MISSIONE SPAZIALE di Vito Della Bona (parte seconda)

Nonostante i risultati fossero stati del tutto insoddisfacenti, si sentiva di buon umore.

Su questo aveva sicuramente influito la decisione di prendersi quella giornata di pausa, che avrebbe potuto dedicare al riposo e alla lettura di uno dei libri che si era portato in viaggio.

Controllò che la sua navicella fosse in posizione di Stand-by.

Era tutto a posto.

Andò a recuperare uno dei due libri dall’interno della sua giacca mimetica. Nel tirarlo fuori, una busta che era contenuta all’interno del libro cadde per terra. La recuperò, vide che era una vecchia busta, un poco ingiallita dal tempo, e la rimise nel tascone.

Decise che avrebbe iniziato con un bel sonnellino. Non aveva bisogno di alcun intervento esterno per addormentarsi; sapeva di essere stanco e che avrebbe dormito bene e lungamente. Voleva essere ben sveglio e con la mente lucida per iniziare a leggere quel libro.

Lo pose sul ripiano che aveva di fianco, si sdraiò e subito si addormentò.

Al risveglio si sentiva perfettamente in forma. Fece risalire lo schienale, in modo da essere più comodo, e allungò la mano per prendere il libro.

Guardò la copertina. Conteneva solo il titolo “Le Città Stato e le prime forme di Governo Democratico”; non menzionava alcun autore.

“Molto interessante”, disse un po’ stupito, “non ricordo di aver mai sentito parlare di Città Stato durante i miei studi.”

Ma le parole che più lo colpirono furono le ultime due: Governo Democratico.

“Voglio proprio vedere di che cosa si tratta!”

Aprì il libro e cominciò a leggere.

Ogni tanto vedeva dei punti sottolineati con una matita copiativa. Scorse velocemente alcune pagine e notò, sempre scritti a matita, alcuni appunti.

“Deve essere stato mio nonno”, pensò. “Non credo che altri li abbiano mai letti, dato che lui era così geloso di questi libri che gli aveva lasciato suo padre. Figurarsi se qualcuno si sarebbe mai permesso di sottolineare qualcosa.”

Guardò con più attenzione quegli appunti scritti, in piccolo, in fondo ad alcune pagine.

“Si!”, disse ad alta voce. “E’ proprio la sua calligrafia. La riconosco bene!”

Heftar si ricordò di quel poco che aveva saputo da suo nonno, quando lui gli aveva chiesto come mai avesse quei libri

“Da moltissimo tempo non si usa più scrivere su sopporti cartacei, né tanto meno si è mantenuta l’abitudine di stampare. Tutto viene gestito in formato elettronico e deve essere sempre inserito nella rete di condivisione, dove chiunque può prenderne visione”, aveva detto il nonno con un tono di voce molto grave. “Si è fatto passare tutto questo come un grande progresso di democrazia e di socialità, ma nella realtà è un fondamentale metodo di controllo per chi gestisce il sistema.”

Gli aveva poi raccontato che c’era stato un periodo, che risaliva all’epoca del bisnonno, in cui alcune persone avevano ricominciato leggere formati cartacei, un po’ per snobismo, un po’ per veder ripubblicati vecchi testi ormai desueti. Con il passare del tempo, però, la cosa non era piaciuta alle autorità, dato che cominciavano a circolare, senza alcun controllo, alcune pubblicazioni che non erano viste di buon occhio. Il potere riteneva che potessero essere dannose per la salute del pensiero collettivo, dato che si poteva cominciare a credere a certe sciocchezze.

Quei testi mettevano in dubbio alcune verità e potevano creare il sospetto che non si volessero far sapere cose importanti sull’evoluzione della storia dell’umanità. Così, queste pubblicazioni finirono per essere pian piano introvabili, sia per le difficoltà create agli editori, sia per la rapida sparizione di quelle in circolazione.

Una certa attenzione era stata anche riservata dalle autorità a chi ancora deteneva quel tipo di libri e si ostinava a leggerli, per cui, ben presto, sparirono completamente o finirono nascosti da qualche parte.”

Ritornò alla prima pagina e cominciò a leggere con molta attenzione, soprattutto laddove vedeva delle sottolineature. Era spesso costretto a ritornare indietro. Certi concetti non gli erano chiari e doveva rileggerli per cercare di comprenderne il loro vero significato.

“Era un mondo molto diverso e primitivo”, si fermò a pensare a un certo punto del libro. “Il potere in mano al popolo è un concetto che non esiste. La nostra classe dirigente governa da secoli senza alcun problema e prende le decisioni giuste per tutti. Nel nostro mondo non c’è alcun conflitto, tutto è deciso dall’alto e le cose mi sembrano funzionare bene.”

