IL GUARDIANO di Barbara Scattini

Elisabetta e Alessandro si fermarono davanti al grande albero.

Pioveva.

Riparati sotto i loro piccoli ombrelli colorati tiravano su con il naso. Le mani infreddolite stavano diventando tutte rosse. Non avevano pensato di prendere i guanti.

Era novembre: ancora il tempo non era diventato gelido e pungente, ma quella mattina era proprio un anticipo di inverno.

“Non smetterà mai di piovere…” disse la bambina con uno sguardo rassegnato.

Alessandro rimase immobile a osservare il fusto bagnato. Sembrava assorto nei suoi pensieri, invece con un lento gesto del capo annuì, dando ragione alla sua amica. Passavano da quella piazza ogni giorno per andare a scuola e lo ricordavano lì, immobile, da sempre. Si ergeva silenzioso con i suoi forti rami che sorreggevano, come braccia protese verso il cielo, un gran numero di foglie.

I due bambini si fermarono ad ammirare quello splendido segno della natura, così impotente e accogliente, fermo, solido. Amavano quell’albero, che ogni giorno li aspettava sempre lì, presente e rassicurante.

Quel giorno però si fermarono più a lungo. Erano stranamente attratti da quel gigante silenzioso. Pensarono che il vento non avrebbe mai potuto danneggiarlo perché dalla terra della collinetta sulla quale troneggiava, spuntavano un numero imprecisato di radici nodose. Sulla bocca di Alessandro si disegnò un sorriso.

“Ti sembrano i tentacoli di una piovra gigante?” chiese a Elisabetta che nel frattempo si era avvicinata un po’ all’albero.

“Hai ragione. Pensa se uscissero all’improvviso dalla terra e ci afferrassero facendoci volteggiare nell’aria!”

Alessandro sgranò gli occhi fissando il terreno, poi scoppiò in una risata contagiosa. “Sarebbe davvero divertente, come sulle montagne russe!”

Girarono intorno al tronco e si accorsero che qualche impertinente aveva messo delle lattine e degli  involucri di merende tra le radici che fuoriuscivano dal terreno.

Si guardarono: erano veramente delusi.

Come si poteva mancare così di rispetto, come si poteva danneggiare volutamente una creatura tanto meravigliosa? Con pazienza si misero a togliere quell’immondizia cercando di non far male al platano.

Avevano appena terminato quando, all’improvviso, il cielo cambiò il suo colore come un camaleonte che diventa roccia o foglia ogni volta che ha bisogno di mimetizzarsi.

Gli spicchi colorati degli  ombrelli diventarono un tutt’uno con le nuvole intorno.

La pioggia cessò. L’aria si fece più dolce e un improvviso silenzio pervase lo spazio intorno a loro.

I bambini si guardarono con occhi sbarrati. Muovevano le testoline intorno cercando inutilmente una spiegazione a quell’incredibile mutamento del tempo, ma sembrava che tutto ciò che conoscevano da sempre fosse sparito. Le automobili, le persone, i palazzi: tutto volatilizzato.

Elisabetta stava ancora cercando con lo sguardo incredulo un segno del loro mondo, quando Alessandro le afferrò un braccio e iniziò a scuoterla.

“Che succede?” chiese la bambina all’amico.

Lui le indicò ammiccando l’imponente tronco davanti a loro.

Due occhi grandi e tristi fissavano i piccoli umani, mentre le fronde si muovevano cercando di scrollare via le gocce d’acqua che erano scese copiose durante tutta la mattina.

I bambini vennero colpiti da quello scroscio improvviso e istintivamente si rannicchiarono sotto i loro ombrelli tenuti saldamente come scudi. Ma l’acqua non fece in tempo a toccare la tela che svanì, asciugata da un inaspettato calore primaverile che scaldò i loro cuori.

“Chi sei?” domandò Alessandro mosso da un coraggio che lo lasciò subito dopo di stucco.

Anche la bambina non credeva alle proprie orecchie. Il suo amico aveva davvero un coraggio da leone. 

“Potrei chiedere a voi la stessa cosa” le parole uscirono da una fessura che si era formata sotto gli occhi dell’enorme platano, mentre lo sguardo della possente creatura si spostava, incessantemente, dall’uno all’altra.

“Come avete fatto a svegliarmi? Dormivo così bene da tanti anni.”

Elisabetta continuava a non credere a ciò che stava accadendo e non riusciva a parlare, ma Alessandro continuò per soddisfare la crescente curiosità.

“Perché ti eri addormentato?” chiese.

“Caro ragazzo, sei molto curioso eh?” l’albero emise un suono che ricordava uno starnuto poi, sempre con voce lenta e profonda, disse:  

“So bene che voi umani andate sempre così di fretta, ma se avete voglia di perdere un po’ di tempo vi racconterò una storia.”

I bambini annuirono all’unisono.

“Sono un po’ frastornato…” continuò l’enorme platano con voce profonda. Fermò il movimento dei suoi rami e nel più assoluto silenzio riprese:

“Bene, bene siete riusciti a farmi uscire dal mondo dei sogni, allora significa che siete dei bambini speciali. Fate parte dei prescelti!”

L’albero aveva acquistato un tono solenne che incuteva un certo timore.

I due amici si guardarono sempre più stupiti e continuavano a non capire, ma seppure intimoriti e increduli, essere stati definiti prescelti li rendeva pieni di orgoglio.

“Cosa significa essere prescelti? Perché siamo così speciali?” chiese la bambina.

L’albero proseguì:

“Sedetevi qui, sulle mie radici, non temete. Dovete avere un po’ di pazienza perché la storia che sto per  raccontarvi è molto importante.”

