ISHÁ di Laura Cruciatti (prima parte)

Inizio a raccogliere in un diario le mie impressioni e le mie valutazioni in merito al caso del “guaritore” indiano. Farò del mio meglio per mantenermi obiettivo, anche se, già in prima analisi, suppongo che i risultati finali saranno gli stessi che ho raggiunto in altri casi simili.

Siamo in una zona del mondo dove i fenomeni di divinazione e di profezia sono largamente diffusi, inoltre la religione induista lascia spazio a qualsiasi credenza o culto.

Il villaggio dove sono ora fa riferimento a un tempio indù localizzato a circa 120 chilometri e ho avuto modo di conoscere il bramino, che non mi è parso incline né a smentire né ad avallare le notizie riguardanti il guaritore. Ho avuto l’impressione che se anche i presunti miracoli non lo convincano ritiene invece molto convincente il flusso di visitatori e di pellegrini che arriva al tempio.

Sono arrivato al villaggio dopo circa tre ore di percorso su strade impossibili, piene di fango e di buche. Qui siamo lontanissimi da qualsiasi forma di civiltà moderna, quindi dovrò adattarmi a un soggiorno quasi monastico, ma ho scelto questa sistemazione perché l’albergo più vicino è a due ore di strada da qui e non posso spostarmi ogni giorno con mezzi di fortuna, a dorso d’elefante o su camioncini vetusti e sgangherati.

La popolazione del villaggio è socievole e cordiale, sono stato accolto con curiosità e con rispetto, inoltre alcuni dei residenti capiscono l’inglese e questo mi agevola non poco.

Il capo villaggio ha provveduto ad avvisare il guaritore che sono qui e, a differenza delle mie precedenti esperienze con questo genere d’impostori, devo ammettere che questa volta ho ricevuto una favorevole impressione. Non mi è stato chiesto alcun obolo né mi sono stati imposti strani rituali di purificazione, che sono il pretesto in genere per prendere tempo e organizzare la commedia della guarigione miracolosa. Il guaritore inoltre ha subito accettato di incontrarmi questa sera stessa, dopo il tramonto.

Vedremo di che si tratta.

Mi aspettavo qualcosa di totalmente diverso e devo ammettere di essere rimasto ben impressionato dal mio incontro con il guaritore.

Le caratteristiche somatiche di questo popolo sono tali da rendere difficile per noi europei intuire l’età anagrafica di questa gente.

Hanno spesso un aspetto molto più giovane della loro età o molto più vecchio.

Ho stabilito a occhio croce che il guaritore può avere un’età tra i venti e i trent’anni, è in buona salute e ha una corporatura magra ma vigorosa, capelli e carnagione scuri e degli occhi molto grandi ed espressivi, tanto che ho colto subito, al primo sguardo, una grande curiosità e vivacità.

Non è uno sprovveduto, al contrario deve avere una mente molto ricettiva.

Il nostro colloquio è stato piuttosto complicato perché parla poco l’inglese ed io non conosco neppure una parola della sua lingua, che poi in realtà è un dialetto locale.

Un po’ a gesti e un po’ cercando di usare termini semplici sono riuscito a fargli capire che sono qui solo per osservare, che non interferirò con la sua attività e che non è mia intenzione ostacolare il suo rapporto con i suoi fedeli.

Ha capito subito e mi ha elargito grandi sorrisi e inchini e poi mi ha stupito dicendo in un inglese quasi perfetto che sono il benvenuto e che la sua casa è la mia casa.

Ho valutato la possibilità di accettare l’invito a soggiornare nella casa del guaritore.

Il fatto è che si tratta di una grotta.

È molto confortevole per lui, senza dubbio ha provveduto a dotarla di molte comodità, ma per me resta pur sempre una grotta.

Quindi ho preferito l’ospitalità del capo villaggio che vive invece in una casa di legno con il tetto di paglia e ha una stanza riservata al bramino, le cui visite sono sospese in questo periodo dell’anno a causa delle forti piogge.

Ieri ho visitato la zona e ho scoperto che c’è un piccolo ospedale all’interno di una missione abbandonata, gestito da suore laiche e da un medico indiano piuttosto anziano. Magari mi sbaglio sulla sua età ma direi che ha almeno ottant’anni.

Comunque, l’ospedale funziona abbastanza bene, hanno modeste attrezzature e pochi essenziali medicinali, possono far fronte solo a una piccola parte dei possibili bisogni di questa gente ma per questi luoghi è già molto.

Mi sono messo a disposizione per qualsiasi loro necessità.

Oggi il guaritore mi ha convocato, ha voluto che mangiassi con lui e suo fratello quello ha definito “pasto dell’amicizia”.

Ha cercato di mettermi a mio agio, ha anche tentato di esprimersi nella mia lingua e la parola che sembra preferire fra tutte è “okay”.

L’ha utilizzata ripetutamente per mostrarmi tutto ciò che secondo lui avrei potuto gradire, dal cibo alle bevande, dal cuscino dove mi ha fatto sedere alla temperatura della grotta. Mentre parlavo lui ascoltava con attenzione e ogni tanto mi fermava per chiedere conferma del significato delle mie parole.

A gesti o disegnando con un bastoncino sulla terra battuta cercava di associare alle mie parole oggetti e concetti.

Poi si sforzava di ripetere meglio che poteva il termine cui aveva appena dato un significato e ritengo che sarà in grado di memorizzare con facilità quelli di uso comune.

Devo ammettere che ha una grande capacità di apprendere e una vivace intelligenza ma non è una prova che i suoi miracoli non siano frutto di manipolazione, al contrario ritengo che ne sia la dimostrazione. La furbizia non basta a inscenare i “miracoli”, è necessaria anche una certa dose d’ingegno.

Ha piovuto tutta la notte e la casa del capo villaggio si è allagata. Spaliamo fango da tutta la mattina ed io non sono venuto qui per fare il pompiere!

Quindi ho deciso di accettare l’ospitalità di Ishá.

È questo il nome del guaritore e suo fratello si chiama Lyán.

Sono stati subito entrambi entusiasti della mia presenza e mi hanno attrezzato un giaciglio molto comodo in fondo alla grotta, lontano dal vento e dalle sferzate di pioggia e vicino a un braciere che hanno l’abitudine di accendere dopo il tramonto.

La grotta è molto ampia e profonda e sulla sua volta c’è un’apertura piuttosto grande dalla quale entrano aria, sole e purtroppo anche pioggia.

Ma questi due ragazzi sono ingegnosi, hanno scalpellato la parete della caverna sotto l’apertura in modo da creare due canali di scolo che convogliano l’acqua dentro dei secchi di metallo. In questo modo raccolgono l’acqua piovana per le loro necessità giornaliere, come lavarsi e cucinare, ed evitano che la caverna si allaghi.

Sono vegetariani e il cibo che mi offrono ha come base il riso che condiscono con spezie e verdure. Ha un buon sapore ma non ci sono abituato, quindi sto dando fondo agli integratori alimentari che ho portato con me, per evitare che mi venga la dissenteria.

