PIRATI, CORSARI E BUCANIERI di Guido Fariello
genere: STORIA
La storia dei sapiens ha incontrato, fin dagli albori, personaggi che rispondono ai tre appellativi di pirati, corsari, bucanieri.
Sono figure ben distinte che, nell’ordinario collettivo son spesso confuse e usate in modo inappropriato.
Vediamo, perciò, di chiarire le caratteristiche di ognuna di queste personalità.
I pirati erano coloro che percorrevano il mare per assalire e depredare qualsiasi nave, indipendentemente dalla nazionalità, con il solo scopo di arricchirsi e per il gusto della rapina.
Praticavano anche il rapimento delle persone imbarcate, se di rango elevato, per chiedere dei riscatti.
La pirateria ha origini antichissime: le prime popolazioni del Mediterraneo (dai Fenici agli Etruschi e così via) praticavano già questa forma di brigantaggio in mare aperto.
Ed esiste ancora ai nostri giorni, con arrembaggi a sorpresa, da parte di equipaggi di veloci imbarcazioni moderne, forniti di armi sofisticate, nei confronti di navi con ricchi carichi commerciali, anche alla ricerca di riscatti da richiedere.
Alcuni dei più famosi pirati della storia sono stati Barbanera, Morgan, Drake e Kidd.
I corsari erano capitani di bastimento che venivano autorizzati alla cosiddetta “guerra di corsa”.
Così erano definiti gli arrembaggi compiuti durante le battaglie navali tra stati in guerra, ed erano autorizzati da uno degli Stati in guerra che forniva a questi capitani delle speciali “lettere di corsa”, per permettere loro di assaltare e depredare le navi da guerra nemiche, ma anche quelle mercantili e private per contrastare i commerci e i rifornimenti dello stato nemico.
Il fenomeno divenne assai importante nel XVI secolo con corsari addirittura al servizio di sua maestà Elisabetta I d’Inghilterra.
La differenza tra pirati e corsari diveniva fondamentale al momento della loro cattura poiché i primi venivano giustiziati subito sommariamente; i secondi, invece, erano considerati prigionieri di guerra con tutte le prerogative che spettavano a loro in quanto tali.
Alcuni dei più noti corsari della storia sono stati Francis Drake, Jean Bart, Surcouf e Barbarossa.
I bucanieri erano invece pirati, per lo più francesi, che intorno al 1600 si stabilirono nell’isola di Hispaniola, l’attuale Haiti, e Santo Domingo.
Il termine deriva dal francese bucanier e indicava cacciatori di frodo che si nutrivano di carne affumicata sulla graticola di legno (barbicola), un metodo che proprio gli indigeni avevano insegnato loro
Quando gli Spagnoli nel 1630 distrussero le loro proprietà, iniziarono una guerra di corsa confondendosi con i filibustieri (un altro tipo di pirata) e costruirono una flotta di veloci navi da arrembaggio, che poteva anche venire assoldata dai vari paesi europei, ma sempre per combattere contro il loro nemico, la Spagna.
Alcuni dei più celebri bucanieri della storia sono stati Henry Morgan, L’Olonnais e Rock Brasiliano.
La battaglia di Lepanto
L’istituzione, da parte delle potenze marinare, della guerra di corsa, ha comportato una concorrenza senza regole tra pirati e corsari con lotte furiose per il predominio.
Non è facile stabilire quale sia stata la più grande battaglia con la partecipazione di pirati e corsari, perché ne sono state combattute molte nel corso della storia e spesso non sono state documentate con precisione.
Tuttavia, una delle più famose e decisive è stata la battaglia di Lepanto, avvenuta il 7 ottobre 1571 nel golfo di Corinto, in Grecia.
Lo scontro avvenne tra una coalizione di stati cristiani, che prese il nome di Lega Santa, guidata dalla Spagna, da Venezia e dallo Stato Pontificio, e l’Impero Ottomano che aveva, tra le sue forze, molti corsari barbareschi costituiti da musulmani provenienti dal Nord Africa.
La battaglia realizzò uno dei più grandi combattimenti navali della storia, che vide impegnate circa 500 navi e 150 mila uomini guidati da Don Giovanni d’Austria per la Lega Santa e da Müezzinzade Alì Pascià per l’Impero Ottomano.
La vittoria della lega Santa fu schiacciante.
Gli Ottomani persero circa duecento navi e trentamila uomini.
I cristiani persero solo cinquanta navi e ottomila uomini.
L’evento segnò il declino della potenza navale ottomana nel Mediterraneo e la fine delle incursioni dei corsari barbareschi in Europa.