Alessandro e Elisabetta chiusero gli ombrelli e fecero scivolare gli zaini pesanti dalle loro braccia. Appoggiarono tutto al tronco dell’albero facendogli il solletico.

Il vecchio sorrise e scosse di nuovo gli enormi rami provocando lo scroscio delle ultime gocce d’acqua che finirono sulle teste dei bambini che questa volta non riuscirono a salvarsi dalla doccia fredda.

Poi, si sedettero, incrociarono le gambe e con i menti appoggiati sulle mani e i gomiti sulle ginocchia rivolsero gli sguardi verso gli occhi dell’albero  e iniziarono ad ascoltare.

“Mi presento. Io sono Maor e voi, giovani umani, come vi chiamate?” domandò l’albero fissando lo sguardo negli occhi dei bambini.

I due si presentarono.

“Alessandro e Elisabetta……Alasdair e Warmir nella mia lingua…. belli i vostri nomi. Nomi di prescelti.”

I bambini sorrisero compiaciuti. Elisabetta esultò afferrando la mano dell’amico:

“D’ora in avanti ci chiameremo così!”

“Allora, cari Alasdair e Warmir la storia è questa…”

Maor abbassò le palpebre coriacee, chiuse i suoi grandi occhi e sospirò profondamente. Un soffio di vento gelido attraversò i corpi dei bambini che sussultarono, poi quell’incredibile creatura continuò:

“Molti anni fa con i miei numerosi fratelli vivevo nella foresta della Dimensione delle Scelte. Un mondo profondamente diverso dal luogo dove vivete voi. Nel mio mondo ogni semplice decisione di una creatura può stravolgere il futuro di tutti e cambiare il corso degli eventi.”

Il tono dell’albero si fece greve e lo sguardo di Alasdair interrogativo.

“Dimmi ragazzo, cosa tormenta la tua mente? Sento che vuoi chiedere, avere risposte.”

Il bambino si fece coraggio e parlò:

“Mi chiedevo perché sei qui, intendo qui nel nostro mondo. Perché hai lasciato i tuoi amici, il luogo dove potevi essere te stesso senza nasconderti?”

L’albero si fece triste.

I rami possenti e frondosi si piegarono lentamente come in una smorfia di dolore.

“E’ proprio quello che vi voglio raccontare. Io non mi nascondo. Sono qui per un motivo molto importante!”

“Accidenti, ma che ore sono? Stiamo facendo tardi? A casa ci aspettano!”

Warmir, preoccupata bloccò il platano che stava continuando la sua storia. Erano usciti da scuola e dovevano rientrare per il pranzo. Ma quello che stava accadendo era così incredibile che i bambini avevano completamente perso la cognizione del tempo.

Alasdair guardò l’orologio che aveva al polso e si accorse che le lancette non si stavano muovendo. Provò a scuotere il polso, niente. Provò a picchiettare con i polpastrelli il vetro, ma le lancette non davano segno di vita.

Il tempo si era fermato.

“Oh! Oh! Il tempo!” Maor curvò la bocca in un sorriso. “Il vostro mondo schiavo dei minuti!! Nella Dimensione delle Scelte non abbiamo quegli strumenti che vi rendono così tanto nervosi e distratti!”.

I bambini tirarono un sospiro di sollievo.

“Non preoccupatevi giovani amici. Quando mi sono risvegliato il tempo del vostro mondo si è fermato. Quindi non tornerete a casa in ritardo. Ho bisogno di voi. Avete scelto di non ignorarmi, non siete rimasti indifferenti alla natura che vi circonda, mi avete aiutato e la vostra scelta mi ha risvegliato.”

I due bambini continuavano a non capire esattamente cosa stesse accadendo e cosa loro avrebbero potuto fare per quel nuovo amico. Il platano continuò.

“I nostri due mondi sono sempre stati in comunicazione. Gli uomini entravano e uscivano tra le due dimensioni senza problemi quando venivano fatte scelte importanti per il benessere della Terra. Il vostro tempo si fermava e chi aveva preso una decisione o agito nell’interesse di un albero, come me, di un fiore, di un animale, di un prato, del mare o di una montagna poteva passare attraverso quell’albero, quel fiore o quella montagna e arrivare da noi. Ogni volta si realizzava un incontro meraviglioso perché gli uomini, entrando nel mio mondo, ritrovavano la parte bella del loro essere, la parte bambina. Quella parte che vede la bellezza nel creato, che dà importanza a tutte le creature, che rispetta e ammira ciò che lo circonda. Gli uomini si nutrivano della bellezza del mio mondo, della semplicità dei colori, dei suoni e della varietà di splendide creature che lo abitavano. Noi alberi siamo da sempre i protettori della Dimensione delle Scelte e siamo noi che concediamo l’accesso agli stranieri nel nostro mondo.”

L’albero tirò un respiro profondo.

La sua voce tradiva una grande felicità nel ricordo di quella realtà di complicità e condivisione che legava i due mondi, ma a un certo punto il tono cambiò e si fece decisamente cupo.

È accaduto qualcosa. Qualcosa di terribile. Così il Gran Consiglio dei Guardiani della Dimensione delle Scelte ha dovuto prendere una drammatica decisione. Sono stato convocato d’urgenza perché le cose stavano precipitando vertiginosamente. Era una situazione insostenibile.”

 L’albero iniziò a singhiozzare ricordando fatti che evidentemente lo avevano profondamente turbato.

I bambini seguivano le sue tormentate parole in religioso silenzio, tristi e preoccupati per quello che ancora Maor non aveva detto. Si chiedevano che cosa fosse accaduto di così tanto terribile, ma non osavano profferir parola perché capivano che quello era il momento del suo accorato sfogo, l’albero aveva bisogno di esternare tutto il suo dolore e loro erano lì per ascoltarlo e, se possibile, per consolarlo.

