LA RAGAZZA CON LA VALIGIA di Aurora Zappa
Da sei mesi Luca lavorava come capo della sicurezza del quartiere.
Ogni notte osservava le strade della Città.
Nelle prime ore del turno il quartiere era sempre estremamente vivace. Amici, colleghi, coppie passeggiavano per le strade e si spostavano tra i locali per un aperitivo o una cena. Risate, chiacchiere e confidenze. Luca era ormai in grado di distinguere la relazione tra le persone e addirittura cosa si stavano dicendo, non le parole specifiche, ma la sensazione di quelle parole.
Al mattino la Città era dormiente e a lui sembrava più bella.
Nelle prime ore del mattino aveva un fascino particolare. Le luci semi-accese coloravano le facciate dei palazzi di arancione e il silenzio, qualcosa di quasi impensabile durante le frenetiche giornate, dava l’impressione del riposo del guerriero, stanco dopo una battaglia.
Era poi affascinato dal risveglio della Città, molto più lento del suo addormentarsi, quando le persone iniziavano a camminare, i mezzi e le macchine a muoversi, tra le luci non ancora accese e il cielo ancora parzialmente buio. La Città sonnecchiava ma era pronta a prendere vita.
E poi c’era lei.
Quella figura che scorgeva ogni venerdì sera e ogni lunedì mattina con una valigia pesante trascinata fino alla fermata del tram.
Era affascinato da lei.
Era attirato dal suo modo di muoversi, affaticata per il trasporto del bagaglio ma attenta a tutto quello che accadeva intorno e pronto a scattare come un gatto.
Tra tutte le persone che percorrevano il Corso il venerdì sera, che frequentavano il quartiere ogni giorno, il suo sguardo si era soffermato su di lei.
Tramite gli schermi di sorveglianza, l’aveva seguita finché non l’aveva vista salire sul tram. E poi, il lunedì mattina, rivederla percorrere quella strada nel senso opposto era stata una vera sorpresa. E la settimana successiva, e quella dopo ancora. Più la osservava tramite gli schermi, appariva nel terzo da sinistra e scompariva due immagini accanto, più le pareva di conoscerla, di capire quando era particolarmente stanca, con il passo strascicato, e la valigia che appariva pesantissima; quando era arrabbiata e si muoveva a scatti, quasi militarmente, e la valigia sembrava quasi un’arma; quando era triste ed era raccolta su sé stessa con le spalle e la testa abbassate e il bagaglio era l’unico sostegno; quando era allegra e sembrava camminare a dieci centimetri da terra con il trolley come unica ancora a tenerla legata alla strada.
Apparentemente una ragazza come tante altre che passavano ogni sera per la Città, ma non esattamente come le altre.
Aveva qualcosa di particolare, un elemento, un qualcosa che Luca non sapeva descrivere, ma che aveva attirato la sua attenzione. Aveva innescato la sua immaginazione, riempiendola di storie. Aveva alimentato la sua curiosità.
Il venerdì era una serata particolare per il lavoro di Luca. Le strade erano sempre molto frequentate da compagnie di giovani, da coppie e da adulti che si godevano la fine della settimana lavorativa. Era necessario prestare più attenzione a quello che succedeva, moltiplicare gli sforzi, metterci un occhio in più, insomma. Ma il venerdì era speciale perché Luca attendeva l’apparire della ragazza che come sempre arrivava da quell’angolo, dove un lampione la illuminava brevemente.
Ogni volta, mentre passava sotto alla luce riusciva a cogliere un dettaglio, un particolare che utilizzava per costruire e alimentare l’immagine che si era fatto della ragazza.
Niente più di un elemento in una frazione di secondo, ma era quello che Luca attendeva con ansia.
Di lei aveva capito che era puntuale e abitudinaria, dallo stile ben definito, ma probabilmente fragile.
Troppo spesso camminava a testa bassa per strada, quasi sperando che nessuno la notasse.
