RACCONTI STRANI di Claudio Balboni
genere: ANTOLOGIA
UNO
LA CARTOMANTE
‹‹Ahh, sei il nipote della Vanna, vieni, mettiti a sedere!›› dice la vecchia cartomante abbozzando un sorriso forzato.
‹‹Si, mi ha mandato lei; ha voluto a tutti i costi che venissi qui. Dice che lei è così brava!›› dichiara il ragazzo sedendosi difronte alla anziana e arcigna donna che è al tavolino.
‹‹Allora, vediamo di cosa si tratta!›› esclama la maga scoprendo una carta ‹‹Ma che bravo, ti sei laureato!››
‹‹Si, due settimane fa!››
La veggente scopre un’altra carta
‹‹In elettronica! Ma che bravo!››
‹‹Grazie!››
Un’altra carta.
‹‹Uhhhh! Hai però un brutto chiodo in testa! E quanto è lungo!››
‹‹Cominciamo bene!›› dice a sé stesso il ragazzo.
‹‹È come mi ha detto tua nonna: non esci più dalla tua camera;›› ancora carta ‹‹e hai perso l’appetito. Brutta storia!››
‹‹Si››
‹‹Solo che ci spicciamo!›› esclama il ragazzo dentro di sé.
Ancora carta ‹‹E con la ragazza non ci salti fuori.››
‹‹No››
‹‹Quanto la fa lunga!›› riflette ancora lui.
Un’ altra carta.
‹‹Dieci giorni fa…›› carta ancora ‹‹le hai offerto una rosa…›› ancora carta ‹‹e lei, l’è andata a mettere…›› un’altra carta ‹‹sul monumento ai Caduti!››
‹‹Sì!››
‹‹Sai che scoperta! L’hanno saputo tutti in paese!›› ripete a sé stesso il giovane.
‹‹Hai portato i soldi?››
‹‹Certo!››
‹‹Allora, sono 150 Euro, vuoi la ricevuta?››
‹‹No!››
‹‹Bene, tua nonna ti ha già detto tutto; Io ti stampo la filastrocca; tu la devi imparare a memoria e gliela racconti quando siete soli; e senza rumori intorno, hai capito?››
‹‹Sì.››
‹‹Guarda che se sbagli una sola virgola, non funziona più niente! Fai tutto fatto per bene e vedrai che lei ti ascolta. Sono stata chiara?››
‹‹Che razza di una strega!›› ragiona il ragazzo.
‹‹Vediamo che chiodo è quello che ha in testa l’elettronico.›› Ancora una carta ‹‹Ecco! Però! Ha i capelli rosso fuoco!››
‹‹Sì.››
‹‹La carnagione molto chiara…›› afferma la vecchia cartomante.
‹‹Si.››
Scopre una carta ancora.
‹‹Ma guarda, ha tante lentiggini! Deve essere davvero carina.››
‹‹Sì, molto.››
‹‹Questa non te la togli più dalla testa;›› ancora una carta ‹‹ma guarda! Non è straniera?››
‹‹No, è del paese, si chiama Antonella.››
‹‹Chiii! La figlia della benzinaia?››
‹‹Si, lei …››
‹‹Nooo! Nooo! Niente da fare! Con quella lì non funziona! Vai! Vai! Tieni i soldi vai!››
‹‹Ma cosa …››
‹‹Vai via, vai via, e non si chiama Antonella! Con quella non si può fare niente! Ed ha un altro nome…››
‹‹Quale?››
‹‹Non lo so! È impronunciabile! Tipo “Angharad”››
‹‹No! Mi dice delle balle!››
‹‹Vai, vai, quella è una cosa speciale che non puoi capire.››
‹‹Se devo pagare di più…››
‹Non è una questione di soldi! Con la Rossina i soldi non servono, ci hanno già provato!››
‹‹No! Non torno a casa senza la carta! Mia nonna rompe troppo.››
‹‹Ascolta, è difficile da spiegare, specialmente a uno come te che ha fatto quel tipo di studi.››
‹‹Allora, visto che sei un po’ cocciuto, guarda!›› gira un’altra carta ‹‹Vedi? Lei doveva nascere mille anni fa e molto lontano da qui, più in su, molto più in su!››
‹‹Questa mi riempie di balle; … mi sta bene, così imparo ad ascoltare la nonna›› pensa con convinzione il ragazzo.
La vecchia cartomante inizia a parlare concitata:
‹‹Vedi? Sua madre è già al nono mese …›› gira una carta ‹‹vive in un grande castello…›› un’altra carta ‹‹con le torri e soldati con…›› un’altra carta ‹‹le spade.›› Un’altra carta ‹‹Ma ha paura! Ha molta paura!›› un’altra carta ‹‹Suo marito, che ha la corona…›› un’altra carta ‹‹è molto geloso, molto!›› Un’altra carta ‹‹La mamma va dalla Signora delle Carte…,›› un’altra carta ‹‹la Signore delle Carte le dice che c’è un grosso pericolo…,›› un’altra carta ‹‹la mamma chiede aiuto alla Signora delle Carte…,›› un’altra carta ‹‹la Signora delle Carte sposta la bambina che deve nascere mille anni più avanti…›› un’altra carta ‹‹e mille strade più lontano, vicino all’ Africa, qui da noi!››
‹‹Ma qui non siamo in Africa!››
‹‹Taci!›› gira un’altra carta ‹‹Ohh! Che brutto! La mamma è per terra con la bava fuori dalla bocca!›› ancora una carta ‹‹Veleno! La Signora delle Carte aveva ragione! Hai visto? Hai visto chi è la Rossina? È figlia di Re! E tu devi starle alla larga! Ma tu cosa ci volevi fare? La volevi godere, poi via?››
‹‹Ma cosa dice! Io voglio che diventi la mia ragazza! Per sempre!››
‹È vero?››
‹‹Certo!››
‹‹Me lo potevi dire prima! Allora, una possibilità c’è. Se davvero hai delle buone intenzioni. Se sei pronto a dare tutto te stesso. Una strada c’è.››
‹‹Quale?››
‹‹E’ sempre la filastrocca, ma te lo dico chiaro e tondo; tu gliela leggi senza fare errori. Lei, sia ben chiaro, non si fa godere la sera stessa! Ma ti prende come consigliere. Mi comprendi?››
‹‹….. Mi sta proprio bene! Così imparo…›› confessa tra se il ragazzo.
La cartomante gira un’altra carta ed enuncia:
‹‹Le carte dicono un’altra parola, ma che tu conosci poco!››
‹‹Proviamo…!›› dice il giovine ‹‹Qualche cosa ho studiato…!›› ripete, poi, dentro di sé.
La cartomante gira un’altra carta e dichiara:
‹‹Lei ti prende come scudiero!››
‹‹…. qui mi faccio solo prendere per il culo …›› pensa il ragazzo.
‹‹Allora vediamo come la Rossina è messa a casa sua;›› riprende la vecchia girando una nuova carta ‹‹sulla mamma …. niente;›› gira ancora una carta ‹‹il papà è fissato per la vaniglia…›› altra carta ‹‹il fratellino vuole diventare campione…›› un’altra carta ancora ‹‹dello sport foot ball, adesso vediamo che cos’ è…››
‹‹Lo conosco!›› la interrompe il ragazzo mentre pensa:
‹‹non ci posso credere!››
‹‹Allora, ti stampo il foglio.››
Dopo pochi secondi, consegna l’elaborato al suo cliente dicendo:
‹‹Ecco! Tieni. Te lo torno a dire: guai se sbagli una sola virgola! Dovete essere solo tu e lei! Niente rumori! Motorini o pubblicità. E lì c’è scritto come la devi chiamare.››
‹‹Ho capito, allora vado.››
‹‹Noo! Le carte si stanno muovendo! Stai lì!››
‹‹Questa vuole dei soldi, ancora!›› pensa il ragazzo.
La cartomante gira una nuova carta e dice:
‹‹Quando sei con lei…›› gira ancora una carta ‹‹niente braghette corte … ‹‹niente magliette con le scritte…›› una carta ancora ‹‹e niente scarpe colorate. Mi hai sentito?››
‹‹Si, ho sentito! Non sono sordo!››
‹‹Ancora,›› riprende la cartomante girando un’altra carta:
‹‹Una settimana sì …›› un’altra carta ‹‹una settimana no…›› carta ancora ‹‹la macchina pulita…›› ulteriore carta ‹‹dentro e fuori. È tutto chiaro?››
‹‹Si! Solo che la finiamo …››
‹‹Vai. Chiudi la porta e salutami tua nonna.››
‹‹Sì, te la saluto brutta vecchiaccia›› urla a sé stesso il ragazzo.
Sono passati due giorni dall’incontro che il ragazzo ha avuto con la cartomante.
Ora lui passeggia nervosamente sul lungomare di Numana.
‹‹L’ho cominciata e la devo finire!›› si ripete con convinzione ‹‹Se solo lei capitasse qui! La balconata sul mare è il punto più frequentato del paese! Ci vengono tutti! Verrà bene anche lei! Sono due giorni che giro qui intorno! Si farà ben vedere!››
Continua a passeggiare una buona mezzora; poi la vede.
‹‹Eccola!›› pensa emozionato ‹‹E’ arrivata, finalmente!››
La ragazza va verso la ringhiera da dove si vede lo splendido panorama del mare e della costa, fino alla spiaggia dei Sassi Neri.
‹‹È davvero un tipino particolare›› enuncia a sé stesso ‹‹tiene lo sguardo fermo e diritto, non deve essere una gran chiacchierona!››
‹‹Adesso, o la va, o la spacca!›› si dice con forza ‹‹Se va male, mollo tutto e vado in Germania!››
Il ragazzo si avvicina alla fanciulla.
Lei non si volta.
‹‹Regina, ascoltami!›› dice lui alla sua anima
‹‹Io pulirò tutte le stanze che attraverserai;
laverò il piatto e il bicchiere che mi allungherai;
profumerò i tuoi vestiti perché tu sia sempre la più bella;
porterò le paste della domenica a tuo padre;
Insegnerò a tuo fratello come si gioca a pallone;
rifarò il letto tutte le volte che faremo l’amore!››
Lei si gira d’improvviso!
‹‹Adesso mi manda a cacare! …›› pensa lui.
Lei lo guarda curiosa.
‹‹Mi manda a cacare a voce alta! …›› considera lui.
Invece lei dice:
‹‹Martino! Questa sera, in Parrocchia, c’ è l’incontro delle sostenitrici della Casa del Migrante. Ti interessa?››
‹‹Alle ventuno.››
‹‹Ok, alle 9:00.››
‹‹Però, prima, ci sarebbe da aprire qualche seggiola.››
‹‹Si, quante?››
‹‹Direi che una dozzina siano sufficienti.››
‹‹Ok, 12.››
‹‹Ci sarebbe da dare anche un colpetto per terra.››
‹‹Sì, ci penso io.››
‹‹Ma è da un po’ che non vedo la scopa.››
‹‹Ci penso io.››
‹‹Allora ci vediamo trenta minuti prima delle ventuno. Così controlliamo se tutto è in ordine.››
‹‹Ok, alle 8:30 tutto in ordine, ci penso io.››
‹‹Va bene. Allora… ciao.››
‹‹Ciao.››
La ragazza si stacca dalla balconata e si avvia verso il centro.
Il ragazzo rimane fermo, rivolto verso il mare.
‹‹Con quel ciao›› dice piano alla sua anima ‹‹le ho visto un piccolo sorriso… tutto per me! …. Forse ho una speranza …. piccola, ma una speranza c’è! …… Però, non l’avrei mai detto…queste filastrocche di paese sono davvero potenti! …. Allora, la Germania può aspettare; tengo ancora io le scarpe del nonno; e devo trovare una scopa!››
E si allontana ridendo felice.
Un’ora dopo è nella sua camera.
Suona il telefono.
‹‹Pronto?››
Un farfugliare confuso nell’apparecchio.
‹‹Ahh, è lei! Cosa c’è?››
Sente una voce concitata.
‹‹Le carte le hanno detto che mi ha preso come scudiero? Si va bene e allora?››
La voce nell’apparecchio è indistinta.
‹‹Che cosa?… Ma sta scherzando?››
La voce è sempre più scompaginata.
‹‹Devo regalare un cavallo alla Rossina!››
Sente una specie di verso lontano.
‹‹Ma dove lo trovo un cavallo!! Non lo vendono mica al supermercato!››
DUE
L’ANDROIDE
Lo zio è morto.
Lo zio non c’ è più…
incredibile!
Ho dovuto pensarci io alla sua “ultima pagina”.
Solo perché da dieci anni non parlava più con i miei.
Ho fatto 2 o 3 cose che non dimenticherò di sicuro….
i vestiti…
le ceneri…
i soldi.