Ishá mi ha di nuovo stupito chiedendomi in inglese cosa stessi scrivendo e quando ho risposto che prendevo appunti per un diario raccontando di lui, mi ha mostrato un libro: “Le avventure di Oliver Twist” in lingua inglese. Ed io ho dato per scontato che sapesse leggere ma quando gliel’ho chiesto ha scosso la testa e ha riso. Poi mi ha mostrato delle pagine del libro dove erano sottolineate numerose parole e quelle le ha pronunciate tutte correttamente. Qualcuno ha cercato forse di insegnargli la mia lingua ma non ho approfondito perché lui subito ha sciorinato una sequela di parole indirizzate a suo fratello. Anche Lyán ha riso. Ho cercato di sorridere anch’io e Ishá mi ha chiesto di parlare ancora con lui perché vuole imparare bene la mia lingua.

Ieri non ha piovuto e Ishá mi ha fatto conoscere meglio il villaggio e la gente che lo abita; non è molto diverso da altri che ho visto in precedenza in altre regioni del mondo.

Variopinto, affollato, colmo di odori e rumori, un’umanità accalcata e variegata che ci veniva incontro mentre camminavamo sulla via principale.

Ho notato che il passaggio di Ishá provoca un varco immediato tra la folla incessante che occupa la strada, si scansano, gli cedono il passo e spesso s’inchinano.

Qui tutti conoscono Ishá e sembra che gli riservino un grande rispetto.

C’è un piccolo mercato lungo la strada, dove alcune donne vendono verdura e frutta riposte in grandi ceste di vimini.

Arrivati all’altezza della terza cesta, una donna ci è venuta incontro e chinando la testa ha teso verso il guaritore un fagotto pieno di frutta, lui ha sollevato il fagotto e ha piegato la testa in segno di ringraziamento. La donna gli ha sorriso e dopo una serie d’inchini si è allontanata. Ho chiesto a Ishá se fosse un’offerta e lui ha annuito, stringendo con delicatezza il dono appena ricevuto.

Poco più avanti la strada si è aperta su una piccola piazza con al centro un pozzo, il terreno è fangoso un po’ ovunque qui ma in quel punto c’erano numerose pozzanghere e dei bambini si stavano divertendo a saltarci dentro.

Come hanno visto Ishá gli sono corsi incontro e l’hanno circondato, saltando, gridando e tirandogli la tunica.

In pochi minuti aveva fango ovunque ma rideva gioiosamente e sembrava che quel gioco lo divertisse molto.

Poi ha aperto il fagotto e ha cominciato a distribuire ai bambini tutto il suo contenuto, quando il fagotto è rimasto vuoto Ishá ha ripiegato la stoffa e ne ha fatto una cintura che ha legato alla vita.

Gli ho chiesto come avrebbe fatto ora che tutto il cibo era stato distribuito e lui ha risposto che non ne avevamo bisogno, mentre i bambini hanno sempre fame.

Nelle pause di preghiera Ishá si isola totalmente, la sua concentrazione è tale che m’impedisce anche solo di tentare di avvicinarmi. Prega sempre con gli occhi rivolti al cielo e quando piove a dirotto come oggi, lo fa dentro la grotta ma guardando verso l’alto, verso la spaccatura da dove entra abbondante acqua. Lyán si prodiga a vuotare i secchi fuori della grotta ed io non avendo di meglio da fare gli ho dato una mano. È molto silenzioso Lyán, a differenza di suo fratello non sembra interessato a comunicare con me, anche se è sempre molto gentile e cerimonioso nei miei riguardi. Ad esempio, riempie sempre per primo il mio piatto e mi somministra porzioni molto più abbondanti di quelle sue e di suo fratello, non so se pensi che io abbia bisogno di più cibo di loro o se sia un obbligo verso l’ospite. Ho cercato di parlare con lui e ho capito che se mi esprimo a gesti lui si sforza di comprendere ma se uso le parole si ritrae e scuote la testa.

Non ha nessuna intenzione di imparare la mia lingua.

Piove incessantemente da cinque giorni e stanotte il vento ha portato la pioggia dentro la grotta. Siamo zuppi d’acqua e di fango, sporchi e infreddoliti e non abbiamo più cibo.

Ishá e Lyán non sembrano preoccupati della nostra condizione, io invece vorrei tanto essere in un albergo in questo momento per lavarmi, cambiarmi e mangiare.

Hanno acceso il braciere, almeno riesco a scaldarmi.

Dopo l’ora di pranzo, quello che noi abbiamo saltato, la pioggia è diminuita e fuori dalla grotta si sono accalcate una decina di persone, uno alla volta hanno poggiato nella cesta delle offerte del cibo: frutta e verdura e sacchetti di riso.

Ishá ha benedetto ognuno di loro posandogli la mano sulla testa e inchinandosi ogni volta per ringraziare.

L’ultimo uomo ha gettato nella ciotola degli oboli quattro monete.

Ishá mi è sembrato contrariato da quel gesto, ha scambiato poche parole con l’uomo poi si è rassegnato, gli ha impartito la benedizione e si è inchinato tre volte.

Quando gli ho chiesto perché voleva rifiutare il denaro lui mi ha risposto che non se ne fa nulla delle offerte in denaro ma che quell’uomo aveva finalmente avuto un figlio e che riteneva che fosse accaduto grazie a lui.

In realtà lui pensa che sua moglie abbia concepito perché così doveva essere. Ma gli sembrava offensivo rifiutare quel gesto di generosità.

Tutto questo l’ho capito in parte da numerose parole nella mia lingua che Ishá sta imparando molto in fretta ma soprattutto dalla sua gestualità, che è estremamente comunicativa ed efficace.

Il dialogo fra me e Ishá diventa ogni giorno più ricco e soddisfacente. Mi ha raccontato alcuni episodi della sua vita, tra i quali uno che mi ha colpito molto.

Sembra che il suo dono si sia manifestato quando era bambino e quando i bramini hanno avuto notizia delle sue capacità sono andati a prenderlo, strappandolo dalle braccia di sua madre, per portarlo al tempio.

Ha vissuto con loro dai sei anni fino a quando non ne ha compiuti dieci e ha definito quel periodo come il più doloroso della sua vita, anche se non mi ha fornito altri dettagli.

A dieci anni ha fatto capire ai bramini che non avrebbe più accettato di vivere con loro, o lo lasciavano andare o sarebbe comunque fuggito.

Credo che loro non lo considerassero un prigioniero, quindi lo lasciarono tornare a casa e lui per molto tempo nascose il dono, per paura che tornassero a prenderlo.

Quando gli ho chiesto in cosa esattamente consiste questo dono lui ha risposto candidamente che serve a fare del bene al suo prossimo.

Ho insistito chiedendogli se lui è capace di guarire qualsiasi malattia, non ha risposto subito, come se cercasse di eludere la domanda, ma poi di nuovo mi ha stupito dicendo che è in grado di guarire molte sofferenze purché chi chiede il suo aiuto sia una persona meritevole e abbia fede in lui.

Non tutte però, ha aggiunto. Alcune non può guarirle e sono quelle mortali, contro la morte lui non può nulla.

Non so se sia il candore con cui fa certe affermazioni o il suo sguardo sempre fisso nel mio a farmi credere che le sue parole siano sincere.

Non sembra voler nascondere nulla, non sembra volermi far credere nulla, semplicemente mi mostra chi è e com’è, senza artifici, senza fronzoli.