Il platano si fermò un momento e cercò di riprendere la calma per continuare a parlare:

 “C’è stata una scelta…. una scelta bella fatta da un uomo…quella scelta ha aperto un portale…” la voce di Maor vacillò per un istante “…..ma l’uomo aveva un animo malvagio ed è riuscito a entrare. Una disgrazia per tutti noi! Per questo io mi trovo qui!”.

L’aria si fece per un attimo pungente, come se l’autunno fosse ritornato repentinamente e i bambini non riuscirono a trattenere un brivido. Poi di nuovo il tepore primaverile li abbracciò.

Warmir ruppe il silenzio dei due ascoltatori e come un fiume in piena disse:

“Sei forse stato cacciato dal tuo mondo? Che cosa triste! Quell’uomo era entrato per colpa tua? Mi dispiace, chissà quanto sei stato male…forse però adesso che sei di nuovo sveglio potrai tornare a casa? Come possiamo aiutarti? Hai detto che siamo i prescelti, allora possiamo fare qualcosa per te? Ti prego chiedi pure, noi vogliamo aiutarti…” e avrebbe continuato così se Alasdair non l’avesse bloccata:

“Fermati! Lascialo parlare! Non sappiamo ancora cosa sia successo veramente!”

L’albero scosse un po’ i rami più alti e qualche foglia ingiallita cadde sul terreno fluttuando nell’aria fino al suolo.

“Non è stata colpa mia, ma questo poco importa. Noi … non possiamo conoscere l’animo umano.  Apriamo la porta alle scelte giuste e alle buone azioni con la speranza che chi le ha compiute abbia un animo puro e che comunque si ricordi cosa vuol dire essere semplici e altruisti. Quell’uomo aveva dimenticato tutto questo. Aveva dimenticato cosa significa vedere al di fuori di noi stessi con gli occhi dei bambini, con i vostri occhi. Occhi genuini, liberi e giusti.” i bambini si guardarono e sorrisero, “Sono stato mandato qui per chiudere ogni accesso al mio mondo. Sono il guardiano dormiente. Fino alla vostra scelta di oggi nessuno è più entrato nel nostro mondo e sulla Terra la natura ha iniziato a soffrire e subire una condizione che la sta portando alla completa distruzione.”

Quelle parole così dure fecero sobbalzare i bambini.

In realtà loro conoscevano bene i problemi del loro pianeta. A scuola ne avevano tanto parlato, ma erano piccoli e non sapevano come poter fare per cambiare o almeno migliorare quella situazione.

 “Fino a quando i nostri mondi convivevano in sinergia e l’uomo rispettava la Dimensione delle Scelte tutto procedeva bene sulla Terra. Le esperienze fatte nel mio mondo servivano a voi per curare, rispettare e amare le creature e la bellezza che vi circondano. Ma quell’uomo ha rovinato tutto. Con la sua sete di possedere e dominare ha creato una frattura così grande che non c’è stata nessuna possibilità di riappacificazione tra i nostri mondi…. fino a oggi.”

Alasdair allora non riuscì più a trattenersi e chiese con voce flebile:

“Adesso com’è il tuo mondo, Maor?”

“Non bello, purtroppo, mio caro ragazzo. Ancora non siamo riusciti a riportarlo alla vita. La nostra dimensione si nutriva del bene fatto dagli uomini. Abbiamo bisogno che qualcuno torni nel nostro mondo e ci dia nuovamente speranza.”

Warmir sussultò:

“Allora siamo noi due quella speranza?”

 “Esatto, siete voi.”

L’albero finalmente sorrise. Sembrava sollevato e di nuovo speranzoso.

“Siete i primi bambini a poter entrare nel mio mondo. E forse abbiamo sempre sbagliato a non concedervi la possibilità di visitarlo. È buffo che i prescelti siate proprio voi, giovani creature! Ma io sono felice perché so che le vostre intenzioni sono nobili e sono sicuro che ci aiuterete a tornare quello che eravamo…”

La voce dell’albero adesso era piena di speranza e i bambini vennero pervasi da un moto di commozione.

“Venite ragazzi, vi accompagnerò nel mio mondo. Vedrete con i vostri occhi il dolore e la devastazione, ma non scoraggiatevi. Riusciremo a cambiare le cose ne sono certo. Poi potrete ritornare a casa!”

Warmir e Alasdair, che ormai avevano adottato i loro nuovi nomi, issarono gli zaini in spalla, presero i loro ombrelli e abbracciarono l’enorme fusto di Maor.

Una luce abbagliante attraversò le foglie dell’albero e raggiunse i bambini. Si sentirono improvvisamente leggeri e i loro corpi iniziarono a sollevarsi da terra come in mancanza di gravità.

Poi, un  attimo di buio impenetrabile e alla fine di nuovo la luce.

I tre compagni di viaggio si ritrovarono catapultati in una landa grigia e desolata. Accecati dalla luce abbagliante, riuscirono a mettere di nuovo a fuoco dopo un attimo di smarrimento. I due bambini si guardarono l’un l’altra. Non indossavano più i loro vestiti, ma due tuniche bianche orlate con fili d’oro e d’argento. Avevano i piedi nudi, ma non sentivano le asperità del terreno nonostante ce ne fossero in grande quantità. I loro zaini si erano trasformati in due sacche di stoffa color zaffiro che con un lungo laccio pendevano dalle spalle e si adagiavano sui fianchi. Gli ombrelli, ormai non più colorati, erano diventati bastoni lunghi e nodosi necessari per camminare sicuri attraverso quei terreni accidentati. Intorno alle loro teste due nastri di raso celeste si facevano più larghi sulla fronte e si stringevano in un nodo dietro la nuca. Nella parte più larga si poteva scorgere il ricamo di una sagoma stilizzata: un albero. Accanto a loro il possente Maor faceva ombra con i grandi rami.