Chissà quali erano i suoi pensieri.
Quel venerdì, il venticinquesimo, di lei non si era vista traccia. Potrebbe essergli sfuggita, con tutta la gente che affolla il Corso.
Ma Luca era preoccupato.
Lunedì mattina si era seduto alla sua postazione, di fronte ai nove monitor, ad osservare la strada, nella speranza di vederla.
Quando eccola scendere dalla prima corsa del tram e dirigersi verso casa, o per lo meno prendere la strada che Luca credeva fosse la strada per casa. Appariva stanca, molto stanca. Avrebbe voluto correre in strada ed aiutarla con quella valigia, dirle:
Sono qui, se hai bisogno!
Era tempo di agire.
Durante le giornate aveva iniziato a frequentare la zona, passando tra bar e ristoranti, cercandola tra i clienti, senza successo. Aveva provato allora a fermarsi in guardiola un po’ di più al mattino e ad arrivare prima alla sera, nei classici orari di punta lavorativi, e a muoversi nella zona degli uffici e delle aziende, ma anche in questo caso, senza risultato.
Ed era già giovedì. Non poteva aspettare un’altra settimana, un senso di urgenza lo spingeva, lo muoveva, anche se non ne capiva il motivo. Voleva seguire questo istinto e provare ad intercettarla, non aveva molto da perdere ormai.
Nel pomeriggio, mentre camminava su e giù nel suo appartamento alla ricerca di un’idea, aveva deciso di scrivere un biglietto e di attaccarlo a quel lampione che gli regalava i piccoli dettagli della ragazza.
Quella sera gli occhi erano puntati, incollati, sullo schermo numero 3, mentre sperava non ci fossero distrazioni o falsi allarmi. Non poteva perdersi un secondo della scena. La vide svoltare l’angolo, sempre a testa bassa, e proseguire per la sua solita strada, fermarsi e alzare la testa, guardarsi sopra la spalla e tornare indietro per leggere quel foglietto sul lampione.
«Alla ragazza con la valigia.»
Si era guardata intorno. Aveva preso il foglietto e si era allontanata, leggendolo mentre cammina.
«Ogni settimana ti vedo camminare sul Corso dalle telecamere di sorveglianza, lavoro qui, non sono un guardone. Sento che devo conoscerti. Non so spiegare il perché, e non ho trovato nessun altro modo per avvicinarmi a te. Ti lascio la mia mail, mi farebbe piacere se mi scrivessi. lucam8@mimi.com.»
L’aveva vista mettersi il foglietto in tasca e rivolgere lo sguardo in alto, verso le telecamere, come a chiedersi chi la stesse guardando.
L’obiettivo è stato raggiunto, ora inizia la vera sfida.
Mentre la guardava dal monitor numero 5, l’immagine sembrava sfocata, come se fosse possibile vedere dei dettagli, ma mai cogliere la figura intera.
Che strano, devo ricontrollare il fuoco della telecamera.
Poco dopo l’aveva vista salire sul tram e andarsene.
Lunedì mattina, puntuale come sempre, la ragazza aveva appoggiato la valigia giù dal tram e con un foglietto in mano si era incamminata. Arrivata all’angolo, aveva alzato la testa e indicato il foglietto che stava per attaccare al lampione e con un cenno di saluto se ne era andata.
Alle 6.01 Luca stava correndo per strada, verso il lampione, per recuperare il messaggio della ragazza.
«Ti scriverò. Grazie.»
Mentre voltava il foglietto per vedere se c’era scritto qualcos’altro, si era soffermato sulla calligrafia della ragazza, piccola e precisa, con uno stile molto particolare. Come se provenisse da un libro del Rinascimento.
Mi scriverà, non mi sembra male come risultato.
Così, si era diretto verso casa con uno spirito nuovo e con la speranza di poter conoscere davvero quella ragazza.
Si era messo a letto per dormire, ma il sonno faticava ad arrivare. L’adrenalina dell’attesa di quella mail era come una droga. Alla fine, la stanchezza lo vinse e si addormentò.
