L’INCOERENZA DI DIO di Max Caldi
genere: STORIA
Sia coloro che vogliono portare dio in terra,
sia coloro che vogliono portare l’essere umano in cielo,
hanno messo di mezzo me.
Questo perché dio non si è fidato a venire di persona.
Lo capisco.
Mi hanno fatto fare una fine dolorosa e tragica.
Pretendono di seguirmi là,
da dove pensano che io venga.
Illusi.
La terra è solo un pianeta.
Questa è solo una storia.
Io, nessuno.
Premessa
Chi apre le pagine di questo libro nonostante il titolo penso che compia un atto di coraggio. E continuando gliene servirà ancora molto. Si troverà a combattere tra ripetuti impulsi. Buttare il libro nei rifiuti che vanno al rogo, così da bruciare le mie vergogne come stoppie. O cedere alle sollecitazioni interiori e continuare.
Non voglio essere io a dare consigli.
L’incoerenza. Una colpa. Sia la colpa sia dio verranno allo scoperto. Se c’è una colpa non necessariamente c’è un colpevole. Ma c’è sempre almeno una vittima. Anche quella verrà allo scoperto. Ogni vittima verrà allo scoperto.
Per cercare di capire faccio ritorno alle origini. Immagino di ritornare alla verginità. Con la spoliazione. Con l’essenzialità. Intese come riduzioni ai minimi termini del necessario.
Con il ritorno alle origini non rivivo il passato. Non rispolvero, non mi appello alla memoria. Riparto. Dal nulla. Il primo respiro. Il primo sguardo. Il primo passo. L’intima essenza dell’intorno. In modo disilluso. Dilettantesco. Infantile. Tra scivoloni ed inciampi.
Cerco una condizione favorevole per indagare e scomporre ciò che si ritiene essere il divino. Per lasciare spazio alla comprensione. Alla presa di coscienza. Alla consapevolezza di una unità immanente.
Mi interpello sullo scambio. Sulla scelta.
Tra fiaba e principi morali. Desiderio di ciò che vorrei che fosse e realtà che si impone.
La coscienza è interpellata. Incalzata. Il sentimento è sollecitato. Spronato. Il senso di umanità è stimolato. Pungolato. Nell’intimo e nel profondo.
C’è chi vorrebbe che il dio al quale si appella e si aggrappa governi tutto l’esistente. Abbracciandolo. Giustificandolo. Spiegandolo. Controllandone le forze naturali e le discipline che indagano il senso dell’esistere. Rendendolo incontestabile.
E sia. Per chi lo desidera.
Pare che dio non sia di per sé assoluto. Sul pianeta ce ne sono altri, di pari dignità. Degni di rispetto. Portatori di valori morali ed umani.
Non è di per sé assoluto perché in lui non c’è unità. Soprattutto dopo le scissioni. Le divisioni. Le diverse confessioni che si sono costituite si differenziano per precisi caratteri distintivi. Articoli di fede. Caratteristiche liturgiche. Autorità.
I rappresentanti del divino accentuano le differenze per imporre la propria visione universale. L’ostinazione si trasforma in caparbio irrigidimento. Con lo scopo di convincere che ciò che si sostiene sia oggettivo ed immutabile. Ognuno cerca il primato del proprio dio.
Divine convinzioni. Un gran numero di convinzioni.
Cercasi riscontro di queste certezze.
In alternativa provo a collocare il divino sullo stesso piano del pensiero. Che immagina, scopre e prova. Come per tutte le altre discipline che si occupano dell’esistente.
Affinché assuma la dimensione umana, avvicinandosi maggiormente all’intimo sentire. E come per tutte le altre discipline, lasciarsi indagare. Svelarsi e scoprirsi.
Non al di sopra dell’essere. Ma con l’essere. Al suo fianco. Senza temere lo spoglio dagli strati di cui è stato periodicamente ricoperto per aggiornarlo ai tempi. Per adattarlo costantemente all’irrefrenabile regolarità del movimento delle rotazioni celesti.
Per far confrontare il divino a tu per tu con l’esistenza umana. Per provare ad organizzare l’esperienza religiosa in modo comprensibile. In una logica progressiva. Aperta al generale intendimento. Un confronto preciso. Esteso a tutte le affinità.
Quanto prezioso potrebbe essere l’apporto delle moltitudini di esperienze per creare il terreno fertile alla maturazione del senso umano. Con l’emancipazione come sprone per una matura condivisione. Per un riveduto atteggiamento. Una migliorata condotta. Un conveniente contegno. Chi si sente di essere un tratto di unione con il divino, un sensale, non ne è dispensato.