Ho esaminato falsi guaritori per anni, conosco tutte le loro tecniche di manipolazione e tutti i loro trucchi da illusionisti, nessuno di loro sosteneva il mio sguardo come fa Ishá, nessuno di loro mi parlava con quella semplicità, nessuno di loro mi consentiva di condividere la sua quotidianità come fa lui.

Non ho ancora abbastanza elementi per non considerarlo un ciarlatano ma i presupposti sono per ora dalla sua parte.

Se mi consentirà di assistere a qualcuna delle sue miracolose guarigioni potrò stabilire se utilizza qualche tecnica ingannevole.

Se non me lo consentirà la mia conclusione sarà comunque che è un impostore.

Questa mattina si è presentata una donna con un bimbo piccolo che piangeva e urlava a squarciagola. Ishá è subito uscito dalla grotta, ha ascoltato con attenzione quello che lei tra le lacrime e i singhiozzi aveva da dire.

Poi le ha sussurrato poche parole e la donna si è ritratta scuotendo la testa, allora lui l’ha abbracciata e l’ha trascinata dentro.

Si è seduto e l’ha fatta inginocchiare davanti a sé, poi le ha preso il bambino dalle braccia e l’ha appoggiato sulle sue gambe incrociate, l’ha toccato sulla testa, poi sulle guance e infine gli ha posato una mano sul ventre. Il piccolo continuava a piangere e a gridare e anche la donna piangeva. Allora Ishá le ha preso una mano e gliel’ha fatta posare sulla testa del bambino trattenendola con la sua; quindi, ha cominciato a dondolare il corpo come se volesse cullare il piccolo, che di colpo ha smesso di piangere.

Ha continuato a cullare il bimbo per diversi minuti, poi ha sussurrato qualcosa alla donna e lei ha scosso con decisione la testa ma lui le ha preso teneramente il mento con una mano e lei dopo un po’ ha sorriso.

Ishá ha fatto cenno a suo fratello che si è avvicinato, si sono detti qualcosa e Lyán è andato verso la ciotola delle offerte, ha preso le quattro monete che conteneva e le ha date alla donna. Lei ha ripreso a singhiozzare, Ishá si è alzato e l’ha aiutata a sollevarsi, le ha messo il bambino tra le braccia e poi le ha carezzato la testa. La donna ha fatto mille inchini prima di andarsene e si è voltata più e più volte, come se non volesse lasciarlo.

Quando gli ho chiesto cosa avesse il bambino lui mi ha guardato e mi ha fatto cenno di sedermi.

«Il bambino non è malato. Ha solo fame.» ha sussurrato lui «Ma lei aveva vergogna di dirlo. Sperava che io togliessi al bambino la sofferenza della fame perché la donna ha perso il latte e non può più nutrirlo, né può pagare una donna che lo faccia per lei.»

«E tu le hai dato il denaro.» ho detto, palesando il mio disappunto.

«Non ho modo di impedire che il bambino abbia fame.»

«Certo, quindi hai dato tutto quello che avevi a quella donna.» e mi sono detto che non è così che si comporta un imbroglione.

«Tu cosa avresti fatto … John?» Il mio nome pronunciato da lui mi è sembrato estraneo, per la prima volta mi ha chiamato per nome e per la prima volta ha evitato di usare gesti per farsi capire, sforzandosi di comunicare solo con le parole.

«Forse avrei fatto la stessa cosa. O forse no, credo che le avrei dato solo la metà di quelle monete e che avrei tenuto qualcosa per me …»

«Pensi che ora moriremo di fame noi al posto del bambino?» e l’ha detto sorridendo, e il suo sorriso era divertito, mi è parso che si prendesse gioco di me.

Non era quello che volevo dire, in realtà gli ho teso una trappola, credendo che ci sarebbe caduto, dicendo magari che quelli non erano i suoi soli fondi.

Non sono ancora convinto che Ishá guarisca le persone, per il momento la sola cosa che so con certezza è che è un uomo molto generoso e per questo molto amato, che ha un grande carisma e una naturale predisposizione a comunicare. Ma ci vorrà tempo per capire e qualcuno dei suoi presunti miracoli.

Quando un uomo anziano si è avvicinato alla grotta farfugliando qualcosa nella loro lingua ho pensato che Ishá lo avrebbe respinto; l’uomo era davvero vecchio e malandato e si muoveva a fatica. Invece gli ha preso le mani e l’ha aiutato a sedersi, poi l’ha fatto stendere e si è inginocchiato vicino a lui. Ha compiuto il rituale di segnarsi fronte e petto e ha recitato una preghiera, poi ha toccato l’uomo prima sulla testa, poi sulle spalle e con le mani è sceso sulle braccia, come carezzandolo. È rimasto fermo a stringergli i polsi per qualche minuto, poi ha spostato le mani sulle sue ginocchia e lentamente le ha fatte scivolare lungo le gambe fino alle caviglie.

L’uomo ha tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo e credo che non abbia smesso un attimo di recitare preghiere. Poi Ishá gli ha carezzato piano una guancia e lui gli ha sorriso, ha sollevato la schiena e l’ha abbracciato.

Mi sono commosso nel vedere quel vecchio che stringeva tra le braccia il ragazzo come fosse suo figlio e subito dopo il vecchio si è alzato senza bisogno di aiuto, è uscito dalla grotta e poi è tornato indietro con in mano un sacchettino di riso e qualche frutto, ha posato tutto nella cesta delle offerte e ha salutato Ishá inchinandosi e sfiorandosi la fronte con la mano.

Ishá è rimasto fermo a guardarlo mentre si allontanava e quando si è voltato verso di me aveva il viso rigato di lacrime. Ha detto qualcosa a Lyán che ha avuto un moto di sorpresa e di rammarico.

«Che succede?» ho chiesto.

«Morirà presto» ha mormorato Ishá.

«E tu come lo sai?»

Mi ha guardato come non potesse credere che gli facessi quella domanda, poi ha detto con un sussurro e senza guardarmi negli occhi: «Lo so … è basta.»

Guaritore e anche veggente? No, adesso sta esagerando, devo rimettere in ordine le idee e affrontare quest’uomo su un terreno diverso, possibilmente il mio.

20 settembre

Ho avuto bisogno di riflettere. Quella di due giorni fa è stata una strana esperienza.

Continua a piovere ma questo non sembra fermare la gente del posto.

Sono arrivati tre uomini, due di loro portavano a braccia un ragazzo che zoppicava vistosamente e altrettanto vistosamente si contorceva di dolore.

Ishá si è seduto davanti all’ingresso della grotta, incrociando le gambe e segnandosi ripetutamente la fronte e il petto, poi ha congiunto le mani e credo abbia detto una preghiera.

Ha fatto stendere il ragazzo ai suoi piedi e gli ha messo la mano sinistra sulla fronte; quasi subito il ragazzo ha smesso di singhiozzare.

Ho cercato di avvicinarmi per guardare più da vicino ma Lyán mi ha ostacolato.

Ho comunque capito che il guaritore stava passando la mano destra a pochi centimetri dalla gamba del ragazzo e la ferita, che a malapena sono riuscito a vedere, era molto profonda ed era infetta.

Dopo qualche minuto, Ishá ha premuto la mano sulla ferita e il ragazzo ha sussultato e gridato, poi credo sia svenuto, perché la testa e tutti i suoi muscoli si sono abbandonati.