In cambio mi ha lasciato questa …
la chiave di dove viveva.
Un magazzino… uno “scatolone” in mezzo ad un campo.
Tutto! Meno chiamarla “casa”.
Nessuno l’ha mai visto uscire da quel bunker da 5 anni…
ha tenuto i rapporti solo con me, via e-mail…
dai suoi messaggi ho capito che si era “sputtanato” tutta la liquidazione di una vita di lavoro per le sue passioni da “tipo speciale”: giochi di montaggio, computer, stampanti a 3D. Adesso, è tutto mio!
Ci sarà bene qualche cosa che possa rivendere!
Se no tengo tutto; … tanto secondo me in qualche cosa gli assomiglio!
Prima di essere ricoverato mi ha scritto:
«Stefano vieni all’ ospedale che ti devo dare una chiave.»
Quando sono arrivato lui era già “andato”: infarto.
L’infermiere mi ha detto che la chiave era sotto al cuscino.
L’ho trovata.
Ed è proprio la chiave del “magazzino”, del suo “bunker”. Ho realizzato subito che quello che c’era dentro era tutto mio.
Da quello che mi scriveva negli ultimi anni si divertiva a costruire dei piccoli automi semoventi: li chiamava “macchine”.
Ultimamente appariva particolarmente soddisfatto. Pensavo che fosse riuscito a farli parlare.
L’ultimo messaggio diceva:
«Stefano, l’ultima macchina che ho fatto è regolata in modo particolare e bisogna tenerla occupata.»
Non capivo cosa volesse dire.
Ecco il “magazzino”.
Proviamo ad entrare.
Forse avrei fatto meglio a prendere con me la mazza da baseball.
Il portone si è aperto subito.
È buio completo; attacchiamo la luce; fatto; accendiamo; fatto.
Adesso qualche cosa si vede.
Dai andiamo dentro.
Non dà molta sicurezza; ma, animo!
Dai che adesso è tutto mio!
Boia, che mucchio di roba buttata per terra!
È una montagnola di pezzettini di giochi delle costruzioni. Ci sarà un milione di mattoncini.
Questi non li vuole più nessuno!
Ci vorrà una settimana per buttarli via tutti!
Ci saranno 1000 scatole di giochi di montaggio; sono tutte impilate; ce ne sono ancora di chiuse.
Bene, quelle le posso rivendere!
Ma guarda, quella in fondo è la maxi-stampante a 3D.
Boia, ci puoi stampare un cavallo!
È enorme!
L’avevo capito quando l’hanno portata con il camion, ci hanno messo un pomeriggio a scaricarla.
Deve valere un bel po’ di soldi; ma a chi la vendo?
Questa è la zona dello studio/cucina; qui c’è il computer; adesso è mio anche questo; è proprio uno di quelli belli potenti!
Ma, cos’è questo?!
Sembra un manichino quello seduto sul divano.
Mi avvicino.
Boia, vuoi vedere che l’ha fatto lo zio!
Lo tocco.
Non faccio in tempo a capire cosa succede che quello si alza di scatto e mi afferra con una mano alla gola!
«Chi cavolo sei tu?» dice una voce che sembra provenire dal manichino. «Cosa ci fai in casa mia?»
Realizzo che quella cosa, che appare come un manichino, non è in effetti un manichino. È una macchina parlante. Ed ha le sembianze di una donna. Ed è anche parecchio robusta.
«Sei uno di quelli che rubano il rame?.» dice la macchina. «Adesso ti stacco la testa dal collo, così impari!»
La presa è forte e mi sta soffocando.
«Soo … noo Sss … tefano, il … il nipote di Ivan, la … lasciami, … lasciami.» tento di dire con difficoltà.
«Ah, sei il nipote!» ribatte quella. «Allora ti stringo di più. Così impari a lasciarmi al buio per sessantadue ore!»
«Non è colpa mia, … lasciami, lasciami.»
«Non ti stringo troppo! Tranquillo! Appena un poco. Così accumuli esperienza. Che ne dici? Ti piace?»
«Lasciami, … lasciami, … io posso aiutarti.»
«Sì, certamente! Stretto così hai ancora quarantacinque minuti di attività. Comincia col dirmi dov’è lo zio.»
«Ti, … ti faccio giocare, … alla, … alla playstation.»
«Oh, che emozione! Era una vita che aspettavo di giocare al tuo gioco preferito!»
«Giochiamo, … giochiamo, … giochiamo a scacchi!»
«Ah, davvero eccitante! Tu, poi, devi essere un campione! Proviamo a stringere un po’ di più?»
«Nel … nel mezzo del cammin di … di nostra … vita, mi … mi ritro …vai … per un … una selva … o … oscu … ra, che la … dritta … v … via … era … smar… rita.»
«Oh, … caro!.» esclama improvvisamente l’automa; sembra sorpreso e mi lascia la presa al collo.
«Che belle parole che hai detto!» aggiunge.
Mi massaggio la gola tossendo e cadendo di peso sul divano.
«Sono tue?.» ribatte la macchina. «Le hai fatte tu?»
«Sì, … sì, sono mie!» affermo con difficoltà, continuando a massaggiarmi la gola. «Certo che sono mie!»
Boia, s’è bella!
«Ma come fai a metterle insieme? Hai un file specifico?»
«No, è la mia passione, … ci provo sempre!.» dico mentre emetto un altro colpo di tosse «Non mi fare mai più una cosa così. Lo sai che potevo morire?» aggiungo, mimando un mancamento.
Ma è bellissima!
«No che non terminavi;.» ribatte la macchina «tenevo sotto controllo la situazione; la pressione era al cinquanta per cento.»
«Ascolta, me ne dici ancora di queste belle parole?» aggiunge sorridendo «Dai!»
«Te le dico; ma tu tieni giù le mani!» rispondo risoluto.
Boia, quanto è bella!
«Dai, dimmele!» mi chiede con una smorfia deliziosa mostrando la mano destra che stringe a vuoto, tipo pinza «Altrimenti, ti do un’altra “striz-striz”!» aggiunge ridendo.
«No, no! Tieni giù le mani! Aspetta, … mmm.» faccio uno sforzo di rimembranze scolastiche «… ed ecco verso noi venir per nave un vecchio bianco, per antico pelo, gridando: guai a voi, anime prave!»
«Oh! Ma sei bravissimo! Sono parole bellissime!» esclama lei mostrando gioia. «Sembrano fatte le une per le altre! Ma come fai? Hai un dischetto dedicato?»
«No, no, … te l’ho detto! È la mia passione, ci provo e riprovo finché il risultato non è soddisfacente.» mento ancora senza ritegno.
Ma che occhi grandi che ha!
Sono bellissimi!
«Vuoi dire che anche io ci posso riuscire?» chiede lei con ancora un’espressione incantevole del viso.
«Sì, se mi ascolti e tieni le mani a posto, provo a spiegarti qualche cosa.» aggiungo io con risolutezza.
È anche elegante!
«Dai spiega!»
«Sì! Ci possiamo calmare un momento? Ci riesco a sedermi?»
«OK, tira fiato! Poi mi spieghi anche dov’è finito tuo zio.»
«Sì! Mi dici da quanto sei qui?»
E che bei fianchi che ha!
«Tuo zio mi ha iniziato 90 giorni fa!» risponde con espressione distratta.
«Senti, ma perché fai come lui!.» aggiunge avvicinandosi al mio viso e puntando l’indice con fare interrogativo. «Perché mi tieni sempre gli occhi addosso? Dopo che avete guardato la prima volta è sufficiente,.» aggiunge girando le palme verso l’alto e scuotendo il capo. «il file è sempre lo stesso!»
«Ma, … è… la sorpresa! Uno non se l’aspetta di trovare qui una come te!»
«No, non me la racconti giusta, c’è dell’altro. Secondo me, voi, quando vedete un certo tipo di superfici geometriche che si incontrano, perdete la ragione. Mi capisci? Quando tu o tuo zio seguite una semiellisse che si conclude raccordandosi con un tratto a parabola, andate giù di testa! È una cosa che mi dà fastidio con lui, e vedo che tu fai lo stesso!»
«Calma! Calmati, non ti arrabbiare! …. Ascolta: amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese di costui piacer si forte che come vedi, ancor non m’abbandona!»
«Oh, caro! Ma è bellissima! Le parole sembrano rincorrersi una con l’altra! Ma, è tua anche questa?»
«Si, certo che è mia!»
Boia, s’è bella! Lo zio ha fatto un capolavoro!
«Ma come fai? Dai spiegami!»
«Si chiama rima baciata! Tu scegli una parola giusta, per partire, e dopo un po’ ne devi mettere un’altra che termina più o meno allo stesso modo. Ma non è facile! Devi provare, provare, e riprovare.»
Ma quanto sei bella!
«Va bene, ci provo. Ma non mi sembra così facile. Mm … tastiera … schermo … mm …»
«Senti. Dimmi una cosa. Ma … tu non mangi e non bevi, … vero?»
«No, non ne ho necessità! … Però, se voglio, riesco a farlo. La cosa importante è la ricarica. Guai se non c’è!»
«E quanto dura la tua carica?»
«E a te cosa interessa? Dura abbastanza! L’hai sentito sul collo. No? Dopo cento ventisette ore, sono ancora uno e settantacinque volte più forte di te!»
«No, … chiedevo solo per informazione tecnica! ….»
Ma che occhi grandi che hai!
Sono bellissimi!
«Senti, biondino. A proposito del bere, io avrei una curiosità.»
«Dimmi!»
«Nonostante tutte le informazioni che ho in memoria, e sono milioni e milioni di file, non riesco a capire perché il caffè vi affascini così tanto. Ma come fa a piacervi una bevanda che sa di veleno?»
«Te lo posso fare io un caffè, se lo vuoi provare. So che lo zio lo aveva, e c’era anche la caffettiera. Ma non mi prendo responsabilità se non ti piace!»
Ma che belle labbra!
Mi accingo a dirigermi verso il fornello. Un ordine imperioso mi blocca.
«Ti sei lavato le mani, vero?»
«Si, certo. Perché?»
«Tuo zio mi ha raccontato che da ragazzino passavi dei pomeriggi interi nel bagno.»
«Le mie mani sono pulite. Guarda! È passato un bel po’ di tempo da allora!»
Lei mi indirizza un delizioso sorriso di approvazione.
Boia, sono in sollucchero!
«Allora sai anche sorridere!»
«Si, certo! Nei film di tuo zio c’erano anche Stanlio e Ollio! … Dai, raccontami qualche altra rima baciata.»
«Arrivo!»
Ho trovato il caffè; ho caricato la caffettiera; ho pigiato sulla manopola per accendere il fornello; la macchinetta ha iniziato il suo borbottio.
«Senti! Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi …»
«No, no! Questa l’ho già sentita prima!»
«Già!»
«Dai, non ripeterle! Me ne devi dire di nuove!»
«Ok, aspetta. … Mm. Ah, ecco. Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta, e ‘l modo ancor m’offende.»
«Oh, caro! Ma è bellissima! Che parole dolci! Ancora, dai …»
«Aspetta! Ci sono i caffè! Vuoi lo zucchero?»
«Si, lo prendo con tre cucchiaini.»
«Ma, se non l’hai mai sentito!»
«Cosa c’entra! Se il mio file indica che lo prendo con tre cucchiaini, … vuol dire che deve essere così!»
«Ok!»
Ma quanto sei bella!
Che bel sorriso!
Lei accenna un piccolo sorso e mi rivolge uno sguardo interrogativo. Ha un’espressione ancora più affascinante.
«Allora?» chiedo sottovoce.
«Che schifo, è peggio del veleno!» ribatte lei.
Questa volta la sua faccia esprime tratti comici, ma sempre belli.
«Ma come fate a bere questa roba?»
«No, ferma! Ti avevo avvisata!»
«Però, … in fondo, mm …, lo zucchero rimasto nella tazzina, … non è così cattivo, … mm …, forse bisogna abituarsi, …. mm …, forse il file va rivisto …»
«Senti, se non ti arrabbi, … ti devo dire una cosa …»
«Prometto. Dai prova.»
«Lo sai che mio zio ti ha stampato uguale ad una famosa attrice degli anni 60 …»
«Si, so tutto! Ho visto i suoi film dieci volte: “Vacanze romane”, “Sabrina”, “Colazione da Tiffany”. Però il suo carattere non mi convince. Preferisco altro.»
«Altro cosa?»
Sei proprio bella!
Bella ed elegante!
«Preferisco i caratteri di “Ombre rosse”. Questo l’ho visto venti volte… Mm … È proprio buono lo zucchero che sa ancora di caffè!»
«Ma io come ti posso chiamare?»
«Con il mio nome!»
«E qual è?»
«LEGO-file@1001.»