Le conseguenze politiche della battaglia di Lepanto furono contrastanti.
Da un lato, la vittoria nella battaglia di Lepanto viene celebrata in tutta Europa come un trionfo della Cristianità sul mondo islamico, con la celebrazione di messe ed altre iniziative.
Il Papa Pio V proclamò il 7 ottobre come la festa del Rosario, in onore della Vergine Maria, a cui attribuì l’intercessione divina nella battaglia.
Da un altro lato, la vittoria avrà conseguenze molto scarse sul piano strategico: l’Impero Ottomano costruirà una nuova flotta soltanto pochi mesi dopo e riuscirà a mantenere il controllo di Cipro e del Mediterraneo orientale.
La scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate di sfruttare appieno la vittoria per ottenere una supremazia duratura.
La battaglia di Lepanto fu quindi più un simbolo che una svolta nella storia dei rapporti tra Europa e Impero Ottomano.
Le navi usate nella battaglia di Lepanto
Le navi che parteciparono alla battaglia di Lepanto erano principalmente galee e galeazze.
Le galee erano imbarcazioni lunghe e strette, con uno o due alberi e una vela latina, che si muovevano principalmente a remi. Avevano una prua appuntita e spesso dotata di un rostro per speronare le navi nemiche. Le galee potevano trasportare da 100 a 200 uomini tra marinai, rematori e soldati. Erano armate di cannoni, archibugi e moschetti.
Le galeazze erano invece navi più grandi e pesanti delle galee, con tre alberi e vele quadre, che si muovevano sia a vela che a remi. Avevano una prua piatta e una poppa alta.
Le galeazze potevano trasportare da seicento a ottocento uomini tra marinai, rematori e soldati. Erano armate di numerosi cannoni, sia sul ponte che sui fianchi.
La flotta della Lega Santa aveva duecento quattro galee e sei galeazze.
Quella ottomana aveva duecentosedici galee, sessanta galeotte (una variante più piccola delle galee) e sessantaquattro fuste (una variante ancora più piccola delle galee).
Vantaggi e svantaggi delle galeazze
Le galeazze avevano dei vantaggi e degli svantaggi rispetto alle galee.
Tra i vantaggi, c’erano la maggiore potenza di fuoco, la maggiore capacità di trasporto e la maggiore resistenza agli speronamenti.
Tra gli svantaggi, c’erano la minore manovrabilità, la minore velocità e la maggiore vulnerabilità al fuoco nemico.
Nella battaglia di Lepanto, le galeazze della Lega Santa ebbero un ruolo importante nel rompere la formazione ottomana e nel creare il caos tra le loro navi .
I rematori delle galee
I rematori delle galee erano di diverse categorie, a seconda del periodo storico e della nazione. In generale, li possiamo distinguere tra:
I buonavoglia, cioè i rematori liberi e volontari, che si imbarcavano per soldi o per necessità. Erano spesso gente povera e disperata, ma anche marinai esperti e combattenti valorosi. Costituivano la maggior parte dei rematori fino al XVI secolo, quando divennero sempre più rari a causa delle condizioni di vita durissime sulle galee12.
Gli schiavi, cioè i prigionieri di guerra o i mercanti catturati dai pirati o dai corsari. Erano spesso di origine africana o orientale e venivano trattati come bestie da soma. Non avevano alcun diritto e subivano maltrattamenti e torture. Erano molto numerosi sulle galee ottomane e barbaresche, ma anche su quelle spagnole e francesi.
I forzati, cioè i condannati ai lavori forzati per reati comuni o politici. Erano spesso criminali, ribelli, eretici o debitori insolventi. Venivano incatenati ai remi e dovevano scontare la loro pena con anni di fatica e sofferenza. Erano molto usati dalle nazioni europee, in particolare dalla Francia, che li reclutava anche tra i mendicanti e i vagabondi.
La vita quotidiana dei rematori
La vita quotidiana dei rematori era davvero terribile.
Dovevano remare per ore e ore, a volte anche per giorni interi, senza sosta e senza riposo. Il ritmo dei remi era scandito da un tamburo o da un capo-rematore che urlava e frustava i più lenti o i più deboli.
Dovevano sopportare il caldo, il freddo, la pioggia, il vento, il sole, la salsedine e l’umidità. Spesso erano inzuppati d’acqua e sudore e avevano la pelle irritata e ulcerata.
Mangiavano poco e male, con una dieta a base di biscotti secchi, acqua stagnante e qualche rara zuppa di cipolle o di pesce. Solo in caso di fatica eccezionale ricevevano un bicchiere di vino o una galletta inzuppata.
