LA RAGAZZA COL CUORE IN MANO di Giuseppe Caragliano

La pioggia cominciò a ticchettare: sulle tettoie delle case, sulle campane della chiesa, sulle viuzze percorse dai gatti che battevano in ritirata. Le nubi si fecero di pece e tutt’a un tratto ettolitri d’acqua si scaraventarono giù, sembravano voler trascinare il paese di Preda a valle. Le vie si fecero fiumi e la piazzetta del comune mare a cielo aperto, tanto che le fontane a filo della pavimentazione, coi loro giochi d’acqua, gorgogliavano appena dentro quella massa d’acqua, e l’edificio del comune dava l’impressione di galleggiare alla deriva.

Nel bosco, che prendeva alle spalle il paese, l’acqua rotolò impetuosa lungo i sentieri, fino ad incanalarsi rapida in un’antica cisterna medievale, scovata nel folto della vegetazione: fiumi d’acqua sprofondarono in un corridoio che si interrava giù a spirale. Il flusso correva lungo il percorso, trascinando acqua e fango, fino a quando il nero della terra non lasciò spazio al rosso. Il vortice scarlatto si inoltrò nelle profondità, dove, infine, venne purificato dai ciottoli.

E la cisterna assolse al suo antico compito: raccogliere l’acqua piovana nel suo grembo, ripulendola.

Quel pomeriggio, però, raccolse anche altro: un corpo.

Ada si lasciò alle spalle il lavoro (l’aspettava una settimana di ferie), l’uscita scout del figlio e il nubifragio, finalmente un momento di calma.

Trentenne, bella d’aspetto: caschetto biondo e pelle bianca. Bella nell’anima: si dedicava a iniziative benefiche. Bello il suo lavoro: esperta di arte medievale. Madre premurosa e membro della comunità sempre disponibile. Insomma, una ragazza di cuore.

In macchina, sul ciglio della strada ancora umido, guardava distrattamente il ponte nella luce morente del pomeriggio.

Solo in quel momento si rese conto che quel ponte era il cordone ombelicale del paese. Preda, infatti, poggiava su un cucuzzolo a strapiombo, tolto quel passaggio la comunità rimaneva isolata.

Alle spalle del ponte, sul tiepido disco solare, notò un buco, in controluce sembrava una porticina (conduceva dentro le fiamme?).

Abbassò il finestrino dell’auto, non era certo una macchia sul vetro, ma volle accertarsene. La investì immediatamente l’aria gelida: incredibile, solo un attimo prima, al di qua del finestrino, la luce del sole quasi la illudevano di poter cercare mandorli in fiore, adesso l’inverno le ricordava che l’aria era solo tersa, mica calda. Il buco pareva allargarsi.

Strizzò gli occhi: una donna? Ciondolava a passo lento, seminuda: inzuppati la sottoveste strappata e i lunghi capelli, che le coprivano in parte il volto.

Ada, stupita e allarmata, afferrò la sua pesante mantella e scese dall’auto per soccorrerla.  La coprì, liberò il suo volto tremolante dai capelli fatti d’acqua… si trattava di Lia! Una conoscente.

La donna fissava il vuoto e stringeva in mano una scatola lucida.

Provò a liberarle le mani, ma le unghie della donna erano artigli conficcati sul metallo! Non sapendo cos’altro fare le infilò il cappello della mantella sulla testa, con l’illusione di proteggerla il più possibile, e la portò in macchina.

Lasciata la donna al pronto soccorso, cercò di gestire il turbamento che sentiva.

Purtroppo, questo era destinato ad aumentare: alla stazione non trovò il figlio, a quell’uscita scout non c’era stato! E nemmeno il capo scout, Nicola, a dire il vero, fu il parroco, infatti, ad accompagnare i ragazzi.

Ada era seduta sul letto a una piazza di donna sola, in quella camera dove il buio fitto del temporale aveva lasciato spazio ad una tenue luce. Ma Ada non la vedeva, per lei c’era solo tenebra, e quel cellulare sudato.

Due ore e venti telefonate dopo, la donna, in preda ad una crisi di nervi, decise di andare a denunciare la scomparsa del figlio, per poi andarsi a rifugiare in biblioteca.

Adelaide, l’anziana bibliotecaria, aveva dato un tono intimo a quegli ambienti pieni di scaffali che vomitavano volumi. Tendine merlettate agli ampi finestroni, assolutamente inappropriate, ma “calde”. Un minuscolo angolo cottura dietro il bancone, certamente fuori contesto, ma utile alla bollitura dell’acqua, indispensabile per gli infusi. Ecco perché Ada si andò a raggomitolare lì, in un angolino, come un porcospino con gli aculei dritti per capelli. Perché lì sapeva che Adelaide l’avrebbe accolta, coi suoi vestiti all’antica, coi suoi modi all’antica, e con la sua tisana all’antica: la spaccapietra, 50 grammi per venti minuti di infusione, spaccava i calcoli renali e i pensieri in testa.

Ma c’era anche un altro motivo per cui era andata proprio lì: era certa che tra quegli scaffali avrebbe avuto notizie ancora prima che in qualsiasi altro luogo, ancor prima di ricevere la telefonata dal commissario Roh.

Adelaide, gran pettegola, non si muoveva foglia senza che lei non lo sapesse. Aveva fili di capelli ingialliti tirati all’indietro che si raccoglievano in una striminzita cipolla sulla testa, e una bocca circondata da profonde rughe che portò notizie. Con voce stridula, e quasi incespicando sulle parole, la informò: era stato trovato lo zaino del figlio Leo, nel bosco.

Gli occhi rossi di Ada s’incavarono, una scarica dolorosa le risalì il braccio destro, che solitamente con l’umidità faceva le bizze, ma in quel momento, letteralmente, s’infuocò, come carboni ardenti dentro una fornace.