“Eccoci, siamo arrivati!” con una voce rotta il platano protrasse i rami verso l’esterno come se volesse indicare ai ragazzi di guardarsi intorno e constatare con i loro occhi il risultato della crudeltà umana.

“Che terribile desolazione!” Alasdair commentò ad alta voce il dolore che il suo sguardo sconcertato tradiva nell’osservare un mondo ormai distrutto.

Sembrava che qualcuno avesse gettato nell’aria copiosa cenere e che questa si fosse adagiata a coprire ogni cosa. Niente più colori, né prati, né foglie. Niente animali, niente fiumi o laghi, neppure un rivolo d’acqua trasparente a testimoniare un rigurgito di vita. Tutto era completamente morto. Il cielo plumbeo toglieva il respiro. Una lacrima solcò la guancia di Warmir cadendo vicino ai suoi piedi. Nel punto di impatto con il terreno si illuminò una minuscola fiammella, un bagliore che poi si spense subito.

Maor sussultò.

Allora c’era ancora vita sotto quel vasto telo di nulla! La speranza era di nuovo accesa. Dovevano affrettarsi. Non c’era tempo da perdere.

“Seguitemi!” incitò il grande albero “vi condurrò presso il Gran Consiglio dei Guardiani. Da loro riceverete le istruzioni per portare a termine la vostra missione”.

I tre si incamminarono facendosi strada tra rami bruciati e pietre aguzze disseminate ovunque. Resti di montagne frantumate che avevano ricoperto spazi dove un tempo crescevano piante, fiori, esili fili d’erba. Dove le creature della Dimensione delle Scelte vivevano in armonia. Non c’erano più sentieri: tutto era una monotona distesa di grigio niente. I bambini non si resero conto di quanto tempo avessero camminato. I loro corpi senza peso non sentivano fatica, fame o sete. Avrebbero potuto continuare a camminare per sempre.

Maor aveva ragione. Lì il tempo non trascorreva. Tutto era immobile.

A un tratto, in lontananza, una enorme costruzione si stagliò davanti ai loro occhi. Sembrava una vecchia torre medievale come quelle che i bambini avevano visto sui loro libri di storia. Sulla sommità una bandiera solitaria ripiegata sulla sua asta non sventolava più. In quel paesaggio pietrificato non soffiava nemmeno una lieve brezza.

“La Torre di Gliocas l’unica costruzione rimasta del mio mondo. Solo pochi di noi si sono salvati dalla distruzione. Quell’umano non ha osato varcare il portone della Torre. Siamo arrivati alla sede del Gran Consiglio….avanti non abbiate timore entriamo, ci stanno aspettando.”

Appena i tre compagni attraversarono la soglia si trovarono in uno spazio circolare completamente vuoto. Le pareti spoglie di pietre marroni conferivano all’ambiente un’aria fredda e quasi spettrale.

Maor si portò al centro del cerchio, chiuse gli occhi e pronunciò sottovoce alcune strane parole “Tha an fheadhainn taghte an seo…” e all’improvviso le pareti si ricoprirono di una vernice color del cielo, lucida, brillante.

Dal terreno videro spuntare delle folte chiome e poi dei robusti tronchi mentre dal soffitto iniziarono a calare tre stendardi che si fermarono proprio sopra le teste dei due bambini. Alasdair e Warmir li osservarono con attenzione.

Erano di tre colori diversi, uno giallo, uno verde e uno rosso. Al centro ognuno aveva ricamato in oro uno scudo bianco che riportava dei disegni. Sul campo giallo troneggiava una grande porta con simboli geometrici, sul campo verde una freccia argentata e sul campo rosso una carta bianca piena di punti interrogativi.

“Benvenuti giovani stranieri. Io sono Aosda e sono il membro più anziano di questo gruppo di sopravvissuti. Venite avanti.”

 La voce profonda e roca della creatura risvegliò i bambini dai loro pensieri.

I due si guardarono attorno e contarono sei grandi alberi oltre a quello che stava parlando posti a semicerchio intorno a una colonna bianca ornata da foglie variopinte. Sulla colonna troneggiava una sfera enorme di vetro nero come la pece.

Alasdair e Warmir un po’ intimoriti fecero un passo verso il centro della stanza. La voce continuò:

“Finalmente siete arrivati! Vi stavamo aspettando!”

I bambini non credevano alle loro orecchie. Com’era possibile che stessero aspettando proprio loro? Sembrava tutto così assurdo. Un sogno. Si presero per mano e strinsero così forte da farsi male. Non era un sogno, proprio no. Loro erano lì in carne e ossa. Erano stati catapultati in un mondo parallelo, lontani da casa e dalle loro vite, scelti per qualcosa che a stento capivano.

“So che siete turbati e che in cuor vostro avete domande e dubbi. Non dovete temere. Siete qui per riportare speranza e felicità dove sta regnando desolazione e tristezza. La nostra dimensione è stata distrutta. Immagino che ne abbiate preso piena coscienza durante il cammino che vi ha portato fino a qui.”

Gli occhi del saggio si spostarono su Maor che fece un cenno con la chioma. I bambini sapevano già quanto bastava.