Il rispetto. Come salvaguardia dei diritti e della dignità. A difesa dei principi basilari di convivenza. A tutela delle minoranze. A protezione dei deboli. A garanzia delle identità.
Con l’elaborazione e la diffusione delle competenze si possono indirizzare le conoscenze utili alla comprensione della necessità del senso religioso. Una risorsa trasferibile all’esperienza di ogni individuo e moltitudine.
L’uguaglianza. La fratellanza. La libertà. La giustizia. L’individuo che sviluppa il senso critico, capisce ed agisce. Ecco un buon viatico per l’iperbole della pace.
Rimandare a dio i compiti di ognuno contrasta con l’aspirazione universale alla pace.
È troppo comodo chiedere a dio di intervenire. Di farlo a protezione dei propri interessi. Per imporre i propri voleri. Per soddisfare le proprie necessità. Anche quelle del pianeta.
Il rimando riduce il coinvolgimento personale. Con il rimando viene meno la consapevolezza delle proprie responsabilità.
Chi è arrivato a leggere fin qui ha superato il primo ostacolo. Forse il maggior ostacolo.
Da qui in poi potrebbe essere più agevole.
Non prometto nulla.
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Conscio della delicatezza dei temi che la storia tratta, nel narrare mi sono impegnato a non offendere, a non dileggiare. Persone, fedi, religioni. In buona fede e profondamente sensibile ai valori umani, ho fatto di tutto per raccontare in modo rispettoso.
Riconosco le sensibilità legate al riverbero interiore. Pertanto, prego di accettare le mie scuse a coloro che dovessero sentirsi particolarmente coinvolti nel sentimento.
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Per agevolare la lettura ho evidenziato i commenti. In carattere corsivo. Per non confonderli con la narrazione. Commentatore e narratore. Due ruoli.
Come commentatore, la contestualizzazione umana della storia.
Come narratore, il racconto della storia.
Storia 1
Quando mia madre ritenne che fossi in grado di comprendere narrò la mia nascita. Rimase incinta prima del matrimonio. Non proprio una ragazza madre. Ma ci andò vicina, se mio padre non l’avesse sposata. Un uomo coraggioso, mio padre. Forte, duro come il legno che lavorava. Massiccio, resistente come quello del cedro del libano. Ma anche dolce, aromatico come lo stesso legno. Non ci pensò due volte, a dispetto di coloro che giudicavano e sconsigliavano.
Non capì mai appieno il significato della parola eterologa, che aveva determinato il mio concepimento. Aveva capito di essere stato sostituito nell’attimo che fa vibrare l’ombelico. Rimase fedele al significato del suo nome. In ebraico, aggiungere. Ignaro della sua modernità la sposò con me in arrivo. Non chiese mai la prova del diennea.
Mio padre è stato un grande. Non ha pensato a sé stesso, ma solo a mia madre.
Lo amo.
Mia madre da parte sua non mancava certo di iniziativa. Circondata in paese di pettegolezzi e chiacchiere decise di passare del tempo da una sua parente, anch’essa in attesa. Partì verso sud. Mi raccontò della gioia dell’incontro e della sorpresa delle loro attese. Non mi disse dei loro colloqui. Due esperienze completamente diverse. Estremamente diverse. Si saranno raccontate delle loro diverse inseminazioni? Avranno commentato le sensazioni, i momenti di piacere dell’una e quelli di stupore dell’altra? Le carezze della coppia dell’una ed il piacere mancato dell’altra? Il calore della pelle dell’una e la sorpresa dell’altra?
Avranno fatto tanti progetti, come ogni mamma. Solidamente basati sull’amore.
Poi il matrimonio. Non me ne parlò. Posso solo immaginarlo, non avendone memoria. Neppure indiretta. Sia che le famiglie si fossero riunite per concordarlo, sia che i miei genitori, con tutte le loro forze, contro tutte le altre forze, avessero deciso da soli, si sposarono. In un giorno feriale.
Che fosse una sinagoga o un luogo privato. Qualche giorno senza vedersi. Poi l’incontro poco prima della cerimonia per coprirle il volto con il velo. Il dono, un anello o una moneta. Non regge il confronto con il dono che entrambi si fecero. La reciproca accettazione della mia prematura presenza. Forse qualche traccia della maternità aveva già preso forma e si manifestava nelle fattezze di mia madre.