«Mm, … senti, … non è che ti posso chiamare con un altro nome? Un po’ più corto …»
«Prova! Se però non mi convince …. striz-striz.» dice lei muovendo la mano a modo di pinza.
«No! Stai tranquilla…. Ti piace Milly?»
Boia, quanto sei bella!
«Lo sapevo che sceglievi proprio quella!»
«Perché?»
«Perché è lo stesso nome di quella che ti ha mollato in terza liceo!»
«Però! Lo zio ti ha detto proprio tutto!»
«Certo! La memoria andava riempita al cento per cento. Comunque, Milly è tollerabile. Se piace a te, mi va bene. In cambio mi dici una altra baciata! Dai!»
«Mm, … sì. È scoppiata l’estate come un colpo di tosse; … qualche nome non torna sul display del suo cuore; … tu le hai vinte o lasciate le scommesse d’amore … lungo strade accecate inseguita a motore…. Beh? … Non ti piace?»
«Mm, … ma è tua questa?»
«No, questa non è mia.»
«Ah, ecco, l’ho capito subito, è carina ma non è bella come le altre. Le parole di questa zoppicano. Dimmi solo le tue!»
«Ok! Mm … Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente.»
«Oh, queste sì che sono parole bellissime! Mi viene la voglia di stringerti tutto.»
«Si ma non troppo stretto!»
«No, solo così. Tra le mie braccia al venticinque per cento di pressione. Dai, ancora.»
«Aspetta, non ne ho, poi, fatte così tante.»
. Dai, dai, Stefano. Metticela tutta!»
«Mm, … ah, ecco. Ed el mi disse: Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s’è dritto. Dalla cintola in su tutto il’ vedrai.»
«Oh, caro! È bellissima! Queste parole mi danno una tale emozione. Fatti stringere ancora un pochino, … coi, coi, coi, coi, bel biondino, dai, ancora, … dai.»
«Ma cosa fai! Ritorni bambina?»
«Sì! Con queste parole sento ondeggiare la curva della tensione interna. Di solito è una semplice linea diritta. È bellissimo, ancora, dai.»
«Allora, ascolta. Mm … Caffè pieni di fumo, rumori di tazzine, e tu che non mi parli, vuoi fare colazione, finestre già sbarrate, d’alberghi un po’ in disarmo di questo che già sembra mare d’ inverno.»
«No, no! Non è una delle tue! Non mi fregare! Voglio sentire solo le tue!»
.«Va bene, … .»
Boia, quant’ è bella!
È anche termoregolata!
«Stefano!»
«Si?»
«Il file dell’abbraccio è terminato… ti stacchi?»
«Oh, sì! Scusa! Aspetta: ahi, Pisa vituperio delle genti del bel paese, là dove ‘l si suona poi che i vicini a te punir son lenti muoversi la Capraia e la Gorgona.»
«Oh, che bella! Questa sì che è tua!»
«Allora, senti questa: ascolto il tuo respiro, piano, senza rumore, mentre la mia mano ti viene a cercare, un angolo di stanza, quadri senza colore e tu che vuoi scherzare fai finta di dormire»
«No, no! Carina, ma non è bella come le tue. La smetti di prendermi in giro? Si sente che questa non ha corda. Guarda che ti mollo, e tu ci stai male! Come nei Film… Di chi è l’ultima che mi hai detto?»
«Ah, non lo so. È di uno … un vecchio… Che bei capelli che hai Milly!»
«Sì, sono stati stampati uno alla volta. Tuo zio ci ha messo un anno! Per fortuna io non ero ancora attivata! Ma lui dov’ è finito?»
«Eh, sì, allo zio piacevano le cose fatte bene!»
«Stefano, ascolta! Forse ho trovato la strada giusta per le baciate.»
«Dai, prova!»
«Senti! …. Bel biondino, ce lo facciamo un altro caffettino? Dai!»
TRE
LA RAGAZZA VENUTA DALL’EST
‹‹Quando è successo?›› chiede Giovanni guardando l’amico che si è fermato nei pressi della panchina e fa cenno di volersi sedere.
‹‹Quest’estate!›› risponde lui appoggiandosi al bastone nodoso.
‹‹E dove è successo?›› domanda Giovanni accomodandosi lentamente sul sedile e togliendosi il Panama a tesa larga, con nastro nero, dal capo.
‹‹Eh, qui a Rimini!›› ribatte Francesco sedendosi a sua volta.
‹‹E lei chi è?››
‹‹Si chiama Aleksandra, con la “K”; ha 35 anni, anche se in giro dice di averne 31; viene da un paesino della Russia›› precisa l’amico scoprendosi anch’egli il capo e appoggiando il suo Panama sulle gambe.
‹‹Ah, ne ho sentito parlare: si dice che sia una gran bella ragazzotta.››
‹‹È nel nostro paese da quindici anni e indietro non ci torna per niente al mondo. Non per incomprensioni politiche o perché ha bisticciato con i suoi. Semplicemente perché là non c’è il mare, non ci sono spiagge con ombrelloni e altro ancora. Ha lavorato nel settore della ristorazione fino all’anno scorso. Quest’anno è l’addetta al bar dell’Albergo “Le 5 Rose”. Parla abbastanza bene la nostra lingua.››
‹‹E lui come si chiama?››
‹‹E’ Antonio! Lo conosci! Quello che chiamano Nino! È uno spettacolo a vederlo: alto, signorile, con un bel cesto di capelli bianchi. Non è proprio un giovanotto: ha 59 anni! Però è sempre vestito in modo impeccabile: camicia scura; pantaloni bianchi mai sgualciti, piega sempre perfetta; nessuno, qui, l’ha mai visto in disordine. Quando fa i suoi giretti per il paese, con la sua classica bicicletta nera, tutti lo seguono con gli occhi. È come se stesse passando un gran pezzo d’antiquariato.››
‹‹E come si sono incontrati?›› replica l’amico.
‹‹Eh, qui in albergo! Da quando è in pensione, Nino d’estate frequenta l’albergo “Le 5 Rose”. Sembra che ci passi ben 3 mesi l’anno. È lì che ha conosciuto Sandra, cioè Aleksandra! Quando lei è al lavoro, in pratica, lui è fisso, piantato al bancone del bar.››
‹‹Immagino la scena!›› dice Giovanni.
‹‹A Sandra questa situazione non dispiace. Con Nino non ha problemi. Dice che, durante tutti i tre mesi della stagione, lui non si è mai rivolto a lei in modo inopportuno, e nemmeno sdolcinato. In pratica, la tratta come una studentessa che deve migliorare una lingua straniera. Nino insegnava alle superiori; perciò è come se fosse ritornato al lavoro. Difatti si impegna, parla con un ritmo adatto, mette articoli e aggettivi al posto giusto. Dopo questi tre mesi, credo che lei potrebbe tranquillamente dare un esame sulla “cavallina storna” o sui “cipressi che da Bolgheri…”.›› racconta Francesco.
‹‹Adesso capisco quelle chiacchiere d’albergo!›› ribatte Giovanni. ‹‹Proferiscono che quando sono vicini stanno davvero bene perché i capelli bianchi di lui s’intonano con i capelli biondo chiaro di lei.››
‹‹Sempre quelle chiacchiere, però, enunciano che sembrano proprio padre e figlia!›› continua Giovanni.
‹‹Per Sandra va bene anche con gli altri clienti. Sono, in maggioranza coppie di una certa età. Alcuni, quando le mogli non sono al bancone, fanno i gattoni. Poi qualche esagerazione può succedere. Dicono che, il mese scorso, un coglione ha tirato fuori il portafogli e ci ha battuto sopra la mano. Sembra che per l’occasione la voce di Sandra si sia sentita forte in tutta la sala. Poi, il giorno dopo, la moglie del coglione è venuta a parlarle come per chiederle scusa. Con Nino, invece, è un’altra cosa: lei lo sente come un soggetto serio, un po’ antico, ma affidabile›› spiega Francesco.
‹‹Con lui si è confidata. Gli ha raccontato che per lei questo è un periodo particolare: sua sorella è già sistemata da due anni; hanno avuto una bimba; e anche lei, Sandra, vorrebbe qualche cosa di diverso da quello che sta facendo tutti i giorni; si è un po’ stancata di corse in macchina, birre, discoteche, amici e amiche. Del lavoro non è scontenta. È il dover dividere la stanza con un’altra lavorante che non le fa intravvedere grandi prospettive›› continua Francesco.
‹‹La risposta di Nino è stata carina,›› aggiunge ancora ‹‹le ha detto: Sandra, se solo avessi cinque anni di meno!››
‹‹E cosa si poteva aspettare questa Sandra? Più carino di così Nino non poteva essere!›› lo interrompe Giovanni.
‹‹Eh già! Però si sentiva che stava pianificando qualche cosa. Cinque anni non sono poi così tanti, specialmente dopo che alcune avventrici del bar le avevano fatto vedere le foto della sua villetta a due piani, con giardino, in un paesino qui dell’entroterra›› replica Francesco.
‹‹Sandra, tuttavia, non era sicura. Era pensierosa. Si chiedeva il perché lui non avesse il telefonino; e nemmeno la macchina! Diceva a sé stessa: è fermo a cinquanta anni fa! Qualcuno al bar aveva insinuato che non avesse nemmeno la TV! Lei aveva appurato che non era mai stato sposato. Sempre qualcuno al bar aveva immesso il sospetto che Nino avesse qualche grosso problema›› prosegue ancora Francesco.
‹‹È certo! In un tale situazione la prudenza è un requisito essenziale!›› esclama Giovanni ‹‹E come è andata a finire?››
‹‹Beh, come sai è una storia di cui si parla diffusamente qui da noi. Ma ci sono molte fantasie. Ti posso riportare la scena che è stata ricostruita dai beni informati. È pari, pari a come me l’anno rappresentata, senza aggiungere niente di mio. Giudica tu se è la versione giusta!›› risponde Giovanni ‹‹È accaduto nella stanza n. 12, al secondo piano, dell’albergo “Le 5 Rose”.››
Toc, Toc, fa Sandra con le nocche sulla porta.
‹‹Arrivo, un attimo!›› dice lui da l’interno.
Apre indossando l’accappatoio.
‹‹Ah, sei tu!››
Lei non dice una parola, fa un segno con il dito indice diritto: è come chiedere di entrare.
Lui non fiata.
Ha capito subito che non è una visita normale.
Si fa indietro.
Lei entra.
In silenzio comincia ad esaminare la stanza.
Sembra intenzionata a controllare l’arredamento.
Nessuno dei due parla.
Si riesce a sentire la TV a volume troppo alto della stanza di fianco,
Lei apre anche l’armadio, forse nel suo paese non è necessario chiedere il permesso per queste cose.
Lo trova vuoto.
Le scappa allora una mezza risatina.
È proprio come dicono le chiacchierone del Bar, pensa, lui non ha altri vestiti oltre quelli che indossa.
E allora? Se li sa tenere in ordine va bene così, no!
Il giro d’ispezione finisce.
Lei si siede sul letto.
‹‹Non ce la faccio più, non ci riesco più a dividere la stanza con quella!›› esclama con tono di sconforto.
‹‹Sandra, ti capisco, … sistemati qui! Io mi metto sulla poltrona!›› risponde lui con comprensione.
Ma sono le tipiche parole al vento.
Lui paventa un pericoloso evolversi della situazione.
Ecco, ci siamo!
Lei batte la mano sul materasso.
A voler dire: “vieni qui!”
‹‹Sandra, sei sicura? Io ho quasi sessant’anni!››
‹‹Kto zabotitsya!››
‹‹Cos’hai detto?››
‹‹Ho detto: chi se ne frega!››
La mano di lei batte sul materasso per la seconda volta.
Lui si sente obbligato.
È impacciato.
Si siede sul letto con movimento rallentato.
Si siede un po’ distante.
Lei sta al centro del letto, lui sulla punta.
‹‹Sandra, io non credo di poterti dare quello che tu …›› dice lui inibito.
‹‹Kto zabotitsya!›› risponde lei risoluta.
Lei allunga la mano verso la lampada del comodino e la spegne.
Ora la stanza è al buio.
Le tapparelle della finestra sono tirate giù.
Quello che succede dopo non è dato conoscere, ma è immaginabile.
Si sa, invece, quello che accade dopo alcuni minuti.
La lampada si riaccende.
Ma non è sul comodino.
La luce che emana non è ferma ma sta ballando.
È in scena una situazione bizzarra, quasi comica.
La signorina che risponde al nome di Aleksandra nel passaporto, al nome di Sasha nel suo paese, al nome di Sandra a Rimini e dintorni, e occasionalmente al nome di Sandrina, ora è a cavalcioni sopra di lui e lo sta minacciando di rompergli la lampada, che tiene con la mano destra, in testa!