C’erano tre persone disperse: Leo, Nicola, il capo scout, Alberto, l’amico di Leo.

Ada si voltò di spalle, guardò lontano, oltre la finestra, in alto le stelle di solito la rasserenavano; quella sera non ne trovò. Strinse a sé il braccio dolorante: perché non aveva accompagnato Leo fino ai binari? Il figlio la pregò di lasciarlo poco prima della stazione, si era dato appuntamento con Alberto: non voleva farsi vedere con la mamma. Lei lo sapeva… faceva a pugni con quell’aria da nerd che si ritrovava, e con i compagni che lo bullizzavano: l’ultima volta avevano preteso che svuotasse le tasche e consegnasse tutto quello che aveva, coltellino svizzero compreso.

«Ma… ma…» cercò di replicare lui.

«Ma… ma… è esattamente quel pezzo di parola che sta per mamma. Forse non sai stare senza la mamma! Giusto?» questo gli sputarono in faccia.

E adesso non se lo perdonava, avrebbe dovuto portarlo fino in stazione.

Adelaide le toccò la spalla, Ada si voltò, gli occhi sbiaditi della vecchia volevano dirle un’altra cosa, e la donna sapeva che non avrebbe voluto sentire: la polizia aveva trovato un cadavere. Ada ebbe la forza di non svenire, piuttosto afferrò la sua mantella, si avvolse nel suo calore e raggiunse il commissariato.

Davanti all’ufficio di Roh le notizie si susseguivano e dilaniavano il cuore: un cadavere, un disperso, una persona ritrovata.

Ada era sprofondata su una delle sedie, accanto alla mamma di Alberto, sull’ultima sedia aspettava un altro capo scout: la moglie di Nicola era in un qualche paesino del sud, ad accudire la madre malata, e non si era riusciti ancora a rintracciarla per informarla.

Ada aveva dentro il cervello un tarlo, che scavava, logorava i tessuti: chi era il cadavere? Leo? Alberto… o Nicola? Si vergognò dei suoi pensieri: sperò, sperò con tutte le sue forze che quel cadavere non fosse il figlio. Il suo desiderio egoista era nutrito dalla disperazione e del dolore che, acuti, in quelle ore avevano ruminato cervello e anima: Leo aveva solo quindici anni, mingherlino, placche alla gola costanti, non poteva, non doveva essere lui il cadavere. Non sarebbe stato giusto.

Si aprì la porta dell’ufficio del commissario Roh, tutti balzarono in aria come rane in uno stagno dall’acqua bollente.

Nascosto da un caldo plaid dalla stanza uscì una figura piccolina: il suo Leo era piccolo di statura, il più piccolo di tutti, era lui, doveva essere lui!

Ed era lui… Leo. Salvo. Alberto ancora disperso e… il terzo nome tra i cadaveri. Ada afferrò il figlio, non ebbe il coraggio di guardare in faccia nessuno.

Scappò a casa.

Cosa era successo? Leo davanti ad una tazza calda confessò: aveva atteso l’amico Alberto lì, vicino alla stazione, per un po’ di tempo, un attimo di troppo però, perché Alberto non arrivò e lui perse il treno, e con esso l’uscita scout. Arrabbiato, decise di farsi da solo il giro per i sentieri, e imboccò la via del bosco. Non poteva prevedere quel nubifragio e… burroni inondati, fiumi fangosi, alberi, cespugli, radici, tutta la radura gonfia d’acqua lo spinse in un angolino, sotto ad un masso, fracido e infreddolito.

Finito il resoconto, fatto per giustificarsi, Leo si avvicinò alla madre, e, quasi per chiedere scusa, le regalò un cane di gomma.

«Premigli la pancia. Strabuzza gli occhi e fa luce» disse Leo.

E Ada, adesso che lo aveva lì, davanti, era tornata ad illuminarsi.

«Ossequi!» si congedò Leo e, dopo quel saluto finto-reverenziale scherzoso, sparì in camera sua.

Le cellule grigie del commissario Roh scandagliarono il buio della sua mente, giunse alla conclusione che Lia non poteva essere arrivata dal paese, qualcuno l’avrebbe certamente notata. Era da perlustrare il bosco, era sicuramente arrivata direttamente da lì, per poi giungere sul ponte.

Ada raggiunse il commissario davanti la chiesa del paese, lei che era atea. Le si fece incontro con la mano destra protesa, ma lui la schivò e afferrò con decisione la sinistra, e galante la aiutò a salire i gradini dell’ingresso.

Ada accennò un lieve sorriso, un primo spicchio di luna.

Ragionarono davanti ad un quadro medievale della Madonna, e alle mille mentine che il commissario ingerì, non potendo fumare.

In commissariato si seguivano gli schemi classici, ma quello che stava succedendo in paese non era usuale, l’ispettore aveva bisogno di un ragionamento… storto, capace di capovolgere le cose. E Ada era una donna colta, controcorrente, storta. E in quale altro modo si poteva definire quella donna, atea, prostata davanti alla Madonna? La sua riverenza, si poteva dire, era rivolta all’arte, ma lei non mancava di farsi anche il segno della croce.

«Rispetto il luogo nel quale sono entrata»si giustificò.

E Roh si fece bastare quella risposta.

Ada era quello che serviva per quella situazione storta. E storta lo era davvero quella faccenda, perché dentro la scatola metallica, che Lia stringeva quando Ada la soccorse sul ponte, era stato trovato un cuore!

«Un cuore?» Ada lo guardò sbigottita «Di un animale?»

«No, di una persona umana, e sulla scatola una scritto: F.E.R.T.»

«Il mottodei Savoia» spiegò Ada.

Una scatola di metallo con quella scritta conteneva il cuore di Vittorio Amedeo II di Savoia.