Appena sveglio, per prima cosa accese il telefono per controllare le mail, in modo compulsivo, un aggiornamento, due, tre, ma non arrivava nulla.
Ha detto che mi avrebbe scritto e lo farà, magari non oggi, sarà domani. Credo.
Passarono così altre ventiquattro ore. Luca aveva svolto il suo turno di lavoro, era rientrato a casa e si era riposato, in quella routine che lo guidava da ormai sei mesi.
Durante il pranzo, una notifica era apparsa sul suo telefono: una nuova mail in entrata, da un indirizzo a lui sconosciuto.
«Buongiorno Luca, dall’indirizzo mail credo sia questo il tuo nome. Il tuo messaggio mi ha lasciata particolarmente sorpresa. Prova a spiegarmi qualcosa in più per farmi capire la situazione. È abbastanza strano anche per me. Vanora.»
Vanora? Un nome non comune, dalla risonanza antica, però molto particolare, come la ragazza che lo porta. O almeno così sembrava a Luca.
Mi ha scritto davvero!
Anche l’indirizzo mail era particolare dawnlights@dex.to; luci dell’alba. Il mistero si faceva sempre più fitto.
«Ciao Vanora. Hai un nome molto particolare, ma quasi me lo aspettavo. Mi chiamo Luca, esatto, e lavoro nell’ufficio sicurezza; mi occupo della sorveglianza notturna del quartiere. Ho iniziato a lavorare sei mesi fa. Ti ho subito notata, questo davvero non so spiegare perché. In questi mesi credo di aver iniziato a conoscerti e capirti, dal modo in cui ti muovi per strada penso di sapere quale sia il tuo umore.
Ma vorrei conoscerti davvero, attraverso le tue parole e non attraverso le mie sensazioni. Buona serata. Luca.»
Vanora era rimasta spiazzata dal bigliettino prima e dalla mail dopo, come era possibile che Luca l’avesse notata tramite le telecamere di sicurezza?
Erano anni, troppi ormai, che manteneva un basso profilo, cercando di non farsi notare dalla gente se non per sbrigare le faccende quotidiane.
È davvero strano. Devo capirci di più.
Per ora, le mail non credo possano creare particolari difficoltà, ma devo comunque stare attenta.
«Salve Luca, le tue parole mi lusingano da un lato, ma dall’altro mi fanno pensare che nonostante io provi ad essere particolare ed unica sono più prevedibile di quello che pensi. Mi hai anche incuriosito: cosa hai notato di me? Perché credi di conoscermi, non ci siamo mai incontrati?»
Vanora voleva delle risposte e cercava di sollecitarle. Non avrebbe dovuto essere possibile comprendere i suoi stati d’animo eppure lui affermava di riuscirci. Oppure davvero negli anni si era indebolita?
Luca si stava preparando per andare al lavoro. Quando lesse la mail della ragazza restò spiazzato:
Questo non me l’aspettavo, la facevo molto più timida … invece è molto diretta.
Il cuore aveva iniziato a battere forte; la voglia di conoscerla era aumentata; desiderava davvero poterla capire. Era una sensazione strana, inspiegabile, ma era come se dentro di sé ci fosse un filo che lo strattonava e lo spingeva in quella direzione.
«Sei una ragazza abbastanza particolare rispetto alla media delle cittadine. Tra tacchi, vestiti e minigonne direi che ti distingui abbastanza. Ma non ti ho mai visto sufficientemente bene da capire se sei una fashion addicted! J Non so se ti conosco, ma quando ti vedo passare mi pare di capire come stai, se sei allegra o triste, se ti hanno fatto arrabbiare. Forse sono solo intuitivo, anche se questo è molto strano per un uomo, non credi?»
Ad ogni parola che scriveva, Luca sentiva che il filo si accorciava, che lo portava sempre più vicino alla ragazza, alla risoluzione del mistero.