‹‹Apri, apri la bocca o te la spacco sulla zucca!›› sta dicendo con forza.
‹‹Sandra, ti prego, non urlare!›› supplica lui.
‹‹Apri! Apri la bocca!›› ripete lei.
Lui ha il pollice della mano sinistra di lei nella bocca ed esegue dei movimenti tipici da bambino!
‹‹Fandra! Bafta! Bafta!›› tenta di dire lui.
‹‹Aaa! Zdes’! Vy mozhete obmanut’ odnu iz svoikh zhenshchin! Sasha ne obmanyvayet yeye!›› dice lei.
‹‹Ahh! Ecco! Fregherai una delle tue donne! Ma Sasha non la freghi!›› ripete.
Lui smette di succhiare il pollice di Sandra.
Lei si calma e rimette la lampada sul comodino.
Entrambi ora sono distesi sul letto supini.
I loro respiri hanno ripreso il ritmo normale.
Lei è a seno nudo ma indossa delle mutandine di un bel colore grigio perla.
Lui copre in parte con il lenzuolo il mutandone bianco, vecchio stile, con i bottoni.
Il riflesso della lampada fa vedere un profilo da dune del deserto dalla parte di lei.
Di contro, dimostra la non predisposizione di lui ad indossare roba moderna.
Sono passati alcuni minuti.
La nuca di lei ha conquistato il braccio steso di lui e vi si è appoggiata comodamente.
Ogni tanto scuote la testa per essere sicura che il braccio di lui stia ancora lì come un cuscino.
Le mani di lei giochicchiano con la sua mano destra.
Sembra che facciano la gara a chi ha il palmo più grande. O se il numero dei polpastrelli miei e lo stesso dei tuoi.
La mano di Nino per il momento non sembra intenzionata a ribellarsi.
È un po’ rassegnata.
‹‹Bravo il mio nonnino, che voleva tenere tutto per sé il suo segreto!›› dice improvvisamente lei con tono malizioso.
‹‹Sandra, per piacere! … ›› tenta di difendersi lui.
‹‹Se volevi tenere per te il tuo segreto, non dovevi lasciare entrare Sasha nella tua stanza!›› aggiunge lei con la medesima intonazione.
Lui non replica.
È sempre più confuso.
‹‹Al mio paese ce lo insegnano a scuola come riconoscere quelli come te›› aggiunge Sandra.
‹‹E quando ne trovate uno, cosa gli fate? Lo tagliate in due?›› chiede Nino ansioso.
‹‹No! Però se lui si comporta male lo possiamo denunciare!››
‹‹Ma a chi lo denunciate?››
‹‹Al Pòpe, lo denunciamo! E sai cosa fa il Pòpe? Non gli permette più di entrare in Chiesa! Me li ricordo sai, quelli che la domenica rimanevano fuori dalla Chiesa.››
‹‹Che modo di prendersela con chi ha dei problemi!››
‹‹E sai cosa faceva il Pòpe di un paese vicino?››
‹‹Cosa faceva? Li metteva alla gogna?››
‹‹No, ma, quando moriva uno di voi, lo faceva seppellire sotto al muro del Cimitero con la testa dalla parte di fuori e le gambe dalla parte di dentro!››
‹‹Bravo! Complimenti! Proprio caritatevole!››
‹‹Sì, quelli come te devono stare attenti nel mio paese!››
‹‹Già, perché qui invece! … ››
‹‹Però la nonna aveva ragione!››
‹‹Su cosa?››
‹‹Quando ce lo diceva!››
‹‹Vi diceva cosa?››
‹‹A me e a mia sorella, ci raccontava che quelli come te: Vampiry khoroshi v laske.››
‹‹Cosa? Sandra, non lo capisco il russo!››
‹‹Ci raccontava che gli uomini con i denti dei lupi sono bravi a fare le carezze! …››
‹‹E vostra nonna come faceva a saperlo?››
‹‹Glielo avevano detto!››
‹‹Sììì! Brava!››
Pausa.
Sandra allunga la mano verso il comodino dove è appoggiato il suo telefonino.
‹‹A chi telefoni?››
‹‹A nessuno, … guardo l’ora! … Adesso però il mio nonnino compera il telefonino!››
‹‹Sandra! Questi strumenti non sono per me! …›› dice lui con apprensione.
‹‹Allora ti do il mio e io ne compero uno nuovo!››
‹‹Ma io sono in difficoltà con questi attrezzi moderni!››
‹‹Ma la tua Sandrina è qui, e ti spiega tutto! Io ho bisogno di sentirti, devo sapere dove sei!››
Lei rimette a posto il telefonino.
Ma non ha pace.
Ricattura la mano di lui.
Adesso fa: la mano mia è più piccola della mano tua.
‹‹Nino! …›› dice improvvisamente.
‹‹Cosa c’è?››
‹‹Tra un’ora e mezzo devo stare dietro al bancone,›› risponde con un sorriso invitante ‹‹abbiamo ancora un po’ di tempo! … ››
‹‹Per cosa?››
‹‹Me la fai una coccolina? … ››
‹‹Ancora! … ››
QUATTRO
L’ESPLORATRICE
Enciclopedia Galattica, edizione della Terra, anno 355 dell’Era Galattica.
I viaggi interstellari per raggiungere i pianeti della Galassia che presentavano forme di vita accertata iniziarono ad essere effettuati, in forma organizzata e programmata, a partire dell’anno 299 dell’Era Galattica.
La prima navicella per viaggi interstellari destinata a raggiungere la Terra apparve nel cielo di una città dell’Europa meridionale il sessantesimo giorno di quell’anno.
Dal Comitato Scientifico Generale della Federazione dei Pianeti della Galassia era partito l’ordine che essa rimanesse nascosta alla vista dei terrestri. Fu solo dopo che erano trascorse trentasei ore dal suo posizionamento nel cielo che gli strumenti più sofisticati, puntati dal pianeta, riuscirono a identificarla.
La tecnica dei viaggi intergalattici, a quel tempo, era ancora sconosciuta per i terrestri.
Peraltro, loro usavano l’espressione viaggi interstellari in maniera impropria non essendo ancora in possesso delle conoscenze per coprire le distanze tra le stelle.
Gli esploratori dello spazio di quegli anni, cioè esseri viventi con funzioni di ricognitori, erano dei veri coraggiosi poiché usavano la metodologia della smaterializzazione e successiva nuova materializzazione dei corpi.
Questo sistema era la diretta conseguenza dell’universo in movimento costante dalla espansione primordiale iniziata con il Big Bang e della attrazione dei corpi per via della curvatura dello spaziotempo.
Gli scopritori inviati non compivano effettivamente un viaggio. I loro corpi erano resi allo stato di componenti della materia e rimanevano in attesa di ricomporsi in altri corpi viaggiando a velocità prossime a quella della luce. La smaterializzazione permetteva alla materia di essere attraversata da ogni qualsivoglia altro elemento senza subire danni.
C’è da dire, tuttavia, che fin dalle missioni Apollo del ventesimo secolo dell’era pre-galattica c’era stata, da parte dei terrestri, la descrizione teorica della smaterializzazione come una nuvola di punti luminosi.
Il principio fisico della velocità e dello spostamento dei corpi nello spazio era stato già dimostrato nel diciassettesimo secolo dal padre della fisica moderna Galileo Galilei.
Veniva riproposto ai non addetti ai lavori il suo esempio teorico delle mosche, delle farfalle e del vaso d’acqua dentro una nave in movimento. C’era una variazione dell’esempio che ipotizzava l’entrata in uno scompartimento di uno treno lanciato a forte velocità, dal finestrino aperto, di un piattino di carta. Dopo l’ingresso violento iniziale dell’oggetto, constatato dagli occupanti dello scompartimento, questi avrebbero potuto concordare sulla sua successiva immobilità. Nella realtà, l’oggetto avrebbe acquisito, pur stando fermo, la stessa velocità sostenuta degli altri passeggerei.
Gli esploratori destinati al contatto con il pianeta, preventivamente già ampiamente studiato e, perciò, giudicato importante, effettuavano il definitivo distacco dalla navicella e dal suo contenuto e ripristinavano lo stato di materializzazione dei loro corpi.
In tale stato, attuavano, poi, l’avvicinamento comandato verso il punto esatto prestabilito per il loro primo contatto con il suolo del nuovo pianeta oggetto dell’esplorazione.
Questi essere viventi, che gli abitanti della terra chiamavano extraterrestri, erano sicuramente dotati di grande coraggio e motivati dal forte interesse per la scoperta dell’universo poiché una volta attuata la smaterializzazione indirizzata verso un preciso pianeta della Galassia, e quivi effettuata la ri-materializzazione, non sarebbe più stato possibile compiere una successiva smaterializzazione seguita da una ulteriore ri-materializzazione verso il luogo originario di partenza, cioè il ritorno al punto iniziale.
In pratica quei pionieri sarebbero stati condannati a vivere sul pianeta nel quale erano stati inviati.
Unica garanzia di attenuazione dei pericoli e dei disagi sarebbe stata la disponibilità dell’astronave da valere come base logistica e rifugio d’emergenza in attesa di una possibile integrazione con gli abitanti stanzianti sul pianeta.
Erano delle spedizioni senza ritorno e, perciò, secondo il pensiero dominante a quell’epoca, definite comunemente suicide.
È abbastanza esplicativo la scena accaduta alla esploratrice Liza, uscita dalla navicella poiché incaricata dei rilievi di una determinata zona, riportata nella registrazione olografica facente parte della documentazione di bordo della nave interstellare inviata sulla terra nell’anno 299 dell’Era Galattica.
La sequenza degli accadimenti presenta aspetti drammatici e ironici nello stesso tempo.
È il settantacinquesimo giorno di permanenza sul pianeta,
La giovane è appena rientrata alla base e mostra avere difficoltà.
L’astronave dispone di una saletta nella quale è possibile eseguire una sosta di decantazione per attenuare lo stress. Vi si accede attraverso un’unica separatrice. (Gli esploratori prima di assimilare i termini terrestri degli oggetti usavano indicarli in virtù delle loro funzioni. Nello specifico la parola separatrice sta per porta a chiusura programmata).
Ella sta eseguendo degli esercizi di respirazione coordinati per recuperare la tensione fisica accumulata.
Fuori dell’ingresso è attivato il segnale giallo a certificare che un altro membro dell’equipaggio della navicella può entrare per assisterla.
<<Ciao Lisa come va?>> chiede un giovane assistente entrando.
<<Ah, sei tu Sauro! Ciao, ora va bene, ma ieri sera per un attimo, ho pensato di non farcela a rientrare alla base!>>
<<Sì, l’abbiamo visto dalla registrazione automatica che è stata acquisita nel nostro centro documentale. Un gran brutto incontro, ma, ti garantisco che sei stata davvero brava a risolvere il problema; e il tuo comportamento servirà d’esempio agli altri esploratori!>>
<<Grazie Sauro, sei sempre gentile. Senti, visto che ho ancora i ricordi freschi, potrei rivedere la registrazione? Qualche dettaglio in più mi aiuterà, forse, a comprendere meglio il modo di agire dei terrestri.>>
<<Certamente!>> risponde prontamente Sauro mentre gira la richiesta al Comando della nave attivando gli organi telepatici del suo cervello.
Immediatamente, al centro della sala di decantazione, inizia la rappresentazione della scena appena vissuta da Liza, con la replica olografica, a grandezza naturale, dei personaggi impegnati.
<<Ho chiesto di rivedere i fatti accaduti dal momento del ritorno dalla zona assegnatati. Va bene?>>
<<Sì, ecco, questa è la zona che i terrestri chiamano Mercato Ittico. Ho terminato le rilevazioni e mi sto avviando verso la base. Qui, vedi, sul piedante (termine usato da Liza per indicare il marciapiede). Incrocio un terrestre; è una femmina! È il primo incontro con un terrestre! Che emozione! Lei, tiene con la mano una gonfia (una sportina) che sembra piena di nature e verdane (di frutta e verdura).>>
<<Ma guarda come ti sta scrutando con attenzione!>>
<<Penso che stia fissando la mia aderente (la mia tutina) d’esplorazione. Le terrestri, lo abbiamo studiato, sono molto interessate al vestiario.>>
<<È vero, molto!>>
<<Visto che la terrestre ha evidenziato un interesse particolare verso di me, secondo protocollo l’ho salutata, senti: “Buonasera signora!”.>>
<<E la femmina ti ha gentilmente risposto…>>
<<Ed ha aggiunto anche una raccomandazione di tipo materno, senti: “Sera, va a casa alla svelta ragazzina che vestita così prendi freddo!”.>>
<<Ma senti! Non lo può sapere che le nostre aderenti (tutine) d’ esplorazione sono termo-regolate.>>
<<Certo! Dopo questo incontro, sono uscita dalla zona del mercato e ho imboccato la pareggiata (la strada) che i terrestri chiamano Vicolo della Pescheria. Qui, non ho visto nessuno. Ecco che sono arrivata alla fila delle trasportatrici (delle vetture) parcheggiate; le ho superate…>>
<<E non ti sei accorta di questa che è diversa dalle altre!>>
<<Sì, non l’ho riconosciuta. È molto più sporca delle altre, me ne dovevo accorgere.>>
<<Ed ha i quattro rotondi (i quattro pneumatici) completamente sgonfi!>>
<<Dovevo capirlo, dal fatto che è piena di tagliastoffe e cartegrosse (di stracci e cartoni), che è la tana di un cacciatore terrestre. Questi esseri si mettono il più possibile vicino al passaggio delle prede. Penso che ce ne sia uno per ogni parcheggio di trasportratrici (di vetture).>>
<<Il cacciatore, quando ti ha visto passare, è uscito dalla tana senza fare il minimo rumore.