Alla morte fu tumulato in Austria, ma il cuore fu conservato nella basilica di Superga, a Torino.

“Perché strappare il cuore ad un principe?” si chiese Roh passandosi le mani fatte di catrame su capelli color catrame.

Nelle casate reali era usanza diffusa. Per superstizione, per avere una reliquia, e per studiarlo: il principe aveva una malformazione al ventricolo destro. Peccato che il cuore, per secoli, fosse scomparso.

«Certo» chiosò Ada, «non poteva essere quello dentro la scatola!»

 Roh si toccò nervoso il mento, c’era dell’altro: il cadavere era stato trovato dentro un vecchio edificio sotterraneo nascosto dal bosco. E visto che lei si interessava di arte antica, le chiese consulenza.

Dentro la boscaglia Roh individuò subito i suoi uomini che stavano ancora posizionando il nastro bianco e rosso tra gli alberi. La scritta: stare indietro, polizia era ancora coperta di polvere! Chissà da quanto tempo stava nell’armadietto del commissariato di Preda.

I due si addentrarono in quella che Ada definì una cisterna medievale. Precisamente di stile cistercense, XIII sec. lo si evinceva dagli elementi architettonici essenziali, seguivano la filosofia dell’ordine monastico, votato all’essenzialità.

Giunsero al cuore della cisterna: un ambiente circolare scandito da colonne, al centro degli scalini immettevano, giù, in un ambiente più piccolo, un serbatoio a forma di piramide rovesciata.

I due scesero in quell’ambiente più ristretto.

Lì gli occhi di Roh si posarono su una sorta di volante metallico, sembrava quello della sua auto. Quella rotella in ferro azionava, precisò Ada, delle paratie di legno, regolavano il flusso d’acqua.

Roh tirò una boccata profonda dalla sua sigaretta, impastandosi di catrame la mascella squadrata, e soffiò il fumo in quell’ambiente umido.

Con sguardo grave, in un angolino, indicò qualcosa: il corpo di Nicola, in divisa scout. La vittima. Osservando il volto di Ada però non gli veniva certo da definirla vittima, piuttosto morto ammazzato; strano come la terminologia tecnica investigativa addolcisse tutto.

Il fumo della sigaretta stazionava ancora in quell’ambiente opprimente, accarezzava il volto pietrificato di Ada.

Diverse coltellate vibrate sul corpo, precisò con voce arrochita dalle sigarette il commissario, ma non era stata quella la causa del decesso, avvenuta piuttosto per annegamento.

«Facile che si sia riempita in fretta questa cisterna seppellita nelle viscere della terra, e questo serbatoio non lascia scampo. Le cisterne medievali sono strumenti perfetti» osservò Ada.

Roh la guardò ammirato:

«Da dove proviene questa passione per l’architettura medievale?»

«Credo sia una parte necessaria della mia personalità. Ho fatto di tutto per assomigliare a mio padre, archeologo. Sapevo che presto lo avrei perso, ma se fossi diventata lui… sarei stata capace di badare a me stessa. E avrei sopportato la sua assenza!» esclamò Ada, con fare nostalgico.

Poi si voltò di scatto verso il commissario, infilò i suoi occhi dentro i suoi e diretta disse:

«E tu mi ricordi lui!»

Roh sorrise appena, si sentì lusingato.

«Devono essere le mentine, quelle che mangi quando non puoi fumare, mi ricordano la sua acqua di colonia» disse Ada, e imboccò l’uscita della cisterna, distanziando Roh. 

Privo di qualsivoglia attrattiva, Preda, nei giorni successivi, acquisì fama, e non per un qualsivoglia furto con scasso o consueto omicidio passionale, ma per la ragazza col cuore in mano. 

Il commissario aveva l’aria così afflitta da sembrare cordoglio: orde di turisti che intralciavano e nessuna pista.

Insieme a Ada raggiunse la farmacia di Umberto.

Trovò la scusa dei cerotti che aiutano a smettere di fumare, voleva far passare il tutto come quattro semplici chiacchiere tra amici, era convinto che fosse più efficace rispetto alle deposizioni in commissariato: i testi, nel loro ambiente, avrebbero ricordato di più e meglio (Ada le serviva ad allontanare il pensiero di un interrogatorio?).

Umberto stirò penosamente le membra lunghe e magre, si stirarono perfino i baffi bianchi. Sembrava privo d’occhi, talmente erano spesse le lenti degli occhiali, e quel mirare da miope gli davano un’aria antipatica. Sopracciglia folte, ma molto curato nella persona, ostentava un fare metodico: i farmaci erano ordinati per prezzo, in ordine crescente dalla porta al bancone! Così chi voleva risparmiare con quelli da banco, quantomeno si sarebbe avvicinato a lui solo per pagare!

Umberto interloquì coi due, che sembravano il diavolo e l’acqua santa: lui pelle scura e impermeabile scuro fatto di fumo, lei mantella scura ma che evidenziava ancora di più la pelle bianca fatta di neve.

Una volta acquistato il cerotto, Roh accennò a Nicola, ostentando un tono naturale.

Umberto riferì di screzi con la moglie, per via del più classico dei motivi: un’amante, è per questo che lei aveva lasciato il paese, non per andare a trovare la madre malata. La voce del farmacista, impostata e profonda, ben si accordava col mobilio del XVIII sec. della farmacia. Sulle pareti troneggiavano stampe di Dante, i Re Magi, un santo severo, un albero d’acacia e varie erbe officinali. Roh e Ada, non avendo altro da chiedere, salutarono e proseguirono nel loro giro.

Imboccarono la viuzza che conduceva alla biblioteca.

