla di divertente a essere svegliati di soprassalto in piena notte!” disse Giulia un poco risentita.
“Non stavo affatto ridendo”, rispose Anna, “mi è venuto in mente che anche noi avevamo avuto un problema analogo, quando abitavamo nella vecchia casa. Mio marito si era fatto prestare proprio una scala per andare a dare un’occhiata al sottotetto, ma non avevamo trovato nulla di strano. Se vuoi lo dico a Carlo, così vi può indirizzare dal suo amico, che una lunga scala ce l’ha di sicuro.”
“Ti ringrazio moltissimo. Ora devo scappare. Devo andare a prendere Andrea che tra poco esce dall’asilo.”
“Sì! Ti mando Carlo uno di questi giorni.”
“Ci conto!”
E così si salutarono.
Anna, però, aveva effettivamente sorriso, e ancora di più sorrideva in cuor suo. Ora sapeva con certezza che il fantasma si era nuovamente sistemato, aveva trovato una nuova casa e anche una nuova famiglia…
Si rivolse quindi all’edicolante.
“Mi scusi. Ma non è che ha qualche libriccino per bambini che racconti storie di fantasmi?”
“Certamente!”, rispose l’edicolante,” sembra che ora vadano di moda queste sciocchezze! Può scegliere tra diversi titoli: Il fantasma golosone, Il fantasma lenzuolino, Il fantasma del castello, Il fantasma formaggino.”
“Non saprei quale prendere”, rispose Anna, “saranno sicuramente tutte storie divertenti.”
“Poi, ho anche questo”, disse l’edicolante, mostrando un altro libretto. “Il titolo di questo è: Il fantasma della soffitta.”
“Quello lo conosco già”, disse Anna, “me ne dia uno degli altri quattro, a caso. Vanno tutti bene!”
IL FANTASMA SPARTACO di Vito Della Bona
genere: FANTASY