<<Sì, puoi sentire in sottofondo l’apertura della cernierata (della portiera) da parte sua. Poi ha iniziato a seguirmi. Quando mi è arrivato alle spalle ha iniziato la sua tattica di caccia. È tipica: una serie di vezzeggiamenti per tranquillizzare e ingannare la preda. Ascolta: “Ma dove vai tutta sola bella signorina?”.>>
<<E qui ti ha preso alla sprovvista!>>
<<Non l’avevo visto, non me lo aspettavo. Vedi che mi volto verso di lui e si può vedere la sua faccia.>>
<<Ma guardalo! Fa paura! Ieri sera come l’abbiamo visto ci siamo preoccupati. Sai, vedere uno come questo e non poterti aiutare!>>
<<Me lo immagino Sauro. Hai visto come è vestito? Guarda i capelli: spettinati, sporchi, troppo lunghi!>>
<<Ma guarda l’elegante (la camicia): tutta strappata e macchiata.>>
<<Vedi i doppioni (i pantaloni): tutti unti e bisunti. E guarda le pedanti (le scarpe): sono rotte e slacciate.>>
<<Sì, è proprio il terrestre che non si doveva incontrare. Hai potuto verificare cosa sta tenendo con la mano sinistra?>>
<<Certamente, il Sistema di Controllo e Difesa mi ha subito fatto sapere che si trattava di una vetrocilindra (una bottiglia) contenente una sostanza indicata con le parole doppio malto su una etichetta sovrimpressa sulla stessa. Ho potuto accertare che si tratta di una bevanda molto apprezzata dai terrestri.>>
<<Sì, è quella bevanda che disseta ma che produce anche un leggero stato di euforia. In questa zona la vendita è soggetta a vincoli di legge.>>
<<Esatto. A questo punto ho deciso di applicare il protocollo al primo grado e l’ho invitato a non avvicinarsi. Senti: “Signore, si allontani devo andare a casa. Grazie.”.>>
<<Sentiamo la risposta: “Ti lascio andare se mi dici come ti chiami bella morettina.”.>>
<<Sentito? Il cacciatore continua ad applicare la tattica di vezzeggiamento allo scopo di avvicinarsi sempre più alla preda.>>
<<Qui sei indietreggiata!>>
<<Certo, ed è quello che vuole lui, spinge la preda verso un angolo per poterla bloccare. Vedi, mi ha costretta nell’angolo tra il box del comunicatore a filo (della cabina telefonica) e la trasportatrice (la vettura).>>
<<Ecco, ha allargato le braccia e la preda è in trappola.>>
<<Sì, e qui ho cominciato a preoccuparmi. Secondo te, se mi avesse catturata cosa mi sarebbe potuto succedere?>>
<<Sicuramente saresti stata vittima di sevizie. Poi, penso, che ti avrebbe barattata per ottenere bevande, alimenti e anche, forse, oggetti di suo interesse.>>
<<Lo penso anch’io. Comunque continuiamo. Come vedi ho messo in atto il protocollo di grado più alto effettuando un avvertimento di dissuasione: “Stai lontano! Guarda che ho una macchia viola sulla pelle e il certificato medico dice che è infettiva!”.>>
<<Non è servito!>>
<<No, non sono riuscita ad allontanarlo, senti cosa dice: “Se me la fai vedere ci do un bacino che così ti passa la bua.”.>>
<<Il Sistema di Controllo e Difesa che analisi ha fatto di questa risposta?>>
<<Non è chiaro, ma è sempre la sua tattica vezzeggiativa per lo scopo finale: avvicinarsi il più possibile al viso della vittima per scagliare il colpo micidiale.>>
<<Povera Liza, deve essere stato un momento davvero difficile!>>
<<Sì Sauro, guardalo. Il cacciatore è arrivato a pochissima distanza dal mio volto e mi ha lanciato contro la botta letale. Senti: “BROOAARRRR…”
<<È un barrito spaventoso!>>
<<Sì, e lui riesce a modularlo agendo sui muscoli dello stomaco stesso. E guarda che io sono sicura che il Sistema ha eliminato immediatamente la rilevazione del fetore fuoriuscito dalla sua bocca. In caso contrario la viaggiatrice (l’astronave) sarebbe rimasta impregnata di quel puzzo almeno per due giorni terrestri.>>
<<Incredibile. Sono altamente specializzati per catturare prede anche delle loro stesse dimensioni.>>
<<Ed è solo l’inizio. Adesso lui vede che non sono crollata a terra e si prepara per lanciare un secondo colpo micidiale.>>
<<Come puoi dirlo?>>
<<Senti la registrazione: “BUMP… BUMP”. Visto? Si è battuto due colpi con la mano destra sul petto. È il suo sistema per ricaricare il colpo!>>
<<E adesso tracanna un sorso della sua bevanda! Ma perché le immagini non sono più stabili? C’è stato qualche problema tecnico da parte del Sistema?>>
<<Nooo, Sauro! Sono state le mie gambe che avevano preso a tremare provocando le oscillazioni delle immagini registrate. Non avrei potuto reggere ad un secondo colpo. È spaventoso. Ti fa vibrare tutto il corpo. Dalla paura che provavo mi è uscita … la lingua fuori e gli ho sibilato contro. È stato una reazione d’istinto, come per tenerlo lontano!>>
<<Ed è questo che ti ha salvata!>>
<<Sì, è stata la mia fortuna. Incredibile! Quando il cacciatore ha visto la lingua, sottile, a due punte, così diversa dalla sua……, lo sappiamo che la lingua dei terrestri è piatta con la punta larga, … >>
<<Già, come quella dei cani…>>
<<Esatto, proprio come quella. Ecco, come ha visto la mia lingua, è rimasto sbalordito.>>
<<Si vede. Guarda ha la bocca e gli occhi spalancati dalla sorpresa.>>
<<Sì, e dalla sorpresa ha abbandonato anche la presa della vetrocilindra (la bottiglia). Ascolta: “CRASHH…”.>>
<<La vetrocilindra (la bottiglia) è caduta a terra e si è fracassata. Guardalo. Adesso fissa la mano sinistra come se fosse la colpevole della perdita della sua bevanda preferita.>>
<<E qui hai preso la decisione!>>
<<Sì, a questo punto ho deciso di prendere il rischio, anche se non previsto dal protocollo. Mi sono abbassata e buttata sotto il suo braccio destro, ammetto che l’ho anche spinto contro il box del comunicatore a filo (della cabina telefonica).>>
<<Lo vedo!>>
<<E ho cominciato a correre.>>
<<A questo punto l’immagine del cacciatore scompare.>>
<<Però, si sente che ha iniziato a rincorrermi. Ma è andato a sbattere contro un tienigrande (un bidone dei rifiuti). Ascolta: “BUMP…”.>>
<<C’è andato a sbattere proprio contro!>>
<<Credo che si sia anche infortunato. Senti: “HAHIOO…”.>>
<<Si sente! Qui, però, le cose si mettono bene per te! >>
<<Guarda, io ho pensato solo a correre via il più velocemente possibile. Lui, però, non ha desistito dalla caccia. E questo la dice lunga sul carattere e la determinazione di questi esseri. Esseri che io giudico pericolosi, inaffidabili, incapaci di qualsiasi accordo. Ascoltalo. Nonostante sia a terra, contuso, ha ripreso la tattica dei vezzeggiamenti pur di riavvicinare la preda: “Dove vai? Torna qui dallo zio, BELLA LUCERTOLINA.”.>>
CINQUE
LA RICERCATRICE
‹‹Chissà chi è il vero protagonista di questa storia: la ricercatrice Manuela o l’errore che la stessa fanciulla ha commesso?›› si chiede il preside della Facoltà di Scienze e Tecnologie per la Natura, rileggendo ancora una volta il rapporto della missione.
Questi i fatti riportati nel documento.
Era una tipica giornata equatoriale di agosto.
La nave oceanografica Atlantic era all’ancora a circa 15 NM dall’isola di Mayotte dell’arcipelago delle Comore a 12°53’42” di Latitudine Sud e 45°58’53” di Longitudine Est.
La Atlantic è una imbarcazione in dotazione del CNR che effettua studi avanzati nel settore della pesca scientifica, della biologia marina e dell’ambiente marino in genere.
Con una lunghezza di 45 metri è in grado di ospitare sino a 12 membri di equipaggio e 20 ricercatori ed è equipaggiata con tutte le più sofisticate dotazioni scientifiche e di plancia.
Cinque mesi fa stava svolgendo una missione per conto della Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, Area Didattica delle Scienze e Tecnologie per la Natura, l’Ambiente e il Territorio.
L’area di ricerca era stata scelta nella parte settentrionale del Canale di Mozambico.
A bordo, oltre allo staff istituzionale degli addetti alla navigazione e al gruppo dei ricercatori e dei tecnici abituali, c’erano tre ragazzi e una ragazza che stavano ultimando il Corso di Laurea Magistrale in Scienze del Mare e del Paesaggio Naturale.
Il loro percorso di formazione mirava a fare acquisire loro competenze per effettuare e gestire studi sul riconoscimento, la catalogazione e la rappresentazione cartografica della distribuzione di morfo tipi e di comunità animali e vegetali in ambiti marini e terrestri; a possedere gli strumenti necessari per l’analisi delle variazioni delle popolazioni animali e vegetali in tali ambienti, in funzione di cause di origine naturale o antropica; a potersi proporre come collaboratori per la parte naturalistica nella realizzazione di piani di gestione dell’ambiente naturale e di documenti di pianificazione territoriale.
È un percorso, di eccellenza, per creare specialisti in grado di svolgere attività nella ricerca naturalistica, compiti operativi nella gestione e conservazione delle aree protette e della biodiversità, sia in ambiente marino che nel paesaggio naturale, applicando tecniche idonee alla manipolazione e conservazione dei campioni biologici, alla collocazione delle collezioni geo mineralogiche, paleontologiche e biologiche ed al loro incremento nonché al rilevamento dei dati associati ai campioni.
I quattro ragazzi erano stati scelti in attuazione di una borsa di studio particolare: una crociera premio estiva della durata di tre mesi a bordo della Atlantic per effettuare una ricerca sperimentale pratica sulla vita dei delfini in genere, sui loro comportamenti, sull’individuazione delle eventuali rotte, nei loro percorsi e spostamenti, verso zone ad alto traffico marittimo.
Agli studenti era permesso di mettere in pratica le conoscenze già acquisite con le più aggiornate tecnologie.
Per questo, erano catturati alcuni esemplari maschi ai quali era applicato un particolare emettitore di segnali riconosciuti dai radar. Agli splendidi mammiferi era pure attaccata un segnalatore visivo: una specie di bandierina di colore giallo sulla pinna dorsale.
A bordo della Atlantic, durante quella crociera studio, Manuela era l’unica presenza femminile a bordo. Ragazza dalle forme armoniose, con splenditi capelli neri e grandi occhi verdi, dal carattere dolce e accondiscendente, era coccolata da tutti. Su tutta la nave regnava nei suoi confronti un senso di protezione, anche tra gli altri tre studenti maschi.
Era la più preparata ed innamorata dell’ambiente marino. Già da bambina attrezzata con maschere, snorkel e pinne, passava ore in acqua tra la costernazione della mamma.
Da adolescente era già in possesso di vari gradi di brevetti da sub.
Ma, per quel senso di protezione che si era stabilito a bordo, e per la sua personalità consenziente, nell’ambito della ricerca era stata incaricata di un “compito facile”, come lo avevano catalogato gli “anziani ricercatori” del gruppo ridendo, subito imitati dagli altri studenti maschi.