Il cellulare di Roh squillo: Alberto era stato ritrovato, uno spinello di troppo lo avevano, come ride… rincretinito e lasciato stordito sul letto di un amico. Roh non sapeva se sentirsi sollevato o adirato. Sulla strada la donna fece un’osservazione sulla stampa del santo: si trattava di San Bernardo, fondatore dell’ordine cistercense, riformò la Chiesa e si scagliò contro i peccati dell’epoca: simonia e concubinato.

E cistercense era la cisterna che le aveva fatto visionare.

L’ispettore annotò tutto nella sua testa.

Adelaide, in pensione, li accolse nella biblioteca vuota.

Roh non faticò a farla parlare, sapeva che aveva raccolto tutto il chiacchiericcio del paese. Ben poco c’è da fare nei piccoli paesi di montagna. Le montagne non sono un posto come un altro, sono… una dimensione altra, fatta di occhi e bocche che, anche quando non c’è nessuno, registrano, le vette sono come Dio: s’innalzano in alto e vedono tutto. E con il loro freddo rigido mettono alla prova, costringono a fare i conti con le proprie forze.

Ada si liberò della borsa e si lasciò scaldare le mani dalla tazza allungatale dalla vecchia. Roh rifiutò e si mise in bocca una mentina.

Sistemandosi i fili di capelli ingialliti tirati all’indietro, l’anziana, con la solita voce stridula, diede le sue informazioni: non si poteva parlare di una amante, si trattava piuttosto di una schiera di amanti, che andavano e venivano dal negozio di Nicola. Quanti produttori di miele conoscete che espongono il loro prodotto nel retrobottega? Chiese Adelaide malignamente.

Ad ucciderlo una delle amanti? Le congetture cominciarono a svolazzare nel cervello di Roh. E Lia? Una poco di buono, aggiunse la vecchia, avanzando l’ipotesi che potesse essere una delle donnine che avevano frequentato quel negozio gaio.

La parlantina di Adelaide era un treno in corsa che non sgarrava l’orario di un minuto, puntuale nel condannare i facili costumi dei giovani.

Quel continuo blaterare aveva di sottofondo la radio. Lo speaker diciottenne Alberto, l’amico scout di Leo. Aveva sostituito i brani pop con sermoni recitati con tono da pulpito: inneggiava alla famiglia tradizionale, chiosando su quanto fossero in pericolo i valori cristiani. Non poteva esserci sottofondo più adeguato alle parole appassionate di Adelaide, che colse l’aria di disappunto in Ada (si era ripreso bene! Pensò, e aveva già dimenticato gli spinelli). Adelaide non mancò di pizzicare la donna:

«Certo, chi è arrivata in paese solo da cinque anni fatica ad abituarsi ai sani valori della comunità. E quanto dev’essere difficile tirare su un ragazzino senza padre… »

Ada non diede seguito a quelle provocazioni e seguì il commissario alla porta.

Si raccolse parecchio su Nicola, poco su Lia, che era in prognosi riservata.

Ma giunse una telefonata che informò Roh sui grandi miglioramenti della donna, anche se non era in grado di ricordare. L’ispettore allora pensò a Tea, psicoterapeuta esperta in ipnosi, utile a far ricordare quel triste pomeriggio alla donna.

La luce del giorno si indebolì, ma non era l’imbrunire, era in arrivo un temporale. E ancora una volta le nuvole rilasciarono su Preda la loro pioggia, così i due, con tono sbrigativo, si salutarono. Ma a pochi metri da casa Ada si ricordò della borsa dimenticata in biblioteca. L’idea di rivedere Adelaide le dava i crampi allo stomaco, decise comunque di tornare indietro, così entrò velocemente in casa per assicurarsi che Leo avesse fatto i compiti, si serrò sul suo corpo longilineo la mantella scura, tirò su il cappello e sgattaiolò per le vie del paese.

La biblioteca era socchiusa, la donna delle pulizie aveva appena finito.

Ada aspettò il momento opportuno e si infilò nella penombra. Individuò la borsa che afferrò e… improvvisamente la vecchia sbucò da chissà dove e chiuse a chiave dall’interno. Ada si stupì, non c’erano altre uscite in biblioteca. Incuriosita tirò su il cappuccio della sua mantella e continuò a starsene nell’ombra e a osservarla fluttuare leggera negli ambienti scuri.

L’anziana s’infilò dietro le mensole delle tisane, si sentì armeggiare un po’. Riemerse con la sua figura allampanata, per poi sparire lungo un corridoio.

Ada prudente s’infilò dietro quelle mensole: un sottile spazio tra due muri paralleli nascondeva una piccola cassaforte.

Tirò fuori il cane di gomma, gli fece strabuzzare gli occhi che illuminarono la combinazione. Quali i numeri giusti? Adelaide era una donna sola, non poteva aver usato date di nascita di nipoti, che non aveva, di un marito, che non aveva, del gatto, che non aveva. La sua data di nascita? Non era così ingenua. Adelaide aveva solo le sue tisane.

Riecheggiarono nella sua mente le parole dell’anziana: la spaccapietra, 50 grammi per 20 minuti. 5020 e… click! Dentro una scatola da tè in carta giapponese, accanto dei ritagli, che passò in rassegna con mani rese febbrili dall’emozione, ma non riportavano alcuna scritta. Compose quello che sembrava un puzzle: la mappa di un dedalo di sotterranei, ma nessun percorso indicato. Pensò di rimetterla a posto, non prima di aver scattato una foto col cellulare. E Ada s’illuminò! Solo allora, guardando la foto, realizzò che l’indicazione forse c’era, non indicata a penna, ma dal ritaglio stesso! Che zigzagando segnava la strada: che segreto nascondeva la vecchia? Il mistero affascinava (e spaventava).

Si sentì ancora armeggiare, Ada spense gli occhi del cane e rimase in ascolto: ricomparve la figura evanescente di Adelaide, sembrava fluttuare, eterea, sull’oscurità. Improvvisamente una fiammella, al di sopra di un candelabro, creò attorno alla vecchia un alone luminoso. Si mosse in direzione di un lungo corridoio, e da lì negli scantinati. Ada, cauta, e a debita distanza, la seguiva.