Riprese la lettura e, pian piano, arrivò alla pagina finale. Non l’aveva notato prima, quando aveva sfogliato velocemente il libro, ma, su quell’ultima pagina, c’era un appunto speciale di suo nonno, scritto a caratteri grandi e virgolettato.

Gli tornarono alla mente tanti discorsi di suo nonno, a cui aveva dato poca importanza.

Le parole che gli aveva detto pochi giorni prima di morire, e di cui lui non era riuscito a comprendere il significato.

Il ricordo che avevano di lui i suoi vecchi commilitoni, quando erano venuti per il suo funerale.

Quello che il nonno gli aveva chiesto di fare con le sue ceneri, e che lui aveva eseguito semplicemente per venire incontro a quella volontà, senza domandarsi le ragioni che stavano dietro a quella richiesta.

Arrivò ad una amara conclusione.

“Quante cose non ho ancora capito! Mio nonno non ha interferito nelle mie decisioni, anche quando non le condivideva. Ha cercato solo di darmi dei concetti su cui poter meditare. In effetti mi accorgo, solo ora, di non essermi mai posto seri problemi sullo scopo della mia vita.”

Ora, aveva la necessità di vedere il contenuto di quel secondo libro che era ancora nel tascone interno del giubbotto. Doveva leggerlo al più presto, sicuramente prima di concludere la missione. Però, aveva la necessità di lasciar sedimentare un poco quello che aveva appena messo in magazzino, c’erano troppi concetti a lui ancora poco chiari.

Alla fine, arrivò alla conclusione che ci avrebbe pensato dopo aver visitato qualche altro pianeta di quel sistema solare.

Era molto stanco, soprattutto mentalmente, e aveva bisogno di dormire un poco, e così fece.

Quando si svegliò si sentiva abbastanza bene e rilassato.

Non aveva messo in funzione il contatore di bordo per sapere quanto tempo avesse riposato. Ma della cosa non gli importava minimamente, anche se sapeva che i dati delle apparecchiature venivano registrati automaticamente sulla scatola nera della navicella e che qualcuno, al suo ritorno, gli avrebbe potuto chiedere conto di quelle mancanze.

Era stanco di dover seguire una routine e si rese conto, per la prima volta, che aveva seguito sempre delle regole, senza mai crearsi problemi e mettere in dubbio la loro legittimità.

“Ho deciso! Da ora le regole e i tempi me li gestisco io!”, disse ad alta voce.

Voleva finire in fretta il lavoro.

Si mise davanti ai video a osservare quello che gli veniva presentato.

Vide che il pianeta distava circa 36 minuti luce, ovvero 648 milioni di chilometri, ed era nettamente il più grande di quelli visitati.

Si preparò subito per la partenza.

I computer di bordo gli segnalarono che era arrivato a contatto con il nuovo pianeta. Prese i comandi manuali e si avvicinò, con precauzione, quel tanto che era necessario per mettere la navicella in sicurezza.

Si andò a posizionare vicino ai monitor e vide, davanti a sé, un pianeta veramente enorme, sicuramente molto più grande dell’insieme di quelli che già aveva avuto modo di visitare in quel sistema planetario.

Il pianeta appariva biancastro, molto brillante e con una grande macchia di un rosso aranciato.

“Chissà a cosa sarà dovuta quella grande macchia colorata”, disse subito. E rimase a osservarla con attenzione.

“Cominciamo col verificare i corpi celesti intorno al pianeta”, disse, distogliendo il suo sguardo da quella stranezza.

“Bene! Vedo solo 8 satelliti. Gli altri mi sembrano solo asteroidi; a colpo d’occhio, potrebbero essere alcune decine, ma non ho proprio voglia di mettermi a contarli. Tanto non hanno alcuna rilevanza ai fini del mio lavoro.”

Passò agli esami più approfonditi sull’atmosfera e sul suolo del pianeta, mettendo in funzione le apparecchiature a raggi infrarossi.

I rilievi furono, ancora una volta, disastrosi.

L’atmosfera risultava composta quasi al 90% da idrogeno e per il resto da elio e, man mano che ci si avvicinava al corpo del satellite, il primo andava relativamente riducendosi in relazione all’aumento dell’altro e alla comparsa di altri composti chimici quali ammoniaca e metano. Inoltre, rilevò la presenza di un numero considerevole di vortici, che creavano forti tempeste sulla superficie del pianeta.