Le sette benedizioni e i sette sorsi di vino. Solo quelli di mio padre. Per prudenza. Il calice rotto con il piede. Usanze, rituali. La benedizione del pane. Poi la festa. Il banchetto, le danze. Tradizioni antiche e forti. Il vino bastò per tutto il convito.
Seguì il viaggio di nozze. Reso necessario dalla burocrazia dell’invasore. Del conquistatore di questa terra, in precedenza invasa e poi conquistata per una promessa.
Miglia dopo miglia. Mille e mille passi. Giunsero alla meta. Terra di origine di mio padre. Nessuna possibilità di un comodo giaciglio. Probabilmente mio padre se n’era andato via da così tanto tempo che non poté trovare alloggio né da parenti, né da vecchi amici, né da vecchi conoscenti. Non fecero nemmeno qualche miglio in più per raggiungere la parente di mia madre, che abitava nei pressi. Mia madre esausta e al termine della gravidanza. Anche quella parente doveva essere nelle condizioni di mia madre. Prossima al parto.
Si accontentarono di una sistemazione improvvisata. In periferia. Ai margini. Sobborghi. Banlieue. Non dovevano essere gli unici costretti a questa soluzione. Ma trovarono un posto singolo.
Nacqui. Il trambusto non fu ignorato. Persone che stavano nei pressi si avvicinarono. La meraviglia di vedere venire al mondo. Alla luce.
Mia madre avrà certamente portato con sé l’indispensabile. La circondarono comunque di attenzioni. Mi piace immaginare mio padre durante il travaglio. Preoccupato. Intimorito. Stupito. Contento. Gioioso. Far coraggio a mia madre. Coccolarla. Si nasce nelle situazioni più impensabili. Tante mani ad aiutare. Ad offrire.
Tante persone in viaggio. Poveri e meno poveri. Ricchi. Ad offrire. Sotto le stelle. Nei momenti di riposo.
Mi sarebbe piaciuto che avessero registrato giorno, data e ora. Bisognerà sfogliare i documenti. È paese di antenati. Di re. Di giudici. Di sacerdoti. Ci sarà certamente un’anagrafe. Chissà se mio padre mi registrò come componente della famiglia. Può darsi che avesse già dato il numero due. Se non c’è un giorno preciso vuol dire che tutti i giorni sono buoni. Ogni giorno è il giorno del compleanno. Ogni giorno si può pensare a me.
Mi circoncisero. Mi presentarono al tempio. Mi riscattarono. A pagamento. Mia madre si purificò. Due colombe. Per risparmiare. L’agnello era troppo caro.
Il viaggio continuò. Non sulla via del ritorno. Andammo all’estero. A sud. Per prudenza. Il re, una minaccia. La difesa del potere fa compiere azioni inique. Bieche. Sono stato fortunato. Gli altri bambini no. Mi è difficile pensare che fosse necessario che si lasciassero trucidare tanti bambini innocenti. Togliendo loro il biglietto da poco staccato per la vita.
Crescete e moltiplicatevi. E tagliano i germogli.
Capisco dio. Lo fece per salvarmi. Ma non si tiene buono qualcuno concedendogli ciò che vuole. Questa soluzione non fu la più appropriata per quietare il re.
Miglia dopo miglia. Mille e mille passi. Verso quella terra di confine, del faraone. Dei nostri antenati non avevano un buon ricordo. Non si erano lasciati bene.
Tornammo a casa qualche tempo dopo. Era tutto più tranquillo.
Crebbi come tanti altri bambini crescono. Casa, sinagoga, mio padre ad insegnarmi. Giochi in strada.
Torna a casa, è tardi. Mia madre si sgolava nel chiamarmi. Insieme a tante altre mamme.
Ma guarda come sei sporco. Sai quanta acqua serve per lavarsi? Aiutami. Andiamo a prenderla al pozzo. Poi vai a chiamare tuo padre. È ora di cena.
Quando mi attardavo in sinagoga per le preghiere e le letture sacre mi accarezzava il capo. Il suo viso sorridente splendeva. Mi chiedevano spesso cosa avessi imparato. E io giù a raccontare tutto.
Intanto mangia che si raffredda. E non parlare con la bocca piena.