Attraversarono vari ambienti, si inoltrarono nella muffa di muri vecchi, e il braccio destro ricordò a Ada quanto fossero umidi quei corridoi.

Camminarono un bel po’, fino a quando Adelaide non salì alcuni scalini e… gli occhi di Ada, stupefatti, non la videro emergere, tramite una botola, nel bel mezzo della fontana a filo della pavimentazione del comune.

Passò, leggera, attraverso quei giochi d’acqua che partivano dalla pavimentazione, per poi sparire, inghiottita dalla nebbia.

Ada tirò fuori dalla tasca il suo cane-torcia, studiò la sua foto, il percorso segnato dal taglio proseguiva davanti a lei, così, armata di determinazione, calò sulla testa il cappuccio della sua mantella e, con la leggerezza di un fantasma, proseguì per quel dedalo di sotterranei. Un lungo corridoio si snodava nel ventre del paese che, infine, si risolse un ambiente senza uscita. E quindi? La mappa non riportava altro, se non quell’ultima stanza. Ada si scoprì il capo e guardò fisso davanti a sé, strizzò gli occhi, il buio lasciava emergere solo una parete, ma… sembrava essere doppia: in realtà davanti a sé aveva il retro di un armadio, poggiato alla parete.

Fece forza e lo rivoltò verso di lei.

Eccitata lo aprì, dentro numerosi documenti.

Sembrava una bimba in un negozio di giocattoli! Passò in rassegna i fascicoli catalogati meticolosamente, individuò quello su Nicola: fogli col margine blu relazionavano l’impegno nell’associazione scout, i documenti richiesti per aprire l’attività. Seguivano documenti dal margine nero: una relazione sull’organizzazione di una casa di appuntamenti. Richiuse quel faldone e ne aprì un altro. Alberto: fogli blu riportavano la documentazione sull’emittente, una relazione sulle sue idee estremiste. La parrocchia, il catechismo per le comunioni. A seguire i documenti neri, schedate le foto che lo immortalavano vestito da donna nel bordello di Nicola. Ada stentava a crederci, aveva trovato un archivio parallelo, proprio sotto quello ufficiale del comune!

Una foto cadde per terra, era lei! Il suo fascicolo! Certificato di nascita di Leo, nome e cognome dell’ex marito, la richiesta di residenza a Preda.

Ai documenti blu seguivano quelli neri: foto di incontri in macchina e baci rubati con Roh: si risvegliarono, dolorosi, vecchi ricordi nel solaio della sua mente, roba dismessa e riposta, coperta da lenzuoli impolverati.

Un rumore la fecero sobbalzare, si avvicinavano passi, non aveva via d’uscita!

Tastò i muri, scandagliò febbrilmente il buio, nulla. Non sapendo cos’altro fare, spostò l’armadio, dietro, in basso, il buio celava una piccola apertura: il corridoio proseguiva! S’infilò dentro con la destrezza di un gatto, rapida… e si ritrovò incredibilmente dentro la cisterna medievale.

Da lì prese il sentiero del bosco che conduceva al paese.

Mattina seguente, le 09:00 in punto, Ada era di fronte la professoressa del figlio, era stata convocata già da alcuni giorni, ma si era lasciata distrarre da eventi eccitanti. Ottimo rendimento scolastico, ma il comportamento… be’! Quello lasciava molto a desiderare: Leo rispondeva agli insegnanti, mai successo prima. Ada provò a giustificarlo: il figlio, dal carattere remissivo, veniva bullizzato di sovente. Eppure, quella volta sembrava essere lui a infastidire i compagni.

Giunta a casa Ada affrontò il figlio.

Ne nacque una furiosa discussione e Leo se la prese con i bulli della classe: prendere lezioni di clarinetto, piuttosto che fare calcio, era da veri sfigati, si lamentò. I videogame almeno offrivano più vite, la sua puzzava solo di sfiga. Si voltò e sparì in camera sua.

Ada sconsolata sprofondò sul divano, in colpa, e mentre sfogliava distrattamente il libro di Storia del figlio, si rese conto che manifestava amore e premura nell’unico modo che conosceva: controllando tutto. E intanto, sfogliando sfogliando, il suo dito era arrivato ad un capitolo sottolineato: la Carboneria.

Fuori non smetteva di piovere: le vie in pietra divennero fiumi in piena, anche il bosco, che abbracciava il paese, dovette lasciar passare l’acqua inarrestabile che raggiunse la cisterna. Si buttò sui ciottoli dei corridoi, sprofondava a spirale, raccogliendo fango… e sangue. E sabbia e ciottoli filtrarono l’acqua rossa.

Il giorno dopo Preda sembrava il paese leopardiano de La quiete dopo la tempesta: gocce ancora si staccavano dai tetti e i gatti erano tornati sulle vie. I faggi, che abbracciavano alle spalle le basse casette, accarezzavano l’aria silenziosa, e osservavano. Molto più in là, invece, un’orda di curiosi si era ammassata sul ponte, quello che aveva creato la storia di uno zombi che aveva strappato il suo stesso cuore mettendolo in una scatola. Ed era già leggenda: il paese della ragazza col cuore in mano!

Leo era a scuola, Ada rassettava e raccolse il libro di Storia lasciato sulla scrivania. Lo sfogliò distrattamente, quando fu interrotta da una telefonata di Roh: un altro cadavere! Sempre dentro la cisterna. Alberto, lo speaker radiofonico! Un’ultima cosa le riferì: era sparita la scatola di metallo col cuore.