“Vedo che il nostro guardiano vi ha spiegato come stanno le cose. La cupidigia e la sete di potere di un vostro simile ci ha ridotti a un cumulo di macerie. Quell’uomo voleva diventare il re di queste terre. Voleva il trono della Dimensione delle Scelte per poter esercitare la sua volontà anche sulla vostra Terra. Sapeva che i nostri due mondi erano indissolubilmente legati uno all’altro e che quello che accade all’uno si ripercuote sull’altro……. e viceversa.”

Il grande albero si fermò per un momento, abbassò lo sguardo e si fece pensieroso.

Poi riprese:

“Siamo riusciti a fermarlo e a rimandarlo indietro. Non ha osato profanare questo luogo sacro, ha avuto paura per la sua vita perché sapeva che non gli avremmo mai permesso di annientarci del tutto. Ma ha comunque ottenuto il suo scopo. I nostri tre popoli non esistono più e sulla Terra la natura sta soffrendo in modo indicibile.”

Warmir e Alasdair trattennero il fiato per un momento.

Quelle parole così tristi e cariche di disperazione li portarono a domandarsi cosa avrebbero potuto fare loro per risolvere quella situazione. Erano solo dei bambini: quelle creature che cosa si aspettavano da loro? Però non osavano domandare. Quella situazione incuteva loro imbarazzo e un pizzico di timore. Ma il vecchio saggio sembrava potesse leggere nelle loro menti e nei loro cuori.

“Sento ciò che vi turba. Non temete, potete molto e molto sono certo farete…”

Fissò intensamente la sfera nera sopra la colonna che all’improvviso si illuminò e diventò trasparente.

“Avvicinatevi… non abbiate paura” l’albero invitò i bambini a farsi avanti.

Con un po’ di titubanza si mossero. Dalla sfera scaturì un raggio di luce abbagliante che puntò verso il soffitto. Nel cono del fascio si materializzò una chiave color dell’ambra. “Alasdair, coraggio prendi il dono.”

Il bambino protese le mani e afferrò la chiave.

Poi la luce si fece di nuovo abbagliante e si materializzò una gemma color smeraldo. “Adesso è il tuo turno Warmir.”

La bambina, come l’amico prima, allungò una mano e prese la pietra.

“Ecco, adesso l’ultimo dono è per entrambi.”

Questa volta due dadi dalle tonalità rosse cangianti iniziarono a fluttuare nel cono di luce.

I bambini ne presero uno ciascuno. Depositarono i doni nelle sacche di stoffa che avevano a tracolla. Poi indietreggiarono tornando accanto a Maor, uno a destra l’altra a sinistra.

“Bene…. avete i nostri aiuti… adesso tocca a voi.”

I prescelti si guardarono, a stento capivano cosa fosse accaduto. Non avevano nessuna idea di cosa avessero in custodia e tanto meno cosa dovessero farci. Alzarono lo sguardo sul saggio, ma lui si stava già inabissando nel terreno insieme ai suoi simili. Prima che la sua bocca scomparisse nel sottosuolo si udì un sussurro nella sala:

“Maor vi spiegherà. Buona fortuna” e la voce sparì insieme a tutto il resto. La stanza tornò a essere spoglia e fredda. I tre rimasero in silenzio per un attimo, poi Maor si incamminò verso l’uscita seguito dai bambini.

Trovarono un luogo sgombro da massi e rami spezzati. I prescelti si sedettero e l’albero si fissò al terreno piantando le radici in profondità.

“Gli stendardi che avete visto nella sala del Gran Consiglio rappresentano le tre regioni in cui è divisa la nostra dimensione. Il giallo è il colore del Popolo delle Possibilità. Gli abitanti sono grandi creature forti e semplici. Sono i miei simili. Io provengo da lì.” Per un attimo Maor tradì un’emozione forte nel tono di voce.

I due bambini si avvicinarono e si unirono in un abbraccio circondando con le braccia il grande tronco.

Maor scosse le fronde e sorrise loro.

“E gli altri mondi?” Warmir chiese a Maor di continuare per alleggerire quei dolorosi pensieri.

“Lo stendardo verde rappresenta il Popolo delle Opportunità. È popolato da piccoli esseri alati che possono spostarsi a grandi velocità per raggiungere la meta, proprio come una freccia scagliata da un arco.”

L’albero ripensò a quelle buffe creaturine che avevano le sembianze di ranocchie con la cresta, piccole ali di pipistrello e una coda lunga e appuntita.

“Infine, lo stendardo rosso. È il popolo più simile al vostro. Il Popolo delle Probabilità. Le creature sono simili agli uomini, sono operose, sono loro che si occupano di mantenere la Dimensione delle Scelte pulita, ordinata, in buona salute. Sono anche le creature più giocherellone della nostra terra. Amavano divertirsi, giocare, stare in compagnia.”

I bambini pensarono che quello fosse il popolo che preferivano, senza ombra di dubbio.

“Mi mancano le loro risate cristalline. Voglio tornare ad ascoltare quel suono rigenerante” Maor adesso aveva una voce ferma e determinata.

I bambini capirono quanto fosse importante il loro compito e sapevano che non potevano fallire. In qualunque modo quei popoli dovevano tornare a vivere.

“Avvicinatevi ragazzi” Maor li invitò e li circondò con due dei suoi rami più forti.

Poi i bambini si sentirono un tutt’uno con il grande albero che chiese loro di chiudere gli occhi.

Alasdair e Warmir si sentirono pervadere da una sensazione di pace e di leggerezza. Quando riaprirono gli occhi si trovavano in un luogo diverso. Intorno la desolazione era come quella già incontrata, ma di fronte potevano vedere schierate dieci grandi porte di colore giallo. Ai lati della distesa due aste sorreggevano gli stendardi del Popolo delle Possibilità sbiaditi e sdruciti adagiati senza forza lungo i loro sostegni.