“Atmosfera pessima per qualsiasi forma di vita!”, sentenziò, “questo pianeta potrebbe essere un sole mancato, una stella fallita!”

Si avvicinò a rilevare i dati a livello della superficie e si accorse che questa non risultava per niente solida, ma semplicemente più densa man mano che ci si dirigeva verso il suo interno, con la presenza di zolfo e altri idrocarburi. Temperature esterna superiore ai 120°C.

“Inutile fare altre analisi. Qui sono di fronte a un gigante gassoso”, disse ancora più deluso da quelle osservazioni.

“Ma voglio dare un’occhiata a quella enorme macchia, posta presso l’equatore del pianeta. Voglio proprio capire di che cosa si tratta”, e cominciò a spostare le sue apparecchiature in quella direzione.

Passò lungo tempo a osservare e analizzare quella zona del pianeta, ma l’unica cosa che riuscì a capire era che si trattava di un enorme vortice, della dimensione di decine di migliaia di chilometri; una vasta tempesta anticiclonica e, perciò, ruotante in senso antiorario rispetto al pianeta. Il colore rosso-aranciato gli rimase misterioso; alla fine ipotizzò che potesse essere dato dalle reazioni di alcune sostanze chimiche, quali zolfo, fosforo e altri idrocarburi, sospinte negli strati più alti del vortice e lì colpiti dalla luce solare.

I risultati erano chiari. Questo pianeta non aveva alcuna possibilità né di colonizzazione né di utilizzazione come base provvisoria. Decise di non perdere altro tempo. Si mise a compilare la sua relazione, che descriveva per sommi capi la situazione trovata e concludeva con: Pianeta E – GIGANTE MACCHIATO – Esito Negativo.

La relazione venne riposta nell’Archivio 7.

Non voleva perdere altro tempo.

Mise mano alle apparecchiature di bordo per vedere che cosa ancora l’aspettasse.

Realizzò la presenza di un grande asteroide a circa 20 minuti luce, ovvero circa 365 milioni di chilometri. Ma non era quello che gli poteva interessare.

Passò quindi a prendere visione del prossimo pianeta. Vide che distava circa 30 minuti luce dal punto in cui era in quel momento, ovvero circa 545 milioni di chilometri. Era di dimensioni modeste, ma vista la distanza dal suo sole, pareva essere molto promettente, perciò decise che era opportuno fare subito una puntatina verso quella nuova destinazione.

I computer di bordo gli segnalarono che era arrivato a contatto con il nuovo pianeta. Prese i comandi manuali e si avvicinò, come al solito, per mettere la navicella in sicurezza.

Passò subito all’esame visivo sul monitor. La cosa che lo colpì fu il colore rosso della sua superficie.

Due piccoli satelliti ruotavano intorno.

“Molto bene! Questo non mi richiederà grande lavoro, anche se mi sembra molto più promettente degli altri. Mi pare, a colpo d’occhio, che abbia una superficie ben solida. Si! Mi pare proprio che le premesse siano buone!”

Detto questo, cominciò ad azionare gli strumenti di bordo. Voleva verificate subito la qualità dell’atmosfera.

La composizione risultava non certo favorevole, dato che l’anidride carbonica era quasi al 95%, con piccole quantità di azoto e argon. L’ossigeno era presente in quantità molto modeste.

Misurò la temperatura e rilevò un dato di -52°C.

“L’atmosfera è molto rarefatta, il che determina una bassa pressione al suolo”, disse, “sicuramente l’escursione termica sarà molto alta. Penso che la temperatura possa cambiare anche di molto, tanto da arrivare a essere positiva.”

Passò ad analizzare bene la superficie del pianeta. C’erano i segni di impatto di diversi meteoriti, senza contare enormi crateri di antichi vulcani, oramai inattivi.

Il pianeta risultava di colore rosso a seguito dell’enorme quantità di ossido di ferro presente nel terreno.

Vide che la superficie era solcata da una serie di canyon, il che significava che, in un lontanissimo passato, c’era stata anche molta acqua che aveva eroso il terreno.

Poi, la sua attenzione fu attratta da un vulcano di altezza considerevole. Lo osservò più attentamente e decise di misurarlo.

“Da non credere”, disse ad alta voce, “è alto 27 chilometri, una cosa mai vista!”

Stava già staccando gli occhi dal video, quando accadde qualcosa: un meteorite, apparso dal nulla, andò improvvisamente a impattare proprio nella zona che era sotto osservazione, creando un gran polverone.