Ada era esterrefatta: Alberto morto… e quei documenti su di lui nell’archivio che ne rivelavano le colpe nascoste …

Pensava e intanto con una mano girava le pagine del libro. Il segno nel capitolo sulla Carboneria e le foto: compasso e squadra, l’acacia, l’alveare, l’occhio dentro il triangolo, i Re Magi.

S’illuminò!

In quel momento le parole di Roh erano solo un eco lontano, nella sua mente c’erano fisse le stampe della farmacia: l’acacia, i Magi. E il miele di Nicola? Tutte suggestioni o aveva individuato una pista?

Intanto Roh al telefono non smetteva di parlare e non smetteva di fumare (lo si capiva dalle frasi impastate):

«Ada mettiti seduta e ascolta bene, ho cose importanti da dirti.»

Ada indietreggiò e si lasciò cadere sulla poltrona.

«Tea ha fatto un ottimo lavoro con Lia» disse Roh con tono fermo «L’ipnosi l’ha riportata a quel pomeriggio. Ebbene, ascolta attentamente, ho del puro materiale da manicomio! Lia non è la vittima, è il carnefice!»

Ada spalancò la bocca.

In stato di ipnosi Lia aveva riportato inconsciamente quanto accaduto: aveva appuntamento con Nicola davanti la cisterna un’ora prima dell’uscita scout, alla quale non andrà mai. L’appuntamento doveva essere chiarificatore: basta con quell’attività illecita, e doveva smettere di vedere quelle donne; lei lo amava.

Ma c’era di più: la donna non agiva solo per interesse personale, eseguiva gli ordini di una loggia massonica, alla quale entrambi appartenevano, e che chiedeva ordine morale. Di fronte ad un infastidito Nicola, Lia mise in atto il piano B, prescritto con rigidità dalla loggia, sconosciuto nei particolari perfino da Lia: l’apertura di una scatola lasciò emergere un cuore… e veleno! Inalato dai due. Lia intossicata vagò, confusa, per i boschi, per giungere infine sul ponte. Nicola fu assassinato.

Ada ascoltava esterrefatta.

Lia non era stata capace di definire le persone presenti nella cisterna, ma descrisse il capo. Tea ne stilò il profilo: tormentato da un continuo senso di inferiorità, doveva liberarsi da circostanze avverse che lo schiacciavano.

Ada pensò che sarebbe dovuta tornare all’archivio parallelo, gli avrebbe di certo rivelato il nome dell’assassino di Nicola e Alberto.

La sera dopo, Preda era ancora bagnata dalla pioggia: leggera ma fitta.

Ada si assicurò che il figlio Leo fosse in pizzeria con amici, indossò la sua mantella scura e si guardò allo specchio: in faccia aveva stampata un’espressione eccitata e risoluta. Tirò su il cappuccio, uscì e, con andatura vivace, s’inoltrò nelle viuzze del paese. Nascosta da una coltre vaporosa fatta di pioggia e nebbia, raggiunse il comune: in mezzo alla piazzetta la fontana a filo del pavimento, i suoi giochi d’acqua nascondevano, nel suo centro, una botola. Furtiva Ada s’infilò dentro la fontana, e da lì, attraverso la botola, s’inoltrò dentro il ventre di Preda.

Ed era di nuovo lì, davanti agli archivi paralleli.

In mano i fascicoli, e i documenti che emersero non riguardavano solo i paesani di Preda, ma Preda stessa! Le mani eccitate sfogliarono le cartelle: una vecchia giunta comunale del 1970. Tra gli assessori Adelaide Zinga, Umberto Razza, giovane e determinato sindaco, e altri ancora. Risoluti e violenti, avevano imposto la loro candidatura e la loro ideologia estrema. Il Paese delle Meridiane sarebbe stato riformato, a partire dal nome: Preda! In onore al paese del duce, Predappio.

La donna non ebbe il tempo di rimanere interdetta da quello che aveva letto, perché dei passi si avvicinavano.

La salvò ancora una volta quel passaggio che la portò dentro la cisterna.

Una luminescenza, in fondo, si stagliava sul laterizio. Delle voci. Ada tirò su il cappuccio della sua mantella e si celò dietro una delle colonne doriche che circondavano l’ambiente.

Dal passaggio giunsero figure incappucciate che si unirono alle altre, già posizionate nel cuore della cisterna. Uno di essi reclinò il cappuccio, emerse un volto senza occhi: lo sguardo miope di Umberto!

Ada sbarrò gli occhi, aveva la fronte imperlata di sudore.

L’uomo, al di sotto delle sopracciglia folte, mosse la bocca semichiusa:

«Si tiene loggia.»

Tutti gli incappucciati gli fecero eco:

«Si tiene loggia!»

«Per essere bisogna elevarsi» giunse le mani «San Bernardo ci sostenga nella visione di Dio, così come fece con Dante in Paradiso. Elimini Simonia e Concubinato, oggi come ieri.

Simonia: ambizione e avidità. Concubinato: disordine sessuale e lussuria. E sia un nuovo ordine!»

Dette queste parole dieci figure incappucciate emersero dalla penombra e si avviarono alle colonne.

«Il neofita è tenuto all’oscuro di molte cose. Venga condotto nell’abisso dei suoi pensieri, dove ha da scavar terra finché trovi acqua pura.»

Anche davanti la colonna dietro la quale si celava Ada, giunse un incappucciato.

La donna, presa alla sprovvista, trattenne il fiato. Una mano si sfilò dal buio, afferrò il suo braccio, il destro, che le diede la scossa! Ada era tesa, ma, con fare mansueto, si lasciò condurre verso il centro della cisterna: lì, dal basso del serbatoio, una figura incappucciata seduta su un trono sembrava governare tutto.

Quei mantelli nascondevano la figura di tutti, adepti e neofiti, e Ada, impaurita, tenne il suo cappuccio più basso che poteva.

