QUANDO LA PROFEZIA SI AVVERA di Sara Francucci (prima parte)
genere: FANTASY
Epoca romana.
Velia, con la mente disfatta e le gambe tremanti, si trascina avanti sulla sua strada come un vecchio cane. È alla fine del suo vivere randagio.
Marzia, la sua unica figlia se ne sta andando.
Augusto ha chiesto la sua mano.
È una sofferenza che, a costo di perdere la vita, una madre deve sempre negare di avere.
È il girotondo dell’esistenza.
Ora lei è fuori anche se le pare ancora di vedere entrare quel frugolino innocente che strepita per casa con il suo gioco preferito.
«Siete pronta Velia?» chiede Tito affacciandosi appena alla porta della sua camera.
«Sì, sono pronta» dice Velia guardandosi allo specchio più volte, come faceva da giovane.
«Dobbiamo accompagnare Marzia …»
«Andiamo …» dice Tito prendendola sottobraccio.
Marzia prima di varcare la soglia nella sua nuova dimora dice:
«Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia!» (Dovunque tu sia, lì io sarò!)
Sono parole che fanno parte del cerimoniale del matrimonio romano: dopo il banchetto nuziale, la sposa Marzia giunge accompagnata alla casa del marito Augusto, che in piedi sulla soglia le chiede come si chiama. Ella risponde con quella frase, esprimendo la sua volontà di comunione di vita.
Allora, le persone che l’hanno accompagnata la sollevano di peso e la fanno entrare in casa evitando che ella tocchi la soglia.
Quando tutti s’è ne vanno, Velia rimane sola con la figlia e le consegna un ciondolo:
«È qualcosa di ancestrale e non ha nulla a che vedere con l’essere credente. Forse possederlo ti servirà a canalizzare meglio le tue energie positive e a sentirti un po’ più sicura tra le incertezze della vita. Mia madre me lo aveva regalato prima di morire. Da allora l’ho portato sempre, confidando che lei fosse il mio angelo custode. Credevo che sentendo il suono del ciondolo, sarebbe rimasta sempre vicino per proteggermi. Io sono alla fine … ora sei tu ad averne bisogno. In qualsiasi postò sarai, il mio amore ti proteggerà sempre … Devi sapere inoltre che nel ciondolo è racchiuso un segreto che si svelerà solo a chi avrà la purezza d’animo. Io, evidentemente, questa purezza d’animo non l’ho avuta!» conclude Velia abbassando lo sguardo.
I giorni passano e i genitori muoiono.
Trascorrono altri anni.
Il fratello più piccolo di Marzia, Simon, parte per il Medio Oriente.
Lei le dà la cosa più preziosa: il ciondolo avuto da sua madre affinché lo protegga.
A distanza di mesi arrivano dei romani a cavallo. Le portano la notizia della morte di Simon. A riprova, le consegnano il ciondolo che lui portava sempre con sé.
Marzia, prima di morire, dona il ciondolo alla sua amica Helena affinché lo consegni alla figlia che lei non ha avuto.
Neanche a Marzia il segreto del ciondolo era stato svelato.
Molti, molti, molti anni dopo
La luce dei lampioni fa vedere appena il volto di Helena.
Ella appare triste, impaurita, con lo sguardo rivolto verso il basso.
Sta per compiere un gesto enorme.
Non pensa di esserne capace.
Ha tra le braccia un bambino appena nato, avvolto in un caldo fardello di panni e coperte.
Cammina dapprima frettolosa, poi si ferma, si accuccia per terra.
Spera che accada qualcosa, un miracolo che la fermi, la sfiori, le faccia impedire quel gesto inumano.
Il cielo è gonfio di grossi nuvoloni color di piombo. Essi gettano su di lei le livide tinte della notte. Il suo cuore è come una spugna non spremuta abbastanza dal dolore.
«Che Dio abbia pietà della mia anima!» sospira Helena mentre un dolore ancora più forte, come lava ardente, le cala giù nell’anima.
«Non voglio lasciarti … non voglio lasciarti … ma in questo modo so che non morirai ed io non ti perderò. Come può un figlio perdonare una madre che lo abbandona? Come può? Io non ho scelta piccolo mio. Perdonami … perdonami!»
Si mette a piangere singhiozzando e in quella notte infinita il cuore di Helena trova pienezza nel vibrare e consumarsi per quell’amore che solo una madre può avere.
Rimane a lungo così seduta, sentendo il suo tepore, la testolina sulle sue spalle e le manine sopra al suo seno.