“Perbacco!”, disse, “questa atmosfera così rarefatta può creare veramente seri problemi. Non c’è adeguata protezione e questi bolidi celesti possono arrivare sul pianeta quando meno te l’aspetti!”

Si accinse a compilare la sua relazione, che descriveva per sommi capi la situazione trovata, ma rimase un poco titubante nel definire l’esito relativo a quel pianeta. Forse poteva anche avere qualche possibilità di colonizzazione, magari con qualche intervento, si poteva pensare di farne una base per future operazioni nello spazio, ma il compito che gli era stato assegnato era ben preciso: trovare un pianeta che fosse compatibile con un progetto di colonizzazione.

Prese la decisione.

Pianeta F – IL ROSSO – Esito Negativo.

E venne archiviata insieme alle altre.

Ora, poteva anche riposarsi. Aveva visitato due pianeti di seguito; la cosa era stata faticosa e i tempi di trasporto tra un pianeta e l’altro lo avevano stressato non poco.

“Ora mi farò un bel sonno”, disse, “poi, prima di muovermi nuovamente, leggerò qualcosa di quell’altro libro che ho con me!”

Si appisolò e, quattro ore dopo, non appena sveglio, andò a recuperare il secondo libro di suo nonno.

La copertina aveva un titolo interessante “Le origini della specie”.

Aprì il libro e vide subito sulla pagina interna, sotto la ripetizione del titolo, una frase scritta a matita e sottolineata.

La calligrafia la conosceva molto bene, era sicuramente quella di suo nonno e il fatto che era scritto a matita copiativa era normale, perché era lo strumento che lui teneva sempre a portata di mano.

La lesse più volte quella frase, nel tentativo di capire il motivo per cui suo nonno l’avesse scritta sotto a quel titolo.

“Meglio passare alla lettura”, disse, “sono sicuro che lo capirò leggendo.”

Volutamente non sfogliò subito il libro, e non andò all’ultima pagina per vedere se c’era scritto qualcosa; aveva deciso di riservarsi la sorpresa.

Il libro trattava le origini dell’essere umano, dai primordi alle prime comunità.

Conteneva diversi disegni che raffiguravano personaggi con una corporatura tozza e muscolosa, braccia e mani robuste, con una folta barba e lunghi capelli.

Anche le donne raffigurate non si differenziavano molto dall’uomo, se non per l’assenza della barba. Intorno agli adulti erano disegnati uno stuolo di bambini.

Vestivano con pelli di animale, salvo i piccoli che erano quasi tutti nudi.

“Come sono diversi da come siamo noi oggi”, considerò Heftar. “Si vede che sono proprio degli esseri primordiali.”

Poi, si fermò un attimo a pensare. Chiuse il libro, tenendo dentro un dito, come segno della pagina a cui era arrivato.

“Ma questi sono stati i nostri progenitori!”, si disse. “Ma come mai durante tutti i miei studi non mi è mai capitato di imbattermi in libri che trattassero di queste cose?”

In effetti, solo in quel momento si rese conto che nel mondo in cui viveva non esisteva più “LA STORIA”.

Tutto sembrava essere stato così com’era, da sempre. Una tecnocrazia gestiva il potere e si occupava di ogni cosa: decideva quello che era il bene collettivo, e a quali regole ci si doveva attenere.

“Ecco perché mio nonno non era molto ben visto!” disse. “Leggeva cose che non facevano più parte del sapere collettivo, e che potevano generare negli individui idee pericolose!”

Questi pensieri gli riportarono alla mente alcuni racconti che suo nonno gli faceva quando era bambino.

Parlavano di uomini vissuti migliaia di anni prima, di popoli che si erano pian piano evoluti. Lui non aveva mai dato grande importanza a queste cose, le aveva considerate delle favole, che il nonno gli raccontava per tenerlo buono.

Ora sapeva che non erano frutto di sola fantasia; quelle storie avrebbero potuto essere anche vere, e lo incuriosirono ancora di più.

Trovò delle sottolineature fatte a matita, e si mise a leggere quelle righe diverse volte e con attenzione. Voleva capirle e memorizzarle dato che, per suo nonno, risultavano così tanto importanti da meritare di essere evidenziate.

“Certo quell’uomo primitivo ha fatto veramente passi incredibili per arrivare fino a noi!”, disse ad alta voce, “ma perché tutto questo viene ignorato, nascosto? Di che cosa si ha paura?”

Erano domande a cui non poteva dare una risposta. Forse avrebbe potuto chiedere a suo nonno, che quelle cose le conosceva molto bene, ma, oramai, era troppo tardi.