Sono rimasti in quella posizione per diversi minuti, il ragazzo immobile e incosciente e Ishá rigido, con le spalle tese e il capo chino. Poi a un suo gesto i due uomini che avevano accompagnato il ragazzo hanno gettato in una ciotola di legno qualche moneta, si sono ripetutamente inchinati, hanno sollevato il ferito e l’hanno portato via.

Ishá è rimasto immobile ancora per qualche minuto, suo fratello gli è andato vicino e l’ha aiutato ad alzarsi. Il suo viso era trasfigurato, aveva un’espressione sofferente e attonita e quando ha mosso i primi passi ho notato che zoppicava.

L’effetto su di me è stato potentissimo.

Quando Lyán ha steso suo fratello nel suo giaciglio ho cercato di nuovo di avvicinarmi ma lui non me l’ha permesso, a gesti mi ha fatto capire che Ishá doveva riposare ed io sono tornato a sedermi.

Lyán ha dato a suo fratello qualcosa da bere da una tazza di argilla, poi ha scelto delle erbe da un cestino di vimini e ha cominciato a pestarle dentro una ciotola di pietra.

Una volta ridotte in poltiglia ci ha versato sopra una specie di olio e ha creato un impasto morbido e colloso.

Quando gli ho visto sollevare la tunica di Ishá all’altezza della gamba destra ho avuto un capogiro.

Ha premuto l’impasto e poi l’ha fasciato con uno straccio.

La mia mente si rifiuta di credere a ciò che sembra evidente. La ferita del ragazzo ora é sulla gamba di Ishá? Ma questo non è credibile, è materialmente impossibile, è fuori da qualsiasi raziocinio ed io non ho nessuna intenzione di dar credito a questa ipotesi.

Dopo qualche ora, abbiamo mangiato ed io ho chiesto a Ishá come si sentiva, se stava bene. Lui ha annuito e ha detto “okay” ed io non ho resistito alla tentazione.

Ho indicato la sua gamba e ho chiesto di vederla, ho detto che essendo un dottore magari potevo fare qualcosa per lui.

Lyán mi ha messo una mano sul petto spingendomi gentilmente indietro e scuotendo con decisione la testa.

A quel punto Ishá ha detto nella mia lingua che non può ancora mostrarmi il mistero del suo dono perché io non sono pronto.

Ed io ho replicato che forse teme che io possa smascherare un altro falso stregone.

Ha risposto freddamente che lui non ha nulla da temere da me.

Ha imparato in fretta un numero consistenze di parole e sa comporle in frasi che io riesco a capire e già questo ha del miracoloso. Il resto non mi ha fatto dormire per tutta la notte.

Ishá zoppica ancora un po’ ma sembra che la sua salute sia assolutamente perfetta. Questa mattina l’ho visto rientrare nella grotta che si era appena fatto giorno.

Gli ho chiesto da dove venisse e lui sorridendo mi ha fatto cenno di seguirlo.

Mi ha portato in una piccola radura e mi ha indicato l’orizzonte dicendo che era stato seduto ad aspettare che il sole sorgesse.

Il culto del sole è ancora molto diffuso nella religione induista, sono legati a tutto ciò che riguarda la natura e le sue leggi, i ritmi delle stagioni e le manifestazioni atmosferiche, e molti di loro considerano il sole al pari di una divinità.

Gli ho chiesto se lui fosse un adoratore del sole e lui ha scosso la testa ridendo di cuore.

Poi ha affermato con disarmante convinzione che la sua fede non prevede forme di adorazione ma solo di comunione.

Forse pensa di avermi svelato chissà quale mistero e di aver risposto alla mia domanda in modo esauriente ma io non ho risolto i miei dubbi.

Così quando siamo rientrati e Lyán ha tolto la benda dalla gamba di Ishá ho cercato disperatamente di sbirciare, senza riuscirci.

Oggi mi sono svegliato combattivo, sembra che i miracoli per il momento siano cessati; quindi, ho deciso di attirare Ishá su un campo minato per vedere come reagisce.

Quando non accoglie malati in genere passa il tempo a pregare girando degli amuleti tra le dita, oppure parla con suo fratello e spesso ridono e scherzano, non mi tiene molto in considerazione specie da quando ho cominciato a porgli domande dirette.

Gli ho chiesto se volesse che gli spiegassi cosa faccio quando non do la caccia ai falsi guaritori, lui ha sorriso ed è venuto a sedersi accanto a me.

Gli ho spiegato che sono un medico e che per molto tempo ho lavorato in un ospedale e che come lui mi sono dedicato alla cura e alla guarigione del mio prossimo.

Lui è sembrato subito molto interessato e così, per trascinarlo sul mio terreno, ho continuato a decantare la medicina occidentale e tutte le meraviglie che riesce a fare.

Non potendo entrare in dettagli che non avrebbe compreso, mi sono tenuto sul vago e alla fine ho aperto la mia valigetta per mostrargli la mia attrezzatura d’emergenza, cercando di spiegargli l’uso che faccio di quegli oggetti.

Mi ha guardato e ha sorriso, sorride spesso, questo mi fa pensare che sia molto soddisfatto di sé e non so perché m’infastidisce.

Gli ho mostrato a una a una le boccette contenute nella valigetta descrivendogli a cosa servono, non ho suscitato alcuna meraviglia in lui, anzi a un certo punto mi è parso annoiato. Allora ho smesso di parlare.

Dopo un breve silenzio lui ha detto: «Sei anche tu uno stregone. Usi anche tu strani oggetti e polverine. E neppure tu puoi guarire tutti, proprio come me. Uno stregone orientale e uno stregone occidentale. Noi non siamo così diversi.»

«Questo da cosa lo deduci?»

«Dalle tue parole. Hai detto che queste medicine guariscono alcune malattie, non hai detto tutte, e hai detto che la tua medicina ha fatto grandi progressi, non hai detto che ha risolto tutti i mali.»

«Ovviamente. Ma quello che volevo farti capire è che io ho nessun problema a metterti al corrente delle mie conoscenze mentre tu …»

Qui mi sono impantanato, volevo dirgli che lui non mi permetteva di capire se fosse o no un ciarlatano ma lui mi ha anticipato.

«Stai cercando di convincermi a spiegarti cose che non puoi capire. Così come io non posso capire la tua medicina. Mi mostri degli oggetti, mi racconti cosa fai per curare ma io non potrò mai comprendere come agisci e cosa muove le tue azioni perché non ne conosco l’origine. Io ti ho mostrato i miei amuleti, la medicina naturale che usiamo, le nostre preghiere e il rito della guarigione. Non ti ho nascosto nulla ma per farti capire davvero dovrei mostrarti l’origine.»

Sono rimasto senza parole, come faccia a parlare nella mia lingua, che solo un mese fa conosceva appena, esponendo dei concetti così complessi, non riesco a spiegarmelo.

«Ishá io sto cercando di fidarmi di te. Sto cercando di considerare ciò che fai da un punto di vista obiettivo, senza preconcetti, ma tu devi aiutarmi …»

«Tu vuoi … una prova? Vuoi una certezza John?»

Annaspando ho cercato una risposta che non scoprisse del tutto le mie carte ma mi sono perso e lui ha trascinato me in un campo minato.