Dormivano sullo stesso banco della galea, incatenati al remo, senza potersi alzare o muovere. Non avevano coperte, vestiti di ricambio o oggetti personali ed espletavano anche i loro bisogni fisiologicisul posto con le conseguenze facilmente immaginabili.
I rematori partecipavano in prima persona alle battaglie navali, esposti al fuoco nemico, agli speronamenti, agli abbordaggi e alle ferite.
Se la galea affondava o veniva catturata, non avevano scampo e morivano annegati o uccisi.
La battaglia di Cartagena de Indias
Un’altra battaglia che ha visto la partecipazione importante di corsari è stata quella di avvenuta nel 1741 tra la flotta spagnola e quella britannica.
Lo scopo dei britannici era di conquistare la città di Cartagena de Indias, in Colombia, che era un importante porto commerciale e militare spagnolo.
La battaglia fu una delle più grandi e sanguinose del XVIII secolo, che vide impegnate circa 200 navi e 30 mila uomini.
La vittoria fu degli spagnoli che riuscirono a respingere gli attacchi britannici e a infliggere loro pesanti perdite.
Curiosità sui pirati.
Ci sono molte curiosità sui pirati, alcune vere e altre false.
Una ci dice che c’erano anche donne tra i pirati, ma questo era raro. Le più famose e riconoscibili erano Mary Read e Anne Bonny, che furono ufficialmente condannate per pirateria.
I pirati provenivano da tutti i ceti sociali, ma erano spesso poveri e disperati. Alcuni erano ex marinai o soldati, altri erano schiavi fuggiti o ribelli politici.
Comunque, adoravano i gioielli. Di solito andavano in giro con catene, orecchini e anelli frutti delle loro ruberie. Era anche un modo per mostrare il loro status e la loro ricchezza.
I pirati usavano diversi tipi di bandiere per comunicare tra loro o con le navi nemiche. La più famosa era la Jolly Roger, la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate, che serviva a intimorire le vittime e a chiedere la resa.
Avevano, però, un codice di condotta che stabiliva le regole da seguire a bordo della nave, la divisione del bottino e le punizioni per i trasgressori. Il codice variava da nave a nave, ma era sempre votato democraticamente dall’equipaggio.
Una curiosità sui pirati è stata molto propagata dal cinema e ci racconta che essi avevano spesso dei pappagalli come animali domestici, che catturavano nei luoghi tropicali che visitavano. I pappagalli erano apprezzati per i loro colori vivaci e la loro capacità di imitare le voci umane. Li tenevano come compagni o li rivendevano a caro prezzo nei porti europei.
La vendetta di Barbanera
Non si può parlare della storia della pirateria senza soffermarsi sulle vicende romanzate che hanno dato inizio alla leggenda di Barbanera.
Edward Teach, meglio conosciuto come Barbanera, era il più temuto e rispettato pirata dei Caraibi.
Con la sua barba nera e foltissima, i suoi capelli lunghi e arruffati, i suoi occhi scuri e penetranti, il suo cappello a tricorno e le sei pistole che portava sempre con sé, incuteva terrore in chiunque lo incontrasse.
La sua nave, la Queen Anne’s Revenge, era armata di 40 cannoni e aveva una bandiera nera con un teschio che teneva in mano un orologio a clessidra, a simboleggiare il poco tempo che restava ai nemici prima di morire.
Barbanera era famoso per le sue imprese audaci e spietate. Aveva assaltato e saccheggiato decine di navi mercantili e militari, aveva bloccato il porto di Charleston per una settimana, aveva ricevuto un perdono reale dal governatore della Carolina del Nord in cambio di una parte del suo bottino, aveva tradito i suoi stessi compagni per tenersi tutto il tesoro.
Ma la sua più grande sfida doveva ancora venire.
Nel novembre del 1718, Barbanera ricevette una soffiata da uno dei suoi informatori: una flotta di navi francesi cariche d’oro e di spezie stava per arrivare nelle acque della Virginia. Era l’occasione che aspettava da tempo: il colpo del secolo, quello che lo avrebbe reso ricco e potente come nessun altro pirata.
Così, radunò il suo equipaggio e salpò verso il luogo dell’agguato.
Ma quello che non sapeva era che il governatore della Virginia, Alexander Spotswood, era a conoscenza dei suoi piani. Spotswood era un uomo ambizioso e avido, che voleva eliminare Barbanera per impadronirsi del suo tesoro e per guadagnarsi la fama di eroe. Così, inviò due navi da guerra, la Pearl e la Lyme, al comando del tenente Robert Maynard, con l’ordine di catturare o uccidere il pirata.