Continuò la lettura, e arrivò a girare l’ultima pagina.

Non rimase deluso. C’era un appunto speciale di suo nonno, scritto con caratteri grandi e virgolettato.

Finì, con calma, di leggere il testo.

Poi, tirò un profondo sospiro e passò alla lettura delle poche righe, soppesando ogni parola che vi era scritta.

Chiuse il libro, e chiuse per un attimo anche gli occhi.

“Quante cose ho appreso in così poco tempo. Questi libri li devo conservare gelosamente e leggerli non appena ne avrò modo”, pensò e si rattristò, perché voleva dire che aveva perso un sacco di tempo; tutte quelle cose le aveva sempre avute lì vicino, a portata di mano.

Poi, si riprese, ricordando una frase che gli diceva sempre il nonno: “C’è il tempo per ogni cosa!” e, per lui, quel tempo era arrivato.

Doveva riporre il libro nella tasca interna del giaccone. Fu in quel momento che gli venne in mente una cosa, a cui aveva dato poca importanza.

Heftar si ricordò che, quando aveva preso il primo libro, era scivolata fuori e caduta a terra una piccola busta. L’aveva subito recuperata e rimessa nella tasca interna della mimetica, e non ci aveva più pensato.

“Non ho neppure guardato che cosa c’è in quella busta”, disse ad alta voce, “adesso voglio proprio darle un’occhiata, chissà che non mi riservi qualche nuova sorpresa.”

Ripose il libro e la recuperò la busta. Solo allora notò che era ingiallita, segno che doveva essere di parecchi anni prima.

La aprì e vide che conteneva un foglio piegato in quattro, anch’esso un poco ingiallito dal passare del tempo, in particolare lungo i bordi. Dispiegò il foglio, che era scritto a matita su entrambi i lati, e vide l’inconfondibile calligrafia del nonno.

Si mise a leggere.

Heftar ripiegò il foglio e lo ripose nella busta. Poi, mise la busta nel taschino sinistro della tuta spaziale, e richiuse la zip.

Ricordò, per un attimo, il funerale di suo nonno e i vecchi commilitoni che erano venuti a salutarlo per l’ultima volta. Uno gli era sembrato molto più giovane degli altri, forse poteva essere lui il soldato citato su quel foglio.

Era ora di tornare alla realtà.

Decise che il prossimo sarebbe stato l’ultimo pianeta che valeva la pena di visitare.

Gli altri due erano troppo vicini alla fonte solare; non avrebbero sicuramente risposto positivamente ai requisiti richiesti per una possibile colonizzazione.

Gli era rimasta una sola chance per tornare alla base con qualcosa di concreto.

Ne prese visione sulla strumentazione di bordo. Vide che era molto vicino, circa 5 minuti luce dal punto in cui si trovava in quel momento, ovvero solo 84 milioni di chilometri. Era di dimensione un poco più grande di quello appena visitato.

Gli strumenti gli avevano dato una valutazione negativa sulla possibilità di trovare condizioni adatte a una qualsiasi forma di vita, e questo lo aveva già demoralizzato.

Decise che era il caso di non perdere ulteriore tempo. Bisognava fare subito una puntatina verso la nuova destinazione, e chiudere definitivamente la missione.

Si preparò per la partenza.

I computer di bordo gli segnalarono che era arrivato a contatto con il nuovo pianeta. Prese i comandi manuali e si avvicinò, come al solito, per mettere la navicella in sicurezza.

Il pianeta aveva solo un piccolo satellite.

Date le premesse, eseguì, con un certo distacco, le procedure che prevedevano l’analisi delle condizioni dell’aria e del suolo.

L’atmosfera, questa volta, risultava molto interessante. Gli strumenti gli segnalavano che la parte superiore conteneva un’elevata concentrazione di ozono.

“Ecco un buon segnale!”, disse, “Questo gas permette la schermatura dai raggi ultravioletti, provenienti dalla fonte solare, e dai raggi cosmici.”

Scendendo verso la superficie, l’atmosfera risultava composta per il 78% di azoto, il 21% di ossigeno e per l’1% di argon, con tracce di anidride carbonica.

Temperatura al suolo intorno ai 20° C.

“Molto interessanti questi dati”, disse Heftar ad alta voce, esultando, “sono valori perfettamente in linea con la possibilità di vita umana!”

La superficie presentava rocce solide composte da diversi minerali, ma la cosa che lo colpì di più fu la presenza di acqua.

Prese subito in mano i comandi, deciso ad avvicinarsi ulteriormente alla superficie del pianeta, e man mano che si avvicinava la sua eccitazione cresceva.