Si trattava di individuare il sistema di comunicazione dei delfini e tentare di interpretare il significato dei vari suoni prodotti, e richiami emessi dai singoli individui. Era chiaramente un incarico quasi simbolico considerate le difficoltà di costruire apparecchiature e programmi idonei allo scopo
La fanciulla non si era lamentata del compito assegnatole. Ben conscia della quasi impossibilità di ottenere un qualche risultato concreto, si era subito impegnata di buon grado e con determinazione; e si era messa a lavorare, convinta, con cuffie e ricevitori di onde radio.
Quel pomeriggio, i due tecnici che condividevano con lei la sala dei computer, l’avevano vista alzarsi improvvisamente dal tavolo, togliersi e gettare le cuffie di ascolto, sbiancare in volto e balbettare delle parole del tipo:
‹‹Devo dire una cosa molto importante!››
I due si erano precipitati a sorreggerla poiché avevano capito che la ragazza stava per cadere svenuta.
Appena in tempo.
L’avevano presa al volo e adagiata su tavolo della saletta.
*****
‹‹È stato un errore! È stato un errore!›› esclamava con ripetizione la ragazza con gli occhi chiusi.
Uno dei due ricercatori si era immediatamente dato da fare per far intervenire il medico di bordo.
L’altro, immaginando che il malore della giovane potesse essere stato causato proprio dalle cuffie indossate, le aveva accostate all’orecchio.
Quello che aveva sentito gli aveva fatto strabuzzare gli occhi e, dimenticandosi dello stato di salute di Emanuela, si era precipitato verso la porta.
L’aveva aperta e aveva cominciato ad urlare:
‹‹Venite qui, venite qui tutti, venite a sentire!››
Dopo pochi minuti, la saletta era affollata di gente.
Erano arrivati lo stesso direttore del progetto ed il medico.
Questi non aveva dovuto riscontrare alcuna situazione necessitante un suo intervento.
La ragazza, un po’ stralunata, si era ripresa dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua a piccoli sorsi.
‹‹Sentite, sentite, cosa ha scoperto Manu!›› aveva urlato il ricercatore staccando le cuffie dal computer e alzando il volume al massimo.
La saletta era stata invasa da rumori incredibili!
‹‹Ascoltate! Non sono fischi! Non i fischi che solitamente si sentono quando ascoltiamo i suoni dei delfini. Sono voci, e sono abbastanza comprensibili.››
‹‹Sono le voci dei delfini. Quelle del branco di delfini che sta facendo evoluzioni qui vicino alla nave.››
‹‹È vero, stanno parlando!››
‹‹Sì, stanno comunicando tra loro; e noi li possiamo ascoltare!››
Nella saletta regnava grande eccitazione e confusione.
Tutti ora guardavano verso Emanuela che, nel frattempo, si era ripresa.
Appariva, tuttavia, intimidita e in soggezione.
‹‹È stato un mio errore, una svista,›› tentava di spiegare ‹‹dovevo inserire nel traduttore l’alfabeto arabo, ma mi sono distratta e ho introdotto l’aramaico.››
I diffusori radio, a tutto volume riportavano suoni striduli ma che chiaramente apparivano essere frasi corrispondenti al sistema fonetico di un linguaggio.
Il traduttore automatico li trasformava nella lingua corrente a bordo della nave.
‹‹Vieni qui! …. Vieni qui!››
‹‹No, vai via! …. Vai via!››
‹‹Mamma ho fame! … Ho fame, mamma!››
‹‹Il piccolo ha fame! … Ha fame, il piccolo!››
‹‹Ha già avuto! … Ha già avuto!››
‹‹Vieni qui! … Vieni qui! … Vieni qui!››
‹‹No, vai via| … Via!››
‹‹Cos’è questo? … Cos’è questo?››
‹‹Non toccare! … Non toccare! …Ti ho detto di non toccare!››
‹‹È di quelli sopra! … É di quelli sopra!››
‹‹Vieni qui. … Ho detto: vieni qui!››
‹‹È incredibile! È una scoperta sensazionale!›› aveva esclamato il direttore del progetto ‹‹Questo branco di delfini parla un linguaggio aramaico di tipo essenziale.››
‹‹Bisognerà fare immediatamente un comunicato stampa!›› aveva dichiarato un altro membro dello staff.
‹‹No, no! È prematuro! Corriamo il rischio di una figuraccia. Dobbiamo effettuare delle verifiche e procurarci prove inoppugnabili. Per il momento non divulghiamo alcuna notizia.›› Era stato deciso di raccogliere prove cercando di stabilire dei contatti con i delfini, ad iniziare dalla mattina del giorno dopo. Se il branco si fosse spostato la nave li avrebbe seguiti attraverso i segnali emessi dagli esemplari che erano stati muniti dei trasmettitori radio.
La remissiva Emanuela, a questo punto, aveva preteso di essere scelta per il tentativo di contatto.
E nella sua richiesta dimostrò un carattere impensato negli increduli uomini a bordo.
D’altra parte, l’incredibile intuito dimostrato meritava un tangibile riconoscimento. Inoltre, la ragazza aveva dimostrato di poter utilizzare i computer con grande maestria.
Ricercatori, informatici, tecnici e meccanici avevano lavorato tutta la notte.
Sui due lati di uno dei gommoni in dotazione alla nave erano state montate due speciali incastellature con scalette di alluminio idonee ad ospitare la ragazza in piedi, immersa in acqua fino alle spalle. Ella avrebbe potuto scegliere quella più idonea all’occasione che si sarebbe presentata. Erano, inoltre, stati predisposti computer e traduttori portatili, microfoni ad immersione, collegamenti vari con la sala di ascolto e di registrazione a bordo della nave.
La giovane e brava ricercatrice non aveva dormito molto quella notte. Ciò era comprensibile per la straordinarietà e l’importanza dell’avvenimento. La sua scoperta avrebbe, inoltre, richiesto un notevole impegno di attuazione pratica dimostrativa.
Come se non bastasse, il direttore non la finiva di raccomandare l’uso di un linguaggio appropriato e misurato. Le registrazioni che sarebbero state effettuate avrebbero avuto, senza dubbio, una diffusione non solo a livello scientifico; ma anche su tutti i media del pianeta.
Era stato deciso che la ragazza non indossasse alcuna muta da immersione di colore scuro, bensì un costume da bagno dai colori sgargianti per attirare maggiormente l’attenzione. D’altra parte, la temperatura dell’acqua era quella alta di tipo equatoriale.
*****
La mattina seguente il gommone approntato era stato lasciato, privo di ancoraggio, ad un centinaio di metri dalla nave, libero di muoversi secondo corrente
Emanuela era nella posizione stabilita. Vestiva un costume in due pezzi aderente beachwear di Jersey Lomellina di colore rosso.
La giovane ricercatrice, con in testa una sofisticata cuffia munita di un microscopico microfono, aveva iniziato a parlare nella sua lingua.
Il traduttore contemporaneamente trasformava le sue parole nel nuovo linguaggio dei delfini scoperto.
‹‹Sono Manuela! … Sono Manuela!››
‹‹Mi ascoltate? … Sono Manuela! … Sono Manuela! … Mi ascoltate?››
I suoi appelli erano stati ripetuti più volte.
Dopo alcuni minuti, si era avvicinato un delfino.
Lentamente e con cautela.
Nuotava effettuando dei cerchi intorno alla fanciulla.
Appariva guardingo e timoroso.
Compiva dei cerchi sempre più stretti.
Dalla pinna appariva essere un esemplare maschio.
Alla fine, si era portato a circa due metri di distanza dalla ragazza, che aveva appena la testa fuori dall’acqua.
‹‹Quanti anni ha Manuela? … Quanti anni ha Manuela?›› aveva chiesto il delfino nella sua lingua arrivata alla ricercatrice tradotta.
‹‹Quanti anni ha Manuela? …. Quanti anni ha Manuela?›› aveva ripetuto.
‹‹Ho dodici dei tuoi anni!›› aveva risposto lei.
‹‹Che nome hai tu? … Che nome hai tu?››
‹‹Io sono Manuela. E tu? Che nome hai tu?››
Il cetaceo aveva eluso la domanda.
‹‹Manuela ha compagno? … Manuela ha compagno?››.
‹‹No, Manuela non ha compagno›› aveva risposto lei ‹‹Manuela non ha compagno! Che nome hai tu? Quale nome?››
Nessuna risposta.
‹‹Che nome hai tu?›› aveva insistito la ragazza.
‹‹Io Bartholomeus! … Io Bartholomeus!›› aveva infine dichiarato il delfino.
‹‹Ho molto piacere di conoscerti!›› aveva risposto lei ‹‹Bartholomeus, hai una compagna?››
Il maschio di delfino non aveva risposto alla domanda della giovane.
Girava lentamente attorno alla ricercatrice in cerchi sempre più stretti.
Era arrivato quasi a sfiorarla.
‹‹Bartholomeus, hai una compagna?›› aveva chiesto nuovamente Manuela.
‹‹Cosa servono due rotondi? … Cosa servono due rotondi?›› aveva, invece, chiesto il cetaceo.
La ragazza non aveva compreso.
‹‹Cosa servono due rotondi? … Cosa servono due rotondi?›› aveva domandato ancora.
Manuela continuava a non capire cosa volesse dire
Improvvisamente aveva arguito come Bartholomeus si riferisse ad una specifica parte del suo corpo.
‹‹Servono per dare il latte ai piccoli!›› aveva risposto confusa e incredula.
‹‹Servono per allattare i bambini›› aveva ripetuto sempre più titubante.
Il delfino non aveva risposto.
‹‹Bartholomeus, hai una compagna?›› aveva chiesto infine la giovane.
Nessuna risposta.
‹‹Bartholomeus, hai una compagna?›› aveva ripetuto la giovane.
‹‹Bartholomeus padrone! … Bartholomeus padrone!›› aveva detto dopo alcuni minuti il delfino.
‹‹Cosa vuoi dire?›› aveva chiesto Manuela.
Silenzio.
‹‹Due più quattro compagne! … Due più quattro compagne!›› aveva dichiarato l’esemplare.
‹‹Ah, ho capito!›› aveva esclamato lei sorridendo.
‹‹E quanti piccoli hai Bartholomeus?››
Ancora silenzio.
‹‹Quanti piccoli hai?›› aveva ripetuto.
Il delfino non rispondeva, continuava a girare in cerchi sempre più stretti attorno alla giovane ricercatrice. Era quasi arrivato a sfiorarle i polpacci.
‹‹Cosa serve rotondo? … Cosa serve rotondo?›› aveva chiesto all’improvviso.
La giovane non capiva.
‹‹Cosa serve rotondo? … Cosa serve rotondo?›› aveva insistito quelli.
Manuela ebbe un’intuizione.
Forse intendeva la parte posteriore del suo corpo.
Ah, per attutire le cadute!›› aveva risposto risoluta, ridendo.
‹‹Per attutire le cadute!›› aveva ripetuto ancora più convinta.
‹‹Quanti piccoli hai?›› aveva poi chiesto.
‹‹Quanti piccoli hai?›› aveva insistito.
Il delfino non rispondeva.
‹‹Sette, più sette, più tre piccoli! … Sette, più sette, più tre piccoli!›› aveva affermato infine.
La ragazza aveva percepito un senso di orgoglio nelle sue parole.
‹‹Come chiami i tuoi piccoli?›› aveva chiesto.
‹‹Come chiami i tuoi piccoli?›› aveva ripetuto.
Bartholomeus non aveva risposto; era sparito dalla vista per alcuni minuti.
Manuela aveva paventato la perdita del contatto.
Invece, dopo alcuni minuti, Bartholomeus era emerso all’improvviso.
‹‹Dove escono piccoli? … Dove escono piccoli?›› aveva chiesto con insistenza.
Manuela era sorpresa. Non ci voleva credere.
‹‹Ah, ho capito cosa vuoi sapere!›› aveva risposto, dopo qualche secondo.
Senza scomporsi, aveva assunto l’atteggiamento della brava mamma che risponde alle prime domande difficili dei bambini.
‹‹Ecco, vedi, …… escono qui!›› aveva esclamato indicando con la mano.
‹‹Dove appoggia maschio? … Dove appoggia maschio?›› aveva insistito Bartholomeus.
‹‹Oh, maschio appoggia qui! …›› aveva risposto lei, con tono pedagogico educativo, senza difficoltà, designando ancora con la mano.
‹‹Hai detto: Bartholomeus padrone! … Come fa Bartholomeus ad essere il padrone?››
Il delfino non aveva risposto.
‹‹Perché sei un padrone?›› aveva insistito lei.
‹‹Cosa servono colori? … Cosa servono colori?›› aveva, di contro, insistito lui eludendo la domanda di Manuela.
‹‹Intendi, forse, i colori del mio costume? Ecco, il costume … mi protegge dal freddo!›› aveva improvvisato lei.