Ma è con l’adolescenza che sono entrato nel vivo. La tempesta ormonale non mi ha risparmiato. Ho cominciato a vedere le cose in modo diverso. Più criticamente. Tutto ciò che avevo imparato mi bolliva in testa. Chiedeva di essere messo in ordine. Finora mi era sembrato che lo fosse. Ora sentivo una pungente spinta a chiedere. A sapere. Ad elaborare. Ad indagare.
Mi successe al tempio. Dove i miei genitori mi avevano condotto in pellegrinaggio. Partecipai a tutti i riti della festa e alle lezioni dei maestri. Avevo sentito parlare di riunioni in cui i maestri spiegavano i passi delle scritture. Discutevano con i presenti. Si potevano fare domande.
La mattina della partenza, mentre i grandi preparavano la carovana, avendo del tempo corsi al tempio. Tremante di emozione e di felicità chiesi qualche spiegazione. Il tempo passò talmente in fretta che non mi accorsi di aver fatto tardi. Vidi mia madre e mio padre avvicinarsi, in affanno. Preoccupati. Mi ripresero per questo mio comportamento. Risposi bruscamente. Fui maleducato. Lo confesso. I miei non si meritavano quella mia reazione.
Il momento decisivo era arrivato. Mi proposi di studiare in modo approfondito tutte le scritture. Avvertivo tutto il mio essere proteso al senso umano dell’esistere. Era diventata la mia aspirazione.
Avrei speso tutto il mio coraggio per percorrere questo cammino.
Commento
Tutto l’esistente è permeato da un’energia. Invisibile. Che ha generato le origini. Senza la quale niente sarebbe potuto diventare. L’incontro tra i primi elementi che avevano la potenzialità di svilupparsi è stato possibile grazie a questa energia. L’energia c’è. E’ lì. E’ il tocco del primo esistere. I primi elementi erano il nulla. L’energia ha sintetizzato il nulla. La capacità del nulla di essere.
L’energia non è materia. Avvolge la materia. La anima. E la materia si trasforma. Evolve. In forme. In elementi. In sostanze. In esseri. Lentamente. Nei tempi necessari affinché il lavoro dia un esito. Avanti così all’infinito. Senza tregua. Senza sosta. Senza meta. Una continua costante generazione, trasformazione, adattamento. All’infinito.
L’infinito non ha forma. Qualsiasi forma gli venga attribuita è ininfluente. Quando si pensa di aver raggiunto la fine dell’infinito e di poterne uscire, ci si trova a rientrare. L’uscita dall’infinito è essa stessa il rientro.
L’azione dell’energia non si ritrova nei sei cicli dei giorni. Il settimo riposo.
L’essere umano è stato creato per ultimo. Al sesto ciclo. Nel sesto ed ultimo la stanchezza si era fatta sentire. Altrimenti il risultato sarebbe stato migliore. A cominciare dalla forma. Un parallelepipedo con cinque protuberanze. Braccia, gambe, testa. Le prime due con altre cinque protuberanze. Le dita. La testa con cinque buchi.
È il cinque il numero perfetto.
Nella versione più antica è stato creato prima l’uomo. Maschio. Bianco. Sano. Poi la donna. Bianca. Anch’essa sana. L’uomo aveva bisogno di aiuto. Non riusciva ad occuparsi di tutto.
Nella successiva versione l’uomo e la donna furono creati insieme. Preferisco questa. Per pari dignità.
Questa donna e quest’uomo sono gli unici ad avere visto dio di persona.
Sono loro i primi due figli di dio. Da lui creati. Ne ebbe altri tre. Da lui generati. L’ultimo, il più giovane, fu il più influente. Dissodò la terra, fece respirare il terreno. Perché desse nuovi frutti.
La donna e l’uomo furono subito messi alla prova. Un tentatore. Strisciante.
Mangiate, mangiate. Avrete gli stessi poteri di dio.
Vittime della loro stessa ingenuità. Almeno avessero mangiato dell’albero della vita. Saremmo immortali. Anziché esseri che provano angoscia e ansia di morire.
Se l’essere umano potesse creare, creerebbe la vita eterna.
Non si può più tornare indietro.
Trasgredire le regole è una brutta abitudine. Manifestò tutto il suo sdegno, dio. Li cacciò. Anche se indegni del cielo si può fare bene su questa terra.
Chissà in quale cielo si andrà. Se in quello azzurro, per la luce che si diffonde nell’atmosfera. O in quello nero, fuori da questa bolla di gas.
Si vedrà.