Ecco comparire alla sua vista grandi masse d’acqua e poi terre emerse. A colpo d’occhio poteva valutare che circa il 70% della superficie fosse occupata dall’acqua e per il resto da rocce sedimentarie e vulcaniche.

L’esame visivo sconfessava completamente le valutazioni che gli avevano fornito gli strumenti di bordo.

Si avvicinò ancora di più. Ora vedeva distintamente aree boschive, montagne, grandi laghi e quelli che potevano essere dei grandi mari salati.

Poi, scendendo ancora, vide una serie di aree verdi, circondate da una foresta con una fitta vegetazione e, più in là, un piccolo fiume che sfociava in un lago.

“Si!”, urlò, “oltre che aria buona, qui c’è anche tanta acqua!” e gli venne voglia di atterrare subito, proprio lì, in una di quelle radure.

E così fece.

Ora i dati comunicati dagli strumenti di bordo erano perfettamente compatibili con l’ambiente da cui lui proveniva.

Guardò un poco intorno, tramite la telecamera collegata al computer, e vide, finalmente, quello che aveva sperato fin dall’inizio della sua missione: ciò che gli si presentava davanti assomigliava moltissimo al paesaggio che trovava ogni giorno uscendo da casa sua o, meglio, da quella che era stata la casa del nonno. Una vasta radura, la collina che saliva verso una fitta vegetazione. Un ruscello che passava sul bordo e andava a valle, oltre la foresta, dove aveva visto quel piccolo lago.

Era così tanto tempo che era rinchiuso in quella navicella che uscì, scendendo una piccola scaletta, senza adottare alcuna precauzione. Arrivò a terra, si guardò intorno e tirò un respiro profondo.

“Finalmente! Dell’aria pura e fresca!”.

Fece alcuni passi, lentamente e quasi impacciato, dato che all’interno della navicella le possibilità di movimento erano estremamente limitate e, nonostante gli esercizi ginnici, si sentiva tutte le articolazioni rigide e doloranti.

Era felice. Aveva trovato quello che cercava e sapeva che, al suo rientro, avrebbe avuto grandi soddisfazioni personali per la sua impresa.

Doveva dare un’occhiata al mondo che lo circondava, la temperatura era mite; la verificò sul suo minicomputer da polso e vide che i gradi erano 23.

Voleva avere una panoramica dettagliata dei dintorni, da inserire nel suo rapporto sul pianeta. Perciò, ritornò nella navicella a recuperare il drone dal suo alloggiamento.

Attivò i comandi e lo diresse verso nord. Lì, vide che si estendeva una vasta foresta, con tante piccole radure.

Il sole stava tramontando, per effetto della rotazione del pianeta. Alcuni nuvoloni neri stavano avanzando proprio da quella parte, segno che, tra poco, avrebbe potuto anche piovere.

Decise di far rientrare il suo drone, lo recuperò e ritornò all’interno della navicella tirando la scaletta di accesso.

In effetti, poco dopo, avvertì che quei nuvoloni si stavano scaricando proprio sopra di lui. Fu un temporale di breve durata, tipicamente estivo, e pensò che, probabilmente, fosse quella la stagione nel luogo in cui si trovava.

Si sdraiò con grandi progetti per il giorno successivo, ma si addormentò quasi subito. Era felice ma anche stanco per tutto quello che era successo.

Quando si svegliò, il sole doveva essere sorto da un bel po’, perché era già alto nel cielo.

Si preparò a ridiscendere a terra, portando con sé il suo drone. Aveva intenzione di fargli fare un giro più ampio e vedere cosa ci fosse più a sud, al di là della boscaglia, dove, scendendo verso terra, aveva visto altre ampie radure e un piccolo lago.

Trovò il prato ancora un poco bagnato per la pioggia della sera precedente. I fili d’erba luccicavano alla luce del sole.

Più in là vide, sparsi qua e là, alcuni monticelli di terriccio. Era sicuro di non averli notati la sera precedente. Si avvicinò, li guardò con attenzione, e fece una scoperta sensazionale.

“Ma allora anche qui ci sono delle talpe!”, disse sorridendo, “come nel prato davanti alla casa del nonno!”

Allungò la mano e prese un po’ di quel terriccio. Lo strinse tra le dita e il palmo della mano. Era morbido. Lo avvicinò al naso e ne sentì il profumo. Poi, lo lasciò ricadere al suolo.

