PAREVA CHE DANZASSE di Letizia Di Benedetto
Genere:: PSICOLOGICO
“Mare, mare, mare ma che voglia di arrivare lì da te, da te
sto accelerando e ormai ti prendo
Mare, mare, mare” (Luca Carboni)
A squarciagola su una Volkswagen Golf grigio fumo, i finestrini tutti abbassati, il vento fra i capelli, la salsedine nell’aria, il mare che quasi si tocca, forte… perché la malinconia non riaffiori.
Camilla e Ottavia stavano vivendo, insieme ai loro figli uno squarcio di vita, unico e irripetibile.
Fra le due cugine, particolarmente legate, sebbene diverse, vi era una forte intesa, una empatia che con altri, entrambe non avevano.
Camilla era timida, arrossiva spesso, parlava poco, era graziosa, di media statura, era pudica, capelli lunghi che alternava in lisci e ricci di un biondo cenere. Grandi occhi verdi a mandorla che quando sorrideva le si arricciavano, aumentandone la bellezza. Il naso alla francese, piccole e sottili le labbra, e il volto costellato dalle lentiggini. Lei era sempre curata, mai fuori posto, tutto abbinato, stile e colori.
La cugina di Camilla era il suo opposto: altissima, scura di carnagione, di occhi e di capelli. Sicura nelle movenze, metteva a suo agio chi incontrava. Vistosa, nel senso che non passava inosservata, una bella donna giunonica. Vivevano lontane, ma sempre in contatto. Fu lei a invitare Mill con i ragazzi a passare i tre mesi estivi lì da lei. Non trapelava nulla sulla precaria vita matrimoniale di Ottavia e suo marito, anche se, di lì a poco si sarebbero separati per sempre.
Camilla stava vivendo l’ennesimo “urlo muto” e questa volta non fra le mura domestiche. L’avvilente incapacità di farsi sentire da Vanni ebbe come conseguenza la mancanza di comunicazione con lui. Cattolica, credeva profondamente al concetto di “famiglia”.
Ma voleva lasciare Vanni, e non rifugiarsi nei farmaci. Pensava che forse la lontananza, avrebbe fatto riflettere il marito sull’ordine delle sue priorità, e sulle dinamiche della loro relazione.
Un pomeriggio Ottavia, senza averne coscienza, fece una proposta “epocale” alla cugina, che di fatto le avrebbe cambiato la vita. Le disse:
“Mill! Prendi pure la Golf e vai dove vuoi e quando vuoi, porta i bambini al mare, ai giochi… fai quello che ti pare!”
Allungò il braccio porgendole l’intero mazzo di chiavi, della macchina e della villa. Erano così pesanti che pareva che esse stesse dicessero:
“Mi raccomando.”
Mill non credeva alle sue orecchie, il tempo sembrò fermarsi e incantarsi su quelle parole… in quell’istante sentì la brezza della libertà, e non solo. Qualcuno le dava fiducia. E lei, a sé stessa. Il mondo intero si aprì nel cuore e nella mente di Camilla, stava per mettere le ali, l’avrebbero portata dove voleva, liberamente e in autonomia. Le sembrò di sognare e, senza indugiare, prese le chiavi.
L’evoluzione di Camilla e la sua lontananza non generarono nessun cambiamento in suo marito, che al contrario sembrava sempre più accanirsi sul suo capro espiatorio: sua moglie.
Il tempo passava lento. Il Natale era alle porte: l’ennesima lite.
L’uomo che aveva sposato l’accusava di essere una “parassita”. Di essere un “cancro… una metastasi”. Per trent’anni l’aveva umiliata, ridicolizzata, rifiutata come donna, le diceva che non capiva niente, le impugnava i polsi, se solo Camilla provava ad accarezzarlo.
Troppi dispiaceri stavano accumulando dentro di sé e la facevano stare male. Troppe cose stava reprimendo e iniziavano a traboccare dalla sua testa senza nessun controllo. Troppi equilibri stavano vibrando.