Il cielo inizia al confine con la terra. Il confine che unisce. Una linea di demarcazione che non divide, ma indica un luogo di ritrovo. Siamo sempre immersi nel cielo. Più si sale in cielo più ci si allontana dalla terra. Ad un certo punto non la si vede più. Non è sempre un bene perdere di vista il mondo.
Chi sale in alto, perché fa carriera, o diventa ricco, o va al potere, o diventa capo, o si considera migliore degli altri, tenga presente che mentre sale mostra il didietro, a chi rimane giù. La parte posteriore. Peculiarità di come si cambia aspetto, si cambia faccia, a salire. Si ricordi di guardare giù.
Storia 2
La donna e l’uomo fecero sesso. Il primo amplesso. Sospiri e palpiti. Generarono. Come coppia convivente. I figli di dio generarono i figli della terra. La prima volta un maschio. La seconda volta un maschio. Il primo uccise il secondo. Il primo partorito dalla coppia, un assassino. Fratricida. Non mi sembra un buon inizio. Nulla promette bene.
Fu cacciato anche lui. Ma tutelato dal tattoo: nessuno lo tocchi.
Continuarono a procreare. Con più fortuna. Figlie e figli.
Procrearono e procrearono anche loro. Generazioni e generazioni.
Finché comparve lui. Il commodoro.
Il commodoro fu il primo eletto. Si fece armatore. Salpò per la crociera della vita. Con pochi familiari. Come equipaggio. Imbarcò anche un campione di tutto ciò che viveva sulla terra. In duina, in coppia. In settina, a sette a sette. Mondi e immondi.
La barca di legno, vietata a tarli e termiti.
Si salvarono solo i pesci, che già vivevano nell’acqua. Tutti gli altri esseri affogarono. Anche gli animali e tutto il verde. Una inevitabile conseguenza.
È questa la risoluzione che dio prese dopo aver visto il flop della prima creazione. Il dolore che provò nel vedere la malvagità e la violenza di ciò che aveva concepito si trasformò in sterminio. Solo il commodoro e i suoi furono ritenuti giusti e degni di essere risparmiati.
Commento
Sulla terra il male si era diffuso a macchia d’olio. Si erano invischiati.
Non so se il bene e il male coesistono. Se sussistono in contemporanea. Compresenti. Oppure se alla mancanza dell’uno l’altro può trovare il modo di manifestarsi.
Come in una scatola di cioccolatini. Il bene è il cioccolatino. Faccio del bene, prendo un cioccolatino. Lo tolgo. Nel vassoietto rimane un buco. Si crea uno spazio.
Se il bene e il male coesistono, avendo tolto il bene, nel buco si accasa istantaneamente il male. Se sposto un cioccolatino per coprire il buco del male si apre un altro buco. Se continuo così, man mano che sposto i cioccolatini a destra il buco si sposta a sinistra. Il male ed il bene sono diametralmente opposti. Contrapposti. Sempre pronti a misurarsi sul campo.
Se il bene e il male non coesistono, il buco rimane neutro. E’ lo spazio che il male ed il bene possono occupare. Disputarsi. Una zona franca. Dire non faccio nulla di male non significa fare il bene. Rimane l’incertezza di come evolverà.
Per fare il bene si deve cedere alla tentazione. Mi piacciono i cioccolatini fondente.
Un malvagio re tibetano aveva la lingua nera. Per la sua crudeltà diventò un segno indelebile del male. Al punto che per assicurare di essere brave persone, le persone del luogo si salutano ancora oggi mostrando la lingua. Mi piacerebbe che compiendo il male mi si colorasse la lingua di nero. Per poter valutare in autonomia le azioni che compio.
Mi si stringe il cuore. Questi esempi non sono proprio una vetta del mio pensiero. Per farmi coraggio ricorro ad un aiuto. Parafrasando un filosofo che lo diceva della pace. Il bene non è assenza di male. È una virtù.
Quando il male si trasforma in odio, l’essere umano diventa irriconoscibile. Soprattutto quando si manifesta in concreto. In modo feroce. Accanito. Verso i propri simili. L’odio non convive con il bene. Invade tutto. La sua fiamma alimenta l’impulso a distruggere. Ad annientare. Il suo effetto estranea l’essere. Lo trasforma. Lo isola in una bolla impenetrabile. Come impenetrabile è il suo esistere. Il suo manifestarsi. L’odio covato. Nutrito. Non è l’espressione dell’ira. Della rabbia. È la trasformazione del livore in vendetta. L’odio si oppone all’esistenza.