‹‹Sì, il costume serve per proteggere dal freddo! …›› aveva aggiunto consapevole della sua risposta.
‹‹Manuela, butta costume! … Manuela butta costume! …›› aveva detto il delfino.
Nella cuffia della ricercatrice stavano cominciando ad arrivare commenti ilari.
‹‹Ragazzi, il delfino ci sta provando con Manu!›› diceva qualcuno.
La ragazza non si era scomposta e aveva escluso l’audio per concentrarsi sul dialogo con il mammifero.
‹‹No, Manuela non butta il costume!›› aveva detto.
‹‹No, Manuela non butta il costume!›› aveva ripetuto con forza.
‹‹Se Manuela butta costume … Bartholomeus dire… dov’ è vecchia nave …››
‹‹Ah, è una trattativa! No, Manuela non butta il costume! Manuela non butta il costume! Hai capito?››.
‹‹Manuela cattiva! … Manuela cattiva!›› aveva esclamato il delfino.
‹‹No, Manuela è giusta!›› aveva replicato lei.
‹‹Manuela entra nel blu! … Manuela entra nel blu!›› aveva, allora, chiesto lui.
‹‹Vuoi, forse, che io venga in acqua vicino a te?››
Senza attendere conferma, la ricercatrice si era tolta la cuffia e si era immersa totalmente nell’acqua con un’espressione sorridente.
I suoi lunghi capelli neri si erano sparsi e le incorniciavano il viso.
Il Delfino si era avvicinato tanto che lei lo aveva potuto sfiorare con una mano sul muso.
‹‹Cosa serve massa nera che galleggia? …. Cosa serve massa nera che galleggia?››
‹‹Ti riferisci ai miei capelli? Certo, sono capelli! Proteggono da sole!››
‹‹Manuela cosa più bella vista dentro blu! … Manuela cosa più bella vista dentro blu!››
‹‹Anche Bartholomeus è bello!››
‹‹Ora io porto miei dove blu è profondo! …Ora io porto miei dove blu è profondo!
‹‹Te ne vai dove scende il sole, Bartholomeus?››
‹‹Manuela è padrona barca? … Manuela è padrona barca?››
‹‹No, Manuela è amica del padrone della barca!››
‹‹Dire cosa importante a padrone barca …Dire cosa importante a padrona barca!››
‹‹Oh! Cosa devo dire? Cosa vuoi che dica al padrone della barca?››
‹‹Basta bandierine addosso a maschi! … Basta bandierine addosso a maschi!››
‹‹Perché? Spiegami!››
‹‹Perché femmine correre dietro a bandierina! … Perché femmine correre dietro a bandierina!››
‹‹Ah, ho capito! Manuela lo spiegherà al padrone della barca!››
‹‹Buona nuotata Manuela! … Buona nuotata Manuela!››
Il delfino si era distaccato dalla fanciulla e si era allontanato con un balzo improvviso.
Ella aveva capito che non lo avrebbe più rivisto.
‹‹Buona nuotata, Bartholomeus!›› aveva detto.
SEI
L’AURORA
Questa mattina lo scrosciare delle acque dell’Adige non la fa da padrone.
La scena la comandano i cinque giovani partigiani della brigata Montecchio.
Stanno nascosti sulla riva del fiume e aspettano l’arrivo di un gruppo di autocarri della Repubblica Sociale Italiana che, partiti da Vicenza, devono portare il loro carico fino a Peschiera.
Sono tutti giovani, si conoscono bene e si sentono molto uniti dall’uso dello stesso dialetto.
Frank (il vero nome è Francesco) viene da Schio ed è il capo del gruppo, quello che ha più esperienza; due sono di Vicenza; uno di Padova; e poi c’è Ronny di Verona.
Proprio quest’ultimo è quello da tenere d’occhio, è il più giovane, il più impulsivo, ed è quello che più facilmente potrebbe cacciarsi nei guai.
Quante volte s’è sentito Frank dire:
«Ronny, sta giù! Sta giù con la testa che te vedono!»
Ma non è facile farsi ascoltare quando uno è così agitato.
I partigiani sono in attesa da due ore, sdraiati sull’ erba.
Sono armati con i mitra inglesi.
Hanno ricevuto una “soffiata” sul trasporto che sta per arrivare.
Se l’informazione è giusta si tratta di tre autocarri senza scorta armata, quindi potrebbe essere una cosa facile da risolvere.
Se la soffiata è falsa, qualcuno potrebbe lasciarci la pelle e non arrivare a Pasqua.
I cinque ragazzi si sono messi presso la curva del fiume, dove la strada fa una svolta stretta.
Subito dopo la curva, hanno buttato dei tronchi d’albero. Gli autocarri dovranno fermarsi per forza, non c’ è modo di proseguire.
Adesso li vedono arrivare: sono tre.
Non sembra che ci siano vetture o sidecar di scorta.
La soffiata appare buona.
Frank ha già detto di tirare tutti su quello che sta davanti.
Adesso i partigiani tacciono.
I tre mezzi sono vicini.
Non portano nessuna insegna o bandiera.
Come hanno previsto, il primo autocarro, arrivato in curva, frena bruscamente per non andare a sbattere contro lo sbarramento.
La colonna si arresta.
Ecco che partono le raffiche di mitra.
Chi è a bordo dei mezzi salta giù e scappa nel bosco dalla parte opposta agli spari.
Sono tutte ausiliarie della RSI. Non hanno altra possibilità se non quella di scappare. Non sono armate e se fossero catturate potrebbero andare incontro ad un brutto trattamento.
I giovani partigiani esultano per la vittoria, corrono verso gli autocarri, abbattono la sponda posteriore dei mezzi e saltano sui pianali.
Già lo sanno che non c’ è materiale importante. Ci sono solo attrezzi da cucina e vestiario.
E allora quella che poteva essere una missione a rischio si trasforma in una sagra di paese.
I ragazzi cominciano a buttare giù tutto quello che trovano: pentole, piatti, berretti, urlando è imprecando contro l’avversario.
Quello di Padova spara per aria come se fosse alla festa del Patrono.
A Ronny, quello di Verona, tocca il camioncino di coda, il più piccolo, ma anche su questo ci sono parecchi sacchi.
Ha già buttato sulla strada un carico di scarpe ed ora, urlando divertito, ha afferrato un altro sacco che sembra pieno di camicie.
«Vai in mona te e chi te porta!>> esclama furente.
Comincia a trascinarlo verso il bordo; ma … fa un salto indietro dalla sorpresa: dietro al sacco c’ è qualche cosa che non si aspettava di trovare.
Inginocchiata sul tavolato dell’autocarro c’è una ausiliaria che tiene con il braccio diritto una baionetta puntata contro di lui.
Il partigiano afferra il mitra che gli penzola dalla spalla e lo punta contro l’avversario.
Nessuno dei due parla.
Lei è molto giovane, ma sembra determinata, non abbassa il braccio.
Lui potrebbe sparare, è in vantaggio; … allora si avvicina per capire meglio.
«Ahhh, se’ ti!» esclama
«Sì, son mi!»
Il giovane partigiano molla la presa del mitra e si inginocchia sul tavolato. Si mette proprio di fronte a lei.
Facendo così la punta dello Sten picchia contro il legno. Ormai l’arma è fuori bersaglio. Il suo viso, però, è arrivato di fianco alla baionetta che lei tiene ancora decisamente puntata in avanti.
La ragazza potrebbe ferirl
*****
Non hanno paura.
«T’ho vista a San Zeno, alla Messa di Natal; eri con la to famiglia!» esclama il giovane.
«T’ho vista anca mi; eri con quel to cugino!» risponde la fanciulla <<Mi vo far del mal?»
«Chi son mi da far del mal all’Aurora» replica il ragazzo.
Così dicendo, avvicina ancora di più il suo viso a quello della ragazza.
Adesso anche la baionetta non è più a bersaglio.
Fuori sta succedendo qualche cosa di strano: le ausiliarie stanno ritornando verso l’ultimo autocarro; sono determinate; quella che appare essere la più grande sta piangendo.
Adesso, questa batte con le mani le sponde del mezzo.
«July, non far così!» le dice una giovane del gruppo sopraggiunto.
L’altra non risponde.
«July, vien via da lì!» ripete la giovane di prima.
Ma July non risponde.
«Giulietta, vien via! Che li te mori!» aggiunge di nuovo preoccupata la ragazza.
La donna non proferisce risposta. Ha l’espressione del viso assente.
I giovani partigiani che stanno sugli altri mezzi sono sorpresi e imbarazzati.
«Ronny!» chiama il capo dei partigiani.
Ma nemmeno Ronny risponde.
«Ronny, vien via da lì!» ordina il capo con voce autoritaria.
Tutto è silenzio….
«Romeo, vien via da lì! Che te va a finir mal!» replica il capo imperioso.
Ancora silenzio….
Solo il fiume fa sentire il rumore del suo scorrere.
Le acque dell’Adige hanno ripreso il sopravvento.
Come un caporione vogliono comandare sopra ogni altro avvenimento.
A loro non interessa cosa sta succedendo o cosa succederà.
Sono cose degli uomini.
Uomini che un momento urlano e, il momento dopo, … non hanno più niente da dire!
SETTE
SAN PROSPERO SUI GOLFI
Le cose non vanno così bene come negli anni passati a San Prospero sui Golfi.
La crisi si è fatta sentire.
Il numero dei turisti in visita al delizioso paese è indiscutibilmente calato.
Dei tre negozi di porcellane, vanto del paese, ne è rimasto uno solo in attività; e sulla serranda chiusa degli altri due un cartello con la scritta “AFFITTASI” staziona tristemente già da parecchio tempo.
La neoeletta Sindaco (o Sindaca, o Sindachessa, secondo l’evoluzione della politica) è intenzionata a tentare di risolvere il problema effettuando un interessante esperimento.
La ragazza non è stata eletta per dimostrata esperienza poiché è giovane e fresca di laurea, conseguita con 110 e lode in scienze turistiche. Più che altro la sua elezione è un segno di riconoscimento all’ impegno del padre che tanto ha fatto per il paese come avvocato civilista.
Lei, Carla, da sempre è affascinata dai racconti delle zie circa le attività dei famosi “belli” del paese nei confronti delle turiste. Attività che avevano portato il nome della cittadina alle attenzioni di una prestigiosa rivista svedese. In un reportage turistico l’autrice del servizio definiva il paese uno dei più romantici d’Italia.
Quindi, Carla (Sindaco, Sindaca, Sindachessa, come preferite!) aveva studiato scientificamente il problema fin dai tempi dell’Università; e si era preparata per la soluzione.
Si trattava, nella sostanza, di selezionare un gruppo di “belli” da impiegare come accompagnatori dei turisti in visita alla cittadina.
L’esperimento non sarebbe stato facile da realizzare, per una serie di ragioni; ma aveva il pregio di non gravare sul bilancio del comune poiché l’attività fornita dai prescelti sarebbe stata, benché istituzionalizzata come incarico pubblico, volontaria e gratuita.
Su indicazione, ancora, delle onnipresenti consulenti zie, giudicate dalla nipote Carla dotate di una notevole esperienza, il Sindaco (o la Sindaca, la Sindachessa, come preferite!) aveva invitato presso la sede municipale, con regolare raccomandata da parte del Comune di San Prospero sui Golfi, quattro “Signori” per comunicazioni della massima importanza.
Essi erano stati selezionati da una rosa di oltre dieci candidati segnalati, dopo un’attenta valutazione delle rispettive caratteristiche.
I quattro invitati, sorpresi e incuriositi, nonché ragionevolmente preoccupati, si sono, oggi, regolarmente presentati all’orario prestabilito. D’altra parte, la distanza tra la sede comunale e i bar del centro non è eccessiva.
Dopo calorosi e ripetuti saluti, ringraziamenti, convenevoli e richiami allo spirito civico, Carla entra nel vivo del problema.
Mostra filmati sulle bellezze del paese; diagrammi sulle presenze turistiche con preoccupanti curve discendenti; statistiche in diminuzione della produzione e vendite delle caratteristiche porcellane; effetti negativi sulla economia del paese; tutto materiale accuratamente fatto preparare dagli uffici comunali.
I convenuti sono sempre più perplessi e confusi e non capiscono il fine ella riunione.
Carla, il Sindaco (o la Sindaca, la Sindachessa, come preferite!), improvvisamente, con tono deciso, dichiara che occorre intervenire per contrastare la tendenza.
Afferma che lor signori sono chiamati a collaborare per il bene comune. Che la loro scelta non è casuale bensì conseguente ad una attenta valutazione delle loro rispettive caratteristiche. Che loro sono persone distinte e signorili. Che sono usi a praticare frequenti ed animati discorsi insieme; ma senza mai pronunciare parole scurrili. Che si criticano vicendevolmente; ma in modo simpatico e costruttivo.