Quindi non mi ha visto! Probabilmente ha un’immagine sfocata di me, come di un fantasma che trascina una valigia!
I due continuarono a scambiarsi mail e a raccontarsi, sentendosi sempre più vicini.
Lo schermo, del computer o dei monitor di sicurezza, continuava a dividerli, ma non era una barriera, era un modo per poter vedere l’altro senza cadere negli inganni della timidezza, dell’avventatezza e della paura.
E per ora ad entrambi sembrava l’unico modo possibile.
Le mail aumentavano di giorno in giorno, fino a diventare quasi dei messaggi istantanei, riposte immediate, un modo per confrontarsi sugli avvenimenti quotidiani.
Leggendo l’ultima mail, un sorriso aveva illuminato il volto di lei, una sensazione di benessere che da troppo tempo non provava, la voglia di raccontarsi e di essere sé stessa, finalmente, senza costruire maschere.
Ma sarà sicuro? Era davvero tanto che non sentiva qualcosa di simile, la volontà di abbattere qualche barriera.
Venerdì, mentre svoltava l’angolo per andare alla fermata del tram, Vanora aveva guardato verso la telecamera e aveva salutato, un cenno lieve della mano, timido ma deciso.
Ti ho visto, buon viaggio!
Come se lei avesse potuto sentirlo.
Camminava tranquilla quella sera, le spalle leggermente più dritte.
Stai molto bene!
«Stavi molto bene ieri sera. Grazie per il saluto.»
«Vorrei dirti tante altre cose ma non lo farò, non ora, non ancora.»
«Se vuoi conoscere qualcosa di me, vai in libreria e compra un libro di J. Fresher, mi trovi lì. Sono io a scrivere quei libri e lì dentro trovi parte della mia vita.»
«Per ora non posso dirti di più, non capiresti, e ti farei solo male.»
«Tu saresti il fantasma o la dama?»
«Forse entrambi!»
«Non so come spiegarmi questa cosa. Ogni volta che ti vedo sembri sfocata, ma non puoi essere un fantasma. Non so di fantasmi che scrivono mail e libri. Certo sarebbe una scoperta eccezionale e, sinceramente, sarebbe una figata.»
«Mettiamola così, non sono un fantasma. Credo di essere abbastanza reale.»
«Quindi sei la dama.»
«Così pare.»
«Certo le avventure della dama sono molto realistiche, come se tu le avessi davvero vissute per poterle raccontare in questo modo così forte e toccante.»
«Le ho vissute davvero.»
«Wow, beh sei molto brava a contestualizzarle nel Rinascimento. I romanzi storici solitamente sono più storie messe nel passato che situazioni passate raccontate. Devi avere studiato molto.»
«Non studio molto.»
Dovrei dirglielo ora, altrimenti non lo farò mai, penso possa capire. Ma non sono ancora pronta a mostrarmi per quella che sono, ad essere me stessa di fronte ad un’altra persona.
«Ma vado alla ricerca di storie, non leggende, fatti realmente accaduti, sulle cronache delle diverse Città. Cerco personaggi da poter utilizzare nei miei romanzi.»
Appassionata da sempre di storia, amante della lettura e della scrittura, aveva iniziato a scrivere qualche racconto, poi un romanzo, un best seller e alla fine era diventata un’autrice di fama internazionale, con alle spalle almeno 20 libri premiati da pubblico e critica. Nei suoi romanzi i personaggi storici, Ludovico il Moro, Lorenzo dè Medici, Maria Antonietta e molti altri sembravano prendere vita, attraverso avventure e situazioni molto vicini alla realtà. Le storie erano ritenute molto particolari perché i protagonisti provenienti dal passato si ritrovavano coinvolti in eventi moderni, creando un’originale fusione.
«È dove vai ogni weekend, giusto?»