«Se questo ti basta ti dimostrerò che posso prendere il dolore di chiunque su di me.»

«Sì, ma io devo prima sapere che genere di malattia ha quella persona e verificare se poi è davvero guarita. Quindi …»

«Quindi visiterai chiunque venga da me? E poi andrai da lui per sapere se è guarito?»

Mi sono reso conto che stavo chiedendo troppo, andava anche oltre il mio mandato.

«Voglio capire cosa succede quando … quando tu imponi le mani e preghi.»

«Puoi vederlo John … ma non puoi capirlo.»

La prima mina è esplosa in quel momento, come dargli torto? Posso vedere ma lui è sicuro che non possa capire, come anch’io sono sicuro che lui non potrebbe capire come funziona una tac o una risonanza o un bypass coronarico.

La seconda mina è esplosa dopo meno di un’ora.

Fuori dalla grotta c’è un capannello di persone, sei o sette individui che si stringono intorno ad una donna priva di sensi stesa in una barella di fortuna.

Ishá li ha raggiunti, ha ascoltato uno di loro che concitatamente raccontava i fatti, poi si è fatto da parte e ha fatto entrare la barella. Dopo che è stata adagiata a terra Lyán ha spinto fuori tutti e si è messo davanti all’ingresso.

Ishá si è seduto al suo solito posto con le gambe incrociate come sempre, questa volta nelle sue mani stringeva un amuleto; ha fatto passare il cordone dell’amuleto dalla testa e l’ha tenuto pigiato sul petto per qualche minuto, ha ripetuto il rituale che aveva chiamato “della guarigione” e ha messo la mano sinistra sulla fronte della donna.

Dopo pochi secondi, la sua schiena ha avuto un sussulto, la sua mano destra ha spinto forte il petto della donna, all’altezza del cuore.

Lei ha emesso un lungo gemito, poi Ishá ha cominciato a tremare.

Lo sforzo che stava sopportando era evidente ma poteva benissimo essere una simulazione, non è una cosa difficile da fare, un po’ di tensione dei muscoli e qualche sussulto, qualche contrazione.

Il ritmo del suo respiro è diventato affannoso, poi è diventato un rantolo e alla fine un grido. Si è piegato in avanti come se lo avessero colpito alle spalle e Lyán si è affrettato a sostenerlo.

Quasi immediatamente la barella è stata rimossa, tutti i presenti hanno salutato Ishá con decine d’inchini e hanno gettato nella ciotola due monete a testa.

Io sono rimasto pietrificato.

Lyán ha trascinato Ishá verso il giaciglio ed io mi sono subito offerto di aiutarlo ma Ishá ha mormorato: «No John! Non toccarmi … tu non devi toccarmi! Mai!»

Lyán è corso verso il fondo della caverna, ha rovistato rabbiosamente tra tutto il ciarpame ammucchiato ed è tornato indietro con un’ampolla di vetro piena di un liquido verde.

Ha afferrato suo fratello per i capelli sollevandogli la testa e gli ha versato il contenuto dell’ampolla in bocca, sussurrandogli parole incomprensibili. Ishá annuiva e ingoiava un sorso dietro l’altro il liquido verde, senza quasi respirare. Dopo aver bevuto tutta la pozione si è rannicchiato in posizione fetale e Lyán l’ha avvolto in due o tre teli stringendoglieli intorno al corpo come per immobilizzarlo, poi si è steso accanto a lui.

«Lyán che succede? Puoi spiegarmi?» Ho temuto che lui non fosse in grado di parlare la mia lingua invece ce l’ha messa tutta per farsi capire.

«Veleno … donna morsa … serpente! Veleno ora … Ishá … preso!»

La donna è stata morsa da un serpente. Ishá ha assorbito il veleno. Ishá potrebbe morire. Gli hai chiesto una prova John? Ecco qui la prova. E se muore? Se muore per provare a te stupido stregone occidentale che lui non è uno stregone ma un guaritore?

Mi sono sentito davvero meschino, davvero ignobile.

Questa seconda bomba mi ha preso in pieno, devo trovare il modo per uscire dal campo minato.

Vorrei poter raccontare il calvario di Ishá ma non ci sono parole per descriverlo.

In una settimana ho visto convulsioni, dolori lancinanti che lo facevano contorcere come una biscia, febbre, vomito, delirio. Ha pianto e ha urlato, ha scalciato e si è lasciato andare senza forze tra braccia di Lyán, che lo teneva stretto a sé cercando di consolarlo.

Finché ieri mattina, mentre Lyán era fuori a cercare le sue inutili erbe, ho indossato guanti di lattice per evitare un contatto diretto e gli ho iniettato una dose blanda di morfina.

Dopo qualche minuto, il dolore è svanito. È tornato a respirare regolarmente, ha riaperto gli occhi, si è guardato intorno come se non sapesse più dov’era, poi mi ha fissato e ha chiesto con un filo di voce: «Che cosa hai fatto … John?»

«Ti ho tolto il dolore.»

«Con la tua medicina?» ho annuito e lui ha preso a singhiozzare, così ho capito che era l’ultima cosa che voleva, che l’ho preso a tradimento e che non me lo perdonerà.

Infatti, quando Lyán è tornato, dopo aver parlato tra loro concitatamente Ishá l’ha afferrato per un braccio e l’ha scosso violentemente. L’ha rimproverato di averlo lasciato solo con me. Il ragazzo è andato a sedersi in un cantuccio, visibilmente mortificato.

Ho cercato di consolare Lyán.

«Lyán non dovevo farlo forse ma … ho cercato solo … di aiutarlo.»

«Tu … tu puoi … aver rotto il suo dono!»

«Pensi che la mia medicina possa danneggiare il suo dono?»

«Sì! Non dovevi!» ha detto Lyán con rabbia.

«John … vieni …» la voce di Ishá ha placato qualsiasi confronto tra me e suo fratello, mi sono seduto vicino a lui e lui mi ha fatto cenno di avvicinare l’orecchio alle sue labbra.

«Io non posso curarmi con la tua medicina. È il dono che … deve curarmi. Il mio corpo guarisce da solo … ci vuole soltanto un po’ di tempo.»

«Beh … io questo non lo sapevo. E dopo cinque giorni di agonia … non potevo più sopportarlo!»

«Tu … non potevi sopportare … cosa?»

«Di vederti … di assistere a quel tormento senza fare niente!»

«Volevi salvarmi John?»

«Volevo aiutarti.»

«Pensavi che sarei morto?»

«Ho avuto paura che accadesse, che il veleno che hai tolto a quella donna …»

«Allora pensi davvero che sia accaduto questo? Pensi che io sono stato capace di assorbirlo da lei e prenderlo su di me?»

Questa è la terza bomba e spero sia l’ultima. Per uscire dal campo minato devo ammettere con lui che non ho più dubbi sulla sua natura di guaritore.

«Sì Ishá. Non so come tu abbia fatto ma tutto questo non può essere frutto di una manipolazione. La tua sofferenza era autentica, com’era autentica la lotta che il tuo organismo stava sostenendo contro il veleno.»

«Ti ho dato una prova … sufficiente?»

Santo Cielo, a me basta e avanza ma non so se sarà sufficiente per chi mi ha commissionato il mandato per la ricerca.