Le dieci figure, uno alla volta, condussero i dieci neofiti lungo dei corridoi che s’inoltravano, a spirale, nelle profondità della cisterna.

La mano gelata di quell’incappucciato continuava a tenerla per il braccio.

Giunti in un qualche ambiente oscuro, la figura la lasciò, e si ritrasse.

Cosa succedeva adesso? Incominciava lì la vera paura, che le percuoteva ogni singolo membro.

Passò del tempo, durante il quale rimase paralizzata dov’era. Non sapeva nemmeno se quella figura fosse ancora là, ad osservarla, a scrutarla, o se invece si fosse dileguata. Era al buio, in attesa di non sapeva cosa. Sentiva un formicolio che le calò dalla punta delle dita fino alla punta dei piedi, come quando sai che devono farti una puntura e aspetti che l’ago si conficchi dentro la carne.

Respirò profondamente, non pensò di far luce, temendo qualsiasi cosa là dentro, e temendo di essere riconosciuta. Immobile statua di marmo, era inghiottita da quell’ambiente di ogni luce muto. Infine, raccolse tutti i suoi pensieri: confidò sugli unici due sensi a cui poteva fare affidamento: l’udito e il tatto. Aprì le orecchie, si concentrò su quello, temeva di poter essere colpita alle spalle.

Nulla… non sentiva nulla, se non il gocciolare dell’acqua, in lontananza.

Quel ticchettio regolare gli si conficcò nella testa. Non avendo altri punti di riferimento decise di seguirlo e si mosse con prudenza sulle gambe rigide. Tirò su le mani davanti a sé, in cerca di una parete. Proseguì, lenta, fino a quando non tastò un muro: umido, freddo… mattoni, doveva essere il laterizio del corridoio. Proseguì, continuando a tastare, lo zigzagare dei mattoni lasciò posto ad una breve superficie liscia, ancora più fredda.

Ada spalancò il più possibile gli occhi che fendevano la penombra: una colonna, marmo. Poi una maniglia. Mise tutto insieme nella sua testa e la penombra lasciò emergere un portale: due colonne scanalate inquadravano una porta di legno, sovrastata da un timpano triangolare.

Ada proseguì il suo percorso, continuò a tastare: altre due colonne… delle decorazioni… tra le foglie di pietra… delle corna! Ada fece un balzo indietro. La donna sbarrò gli occhi più che potette! Un volto, una faccia demoniaca.

Indietreggiò ancora, fece cinque, diedi passi indietro: davanti a sé tre porte, incorniciate da colonne.

Cos’erano? Tre portali, tre ingressi.

Un urlò straziante! Ada sobbalzò! Il gelo di quei sotterranei le penetrò fin dentro i pori delle ossa.

Si calmò, continuò ad osservare quelle tre porte, cosa volevano dire? Sembrava che le suggerissero di proseguire nel percorso.

Scrutò bene ciò che aveva davanti, per quel poco che la penombra le concedeva di vedere. Aveva davanti a sé le entrate di tre chiese: la prima incorniciata da colonne che si concludevano con capitelli ionici: sfoggiavano delle volute, dei riccioli di marmo. Sopra il portone la croce piena di gemme preziose di Costantino. Un portale classico, penso tra sé Ada.

Quei pensieri, quelle riflessioni avevano come sottofondo come un brusio… un frusciare che la inquietavano. Continuò a studiare quello che aveva davanti: il secondo portone era affiancato da colonne trabeate, concluse da capitelli riccamente decorati da foglie, dalle quali emergevano improvvisamente volti mostruosi: diavoli accanto a sirene dal petto nudo, come nelle più classiche chiese romaniche.

Ancora quel brusio, come un mugolio che strisciava in quella densa penombra, come onde di oceano sbattute dal vento, ma adesso Ada distingueva bene… voci! Non era un semplice brusio, erano dei lamenti.

Ada, ancora più decisa, continuò a studiare i portali davanti a sé: il terzo portone aveva colonne lisce che si concludevano con capitelli dorici: nessun ornamento.

Al centro il portone: limpido, fatto di linee pure. Ada si fermò a pensare fra sé e sé: chiesa nuda, officina per pregare.

Fulget ecclesia in simplex parietibus et in pauperibus eget, La Chiesa risplende sui muri semplici e ha bisogno dei poveri: il manifesto di San Bernardo! Una chiesa semplice, essenziale, ripulita da ogni decorazione. Solo il monaco e la sua preghiera, nessuna distrazione, niente croci con pietre preziose o seni nudi di sirene!

Un lieve sorriso si disegnò sul volto di Ada, che, leggera, appoggiò le sue mani su quel terzo portone, puro, perfetto come un cristallo. Lo dischiuse, sicura di essere sulla via giusta, e… improvvisamente sprofondo giù!

Un lungo corridoio in pendenza la fece precipitare in un baratro che sembrava senza fine! Fino a quando non toccò rovinosamente terra e fu colpita dalla luce!

Ada si coprì gli occhi e il volto con il cappuccio, più che poté, si alzò, guardò l’ambiente attorno a sé. Una sala circolare illuminata da candelabri. Addossati alla parete i dieci incappucciati, altri due sulla parete di fronte: i neofiti, erano rimasti in due, e lei.

La donna adesso aveva realizzato: si trovavano al centro della cisterna, in mezzo alcuni scalini conducevano giù, nell’ ambiente più piccolo, il serbatoio a forma di piramide capovolta.

Una voce profonda disse:

«I maestri posizionati a sud, ad indicare la luce, i neofiti a nord, rivolti verso la luce.  Pulvis et umbra sumus… per questo guardiamo alla lux

Ada, cauta, raggiunse gli altri due neofiti e si voltò verso i dieci.

Uno dei dieci incappucciati parlò:

«Sarà l’inizio di una nuova era fatta di ordine e morale. La congregazione di San Bernardo dà i natali al suo Vate!» e dal mantello estrasse la scatola di metallo con la scritta F.E.R.T.