Si rialza, incespicando, quasi senza più forze e riprende la sua strada verso il luogo della separazione.
Ora cammina piano, più piano di una lumaca, perché in quel momento vorrebbe fermare il tempo e vivere per sempre dentro quell’attimo, pieno di tutto.
Continua a camminare nascondendosi dal mondo dietro un fazzoletto grigio che le avvolge la testa e le raccoglie le lacrime.
È tardi e in giro non c’è nessuno tranne un paio di passanti che vagano anche loro fra le tenebre con la sensazione di morte nell’anima.
Tutto è bianco e grigio come un solco di cenere.
Si ferma davanti alla statua di un Gesù Cristo e, ascoltando l’ultimo respiro di suo figlio, Helena, inginocchiandosi, esclama:
«Nelle tue mani, Signore, metto la vita di mio figlio!»
Lascia lì il bambino e, mentre il suo viso, rigato di lacrime, è rivolto verso il cielo continua:
«Ogni giorno penserò a te che sei stato e sarai per sempre un dono inestimabile. La povertà in cui sono costretta a vivere non mi consentirà di farti crescere nel mondo che io avrei voluto per te. I pregiudizi mi avrebbero marchiato come un ferro arroventato nonostante la violenza che ho subito dal mio fratellastro. Nessuno avrebbe compreso. Sarei stata rifiutata da chiunque e allora io cosa potevo darti costretta a vivere nel ghetto di soli stenti?»
Helena si rialza lasciando che la ruota inghiotta suo figlio e urla:
«Che Dio ti benedica e ti protegga fino a quando ci incontreremo di nuovo … e per sempre!»
Poi, Helena si allontana sotto il buio cupo della notte.
Le sue mani stringono con forza lo strano ciondolo che tiene al collo.
Un anno dopo
Helena cammina per le vie del piccolo paese dove, per lei, sta diventando soffocante tirare avanti.
Tutto si viene a sapere, tutti conoscono tutto e la privacy, più che un diritto, diventa un miraggio.
A Cingoli, si respira un’aria di fratellanza. Il valore della famiglia, così come quello dell’amicizia, è più avvertito. Si rimane attaccati a dei pensieri cardini considerandoli come obblighi morali, i quali valgono più di tutti gli altri.
A Cingoli c’è allegria, nonostante che il borgo appaia molto meno moderno, poco illuminato, privo di costruzioni enormi e di qualsiasi progresso visibile in città.
Per strada ci si saluta con tutti e si scherza senza limiti con un rischio molto basso di patire la solitudine.
C’è pace e tranquillità ma anche indiscrezione. Infatti, c’è la brutta abitudine di impicciarsi dei fatti altrui, anche se ognuno dovrebbe pensare a sé stesso.
Nei piccoli borghi, si riporta tutte le note stonate, perché tutti sono sotto osservazione, ed esposti al giudizio popolare.
Helena, invece, cammina frettolosa e a testa bassa quasi come se volesse essere invisibile agli occhi degli altri.
Ci sono alcuni signori ai lati della strada che discutono tra loro.
Quando Helena passa di lì, tutti ammutoliscono e la seguono con lo sguardo.
Prima che alla si allontani uno di loro dice:
«Sapete chi è quella?».
«Certo che lo sappiamo, lo sanno tutti» dice un altro.
«E’ la sorellastra di Heremes!».
«Heremes chi?» chiede uno con una berretta fino agli occhi.
«Heremes… quel brigante!» spiega il primo.
«Ah…».
«Ora sapete cosa si dice in giro?» asserisci un signore coi baffi.
«Cosa?» chiedono gli altri.
«Che lei abbia avuto un figlio da suo fratellastro …».
«Mammamia povera figliola come s’è rovinata!» dice ancora un signore.
«Che peccato guardate … quant’è bella!».
Helena rallenta il passo, poi gira appena il capo perché ha capito che stanno parlando di lei e vorrebbe gridare contro la sua rabbia. Con le spalle fa un cenno di chiusura e decide di continuare a camminare.
Si ferma su una locanda dove ha saputo che il padrone è in cerca di personale.
Bussa.
«Chi è?» chiede una signora anziana.
«Buongiorno signora, sono venuta perché ho saputo che cercate personale …».
Nel frattempo, arriva il marito Armando, un arzillo vecchietto con l’occhio lungo.
«Sì bella fanciulla noi cerchiamo qualcuno che ci possa aiutare in cucina e che si renda disponibile a fare quello di cui noi abbiamo bisogno … poi s’è anche bella tanto meglio» termina il signore confuso da tanta bellezza.