Si accorse che un po’ di quel terriccio umido gli era rimasto attaccato al palmo della mano. Si diresse verso il torrente per lavarla. Avvertì la freschezza dell’acqua e gli venne voglia di sentirne il sapore e, con la mano a cucchiaio, se ne portò un poco alla bocca.

“Ah! È veramente deliziosa! È un bel po’ di tempo che non bevo della vera acqua. Ne sentivo veramente la mancanza. Tutti quegli intrugli che si bevono a bordo nulla hanno a che fare con la deliziosa sensazione che può dare un buon sorso d’acqua fresca.”

Ritornò al suo drone, che aveva lasciato vicino alla navicella, e lo attivò.

Lo diresse verso sud, proprio dove vi erano quelle ampie radure e il piccolo specchio d’acqua. Sul suo monitor vedeva scorrere velocemente gli alberi della foresta, alcune radure, poi altri alberi, finché non gli si presentò la vasta zona pianeggiante che cercava.

Là, al centro, c’era quel piccolo specchio d’acqua, ma anche una cosa che non si aspettava assolutamente. Un poco più su, vide quello che sembrava un gruppo di capanne di forma circolare.

Scese leggermente col drone verso quella direzione.

“Ma sono proprio le capanne di un villaggio primordiale, come quelle che erano illustrate nel libro del nonno!”

Guardò più attentamente e vide degli esseri che si muovevano.

Allora, lo fece scendere ancora di più il verso le capanne e vide chiaramente che si trattava di uomini, donne e bambini dall’aspetto primitivo, vestiti con pelli di animali. C’erano anche degli animali che giravano di qua e di là.

“Un vero villaggio primitivo!” disse ad alta voce, per poi rimanere a bocca aperta.

Qualcuno doveva essersi accorto del drone. Gli sguardi di quegli uomini si spostarono tutti verso l’alto, e alcuni cominciarono a gesticolare.

Poi, uno di quegli uomini impugnò qualcosa: era una lancia che scagliò con una forza incredibile contro il drone, mancandolo di poco.

Heftar, a quel punto si riprese.

“Perbacco!”, esclamò, “Bel tiro! A momenti lo colpiva.”

Contemporaneamente fece alzare più in alto il suo velivolo.

Aveva visto a sufficienza, quel pianeta era anche abitato, gente ancora primitiva, certo, ma esseri umani come lui.

Fece tornare indietro il drone, spegnendo la telecamera.

Solo allora, guardando il suo quadro di controllo, si accorse che non aveva attivato la funzione di registrazione. Tutto quello che aveva fatto e visto fin a quel momento, tramite il suo apparecchio, era andato irrimediabilmente perduto.

“Peccato! Sarebbe stata una documentazione molto interessante da allegare alla mia relazione sul pianeta.”

Pensò che avrebbe potuto rimandare il drone da quella parte, ma aveva paura di creare ulteriore scompiglio a quegli abitanti; perciò, decise di farlo atterrare ai suoi piedi, poi, si sdraiò sull’erba.

Era esausto, tutto quello che era successo lo aveva reso, prima euforico, poi completamente svuotato di ogni energia.

Respirò profondamente mentre il sole stava già tramontando.

Il cielo diventava, pian piano, sempre più scuro e apparve, illuminato per un quarto, il satellite che gravitava intorno a quel pianeta, con la sua luce tenue e pallida. Poco dopo cominciò a vedere apparire le stelle.

Era una notte bellissima e luminosa.

Decise di restare lì, sdraiato su quel tappeto d’erba, a guardare il cielo e a pensare.

Rivide suo nonno, la sera, seduto sulla sua sedia a dondolo davanti alla vetrata di casa a leggere i suoi libri e poi a osservare il cielo.

Gli passarono velocemente, davanti agli occhi, i contenuti di quei due che si era portato in missione e gli appunti scritti a matita.

Vide, come se fosse aperta davanti a lui, la vecchia lettera del nonno e la citazione che lui vi aveva riportato.

Senza accorgersene finì per addormentarsi.

Fu svegliato dal canto di alcuni uccelli, mentre il sole cominciava appena a salire nel cielo.

Si alzò stiracchiandosi, fece qualche passo e, proprio lì davanti a lui, vide alcune piante di fragole selvatiche con i loro frutti maturi.

Si chinò a raccoglierle e le mise in bocca.

“Che sapore! Mi sono quasi dimenticato di questi semplici piaceri che, in realtà, riempiono la vita!”

Riprese il suo drone e salì la scaletta della navicella.

Si sedette al tavolo e si accorse, solo in quel momento, che doveva prendere una decisione fondamentale. Era la prima volta che si sentiva investito di una tale responsabilità.