Era la voce diAdelaide, che indicò il serbatoio.

Al centro di quel piccolo spazio, sotto, emerse un trono, qualcuno vi era seduto, nascosto dal cappuccio nero.

«Ossequi…»si udì nella penombra.

Ada morì dentro.

«Madre, affiancami in questa nuova via, che m’illumina al di sopra della banalità, del disprezzo!»

Sapevano… sapevano che Ada era lì e sapevano che aveva scoperto l’archivio parallelo. Il cuore le tuonava nel petto, e in quel momento non le importò più della sua vita, avrebbe solo voluto salvare il figlio, strappandolo a quella loggia. Nella sua testa quello fu il suo unico pensiero.

Ma gli adepti si frapponevano tra lei e lui, che pronunciava ancora parole deliranti:

«Nuova via, che illuminerà anche te: e sarà allontanato definitivamente il concubinato.»

A quel punto si pronunciò Adelaide, che aveva la scatola metallica in mano

«Il cuore del principe Vittorio Amedeo II ritroverà la sua collocazione nella sala degli infanti della basilica di Superga. Principi di Savoia morti prematuramente, e che non hanno potuto regnare.»

«Mi accompagneranno in questa mia missione. Avvicinati, madre…» disse Leo, con voce ferma.

Ada guardò decisa davanti a sé, pesante nel passo e nel cuore, con sguardo fermo s’incamminò, facendosi spazio tra agli adepti, verso il centro della sala, verso il serbatoio, al trono del figlio.

Ma il ragazzino capì, e capirono anche Adelaide e Umberto.

Ada colse un movimento dietro sé, ma ancora prima di voltarsi, fu afferrata da Umberto e mandata a sbattere contro la colonna.

«Nooo!» urlò Leo.

Adelaide aprì la scatola di metallo col cuore, lasciando che il veleno si diffondesse nell’ambiente.

Alcuni adepti caddero in ginocchio, tossendo. Anche Ada si sentì confusa.

Leo, dal basso del serbatoio, incrociò lo sguardo della madre.

Ada lo guardò… lo guardò intensamente, come l’Addolorata della pietà di Michelangelo poteva guardare il figlio, lì, morto nel suo grembo.

E fu l’ultima volta che lo vide…

Leo si voltò rapidamente e ruotò la rotella che azionava le paratie, inondando di colpo la cisterna.

I corpi furono sommersi dall’acqua.

Ada fece appena in tempo a vedere Adelaide afferrare il ragazzo e dileguarsi nella pancia della cisterna.

La donna inizialmente annaspò concitatamente, poi sentì le forze defluire, il tempo si era fermato… ovattate le orecchie dall’acqua… più nulla sentiva.

Fluttuava in semi-incoscienza sospesa nell’abisso… era finita, più nulla da domare… si lasciò andare al fluttuo flemmatico acquatico intorno a lei.

Pian piano soccombeva alla massa d’acqua che lentamente la portava giù, e giù le palpebre… al silente rimbombo del niente… quando qualcosa la ripescò da quella sorta di pantano psichico: una figura sembrava esserle apparsa davanti. Quasi inconsciamente allungo una mano. Quella figura fluttuante scostò la mano che aveva allungata e afferrò l’altra, la sinistra.

Poi più nulla.

L’eccezionale pioggia inondò in un baleno il paese, trascinando a valle persino il ponte, isolando la comunità.

Giorno dopo.

Tra i corpi rinvenuti in fondo al vallone quello di Umberto, e quello di Adelaide e Leo, la vecchia stringeva ancora la sua mano.

Il Paese delle Meridiane si sarebbe riappropriato, con l’aiuto del tempo, del suo ponte, ricomposto, pietra per pietra, e con esso della sua identità.

Ospedale.

Roh era lì, accanto al letto di Ada. Lei non ricordava granché, ma le tristi immagini del figlio, purtroppo, erano ben impresse nella testa. Ada fece cenno di volersi alzare dal letto, e allungò la mano destra verso l’uomo, ma Roh la scostò e afferrò la sinistra, tirandola su e facendola mettere in piedi.

Ada lo fissò dritto negli occhi… quella mano… in fondo all’acqua… era la sua…

Roh capì cosa chiedeva quello sguardo che gli era penetrato dentro: conosceva bene la Loggia di San Bernardo, ci aveva fatto parte e ci aveva creduto. Per poi abbandonarla dieci anni fa, quando aveva capito quanto fosse diversa da quello che lui voleva, quanto fosse radicale.

«Feci bene dieci anni fa ad allontanarmi, la scoperta, oggi, della cisterna, il loro sancta sanctorum, mi dà ragione: è la loro volontà di depurare il mondo» disse Roh.

Roh avvertì come un brivido, si portò davanti al finestrone della stanza, guardò lontano e scosse la testa, come a rivangare tutto il marcio di Preda.

Poi, come a voler allontanare tutto quel putridume, si avvicinò ad Ada, si protese verso di lei goffamente e sorrise, e quelle rare volte che Roh sorrideva, lo faceva con tutto il viso: desiderava condividere la propria vita con lei, per ricominciare tutto daccapo. In passato, il suo tradimento nei confronti del marito, ne era sicuro, non era stato un errore, anche se lei si era sempre sentita in colpa.

Ma Ada, invece, quel giorno, e i giorni a venire, si chiuse nel dolore: non era il caso di rivangare e disseppellire vecchi ossi, da rosicchiare ancora, come allora.

Roh chiuse l’inchiesta, ultimo atto le definitive analisi sul cuore della scatola di metallo: difficile risalire all’identità del corpo a cui apparteneva. Emersero però altre informazioni: il cuore aveva una malformazione al ventricolo destro.

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