«Si, sto girando l’Italia, le principali Città in cui durante il Rinascimento era più forte la presenza di artisti, ma anche cittadine in cui sono presenti le credenze degli antichi villaggi su cui sono state fondate. Negli ultimi anni mi sto dedicando alle maledizioni e ai modi per annullarle. Ma è una ricerca molto difficoltosa, soprattutto perché le streghe sono sempre state considerate il male e qualsiasi cosa sia stata scritta da loro è andata persa.»
«Hai trovato qualche maledizione particolare? Qualcosa che non sia già visto e rivisto? Che non sia legato a pozioni d’amore, trasformazioni in animali o simili?»
«Sto studiando una maledizione che non fa invecchiare. Che regala l’eterna giovinezza, ma senza felicità perché toglie il contatto con le persone. Non permette le relazioni, le affezioni, lascia completamente soli per la paura di far male alle persone a cui si vuole bene.»
«Sembra terribile.»
«Lo è!»
Vanora, leggeva l’ultimo scambio di mail con il ragazzo, il mento appoggiato sulla mano e lo sguardo assorto nello schermo del pc, leggendo altre parole tra le righe.
Aveva deciso di prendersi qualche giorno di pausa, per fare delle ricerche sull’Occhio Interiore. Si era avvicinata al personaggio di Tiresia e aveva programmato il suo fine settimana per studiare alla Biblioteca Alagoniana. Dall’aeroporto era arrivata in centro città con un taxi e da lì si era spostata a piedi, godendosi le bellezze e respirando la storia. Le sembrava di sentire profumi ormai perduti da tempo, profumi di tempi antichi, di avvenimenti importanti riportati nei libri, quei libri da cui era sempre stata affascinata. Arrivata alla biblioteca, aveva trovato diversi volumi antichi e preziosi che parlavano del mito di Tiresia, sia del cambio di genere che della sua cecità. Non vedere aveva portato allo sviluppo degli altri sensi, oltre al “dono degli dei” della preveggenza. Era possibile tradurlo nel sesto senso, nella capacità di conoscere realtà che non sono visibili a tutti. Probabilmente era questo il talento di Luca: era in grado di leggere alcuni segnali e trasmetterli in immagini complete.
Mentre camminava sul Lungomare e si godeva la brezza marina, Vanora rileggeva sullo smart l’ultima mail del ragazzo, senza trovare le parole per potergli rispondere, una delle poche volte nella sua vita.
«Mi hai visto diverse volte, sapresti descrivere il mio aspetto? Come sono?»
«Non sono in grado di descriverti, ogni volta è come se ti vedessi sfocata, non definita. Ma penso di sapere come sei fatta. Una sorta di intuizione.»
L’Occhio interiore? Una delle piste per risolvere la maledizione parlava di un uomo capace di vedere ma non con gli occhi, che possa davvero essere lui?
«Dimmi allora.»
«Fisico asciutto, capelli corti ricci castani che porti spettinati, occhi verdi, di un verde intenso, bocca piccola. Quanto vicino ci sono andato?»
«Troppo vicino. Direi quasi perfetto.»
«È come ti immagino quando chiudo gli occhi.»
Vanora era davvero stupita, la descrizione era decisamente troppo vicino alla realtà e il ragazzo intuiva delle cose che non era possibile sapesse.
Potrebbe essere lui la risposta alla maledizione? Ma come?
«Hey, Vanora, va tutto bene? Ti ho vista tornare lunedì mattina e mi sembravi molto preoccupata. Se vuoi parlarne, sono qui.»
Preoccupata non era un aggettivo sufficiente, le spalle curve, i piedi strascicati e la valigia trascinata facevano pensare ad un enorme peso da portare. E da qualche giorno non gli scriveva, come se volesse isolarsi dal mondo, ancora e ancora, per sempre.
«Sei una donna forte, puoi superare tutto quello che ti si presenta.»
«Perché mi vuoi aiutare? Perché ti senti legato a me?»