“Eccoci, ci siamo, ora tocca a voi. Alasdair, la chiave.”

Il bambino frugò nella sacca che curiosamente sembrava molto più grande all’interno rispetto alle sue vere dimensioni.

Ci volle un po’ e finalmente la chiave si adagiò sul palmo della mano e il bambino la estrasse. Guardò con occhi interrogativi la chiave, le porte, Maor e poi di nuovo la chiave.

“Devo aprire una di quelle porte, vero?” la domanda scontata di Alasdair gli uscì di getto dalle labbra non tanto per avere una risposta quanto per chiedere aiuto.

Non aveva assolutamente idea di quale porta dovesse scegliere e cosa sarebbe accaduto se avesse      sbagliato. Warmir gli strinse la mano.

“Coraggio… proviamo a capire cosa fare” la bambina sentiva tutta la responsabilità che gravava sulle loro spalle e voleva fare la sua parte.

“Guardate bene le porte. Hanno dei disegni sulla superficie. Dovete scegliere la porta su cui sono disegnate più figure.”

Sembrava decisamente semplice. I bambini si avvicinarono per cercare di contare meglio e rimasero senza parole. Purtroppo, il compito sarebbe stato più arduo del previsto. Le figure apparivano e sparivano di continuo in un gioco di figure concentriche difficili da distinguere. Un effetto ipnotico che scoraggiò i prescelti.

“Secondo me hanno sbagliato a scegliere noi” Alasdair si sentì improvvisamente inadeguato e sconfitto.

Fino a quel momento l’avventura che stavano vivendo era stata esaltante. Nonostante il motivo che li aveva portati lì, essere i prescelti, avere un albero per amico erano cose incredibili che le persone possono vivere solo nella propria immaginazione.

Invece loro erano lì in carne e ossa.

Ma adesso si sentivano decisamente inutili e inadeguati al compito che era stato loro assegnato.

Warmir si bloccò davanti all’amico e con voce ferma lo scosse.

“Non parlare così, non ci possiamo arrendere siamo soltanto all’inizio. Prendiamoci un momento. Pensiamo a come possiamo affrontare questa sfida insieme. Se riusciremo a trovare la porta giusta il popolo di Maor tornerà alla vita. Non possiamo mollare adesso!”

“Hai ragione Warmir. Sono uno sciocco. Dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per trovare la soluzione.”

Alasdair si parò davanti alla prima porta. Si sedette in terra e iniziò a fissare quel movimento incessante di figure. Poi una forza proveniente dal cuore gli fece chiudere gli occhi e il bambino entrò in uno stato ipnotico.

Sembrava stesse dormendo.

Maor e Warmir lo guardavano incuriositi. Non capivano cosa stesse accadendo. Nella mente di Alasdair una successione di numeri iniziò a materializzarsi. Uno, due, tre, quattro…. cinque, sei. Il bambino stava contando le figure della prima porta.

A un certo punto aprì di nuovo gli occhi. Si era risvegliato.

“Centoventi… le figure sono centoventi” il bambino pronunciò quelle parole con un filo di voce ancora incredulo.

Warmir gli corse incontro e l’abbracciò:

“Bravo Alasdair. Ce l’hai fatta! Non avevo dubbi! Sei grande.”

Maor abbassò le fronde piegandole in un inchino.

“Ero sicuro che la vostra bontà e la vostra purezza d’animo vi avrebbe permesso di aiutarci.”

Alasdair continuò, nello stesso modo, con le restanti nove porte e trovò quella giusta.

Si avvicinò alla sesta porta. Prese la chiave e si bloccò. Voltò la testa indietro alla ricerca di un cenno di incoraggiamento da parte dei suoi amici.

Warmir lo spronò:

“Forza Alasdair. È quella giusta ne sono sicura. Non ti fermare.”

Anche Maor parlò:

“Dai ragazzo! Ci siamo!”

Il bambino con gesti lenti inserì la chiave nella toppa. Girò tre volte in senso orario e sentì un clic. Spinse piano la porta che si aprì docilmente.

Appena fu completamente aperta sparì insieme alle altre compagne. I tre spalancarono lo sguardo. La landa desolata che li circondava stava riprendendo i suoi colori originali. L’erba era ricresciuta, i fiumi si stavano riempiendo d’acqua, i fiori sbocciavano. La terra stava tornando alla vita. Poi un terremoto spaventò i bambini. Maor li circondò con i suoi rami per proteggerli.

“State tranquilli, non è niente di pericoloso. Guardate.”

I due si fecero largo tra le foglie e videro il terreno che si squarciava in tante crepe dalle quali sorgevano magnifici alberi frondosi. Il panorama grigio e disabitato si era trasformato in un tripudio di vita e colore. Le enormi creature piegarono le chiome come aveva fatto prima Maor anche loro in segno di profondo ringraziamento e devozione. Lo spettacolo era meraviglioso e commovente: circondati da un numero imprecisato di enormi alberi piegati in un ossequio alla gentilezza.

Uno di loro parlò:

“Benvenuti! Siamo il Popolo delle Possibilità. Grazie per averci riportato alla vita. Qui gli uomini che visitano il nostro mondo hanno di fronte tanti modi per vivere al meglio in simbiosi con la natura. Noi diamo loro la possibilità di conoscerci e di capire quali sono le nostre necessità, le nostre abitudini e le nostre potenzialità. L’ultimo uomo ci ha distrutto senza pietà perché vedeva in noi solo la possibilità di trarre profitto. Noi invece abbiamo da sempre cercato amicizia. Non dimenticate che sulla Terra la vostra vita dipende da noi…”

I bambini annuirono. Sapevano bene quanto la vegetazione fosse fondamentale per vivere e i loro cuori scoppiarono di gioia nel vedere ciò che erano riusciti a fare. Avevano ancora altri due compiti da portare a termine.