«Sì Ishá. Credo davvero che tu sia … un guaritore.»

«Grazie John. È importante … che tu creda in me perché da adesso in poi potrai imparare molte altre cose. Tu adesso … sei pronto.»

Santo Cielo di nuovo, di quali misteri mi metterà a parte questo ragazzo che gestisce un dono così potente con la semplicità di chi tira su acqua da un pozzo?

E come faccio a opporre ancora dubbi dopo ciò che ho visto?

Ishá ha impiegato un’altra settimana per riprendersi del tutto dal suo miracolo. Lyán ha respinto tutti i pazienti che si sono presentati alla grotta. Ishá ha provato a protestare ma suo fratello è stato irremovibile, niente guarigioni finché la sua non sarà completa.

Abbiamo parlato molto in questi giorni, lui ha un modo disarmante di spiegarmi le cose e mi ha messo a parte di alcuni suoi segreti che non so perché non mi hanno stupito.

Ishá entra in contatto con i suoi pazienti toccandoli, il suo tocco genera un flusso di energia ma questo flusso va in due direzioni, da lui al malato e viceversa dal malato a lui. Quindi con quel contatto Ishá percepisce tutta una serie di sensazioni, di emozioni e di pensieri. Assorbe in modo quasi totale tutto l’universo emozionale di quella persona.

Per questa ragione evita di essere toccato da chiunque, fatto salvo suo fratello.

«Quindi per questo mi hai detto che io non devo toccarti?» ha sorriso come fa di solito quando si rende conto che ho capito qualcosa ma lo fa anche se si accorge che non ho capito affatto.

«Sì John. Non potevo permettermi di entrare in contatto con te.»

«Perché? Mi ritieni pericoloso o indegno?»

«No! No! Ma se l’avessi fatto avrei avuto la possibilità di comprendere cosa ti aspetti da me e comportarmi di conseguenza.»

Quest’uomo non finisce mai di stupirmi, ha evitato di toccarmi per impedirsi di scoprire i miei pensieri nascosti, le mie intenzioni, il mio atteggiamento verso di lui.

«Quindi hai fatto in modo che io ti dicessi volontariamente quello che nascondevo?»

«Non nascondevi nulla John, io sapevo quello che volevi fare, conoscevo le tue intenzioni. Ma avrei visto di più.»

La parte recondita del mio spirito? Il lato oscuro dello stregone occidentale?

«Sei un uomo buono John. Hai solo bisogno di fede.»

«Fede in te? Nelle tue divinità?»

«Fede in te stesso.»

«Leggi il pensiero Ishá? E leggi il futuro? Cose come … la morte?» chiedo ricordando che aveva predetto la morte dell’uomo anziano che si è puntualmente verificata.

«Leggo … a volte, non sempre … le emozioni o le passioni. La parte intensa dell’anima. E a volte percepisco la fine, non lontana nel tempo, la avverto se è prossima.»

«Quindi puoi dire se una persona morirà ma non quando. E puoi farlo solo se quell’evento è abbastanza vicino?»

«Esatto.»

«Perché hai curato quell’uomo anziano se sapevi che sarebbe morto?»

«Perché lui soffriva molto. Le sue ossa gli davano dolore e aiutarlo non mi è costato sacrificio, mentre per lui liberarsi dal dolore è stato utile per avere la forza di affrontare la morte.» Ecco, quando Ishá parla, quando spiega le sue ragioni io ho una sorta d’illuminazione e mi si apre un mondo che mi sembra di non aver mai considerato.

Ieri sera è avvenuto un altro miracolo, non spettacolare come quello della donna morsa dal serpente, piuttosto un miracolo interiore e il miracolato sono io.

Eravamo fuori della grotta a fissare il cielo punteggiato di stelle, stavamo tutti e tre in silenzio, l’aria era umida e odorava di fango ed erba bagnata, quando sono a contatto con la natura di questi luoghi la mia anima si predispone alla meraviglia e al mistero.

Ishá mi ha sfiorato la spalla e ha sussurrato: «Anche tu hai un dono John. Il tuo dono è l’empatia. Ho detto bene la parola nella tua lingua?»

L’aveva detta bene, anche se non so dove l’abbia sentita, ho confermato che la pronuncia era corretta e ho aggiunto che non credevo di avere nessun dono.

«Non lo avrai finché non ne sarai consapevole e lo userai a beneficio degli altri.»

Ho replicato che un medico deve per forza essere empatico, quando cura chi soffre è coinvolto in quella sofferenza, vuole aiutare, vuole guarire.

Lui ha sorriso e ho avuto la certezza che era un sorriso indulgente, non avevo capito cosa stesse cercando di dirmi ma non ha insistito a spiegare meglio cosa intendeva.

Un attimo dopo ho provato una sensazione di angoscia, come se qualcosa mi stringesse l’anima. In quel momento sono diventato improvvisamente consapevole delle sue parole, ne ho sentita la potenza, ed è stato doloroso.

Le piogge sono terminate, resta un vento persistente umido e caldo.

Due bramini sono venuti al villaggio, hanno portato scompiglio e allo stesso tempo grande eccitazione e sono stati accolti con musica, canti, danze e valanghe di cibo.

Da dove sia venuta fuori tutta quest’abbondanza non so dirlo ma mi hanno coinvolto nei festeggiamenti. Ho mangiato a sazietà per la prima volta dopo due mesi.

Ishá e suo fratello si sono tenuti lontani dalla mischia, relegati nella loro grotta, e quando i bramini li hanno raggiunti li hanno accolti ma hanno mantenuto le distanze.

Seduti sul giaciglio di Ishá i due fratelli hanno fatto accomodare i bramini su alcuni cuscini sistemati ad almeno due metri da loro, hanno offerto loro del tè e hanno ascoltato tutte le richieste che venivano dai rappresentati del tempio, senza mai interromperli.

Poi Ishá si è toccato la fronte e ha parlato.

Non ho la più pallida idea di cosa abbia detto, né di cosa i bramini abbiano detto a lui, ma ho visto i loro volti man mano farsi più contrariati e stupiti, finché uno dei due ha interrotto bruscamente Ishá. Il suo tono era perentorio e anche se non ho compreso neanche una delle sue parole ho capito perfettamente che lo stava minacciando.

Ishá ha chinato la testa ed io ho creduto per un attimo che si sarebbe piegato alle loro richieste e alla loro autorità, invece di colpo si è alzato, ha indicato loro l’uscita e li ha cacciati.

Non posso crederci, Ishá oggi ha buttato fuori i bramini e l’ha fatto con un’espressione serena sul viso ma con una fermezza che gli irrigidiva tutto il corpo, ed è stato così efficace che i due si sono alzati e si sono affrettati a uscire.

Subito dopo si è accasciato, si è stretto le ginocchia tra le braccia e ha cominciato a dondolare il corpo avanti e indietro. Lyán si è seduto accanto a lui e gli ha messo un braccio sulle spalle stringendolo a sé. Io sono rimasto in disparte, anche se avrei voluto capire cosa fosse successo.

Ha impiegato diversi minuti a riprendersi da quell’alterco, poi mi ha guardato e ha mormorato: «Vogliono che torni al tempio.»

«E tu non vuoi?»