Sentì l’immediato, incontenibile bisogno di ricorrere ai farmaci per alienarsi, non pensare e staccarsi dalla realtà. Dormire era la soluzione per tutti. Noo… Noo… Rimbombava nella sua mente quanto doloroso fosse stato uscire da quella dipendenza.
Che cosa sta succedendo? Stava ricadendo nel baratro. L’ira tuonava nel suo cervello e nel suo corpo forte e irrazionale.
Camilla allargò le braccia come le ali di un airone in volo, e con brutale violenza investì tutto ciò che vi era vicino a lei, mobili e suppellettili. Un ciclone. Spazzò con forza ogni cosa. Ribaltò la stufa a gas, la bombola si staccò dal tubo, facendolo fuoriuscire: strano, era liquido, sembrava lo spruzzo di una fontana. La porta d’ingresso aveva perforato il muro stampandone la forma della fermatura. Sentiva su di sé le gocce del gas, sul suo capo e sulle braccia.
L’occasione era quella giusta. La sorte le suggeriva la via. Bastava un fiammifero. In quella fontana artificiale.
Ardere viva? Noo… No! Non l’avrebbe più avuta vinta lui.
Basta! Basta!
Pensava ai suoi dolori alla testa che per giorni non la lasciavano, riviveva in modo concitato tutte le incompatibilità con Vanni, tutte le violenze verbali e psicologiche che aveva subito. Violenze invisibili che non lasciano traccia, e la grande beffa di non poterle mai mostrare. Nessuna radiografia o tac, nessun referto, nessun verbale di pronto soccorso potevano provare quanto grande fosse la sua sensibilità e quanto profonde fossero le ferite inferte da Vanni tutte le volte che l’aveva delusa.
Basta! Quella sarebbe stata la fine. La fine di quella relazione tossica.
Distrusse e buttò tutto ciò che era “Natale”. Tutto ciò che le ricordava dispiaceri e patimenti.
Strano. Ma si sentì subito bene, malgrado camminasse sulle macerie. Era nella sua vita che stava facendo pulizia, eliminando quella zavorra che l’aveva sempre frenata dall’andare avanti nel futuro. Era nella sua vita che stava mettendo ordine, reimpostando anche le priorità. Era a sé stessa che stava pensando, a quello che l’avrebbe fatta sentire meglio. Era lei, in quel momento, al centro dell’universo. E per sé stessa avrebbe fatto ciò che era giusto fare. Qualsiasi cosa lui avesse detto, per Camilla sarebbe stata ininfluente.
Camminando sui cocci, facendo attenzione a dove metteva i piedi, lo accompagnò alla porta, dandogli le sue cose.
Ancora nelle strade le luci di Natale lampeggiavano, il movimento veloce della vita, le vetrine illuminate e lei con passo svelto. Non era mai uscita a piedi, la gente quasi non la riconosceva, peraltro aveva perso quasi quaranta chili, sicché la guardavano chiedendosi chi fosse, altri la ricordavano com’era trent’anni prima. Il suo passo divenne armonioso e leggero, pareva che danzasse.
Comprò la scheda nuova del cellulare e cestinò la vecchia.
E non era la solitudine che la preoccupava, quanto il come sostenersi. Si sarebbe messa in ascolto di sé e avrebbe compreso di quali cose aveva effettivamente bisogno, come persona e come donna.
Le bastò fare una telefonata, per garantirsi il necessario.
Mise a rendita un suo immobile.
Fece ciò che aveva sempre desiderato, essere imprenditrice di sé stessa, gestendo il tempo e il lavoro, in base alle sue forze.
Si sarebbe resa “autonoma”.
Avrebbe consolidato una personalità forte, con la saggezza e la resilienza che il suo vissuto le aveva dato, senza maledirlo, anzi, gliene sarebbe stata grata, per la donna che dalle sue ceneri sarebbe diventata.
PAREVA CHE DANZASSE di Letizia di Benedetto
genere: PSICOLOGICO