Maynard era un giovane ufficiale della marina britannica, coraggioso e determinato.
Aveva una profonda antipatia per i pirati, che considerava dei criminali senza scrupoli.
Era deciso a portare a termine la sua missione e a mettere fine alla carriera di Barbanera.
Le due navi da guerra raggiunsero la Queen Anne’s Revenge all’alba del 22 novembre. Barbanera si accorse subito della loro presenza e si preparò allo scontro. Ordinò ai suoi uomini di caricare i cannoni e di issare la bandiera nera. Poi si mise al timone e si avvicinò alle navi nemiche.
La battaglia fu violenta e sanguinosa.
I cannoni sparavano da entrambe le parti, le palle di ferro colpivano le navi e gli uomini, le schegge volavano in aria.
La Pearl fu la prima a soccombere: una cannonata le squarciò lo scafo e la fece affondare.
La Lyme fu più fortunata: riuscì a tenere testa alla Queen Anne’s Revenge fino a quando Maynard decise di tentare l’abbordaggio.
Maynard salì sulla nave di Barbanera seguito da una ventina di uomini.
Il resto dell’equipaggio rimase sulla Lyme per difenderla da eventuali attacchi. Il tenente sapeva che doveva affrontare il pirata in un duello corpo a corpo se voleva avere qualche speranza di vittoria.
Barbanera lo aspettava sulla tolda della sua nave. Era armato di sciabola e pistole.
Quando vide Maynard avvicinarsi, gli gridò:
«Benvenuto a bordo della mia nave, signorino! Spero che tu sia venuto a farmi i complimenti per il mio bel tesoro!»
«Sono venuto a portarti alla giustizia, Barbanera!» rispose Maynard. «Sei un assassino e un ladro, e meriti solo la forca!»
«Ah, ah, ah!» rise Barbanera. «La giustizia? E chi sei tu per parlare di giustizia? Un servo del re, un cane da caccia, un codardo che si nasconde dietro una divisa? No, amico mio, tu non sai cosa sia la giustizia. La giustizia è la libertà, la libertà di vivere come si vuole, di prendersi ciò che si vuole, di sfidare chi si vuole. E io sono il più libero di tutti gli uomini, perché sono il re dei mari!»
«Sei solo un re di carta, Barbanera!» replicò Maynard. «Un re senza corona, senza regno, senza sudditi. Un re che regna sul nulla, perché tutto ciò che hai rubato non ti appartiene. Un re che presto cadrà, perché io sono qui per fermarti!»
«Allora vieni a fermarmi, se ne hai il coraggio!» sfidò Barbanera. «Vieni a combattere con me, e vedremo chi dei due è il più forte!»
Detto questo, Barbanera sparò una delle sue pistole verso Maynard, ma lo mancò.
Maynard rispose al fuoco con la sua pistola, ma anche lui non andò a segno.
I due si guardarono negli occhi per un istante, poi si lanciarono l’uno contro l’altro con le sciabole in mano.
Iniziò così il duello finale tra il pirata e il cacciatore di pirati. Un duello all’ultimo sangue, in cui i due avversari si scambiarono colpi e fendenti senza tregua.
Barbanera era più grande e più forte di Maynard, ma quest’ultimo era più agile e più abile con la spada.
I due si ferirono a vicenda più volte, ma nessuno dei due cedette.
Il duello durò per diversi minuti, finché Barbanera riuscì a colpire Maynard al petto con la sua sciabola.
Il tenente cadde a terra sanguinante e sembrò aver perso i sensi. Barbanera alzò la sua sciabola in aria per dargli il colpo di grazia, ma in quel momento Maynard si riprese e afferrò una delle sue pistole che aveva nascosto sotto la giacca. Sparò a bruciapelo contro Barbanera e lo colpì alla gola.
Barbanera sentì un dolore lancinante e portò le mani alla ferita.
Il sangue gli usciva a fiotti dalla bocca e dal collo. Cercò di parlare, ma non riuscì a emettere che un rantolo. Poi cadde in ginocchio e si accasciò sul ponte.
Maynard si alzò faticosamente e si avvicinò al corpo del pirata. Lo guardò negli occhi e vide che erano ancora aperti e pieni di odio. Poi gli tagliò la testa con la sua sciabola e la sollevò in aria come un trofeo.
«Ho vinto io, Barbanera!» esclamò Maynard. «Ho vinto io!»
Il grido di vittoria del tenente fu seguito da quello dei suoi uomini, che avevano sconfitto i pirati rimasti sulla Queen Anne’s Revenge.