Quando si congedarono una quercia altissima si avvicinò:

“Permettetemi di aiutarvi a raggiungere il prossimo mondo…”

Alasdair e Warmir annuirono.

La quercia li fece salire sul ramo più alto.

I bambini potevano toccare il cielo. In un attimo sentirono i loro corpi fluttuare in aria. Si spostavano in una direzione come spinti da una corrente d’aria tiepida.

A un certo punto cominciarono dolcemente a perdere quota fino a quando vennero adagiati sul terreno con incredibile delicatezza. Si guardarono intorno e all’improvviso davanti ai loro occhi si materializzò Maor.

“Questo poi ce lo devi insegnare!” Alasdair ridacchiando pensò a quanto sarebbe stato fantastico potersi smaterializzare e rimaterializzare a piacere sulla Terra.

Maor rispose:

“Temo che questo gioco valga solo qui!”. E per la prima volta il grande albero si liberò in una risata felice.

I tre si ritrovarono in mezzo a una distesa brulla.

“Attenti alle teste!” Maor avvertì i bambini che si guardavano intorno cercando di capire dove fosse il pericolo.

All’improvviso dal nulla spuntò a grandissima velocità una freccia.

I due bambini fecero appena in tempo ad abbassarsi e la freccia si limitò a sfiorare i loro capelli.

Nel momento in cui Alasdair e Warmir rivolsero lo sguardo interrogativo verso Maor la bambina si accorse che un’altra punta si stava dirigendo verso di loro. Agguantò il braccio di Alasdair e fece appena in tempo a trascinare a terra il bambino insieme a lei. Anche quella freccia li lasciò illesi.

“Dovete fare attenzione, queste frecce sono ciò che e rimasto del Popolo delle Opportunità. Da quando questo mondo è stato distrutto si muovono rapidamente cercando invano un bersaglio dove fermarsi.”

Grazie alle parole di Maor i bambini capirono subito che il loro compito era proprio porre fine a quelle corse disperate.

Warmir frugò nella sua sacca ed estrasse la gemma.

“Secondo voi cosa devo farne?” la bambina aveva un tono dubbioso.

Alasdair le suggerì che forse proprio quello poteva essere il bersaglio.

Allora i due bimbi sotto lo sguardo amorevole dell’albero appoggiarono la pietra sul terreno, poi, attenti alle loro teste si allontanarono.

Attesero poco tempo.

 Una freccia comparve dall’orizzonte, passò sopra la gemma e sparì con la stessa velocità verso l’infinito.

I bambini si avvicinarono alla pietra.

 “Cosa è andato storto?” Warmir aveva un tono deluso e Alasdair le strinse una mano per farle coraggio.

“Non vi abbattete…. la soluzione è lì in quella gemma… coraggio…” l’albero aveva piena fiducia nei bambini. Sapeva bene che erano la loro unica speranza.

Warmir teneva quella meraviglia color smeraldo sul palmo. La fissava con la speranza che la stessa gemma le facesse capire cosa fare. Poi, i suoi occhi si illuminarono.

“Alasdair… dobbiamo provare a prenderne una. Forse ho un’idea, voglio fare un tentativo” si rivolse all’amico che annuì.

“D’accordo … pensiamo a come fare!”

“Ci penso io non preoccupatevi.”

 Maor che fino a quel momento era stato in disparte si fece avanti.

Una freccia stava arrivando.

Rapidamente parò un suo ramo davanti alla freccia che non fece in tempo a schivarlo e ci si conficcò con tutta la punta.

Alasdair afferrò la coda e riuscì a fatica a estrarla tanto era conficcata nel legno.

Warmir strappò una striscia di stoffa dalla sua veste, poi legò la gemma vicino alla punta della freccia.

“Adesso lasciala andare!”

Alasdair seguì le parole dell’amica e la liberò.

I bambini pensavano che il bolide continuasse per la sua strada; invece, la freccia tornò sui suoi passi. Ripercorse, sempre a grande velocità, la strada che aveva fatto guidata da un fascio di luce verde sprigionato dalla gemma. A un certo punto sulla strada della freccia apparve un grande cerchio multicolore. Al centro del cerchio, proprio come in un bersaglio, un altro piccolo cerchio concentrico rosso. La freccia non esitò nemmeno per un secondo e, come se fosse guidata proprio dalla gemma, colpì il centro.

Un forte boato e una luce abbagliante si sprigionarono dal bersaglio.

Poi tutto ritornò alla normalità, o quasi.

La landa deserta in cui erano arrivati si era trasformata in uno splendido prato fiorito dove migliaia di creaturine si divertivano a svolazzare qua e là felici e spensierate.

La bocca di Warmir si piegò in un enorme sorriso

“Grazie amici   senza il vostro aiuto non ce l’avrei fatta!”

I bambini strinsero in un abbraccio il grande tronco, poi si guardarono di nuovo.

“Abbiamo l’ultimo compito da portare a termine.”

Maor non voleva turbare quel momento così commovente, ma sapeva che rimaneva ancora qualcosa da fare.

L’albero guardò nella direzione del bersaglio. Il cerchio multicolore era sparito, ma disse comunque i bambini a seguirlo.

Quando furono vicini il cerchio si materializzò di nuovo. Questa volta non era cangiante, ma di colore nero.

L’albero li invitò a seguirlo. Prese i bambini e con loro entrò dentro il cerchio.

Si ritrovarono sulla cima di un enorme scivolo che scendeva vertiginosamente.