Quando chiudo gli occhi non vedo più il male. Quando chiudo gli occhi non vedo nemmeno me stesso. Con gli occhi chiusi nemmeno allo specchio mi posso vedere. Non c’è modo di vedere come sono con gli occhi chiusi.
Storia 3
Con la quiete, dopo il diluvio la nave si trovò in equilibrio sui monti Ararat. Il più alto. Sacro. È la cima del vicino oriente. Il volatile, come era uso per i naviganti, riportò il segno che c’era terra. Sbarcarono. Generarono. Si moltiplicarono. Un nuovo inizio. Con la promessa di dio che non avrebbe più fatto nulla di simile. Dopo la vendetta un po’ di misericordia.
L’invito di dio. Siate numerosi sulla terra e dominatela.
Lo hanno preso troppo in parola. Il dominio è stato inteso come sfruttamento.
Avrebbe dovuto consigliare, prima che diventasse questa l’idea di potere.
I più intraprendenti produssero i mattoni. Proposero di costruire una città. Una torre nel mezzo. Per scalare il cielo.
Temeva, dio, che ce la facessero. Non potendo alzare muri pensò di confonderli. Confusi, abbandonarono il progetto. Il primo tentativo dell’essere umano di diventare dio naufragò. Non ce l’avrebbero comunque fatta. Con i cherubini schierati con le spade di fuoco a difesa dell’albero della vita.
Le diverse lingue complicarono le cose. Molto più avanti ci sarà un periodo in cui tutti comprenderanno coloro che parleranno una sola lingua.
Commento
Un caso di polilalìa. Usare questa parola complica.
Storia 4.
Ad un vecchio padre, con figlio nuora e nipote, dio chiese di lasciare la città in cui viveva. Tra le più importanti del centro di civiltà del nord.
Seminomade, non possedeva appezzamenti di terra. Le sue ricchezze erano serve, schiavi, greggi. Le sue dimore, tende. Si diresse più ad ovest. Lì lo piansero.
Subentrò il figlio. Gli fu proposto da dio di essere un capo. Di formare un popolo. Di guidarlo. Il popolo eletto. Lui si stupì. Non riusciva a raccapezzarsi. Dovette fare un enorme sforzo di memoria per riconoscere il dio dei suoi avi. Chiese dove avrebbe dovuto portare quel popolo. Gli promise una terra.
Non si fece scrupoli. Accettò.
Lo scelse con esperienza. Proveniva da una zona dove altri avevano già posto radici. Per una vita sedentaria. Zona evoluta. Tra due grandi fiumi. In società organizzata. Agricoltura. Urbanistica. Scrittura. Lavoro. Classi sociali.
Con la chiamata dio decise di fissare lì un punto nel tempo e nello spazio. Il suo punto zero. Niente prima. Tutto dopo. Se avesse chiesto può darsi che avrebbe trovato altri popoli disposti a diventare il popolo di dio. Forse migliori.
Intravedo la nostalgia di tutti gli esseri umani vissuti prima di questo momento assoluto senza aver avuto la possibilità di sapere di dio.
Poche le culle di civiltà. Due delle quali a poche centinaia di miglia una dall’altra. Una a nord. L’altra a sud. Nel mezzo, quella terra che sarebbe dovuta diventare sua. Con un grande popolo. Su mandato divino. Terra cuscinetto su cui pendevano le influenze delle civiltà confinanti.
Sorsero grandi bisogni. Carestia. Difficile farcela da soli. Nessun sperato intervento divino a risolvere. Allora marciò verso sud.
È curioso che lui, testimone del dio unico, del dio vero, abbia scelto proprio quella nazione. Proprio là era stato piantato il primo seme del monoteismo. Un faraone aveva eletto il sole unico e solo dio. Non ebbe fortuna. Il seme non crebbe. Il posto di un dio unico rimase vacante. Fino ad allora.
Prima di varcare il confine si preoccupò della moglie. Bella. Attraente.
Fingiamo che tu sia mia sorella. Se dovessero saperti moglie mi ucciderebbero per averti.
Ne viene a conoscenza il faraone. La vuole. Viene difesa da dio. Il faraone si spaventa e li caccia. Per la prima volta.
Quando accettò l’incarico di formare un popolo non aveva ancora realizzato appieno che avrebbe dovuto anche proteggersi. Difendersi. Pensava ad un dio di pace. Tanto amore e generosità gli aveva dimostrato. Pensava che parlando di dio agli altri popoli, loro stessi avrebbero accettato di far parte del popolo eletto.