«Non lo so spiegare, come quasi tutte le cose che ti riguardano, non so spiegare quasi nulla in effetti. È come se fossi la mia missione, qualcosa da risolvere per poter andare avanti. Come quando ti fissi su un indovinello e non pensi ad altro. Ti capita mai?»
«Mi è capitato solo una volta, ed era amore.»
«Non sono innamorato di te, sono più affascinato dal tuo mistero.»
«Non ti permetterò di innamorarti di me, ti faresti solo male e me ne farei anche io. Non so se riuscirei a sopportarlo.»
«Siamo e saremo solo amici. Te lo prometto. Mai niente di più.»
«Bene, perché in qualche modo le ricerche che ho fatto, mi riportano a te. Anche tu sei un mistero, ma rispetto a tutti quelli che ho conosciuto, nei libri e nella realtà, sei il più piacevole J”.»
«Non so se prenderlo come un complimento o meno. Vuoi raccontarmi qualcosa?»
Per quanto la ragazza sembrasse davvero strana, senza dimenticare che appariva sempre sfocata alla vista, la sua capacità narrativa ed immaginativa era molto forte. Luca si sentiva attratto da lei, non ne era innamorato ma non escludeva che con il tempo avrebbe potuto amarla, le radici si stavano già fissando attorno al suo cuore.
Vanora aveva raccontato a Luca delle sue scoperte su Tiresia, l’Occhio interiore e la preveggenza. Riusciva quasi a sentire le risate del ragazzo dall’altro lato dello schermo, sentendosi definire un indovino. Anche lei aveva sviluppato un certo legame nei confronti di Luca, chiudendo gli occhi ne vedeva il volto ed era in grado di percepirne la voce e i movimenti. Forse si stava avvicinando troppo a lui, forse era lei che si stava innamorando? L’amore non era previsto. Poteva sognarlo e viverlo solo attraverso i suoi romanzi e regalare ad altri le emozioni tramite quelle pagine. Per lei era una storia chiusa definitivamente, morta e sepolta (letteralmente!). Il suo sogno ora era la libertà.
«Non credo di essere un indovino, anzi! Sto però riflettendo sul concetto di occhio interiore… non potrebbe essere una presa di consapevolezza di sé, di quello che puoi fare, una crescita personale? L’essere rimasti bloccati dentro sé stessi per troppo tempo. Credo sia una cosa che vale anche per te, per questa tua vita da ricercatrice. Prova ad essere altro, ad essere chi vorresti essere.»
La libertà! Vorrei essere una ragazza come tutte le altre, al posto e al tempo giusto, uscire con gli amici, innamorarmi, avere una famiglia e invecchiare. Studiare, migliorare giorno dopo giorno e aiutare le persone. Essere libera di essere questa persona.
Mentre la consapevolezza delle sue potenzialità si faceva strada dentro di lei, nello schermo la sua immagine appariva meno sfocata di prima. Lei riusciva a vedersi riflessa nello specchio. L’espressione stupita la rendeva davvero buffa.
«Forse hai ragione: è quella la strada. Credo che qualcosa stia cambiando. Grazie. Grazie di tutto e di essermi amico.»
«Grazie della tua fiducia.»
«Buona vita, Luca.»
Luca non capiva, perché dopo aver raggiunto un traguardo stava chiudendo il canale. Ma non se la sentiva di chiedere, non ora, non quando lei forse era più determinata, più sicura di sé stessa, quando poteva avere un futuro e non solo un lungo presente.
Il venerdì sera osservando il monitor numero 3 l’aveva vista passare, in perfetto orario, con le spalle un po’ più dritte e l’atteggiamento di chi sta andando incontro al mondo. Avvicinandosi al lampione all’angolo si era fermata e aveva lasciato una busta. La sua immagine era più definita, ma a Luca sembrava di vederla meno rispetto a prima.