I bambini non riuscivano a vederne la fine ed erano sinceramente spaventati. L’albero li strinse a sé e li rassicurò.

“Non temete. Anche nel vostro mondo avete gli scivoli, no?”

“Sì, ma non sono così ripidi” replicò Alasdair cercando conferma negli occhi dell’amica. Warmir annuì un tantino disperata.

“Sapete cosa dovete fare. Forza al mio tre…” Maor li incoraggiò.

“Uno… due…tre.”

Quando l’albero ebbe terminato di contare i tre volarono giù.

Passato il primo momento di paura i bambini iniziarono a gridare di gioia.

Sembrava di essere al luna-park. Anche se intorno era tutto buio, quella discesa ripidissima li stava caricando di così tanta adrenalina che non volevano finisse mai.

Invece, la discesa finì in un luogo se possibile ancora più buio e freddo di quello che avevano attraversato durante la discesa.

I tre non riuscivano a vedere a un palmo di naso quando i due simboli che i bambini avevano ricamato sulla fascia intorno alla fronte si illuminarono diventando una torcia. Riuscivano a vedere ancora poco, ma presto si resero conto di essere sottoterra probabilmente in una caverna.

“Siamo arrivati dal Popolo delle Probabilità    o meglio da quello che ne rimane…” l’albero cercò di spiegare ai bambini quello che non si poteva vedere. “Le creature vivevano in queste grotte. Ma di solito c’era molta più luce…”

I bambini capirono che Maor voleva dire qualcosa di più e si sedettero in terra per ascoltare. “Vedete ragazzi, gli abitanti erano piccoli uomini laboriosi. In effetti sembravano più bambini che adulti. Visetti paffuti e grandi sorrisi…. che tipetti buffi, sempre pronti alla burla e allo scherzo.”

Maor si lasciò andare a una risata liberatoria.

“Dobbiamo farli tornare… assolutamente. La Dimensione delle Scelte non può sopravvivere senza di loro. Si sono sempre occupati di tenere la nostra realtà pulità, accogliente, felice. Sono l’ossigeno per i nostri cuori.”

Alasdair e Warmir avevano capito.

Restavano i due dai rossi.

Li estrassero dalle sacche e cominciarono a guardarsi intorno con la fioca luce delle loro torce.

Quando entrambi fissarono un punto sul terreno apparvero cinque pietre.

Avevano dei numeri scritti sopra: due, quattro, cinque, otto, dieci.

I numeri sembravano scavati con il fuoco perché brillavano di una luce rossa, incandescente.

I bambini sorrisero.

“Dobbiamo giocare” esortò Alasdair.

“Sì”, annuì Warmir.

Lanciarono i dadi. Due. Attesero, ma non accadde niente.

“Non scoraggiatevi, provate ancora” disse Maor.

Lanciarono di nuovo. Dieci. Niente.

“Ancora, ancora.”

Un nuovo lancio. Otto. I bambini si bloccarono.

I dadi si alzarono da terra avvolti da una nuvola di luce rossa.

Iniziarono a roteare vorticosamente. Poi scomparvero. La pietra contrassegnata con il numero otto ruotò e il numero diventò il simbolo dell’infinito, poi si ritrasse e sprofondò come risucchiata dalla terra. Il soffitto della grotta iniziò a emanare una luce calda e accogliente. Ai bambini sembrò di avere premuto un interruttore.

Si resero subito conto che si trovavano veramente in una grotta e che intorno c’erano tante aperture che portavano in altre grotte e si snodavano sottoterra.

Da quelle aperture i tre amici iniziarono a sentire dei rumori. Voci, battere di martelli, musica, cigolare di ruote, scrosci d’acqua. Poi da quelle stesse aperture si affacciarono dei piccoli uomini indaffarati a fare non si capiva bene cosa, ma contenti di essere appunto indaffarati.

Passarono vicino ai bambini sfiorandoli, come se non li avessero visti e continuarono sereni a fare ciò che stavano facendo. Qualunque cosa fosse! I tre amici si chiusero in un cerchio. Si presero per mano e tirarono un profondo respiro di sollievo.

La Dimensione delle Scelte era tornata in vita.

Chiusero gli occhi. Iniziarono a girare tanto da riuscire a stento a stare in piedi.

Poi tutto cambiò, anzi tutto tornò quasi come prima.

I tre amici si ritrovarono nella piazza da dove tutto era cominciato. Maor forte e silenzioso di nuovo aggrappato alla terra con le sue possenti radici. Alessandro e Elisabetta di nuovo con i loro abiti, i loro zaini e gli ombrelli colorati.

Era freddo. Di nuovo. E pioveva. Di nuovo.

Maor li salutò:

“Grazie. Il portale verso la Dimensione delle Scelte è di nuovo aperto per gli uomini. Speriamo ne facciano buon uso… mantenete il nostro segreto. Nessuno deve sapere di me.”

I bambini sotto i loro ombrelli colorati rabbrividirono un po’ infreddoliti.

Erano felici, ma anche preoccupati: si auguravano che ciò che era accaduto al mondo di Maor non sarebbe accaduto mai più. Avrebbero fatto quanto in loro potere per far capire a tutti quanto era importante proteggere la Terra e tutti i mondi ai quali gli uomini avevano accesso.

Ma, adesso, si sentivano ricchi. Avevano vissuto una fantastica avventura e avevano un nuovo incredibile amico. Continuarono a fare quella strada ancora per molti anni e ancora per molti anni Maor li aspettò forte, enorme, vivo.

Alessandro guardò l’orologio. Le lancette erano ripartite. Si stava facendo tardi. A casa li aspettavano per il pranzo.

Post a Comment