Pensava ad un’azione missionaria. Troppo prematura. Così iniziarono i dolori.
Primo fra tutti il venire a sapere che il nipote, che si era concordemente separato da lui, era stato fatto prigioniero. Organizzò un piccolo esercito. Inseguí coloro che erano diventati nemici. Liberò il nipote e riprese i suoi averi.
Ritornando si imbatté in un sacerdote di dio. Si potrebbe dire il sacerdote. Come lo era diventato non so spiegarlo. Un proselito, forse. Sarebbe una buona notizia.
Gli offrì pane e vino. Ci sono già i requisiti del grande banchetto finale.
Vino poco. L’ubriachezza non è vista di buon occhio. Il commodoro a causa di una sbornia aveva maledetto un figlio.
Per partecipare alla mensa non è possibile essere astemi. È anche uno sgarbo a tutto il lavoro che da millenni si fa nelle vigne.
Visti i rischi che correva combattendo si preoccupò della sua discendenza. Sua moglie era sterile. Non aveva avuto figli. Lui nemmeno. La moglie risolse insistendo per una inseminazione naturale con una schiava. Ci fu la riprova che non era lui lo sterile. Nacque dio ascolti.
Ad un certo punto dio impose un segno di riconoscimento dei suoi accoliti. Circoncisione del membro. Per i figli nati in casa. Per quelli comprati con denaro dagli stranieri. Acquistati per farne manodopera minorile.
Eccesso di stupore. La moglie gli darà un figlio. Fece una risata davanti a dio. Di sorpresa. Il figlio del sacrificio.
A confermarlo la visita dei tre viaggiatori durante il riposo. Sotto le querce.
Al di là degli anni che lui e la moglie avevano, alla moglie era cessato ciò che avviene regolarmente alle donne. Gli anni contano poco. Erano contati a capocchia. Ma senza il ciclo anche lei rise di stupore.
Intanto i tre andarono a vedere cosa stava succedendo in una delle due città che rischiavano di essere distrutte. Lui ebbe timore che dei giusti fossero sterminati con gli empi. Intervenne presso dio.
I giusti sono pochi. Non meritano di essere sterminati.
Rimase inascoltato. Si salvarono solo suo nipote e le due figlie. La moglie del nipote non resistette alla curiosità e rimase di sale.
Tipe curiose le figlie. Non trovarono altro modo di generare la discendenza del padre se non stuprarlo. Lo fecero ubriacare. Per due volte si coricarono con lui. Senza che se ne avvedesse. Partorirono entrambe. Una violenza. Un incesto.
Nel girovagare si trovò in un altro regno. Anche qui adottò l’espediente della moglie che si dice sorella. Il re la prese. Lo minacciò dio. Il re la rese. Un inganno che funziona. Con la divina complicità. È allora che si venne a sapere che sua moglie era la sua sorellastra.
Stesso padre. Altra madre. Non essendosi uniti a procreare l’incesto fu evitato. Però si sono certamente uniti. Diversamente non avrebbero scoperto l’incapacità a concepire.
Questa inseminazione mi sorprende. Lessi che dio la visitò e le fece come le aveva promesso. Non so dare una spiegazione. Se fosse un’inseminazione divina questo figlio mi precederebbe. Non sarei il primo. Non sarei l’unico. Sarebbe un primo fratellastro.
Avrei preferito che dio avesse trovato un altro modo di inseminare. Non gli mancavano le possibilità.
Questo figlio fu un predestinato. Tanto che l’altro, il primo, figlio della schiava, fu cacciato con sua madre.
Destinato ad essere sacrificato sul monte, fu salvato all’ultimo momento. Divenne capo di una grande famiglia. Ebbe una discendenza. Il suo nome significa egli ride.
Io, invece, non mi sono innamorato. Non ho messo su famiglia. Sono stato sacrificato. Sono morto giovane. Su un cocuzzolo. Altro che monte.
E se è vero che abbiamo lo stesso padre il mio nome, salvezza, non mi ha tutelato.
Lui e il suo fratellastro seppellirono il padre nello stesso luogo della madre.
Per moglie gli cercarono una giovane vergine e bella. Autoctona. La figlia di un suo cugino. La sposò. Ebbe due gemelli. Il secondo nato era il più smaliziato.
Anziché rispettare il primogenito, pane e lenticchie e si prese la primogenitura. Gli facevano gola i diritti, i beni e i privilegi.