“Sì io mi renderò disponibile!” esclama Helena elemosinando.
La vecchietta in quel momento dà una gomitata a suo marito e dice:
«In verità prima di lei è venuta un’altra ragazza e quindi non abbiamo bisogno!».
«Cosa?» chiede il marito.
«Si, Armando, ha parlato con me stamattina … perciò la salutiamo signorina».
Helena abbassa lo sguardo e si rammarica perché capisce che la moglie conosce il suo passato.
Quindi s’è n’è va senza salutare frustata come un cane bastonato.
Cammina lentamente con una ridda di pensieri che le si accavallano nella mente:
“Ho la colpa di essere la sorellastra di Heremes.”
“Ho la colpa di essere bella.”
“Ho il sospetto di essere anch’io un furfante come lui.”
“Ho l’etichetta di una poco di buono per aver concepito un bambino con il mio fratellastro.”
“Ho questa reputazione per non essermi ribellata ai soprusi di Heremes … ma io cosa potevo fare da sola?”
Lei credeva alle sue promesse e sperava che sarebbe tutto finito.
Stava zitta, perché si vergognava di quello che succedeva.
Le sembrava quasi di essere stata la causa degli schiaffi, degli spintoni e dei calci e non voleva che nessuno lo sapesse.
Ha accettato, subito e nascosto i lividi per amore delle apparenze.
Intanto la sofferenza che trascina tra le rovine dei suoi sogni le dà la forza necessaria per resistere allo scorrere del tempo.
Con i pugni fende l’aria mentre seguita a camminare.
Quante botte ha preso pensando che sarebbe stata l’ultima volta. Non c’è né mai un’ultima volta … ce né sempre un’altra dopo e poi un’altra, in una spirale infinita.
Un uomo violento non cambia da un momento all’altro, al massimo peggiora se non si trova la forza di ribellarsi ed evidentemente lei quella forza non l’hai mai avuta.
Helena ha preferito stringere i denti, truccarsi il viso e continuare a sorridere come se tutto andasse bene.
“Come posso ribellarmi ora?” si domanda Helena.
“Qualsiasi momento sarebbe stato meglio che nessun momento!”
“Ogni momento sarebbe stato quello giusto per ribellarsi e conquistare la libertà!”
Dopo i giorni dell’abbattimento e della disperazione, Helena ritrova la forza e il coraggio.
Continua a bussare chiedendo un lavoro. Sa che solo da lì potrà ripartire.
Scivolando come un’ombra, rasenta i muri nelle vie di Cingoli cercando di apparire invisibile. Chiude le orecchie ai ronzii della gente che brulica nella piazza Vittorio Emanuele II.
Finalmente arriva al palazzo Castiglioni.
Bussa.
Apre un maggiordomo:
«Casa desiderate signorina?»
«Vorrei parlare con il signore Maffei, per favore» aggiunge Helena.
«Prego si accomodi» le dice il maggiordomo invitandola a seguirlo in soggiorno.
«Grazie!» esclama lei imbarazzata e timorosa contemporaneamente.
È colpita dalla magnificenza di quella enorme stanza e immagina le meraviglie dell’intero palazzo.
I suoi occhi vagano ammirati e pensa alla sua casa misera con appena un piccolo tavolo per mangiare.
Mentre questi pensieri vagano perla sua mente arriva il Conte Giovanni Maffei.
«Buongiorno signorina!».
«Buongiorno signore, … sono in cerca di un lavoro e vorrei sapere se voi ne avete bisogno …» dice lei, scoraggiata e titubante, con lo sguardo basso.
«Signorina voi …» inizia il conte.
«Non vi preoccupate» lo interrompe Helena priva di speranze.
«Stavo appena dicendo che voi siete arrivate proprio nel momento opportuno. Mia moglie è malata ed io ho bisogno di qualcuno per accudirla».
«Cercherò di fare del mio meglio signore» dice con uno sprazzo di gioia a fronte della palese tristezza del conte.
«Bene signorina … da domani potete trasferirvi da noi. Io ho veramente tanto bisogno».
«Posso chiedervi un favore?» la previene il padrone di casa.
«Sì, certo» risponde la giovane.
«Vorrei farvi conoscere mia moglie Caterina» dice il conte. «Se voi avete pazienza di aspettarmi porterò Caterina qui».
CONTINUA
QUANDO LA PROFEZIA SI AVVERA è un romanzo di Sara Francucci (prima parte)
genere: FANTASY