Al termine del turno Luca si era diretto alle scale, facendo tre gradini alla volta e correndo al lampione. Aveva preso il messaggio e, ancora con il fiatone per la corsa, lo aveva letto. La sua calligrafia piccola e antica, inconfondibile:
«Ciao Luca, grazie per avermi aiutata, grazie per aver risolto il mistero. Questo viaggio sarà l’ultimo e il primo, sarà un nuovo inizio. Non può essere qui. Mi ritroverai nei libri. Addio Luca, amico mio.»
Il biglietto sembrava bagnato e un po’ stropicciato come se fosse stato scritto da una mano insicura. Vanora aveva pianto scrivendo quel biglietto, perché stava lasciando una vita per iniziarne un’altra. Ma aveva trovato Luca e si era innamorata di lui. Sapeva però che non poteva legarlo a sé.
Un trafiletto in un libro su Tiresia riportava:
«Quando avrai trovato l’occhio interiore e avrai rotto la maledizione, dovrai allontanarti da lui per non coinvolgerlo nel tuo destino, o andrete entrambi a fondo.»
Rientrato nel suo appartamento, Luca accese il pc, più per abitudine che per speranza.
Sapeva che lei non gli aveva scritto e non lo avrebbe più fatto.
Un Bip lo riportò alla realtà.
Una mail?
«Caro Luca, mi hai donato il tuo cuore e la tua amicizia, ti devo una spiegazione.
Gli avvenimenti che racconto nei miei libri li ho vissuti davvero, nel 1400. So che sembra incredibile e probabilmente mi credi pazza, ma questa è la mia storia.»
No, non la credeva pazza, le credeva in modo assoluto, molte cose si spiegavano ora, il fascino, il mistero.
Ma, forse, leggere la sua storia avrebbe reso più difficile lasciarla andare.
Il filo che lo collegava a lei tirava e strattonava.
«Sono nata nel 1485 a Milano, quando regnava il Moro, in un palazzo non lontano dalla corte degli Sforza. I miei genitori erano aristocratici, non molto importanti ma amici intimi di Beatrice d’Este e per questo frequentavano spesso Ludovico. Sono cresciuta con i figli del Moro, istruita con loro e con gli altri figli degli aristocratici milanesi. Ho conosciuto gli artisti che frequentavano la corte e perfino Lorenzo il Magnifico quando è stato a Milano. Poi ho conosciuto un ragazzo, Francesco, e mi sono innamorata di lui, pronta a trasferirmi a Firenze con lui per cercare fortuna. Ma quella che oggi chiameremmo la sua ex mi ha denunciato come strega e allontanata dalla corte, dalla famiglia e da tutti i miei amici. Francesco le ha creduto e l’ha sposata, mentre venivo umiliata pubblicamente.
Lei, che era davvero una strega, mi ha maledetto per averle rubato l’amore della sua vita.
“Sarai condannata a vagare in questa Città, non solo fino alla fine dei tuoi giorni, ma per i prossimi anni, decenni, secoli, fino all’eternità, finché la tua anima non sparirà fino a diventare invisibile. Fino a diventare quello che ti meriti di essere: invisibile!”
Non ho creduto molto alla maledizione, ma quando ho smesso di invecchiare, mi sono trovata condannata ad una vita nascosta, rinchiusa in questa gabbia, mentre tutti crescevano e seguivano il proprio percorso.
Ho cercato per anni qualcuno che potesse aiutarmi a trovare una soluzione, ho anche provato diverse volte a togliermi la vita e ogni volta mi ritrovavo nel mio letto.»
Vanora si era innamorata di Luca, ma aveva dovuto lasciarlo, per non condannarlo ad una maledizione eterna, ad un presente infinito e senza futuro.
Ed era lì dietro ad uno schermo sfocato, poco dopo avergli scritto la sua storia e aver in questo modo spiegato la sua fuga.
Non era lo schermo a non essere definito, ma i suoi occhi pieni di lacrime mentre scriveva la loro storia, la storia di una ragazza con una valigia e di un ragazzo che sarebbero stati per sempre divisi da uno schermo.
La ragazza con la valigia è un racconto di Aurora Zappa