Si trovò nella necessità di riparare nello stesso territorio dove c’era già stato suo padre. Dove aveva tratto in inganno, per la seconda volta, il re con il trucco fratello e sorella. E siccome anche sua moglie era bella adottò lo stesso espediente. Un vizio di famiglia. Quella volta il re non ci cascò. Non si prese la moglie. Li cacciò.
Il primo nato prese due mogli, non autoctone. Decisione che scandalizzò sua madre.
Il secondo continuò ad ingannare il primo. Persino con l’aiuto della madre. Dopo la primogenitura gli soffiò anche la benedizione del padre. Non proprio un bell’esempio di amore fraterno. Tant’è che il primo decise di uccidere il secondo. Cambiano i tempi. Non le persone. E i loro istinti.
Il secondo fuggì prendendo l’occasione di scegliere la ragazza da sposare. Autoctona.
Moltiplicatevi. Ma solo tra di voi. La vocazione missionaria arriverà molto molto più tardi. Sarà una mia idea.
Il primo prese la terza moglie. Una sua cugina. Da parte del primo figlio di suo nonno. Figlio della schiava.
Ma dio continuava a favorire il secondo.
Come nel caso dei fratelli, primi figli del creato, è il primo ad essere dannato.
Il secondo andò a casa dello zio, fratello di sua madre. Aveva due figlie. La prima non bella ed avvenente come la seconda. Scelse la seconda.
Per averla dovette dare sette anni di lavoro allo zio. Scaduto il tempo gli venne data la ragazza alla quale unirsi. Era buio e non si accorse che nella tenda entrò la maggiore. La mattina, stupito, se la prese con lo zio. Che gli propose di avere anche la seconda, entro una settimana. Per altri sette anni di lavoro.
Così fu. Lo zio non avrebbe potuto dare la minore senza che avesse già accasata la maggiore.
A chi vive con l’inganno è probabile che l’inganno gli chiederà il riscatto.
Anche dio ci rimase male. Rese feconda solo la prima moglie. Gli diede sei figli.
La seconda moglie ricorse ad una serva. Due figli.
Anche la prima moglie ricorse ad una schiava. Altri due figli.
Finalmente anche la seconda moglie rimase incinta. Due figli. Mettendo alla luce il secondo morì.
Finora tutti maschi. Sani.
Fu la prima moglie ad avere una femmina.
I due fratelli si rividero dopo vent’anni. Si riconciliarono. Si abbracciarono. Una bella notizia.
Non bella quest’altra. Il secondo figlio tornò nella terra dov’era sepolto il padre. Sua figlia fu stuprata. Da un giovane del luogo. La famiglia dell’autore della violenza fu sterminata da due dei suoi fratelli.
Uno dei dodici fratelli era motivo di gelosia tra di loro. Gli altri lo presero e se ne liberarono. Lo vendettero a dei mercanti. A loro volta lucrarono lasciandolo alle guardie del faraone.
Naturalmente quel fratello era il figlio più buono. Oltre che il più bello.
Umilmente servì il nuovo padrone. La moglie del padrone lo copriva di lusinghe. Nonostante lo allettasse in continuazione lui la respinse. Lei lo prese per le vesti. Fammi tua. Lui la respinse nuovamente. Lei lo denunciò. Il marito lo fece imprigionare.
Una donna sposata in cerca di sollazzo. Un torto ad un uomo giusto.
Intervenne dio a tutelarlo. Se ne prese cura. Gli diede la facoltà dell’oniromanzia. Ed è proprio interpretando i sogni del faraone che la sua vita cambiò radicalmente. In meglio. Fino a diventare viceré.
Aiutò quel popolo a prepararsi per la carestia. Prese moglie. Non autoctona.
Il popolo da cui veniva non fu in grado di affrontarla. Come in altre occasioni, dalla terra di mezzo riparò a sud. Anche i suoi fratelli e suo padre.
Li riconobbe e li aiutò. Tra alterne vicende. Inizialmente senza farsi riconoscere. Poi dichiarandosi. Si riunirono. A conferma che un giusto non cerca vendetta. Vuole solo il bene. Solo il cioccolatino fondente.
Andò a tumulare suo padre con gli avi. Ritornò. Quando arrivò il suo momento lo imbalsamarono e lo misero in un sarcofago. Rimase lì.
CONTINUA
L’INCOERENZA DI DIO di Max Caldi
genere: STORIA