La battaglia era finita. Il regno di Barbanera era finito.
Maynard tornò sulla sua nave con la testa del pirata appesa all’albero maestro come monito per tutti i nemici della corona britannica. Poi salpò verso la Virginia per consegnare il suo bottino al governatore Spotswood.
Barbanera era morto, ma la sua leggenda era appena cominciata.
L’ultima avventura di Francis Drake
La leggenda di Barbanera fa il paio con la leggenda di Francis Drake, uno dei più famosi e temuti corsari inglesi.
Francis Drake, al servizio della regina Elisabetta I, aveva compiuto numerose imprese contro gli spagnoli, i suoi acerrimi nemici.
Aveva circumnavigato il globo, aveva saccheggiato le città e le navi spagnole nelle Americhe, aveva sconfitto l’Invincibile Armata, la potente flotta spagnola che voleva invadere l’Inghilterra. Era stato nominato cavaliere dalla regina e aveva ricevuto il titolo di viceammiraglio.
Drake era un uomo ambizioso e avventuroso, che amava il mare e il pericolo. Non si accontentava mai dei suoi successi e cercava sempre nuove sfide e nuovi tesori.
Così, nel 1595, decise di intraprendere una nuova spedizione contro gli spagnoli nelle Indie Occidentali.
Il suo obiettivo era di attaccare e conquistare la città di Panama, dove si trovava il famoso “treno dell’oro”, il convoglio che trasportava le ricchezze provenienti dal Perù verso la Spagna.
Drake partì dall’Inghilterra con una flotta di 27 navi e 2500 uomini. Tra questi c’era anche suo cugino John Hawkins, un altro celebre corsaro. I due erano legati da un forte legame di parentela e di amicizia, ma anche da una certa rivalità. Hawkins era più cauto e prudente di Drake, e spesso lo ammoniva sui rischi delle sue imprese.
La spedizione non ebbe un buon inizio. Già durante la traversata dell’Atlantico, Drake dovette affrontare tempeste, malattie e ammutinamenti. Alcune navi si persero o si danneggiarono e molti uomini morirono o disertarono.
Quando arrivò nei Caraibi, Drake aveva solo 17 navi e 1400 uomini.
Nonostante le difficoltà, Drake non rinunciò al suo piano.
Attaccò e saccheggiò alcune città spagnole come Santo Domingo e Cartagena de Indias, ma non riuscì a ottenere grandi bottini.
Gli spagnoli erano ormai preparati alle sue incursioni e avevano nascosto o trasferito le loro ricchezze. Inoltre, Drake dovette affrontare la resistenza degli abitanti e dei soldati spagnoli, che gli inflissero diverse perdite.
Drake si rese conto che la sua spedizione stava fallendo, ma non si arrese. Era convinto che a Panama lo aspettasse il grande colpo che avrebbe ripagato tutti i suoi sforzi e i suoi sacrifici. Così, decise di proseguire verso l’istmo di Panama con le sue navi rimaste.
Ma il destino gli era avverso.
Lungo la rotta verso Panama, Drake fu colpito da una febbre maligna che lo debilitò progressivamente. Hawkins cercò di curarlo con le sue medicine, ma senza successo. Drake sentiva che la sua fine si avvicinava e volle vedere per l’ultima volta il mare che tanto amava.
Il 28 gennaio 1596, Drake fu portato sulla tolda della sua nave ammiraglia, la Golden Hind. Era pallido e magro, con gli occhi spenti e la voce fioca. Chiese di essere vestito con la sua divisa da viceammiraglio e di essere circondato dai suoi ufficiali e dai suoi amici. Tra questi c’era Hawkins, che gli teneva la mano.
Drake guardò il mare e il cielo e disse le sue ultime parole:
«Amici miei, ho vissuto una vita piena di avventure e di gloria. Ho navigato per tutti i mari del mondo, ho combattuto contro i nemici della mia patria, ho scoperto terre sconosciute, ho accumulato tesori inimmaginabili. Ma ora il mio tempo è finito e devo lasciarvi. Non piangere per me, ma ricordate le mie gesta e seguite il mio esempio. Siate sempre coraggiosi e leali, siate sempre fedeli alla vostra regina e al vostro Dio. E ora, addio.»
Detto questo, Drake chiuse gli occhi e spirò.
Hawkins e gli altri lo piansero amaramente e lo onorarono con una salva di cannoni. Poi lo avvolsero in una bandiera inglese e lo gettarono in mare, secondo il suo desiderio.
Drake era morto, ma la sua leggenda era appena cominciata.
PIRATI, CORSARI E BUCANIERI di IA
genere: STORIA