Tirò fuori le carte per compilare il suo rapporto. Rimase un attimo pensieroso, e rivide quel terriccio scavato dalle talpe che aveva raccolto quel mattino, e si accorse di percepirne ancora il profumo.

Gli abitanti del villaggio avevano visto quello strano uccello alzarsi e dirigersi velocemente verso il bosco.

Il capo villaggio, dopo aver scagliato la lancia contro quell’animale, chiamò a raccolta l’intera comunità. Dovevano discutere e decidere cosa fare.

Non era mai capitato, a memoria dei più anziani, di vedere una creatura così strana e simile a un uccello, ma che si spostava in avanti, indietro, di lato, che scendeva e saliva nell’aria.

Alla fine, convennero, a maggioranza, che si doveva andare in spedizione verso il bosco in cui era sparito quell’uccello. Occorreva vedere che animale fosse, se ce ne fossero altri simili a lui e, soprattutto, valutare se fosse pericoloso per la loro comunità.

Il gran capo organizzò la spedizione, di cui avrebbero fatto parte lui, due saggi anziani, due giovani aitanti ben armati con archi e frecce e una giovane donna. Voleva avere con sé un po’ tutta la rappresentanza del villaggio, qualora fosse stato necessario avere dei consigli o prendere delle decisioni sul da farsi.

Riprese la sua lancia, che un ragazzo si era preoccupato di recuperare dopo il tentativo di colpire lo strano uccello, e a tutti raccomandò di stare ben in guardia.

Un’indicazione particolare riservò alle madri affinché recuperassero i bambini e li tenessero all’interno delle capanne, fino al loro ritorno.

Prima del sorger del sole il manipolo si mosse e si inoltrò nella foresta.

La direzione era verso nord, dove era sparito quello strano uccello.

Heftar si apprestò a compilare la sua relazione finale su quel nuovo mondo.

Si sedette con davanti tutto quello che gli serviva, appoggiò i gomiti sul ripiano e chiuse gli occhi. Rivide suo nonno là sulla sedia a dondolo che leggeva uno di quei libri a cui teneva tanto e che aveva salvato dalla distruzione, gli passò davanti l’immagine di lui morto e dei suoi vecchi commilitoni, di cui non aveva mai fatto cenno, che erano venuti a dargli l’ultimo saluto.

Si scosse scuotendo la testa e si mise a compilare la sua relazione. Poi la ripose, insieme alle altre, nell’archivio n. 7.

Il lavoro era stato completato, gli ultimi due pianeti non avevano ragione di alcuna visita. Lo aveva già deciso prima.

Era tempo di ripartire.

Una cosa gli premeva in particolare. Aveva una gran voglia di ritornare a casa per poter leggere gli altri libri che suo nonno aveva riposto nella cassapanca in solaio.

Per questo, aveva deciso che appena arrivato alla base si sarebbe preso un congruo periodo di riposo, sarebbe andato nella vecchia casa di suo nonno che, ora, sentiva ancor più sua, e si sarebbe sistemato sul vecchio dondolo di fronte alla collina, dove le talpe scavavano i loro tunnel.

Tirò su la scaletta esterna e si pose ai comandi della navicella, impostò i dati per il rientro alla base. La navicella avrebbe fatto tutto da sola, lui avrebbe dovuto solo aspettare l’arrivo a destinazione.

Lanciò ancora uno sguardo fuori. Gioia e tristezza si mescolavano nella sua mente, diventando una cosa sola, qualcosa di indefinibile, ma che sentiva profondamente sua.

Schiacciò il pulsante di avvio e si accomodò.

Gli uomini a terra videro alzarsi la navicella. A loro parve una cosa enorme e misteriosa. La videro sparire velocemente in cielo, e si guardarono attoniti e increduli.

Poi, il gran capo, che era rimasto un attimo pensieroso, chiamò tutti a raccolta e li fece sedere in cerchio intorno a lui.

Spiegò, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno, dato che tutti avevano visto quanto era accaduto, che avevano avuto la fortuna di incontrare una grande divinità e che sarebbe stato opportuno erigere una stele nel punto da cui l’avevano vista ripartire.

I due saggi anziani condivisero pienamente la proposta.

Alla fine, tutti convennero che la divinità andasse ricordata e omaggiata, affinché restasse sempre a loro propizia.

Il futuro del loro mondo era in quella piccola navicella spaziale, riposto nell’archivio n. 7, dove Heftar aveva scritto:

Pianeta G – TERRA – Esito Negativo.

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