«No. Loro dicono che il mio dono non è per tutti. Vogliono che io faccia … distinzione.»

«Distinzione? Cioè devi curare solo alcuni e non altri?»

«È quello che fecero quando ero bambino. Dicevano che dovevo curare solo alcune persone perché lo sforzo non fosse troppo per me ed io pensavo che fosse giusto, ero un bambino e un bambino non è abbastanza forte per un dolore troppo grande. Ma poi ho capito che non era quella la ragione.»

«E qual era la loro priorità?» mi ha guardato e ho pensato che non conoscesse quella parola; invece, aveva capito benissimo e sempre dondolandosi ha risposto: «Le persone che facevano più offerte al tempio.»

Ci avrei giurato, venivano prima coloro che si potevano permettere di più e l’ovvietà di quella risposta apparteneva più al mio mondo che al suo.

«Cosa farai?»

«Assolutamente nulla.»

«Possono costringerti?»

«No. Ma hanno cercato di corrompermi.»

«Cosa ti hanno offerto?»

«Comodità, cibo, la loro comunità, la loro medicina e …»

«E?»

«Hanno promesso di mandarti via.»

L’ha detto senza guardarmi come se provasse vergogna per loro ed io ho reagito scoppiando a ridere. E un attimo dopo rideva anche lui, una risata tanto incontenibile che ha fatto ridere anche Lyán. Abbiamo riso così a lungo che alla fine ho cominciato a tossire e lui subito si è alzato e mi è venuto vicino.

«È tutto okay! Sto bene!» e allora ha ripreso a ridere, poi ha abbracciato suo fratello e gli ha detto qualcosa in un orecchio, come se io fossi in grado di capire le sue parole e volesse tenermele segrete, Lyán ha annuito ridendo ed è corso fuori.

«Ti porto alla sorgente.» ha detto Ishá.

«Sorgente?» Quella parola in quel momento poteva avere due significati: una sorgente d’acqua o la sorgente del suo dono. Ormai sono permeato dal suo misticismo e temo che non me ne libererò mai più. Ma quando ho visto Lyán raccogliere tutto il cibo che era rimasto in una giara e legarsela sulla schiena, ho capito che stavamo per fare un picnic.

Mi sono preso tempo prima di raccontare la nostra gita. Ho sempre pensato di essere un uomo pratico e di utilizzare la mia logica come strumento di analisi.

Ma da queste parti la logica non serve a niente.

Quindi non cercherò di dare spiegazioni, descriverò semplicemente i fatti.

Abbiamo percorso un sentiero che saliva verso la montagna, non è una montagna alta ma sicuramente per arrivare in cima ci vogliono almeno due giorni di cammino. Noi abbiamo camminato per circa quattro ore ed io sono rimasto senza fiato più volte, costringendoli a fermarsi ripetutamente. E ogni volta Ishá mi ha domandato con apprensione se pensavo di farcela. Non sono allenato a camminare, gioco un po’ a tennis ma non ho molta resistenza sui lunghi percorsi, inoltre qui l’aria è rarefatta.

Ma ho resistito e siamo arrivati alla sorgente.

L’acqua cade dall’alto di una roccia, forma una cascata copiosa, specie dopo le ultime piogge, e si tuffa in un laghetto cristallino, il cui fondale è visibile anche dall’alto. È pieno di pesci, di alghe e di rocce. E tutto intorno nell’aria vibrano libellule e farfalle e dagli alberi cadono piccoli fiori bianchi che si adagiano sul pelo dell’acqua.

Un luogo paradisiaco ma non era stupefacente l’aspetto di quell’angolo di bosco, lo era la magia che sembrava permearlo.

Ishá e Lyán si sono spogliati e si sono tuffati nell’acqua, ridendo e gridando, e incitandomi a fare lo stesso, ed io che sono per natura molto riservato ho fatto un vero sforzo di volontà a raggiungerli, senza spogliarmi del tutto e non con un tuffo ma camminando goffamente sulle pietre che circondavano il laghetto.

L’acqua era gelida e ho pensato “mi prenderò una polmonite” ma non so perché non m’importava.

Ho nuotato verso di loro e Ishá ha preso a saltare di gioia e a gridare il mio nome.

Ride e ride suo fratello e alla fine rido anch’io e ho il cuore colmo di una gioia estatica, come quella che provavo da bambino, quando andavo in vacanza al lago e facevo il primo bagno della stagione. E mentre rido e mi godo quell’emozione nuova e insieme antica vedo Ishá andare verso la cascata e sparire sotto il violento getto d’acqua.

Un senso di pericolo mi toglie il sorriso, guardo Lyán con apprensione e lui scuote la testa per fugare i miei timori.

Ishá è rimasto sotto la cascata molto tempo, non lo vedo ma so che è lì, e mi gingillo a osservare i pesci e le alghe, con lo sguardo pronto a cogliere il suo ritorno.

Quando riappare mi fa cenno di raggiungerlo.

Non appena gli sono vicino mi mette le mani sulle spalle e dice: «Fai un bel respiro John, un respiro profondo e trattieni l’aria.»

Sono come ipnotizzato, non batto ciglio e obbedisco.

Un attimo dopo lui mi tira per le braccia e sono sotto una tonnellata d’acqua che mi strapazza da tutte le parti e mi entra nel naso e nelle orecchie, poi di colpo sono fuori.

Ishá ha le spalle schiacciate contro la roccia e la cascata ora è dietro di me. Siamo in una nicchia rocciosa e il suono dell’acqua è assordante.

Mi volta verso la cascata e dice: «Guarda John!»

Ed io vedo mille arcobaleni che si formano e si dissolvono e l’acqua sembra un drappo di seta bianca. Rimango stregato e sono senza fiato. Lo sento ridere, poi mi tira di nuovo sotto la cascata, bevo e annaspo, lui mi trascina e mi riporta nella calma confortevole del laghetto. Con gli occhi fissi nei miei chiede: «Bello vero?»

«Magico.» rispondo io e lui manda indietro la testa e ride.

Il sole sta tramontando ed io penso che sarebbe bene tornare perché mi sembra pericoloso affrontare il sentiero di notte ma Ishá non ha intenzione di riprendere la strada di casa. Dormiremo qui, mi dice, come se fosse stato ovvio fin dal principio.

Mi guardo intorno, è bosco fitto, pieno di animali selvatici e di serpenti, lui sembra leggermi nel pensiero, si alza e cerca dei rami bassi tra gli alberi, lega un capo del lungo telo che usa per coprirsi a un ramo, poi lo tende e lo lega a un altro ramo dal lato opposto, creando una specie di amaca.

Mi fa cenno di provarla. No, non credo che vada bene ma insiste, mi aiuta a salire e a sistemarmi meglio possibile e ride ancora. Lyán intanto ha servito la cena: con delle grosse foglie di palma poggiate sulle rocce ha creato una sorta di piatti e li ha riempiti di cibo. Scendo dalla mia amaca e mangio qualcosa con loro.

Siamo silenziosi, tutti e tre, poi Ishá mormora: «Capisci cosa intendevo per comunione?»

«Sì Ishá. Essere totalmente, intensamente e felicemente parte di … tutto questo.»

«Potrei mai godere di un’uguale meraviglia se vivessi al tempio?»

«No Ishá. Tu appartieni a questa terra e alla tua gente. Tu non hai nulla a che vedere con il tempio. Tu non saresti più tu se andassi a vivere al tempio.»

«Vedi John come sta diventando facile per te … comprendere?»

«Sei tu … che sei bravo a insegnare.» mi sorride e per un attimo ho la sensazione che tra noi si sia creato qualcosa di nuovo e di profondo e questo mi fa sentire al sicuro.

Così ho trascorso la notte nella mia amaca, dondolato dal vento caldo e ipnotizzato dal suono sordo e uniforme della cascata, mentre Ishá se ne sta su un cuscino di muschio, abbracciato a suo fratello, stretti entrambi nel dhoti di Lyán.

Non ho chiuso occhio ma non me ne rammarico perché i suoni, gli odori e le immagini che mi hanno circondato per tutta la notte sono stati una scoperta estatica.

Quando Ishá, poco prima dell’alba, si è alzato e seminudo è andato verso il sentiero io l’ho seguito, non per spiarlo ma per cercare di comprendere di più.

Si è seduto con lo sguardo verso l’orizzonte e ha iniziato a pregare.

Riesce a stare immobile in quella che io ritengo una posizione terribilmente scomoda, per ore e senza muovere un muscolo, così mi sono seduto anch’io e ho atteso pazientemente che terminasse le sue preghiere.

Dopo un po’ che sono lì la sento salire, parte dallo stomaco, sembra quasi un languore, come se avessi fame, poi si dilata e m’invade i polmoni, il ritmo del mio respiro cambia, diventa affannoso, e il cuore accelera i battiti, percepisco tutto questo e non so dargli un nome. Improvvisamente si fa largo nella mia mente, è come una nebbia pruriginosa, mi fa sentire leggero, come se potessi staccarmi dalla terra e galleggiare nell’aria.

È una sensazione gradevolissima ma mi spaventa. Svanisce così com’è arrivata.

E resto immobile a chiedermi cosa mi ha attraversato.

Fuori dalla caverna c’è di nuovo una piccola folla, sento una donna che grida e piange, voci concitate, Lyán fa il suo dovere di portinaio, esce e dopo poco rientra, dice qualcosa a Ishá e lui subito si alza, spostano dei cuscini, sistemano un telo sopra di essi, poi Ishá va ad accogliere i visitatori.

Portano dentro a braccia una donna visibilmente sofferente con un’enorme pancia e la stendono sui cuscini. Ishá le si avvicina, le parla ma non la tocca.

Lei piange, poi grida e si contorce e Ishá posa la mano sulla sua fronte, le parla ancora e lei annuisce e gli afferra la mano, la bacia e la copre di lacrime. Lui le prende entrambe le mani e le stringe, poi gliele unisce sul petto e posa le sue sulla pancia; sta per partorire, soffre molto e sono certo che Ishá sa come placare quel dolore.

Preme le mani ai lati della pancia, poi le sposta, una sotto il seno e l’altra sull’inguine, la pressione che esercita è decisa ma delicata.

S’inginocchia e ripete quei gesti tre o quattro volte, la donna piange ancora ma non grida più. Improvvisamente Ishá mi guarda, non dice nulla ma il suo sguardo mi attira verso di lui e quando gli sono vicino mi sussurra: «Ho bisogno di te.»

«Cosa?»

Sono attonito e terrorizzato, lui prende un rametto di legno e disegna sulla terra battuta due gambe che vanno verso l’alto, una testa e due braccia sempre verso l’alto, una schiena verso il basso.

È la posizione del bambino, capisco al volo cosa vuole ma fare un cesareo qui … è follia anche solo pensarlo.

Come se mi avesse letto il pensiero mormora: «John … devi girarlo.»

Io non sono un ostetrico, non ho mai fatto una manovra di rivolgimento fetale e anche se so come si fa tecnicamente non sono per niente sicuro di riuscirci.

«John … ti prego. Devi … farlo.»

Nella sua voce c’è tutta la tensione del dolore che sta assorbendo dalla donna.

M’inginocchio accanto a lui e poggio le mani sulla pancia, la spingo da un lato e poi tiro dall’altro, spingo dal basso verso l’alto e poi dall’alto verso il basso, poi di nuovo spingo di lato e non so cosa sto facendo ma qualcosa dovrà pure accadere.

Devo fare presto.

Ripeto più volte quell’operazione, poi le mani di Ishá si poggiano sulle mie, non mi guida ma segue i miei movimenti e i palmi delle mie mani diventano caldi.

Stringo la pancia della donna ed eseguo un movimento di compressione più deciso, prima di lato poi dal basso in alto, due, tre, quattro volte e di colpo sento un movimento dentro di lei, come un palloncino gonfio d’acqua che rotola.

Ishá le parla, ha il fiato corto e le sue parole si spezzano in singhiozzi ma lei capisce e spinge, spinge con tutte le sue forze.

Ishá trema e suda, sta assorbendo dolore non so più da quanto, poi finalmente vedo la testa del bambino.

Lyán è accanto a me, ha preparato un telo di cotone ed è pronto ad accogliere il piccolo. Ishá parla ancora alla donna, ora il suo tono è fermo, deciso e lei obbedisce e dà una spinta con tutta la forza che le è rimasta, ed ecco il bimbo che scivola tra le mie mani, lo estraggo e lo consegno in quelle di Lyán.

Ishá inspira profondamente e la donna lo abbraccia, lo stringe, lo bacia e grida e piange e ride. E lui che non vuole essere toccato si lascia andare a quell’esplosione di tenerezza e a quell’intimità senza fare nessuna resistenza.

Madre e bambino stanno bene, ho dato loro un’occhiata da stregone occidentale e ho reciso il cordone ombelicale ed estratto la placenta, si sono allontanati tutti dopo aver salutato con un inchino il guaritore, lasciando nella ciotola delle offerte una moneta ciascuno e nella cesta molto cibo fresco.

Ishá è esausto ma mi sorride e dice: «Grazie John, non avrei potuto aiutarla senza di te.»

«La mia medicina e la tua Ishá … insieme sono invincibili!»

Scoppia in una risata sonora poi si alza e viene verso di me e inaspettatamente per la prima volta e con naturalezza mi abbraccia.

«Sai John mi sono sempre chiesto … cosa induca le donne a fare … tanti figli e con tanto dolore ogni volta. Adesso lo so.»

«Lo sai? Come?»

«L’ho sentito. Quando lei mi ha abbracciato e mi ha tenuto stretto io ho sentito la sua gioia, era così intensa e assoluta … ecco perché lo fanno. Perché dopo il dolore … c’è una gioia infinita.»

E quando lo guardo mi accorgo che piange, le lacrime gli rigano le guance.

La parola empatia se avevo dubbi ha adesso anche per me un senso compiuto.

Ma per Ishá è qualcosa di fisico.

Lui partecipa al dolore dei suoi pazienti con ogni fibra del suo corpo e a volte, come in questo caso, viene coinvolta anche la sua anima, talmente intensamente e profondamente da farlo piangere.

Un coinvolgimento emotivo simile deve lasciare una traccia indelebile nella psiche e nell’anima. È un’esperienza che vorrei fare almeno una volta, solo una volta però, perché credo che di più mi ucciderebbe.

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