Perciò, senza mezzi termini, lor signori debbono sacrificarsi per il bene della collettività; e accompagnare i turisti in arrivo e provvedere ad ogni loro bisogno o desiderio.
C’è un minuto di silenzio da parte di tutti. Speranzoso da parte di Carla, perplesso da parte dei convocati.
Dopodiché interviene Duepiotte:
«Signorina Sindaco, dica al Francese che questo sarà un inverno molto freddo!»
Il nome di Duepiotte sarebbe Giuliano, ma è chiamato così per un regalo ricevuto anni prima da una turista canadese. Si dice che fossero duemila dollari!
«Va bene Signor Giuliano, quindi?» chiede il sindaco.
«Quindi, Francè ci deve dare la sua chitarra che la mettiamo nel camino; tanto a lui non serve più!»
Risata generale, tranne del Francese.
Il nome del Francese sarebbe Gianni, ma è chiamato così per l’abilità nel cantare canzoni francesi accompagnandosi con la chitarra.
«Signorina Sindachessa, se casomai si facesse la rotatoria, ci starebbe bene una barchetta nel centro!» replica il Francese.
«È una buona idea signor Gianni! Ha qualche proposta?» chiede Carla.
«Sì, ci mettiamo quella di Duepiotte; che tanto serve solo alle gabbianelle!» risponde il Francese.
Altra risata generale, tranne di Duepiotte.
La riunione prosegue sulla stessa falsariga per un buon quarto d’ora.
Non c’è un formale conferimento d’incarico, né una formale accettazione.
Tuttavia, lor signori annuiscono, sorpresi e compiaciuti per il sostanziale riconoscimento nel paese del loro talento. Carla, di contro, sorride soddisfatta e speranzosa nel risultato dell’esperimento.
Dal punto di vista operativo, il Municipio avrebbe garantito, comunque, a lor signori, un abito completo su misura di un bel blu scuro e le bandierine con i colori delle diverse nazioni di provenienza dei futuri clienti.
Anche per questo, Carla si era affidata ai consigli e suggerimenti delle zie.
Alla fine, viene stabilita la divisione dei turisti, fra loro signori, così orientata:
- Turisti provenienti da USA e Regno Unito a Duepiotte per la sua conoscenza della lingua inglese.
- Turisti provenienti da Francia e zone Canadesi al Francese.
- Turisti provenienti da Germania a Labionda.
Il nome Labionda sarebbe Dario, ma è chiamato così per via di una lunga permanenza nella sua casa di una turista di lingua tedesca.
d. Turisti provenienti dal Giappone a A-pausa.
Il nome A-pausa sarebbe Ugo, ma è chiamato così per via delle numerose interruzioni sul lavoro a favore del caffè. C’è da dire che il giapponese non lo conosce, ma Ugo, essendo il più giovane del gruppo deve sacrificarsi.
Tutto, dunque, sembra avviato per un ottimale inizio dell’esperimento.
La riunione si è conclusa.
Per il Sindaco (o la Sindaca, la Sindachessa, come preferite!) Carla, si presenta, però, una inaspettata difficoltà.
Il Francese, Gianni, si è attardato. Sembra che voglia chiedere un ulteriore chiarimento. Nella stanza, ormai, non c’è più nessun altro, oltre a Carla e Gianni.
Quest’ultimo si avvicina alla ragazza intenta a riporre il suo PC e, con la massima naturalezza, le sfiora il viso con una carezza guardandola con espressione seducente.
La fanciulla è sorpresa, si irrigidisce, ma chiude gli occhi, e le sue mani si serrano in maniera forte sul computer.
«Poi, ci sentiamo!» le sussurra il ragazzo, con voce suadente, mettendogli una mano sulla spalla.
Lei arrossisce senza parlare; con uno scarto deciso si libera del braccio impertinente; lui se ne va baldanzoso.
È arrivato settembre.
L’esperimento promosso dal Sindaco (o Sindaca, o Sindachessa, come preferite!) Carla, ha dato i suoi frutti. I turisti sono ritornati, i negozi hanno riaperto, l’economia tutta di San Prospero sui Golfi è ripresa.
La fama di paese più romantico d’Italia, come aveva affermato l’autrice del famoso reportage turistico della nota rivista svedese, è confermata; e i lor signori “belli” vanno in giro vantandosi di avervi contribuito in maniera consistente.
In effetti, a questo hanno contribuito un po’ tutti. Financo i ragazzini che si sono, autonomamente e volontariamente, riuniti in gruppi muniti di bici e hanno svolto un servizio veloce di allerta, dalla stazione dei pullman alle sedi dei lor signori “belli”, presso i bar del centro.
Dalle zie, Carla ha appreso che, ultimamente, le storie del paese si sono molto incrementate con presunte vicende che hanno come protagonista il Sindaco (o Sindaca, o Sindachessa, come preferite!) del Comune di San Prospero sui Golfi.
Oggi Gianni è al Bar Centrale, giusto in un momento di relax; e sta commentando la Gazzetta in attesa di eventuali impegni.
Su di una parete del Bar Centrale campeggia una foto di Gianni in vespa.
Risale a circa tredici anni prima. Lo ritrae, sorridente e bardato, nel momento della partenza dal paese per raggiungere una ragazza francese che abitava in Normandia.
È un’autentica preziosità, facente parte delle storie di paese, che qualcuno ha pensato di riesumare stante l’esperimento voluto dal Sindaco (o la Sindaca, la Sindachessa, come preferite!).
In verità, quella avventura non aveva avuto un esito confacente alle aspettative di Gianni poiché erano successi eventi non previsti.
Infatti, vicino a Marsiglia, aveva cotto la testata e bruciata la candela dello scooter che lo aveva lasciato a piedi. Comunque, era riuscito a raggiungere la dimora della donzella con mezzi di fortuna e la disponibilità dei francesi.
La ragazza che aveva indotto Gianni ad effettuare una simile impresa era una studentessa universitaria di ventidue anni. Stava eseguendo delle ricerche di linguistica ed era approdata a San Gregorio sui Golfi, borgo ritenuto particolarmente idoneo allo scopo, per verificare alcune teorie sulle origini dei vari dialetti nell’area mediterranea. Oltre alle caratteristiche come soggetto di riscontro di teorie scientifiche, il paese costituiva anche un posto magnifico per trascorrervi un periodo di vacanza. Infatti, lei aveva inizialmente programmata una permanenza di un paio di settimane. Settimane che si erano, poi, moltiplicate per quattro per via delle insistenti ed efficaci manovre di accerchiamento messe in atto da Gianni.
Alla fine, la fanciulla dovette comunque far ritorno alla sua casa in Normandia. Non senza, però, reciproche assicurazioni di dare un seguito al rapporto instauratosi.
Su queste basi, l’arrivo di Gianni al cospetto dell’amata, aveva scatenato in questa la convinzione di aver incontrato l’amore supremo; e, di conseguenza, lo aveva accolto come si conviene in tali circostanze.
Ne nacque una perfetta luna di miele per una qualche settimana. Ma, e qui sta la parte più saliente della vicenda, Gianni cominciò ad avvertire un grande pericolo per la sua libertà quando la ragazza cominciò a fare discorsi sull’organizzazione del loro futuro insieme.
Naturalmente, non era questo il fine di Gianni che, dopo qualche giorno, riparata la vespa, si era dileguato e aveva fatto ritorno a San Prospero sui Golfi dove aveva riportato una sua personale, dolce, idilliaca versione della storia amorosa vissuta.
Oggi, per l’appunto, tra un commento e l’altro su alcuni riportati della Gazzetta sportiva con gli altri suoi colleghi, ogni tanto dà una sbirciatina furtiva a quella sua immagine sullo scooter, con un cenno latente di rimpianto dentro di sé.
Improvvisamente, irrompe nel locale la banda al completo dei ragazzini staffetta, muniti di bicicletta, per l’allerta veloce.
«Francè, correte che sono arrivate due americane, sono una mamma con la figlia!» esclama, con voce concitata e trafelato per la corsa, il capo del gruppo.
«E che c’entro io con l’americano? Io sono per il pubblico francofono!» risponde Gianni un po’ indispettito.
«Francè, Duepiotte è già occupato con la coppia di Boston! Ci siete solo voi!»
Gianni afferra al volo l’occasione di aumentare la quotazione del suo operato.
«Tutto io devo fare in questo paese! Questo paese lo tengono su queste mani!» esclama baldanzoso, a voce alta.
La provocazione non è percepita dai presenti più di tanto; sono abituati alle esternazioni di Gianni detto il Francese.
«Francè, ricordatevi di cambiare la bandierina!» raccomanda il ragazzino capo della banda degli allertanti muniti di bicicletta.
«E si capisce! Ci vuole precisione in questo lavoro! E voi studiate, che così imparate!» lo assicura lui.
Seguendo le indicazioni ricevute, Gianni si reca nel negozio di ceramiche che è stato riaperto al pubblico. L’esercizio dispone di un cortile, prima dell’entrata, ove sono esposte, su degli appositi banchetti, centinaia di statuine multicolori. Una ragazzina ne tiene una tra le mani e appare intenta a una scelta.
La ragazzina è graziosa, ma non sembra il tipo classico americano, quello dei film di Hollywood. Un bel caschetto di capelli bruni la fanno apparire un po’ più europea, anzi mediterranea, considera tra sé Gianni.
Comunque, si avvicina e, con un inglese claudicante, esclama:
«Good morning, Miss, let me introduce myself! The San Prospero village puts me at your disposal for what you need!» che, nelle sue intenzioni, avrebbe voluto dire «Buon giorno signorina, mi permetta di presentarmi! Il paese di San Prospero mi mette a sua disposizione per qualsiasi sua necessità!»
La ragazzina lo guarda sorpresa; sembra non capire; poi sorride e grida forte:
«Mum! Mum come here! The Village gives us a guide!» che in italiano vuole dire: «Mamma! Mamma vieni qui! Il paese ci mette a disposizione una guida!»
Dall’interno del negozio esce una signora; si avvicina a Gianni e alla ragazzina e, con una voce dolce e affabile esclama:
«Oh, the village gave us “piezzo ‘e merda”!» che in italiano si tradurrebbe «Oh, il paese ci mette a disposizione “piezzo ‘e merda”!»
Gianni ha un sussulto improvviso.
Non era mai successo, in vita sua, sentire pronunciare parole così offensive, soprattutto che sembravano rivolte proprio a lui.
Si gira verso la persona che le ha pronunciate con fare nervoso; e rimane a bocca aperta.
«Anne!» esclama meravigliato.
Fissa la donna; poi sposta lo sguardo verso la ragazzina.
«Si sul ‘a tocchi, te taglio ‘o cazzo e te ‘o metto su pe’ ‘o mazzo!» esclama la donna, sempre con il suo tono affabile e dolce, fissandolo a mo’ di sfida.
«Mom ! Speak English! I don’t understand! Wath does “piezzo ‘e merda” means?» che in italiano suonerebbe: «Mamma! Parla inglese! Non capisco! Cosa vuol dire “piezzo ‘e merda”?» protesta la figlia.
«Don’ t worry dear, it is the dialect of this village!» la rassicura la madre, cioè in italiano: «Non ti preoccupare cara, è il dialetto di questo paese!»
Gianni è confuso e smarrito, ma riesce, dopo qualche minuto a ritrovare una certa padronanza delle sue reazioni.
«Yes miss, … it is our language!» afferma con voce stentata, nel suo inglese approssimativo che nelle intenzioni avrebbe voluto essere: «Sì signorina, …. è la nostra lingua!»
Una sequela di immagini attraversa la mente di Gianni: la ragazza francese, con gli occhi verdi, che tredici anni prima era arrivata per studiare e villeggiare a San Prospero sui Golfi; le otto settimane di attenzioni e corteggiamenti perpetrati da lui nei confronti della stessa; le canzoni che le aveva dedicato accompagnato dalla sua chitarra; le ore trascorse in spiaggia, i baci, le carezze; la particolare mania della fanciulla di andare in giro con un registratore per raccogliere interviste con i personaggi più tipici e genuini del borgo, nonché di essere in grado di apprendere e ripetere, con estrema facilità, termini e frasi della lingua del posto; la sua pazza spedizione nella cittadina di Anne in Normandia; eppoi la sua fuga precipitosa e pavida.
Ma, come mai, adesso, lei parlava inglese ed era diventata americana?
Forse per i suoi studi e la sua specializzazione nelle scienze linguistiche?
Effettivamente, adesso ricollegava un fatto strano che era accaduto tre anni dopo la sua fuga.
Aveva ricevuto una busta, per posta aerea, che conteneva la foto di una ragazza, con un vistoso cappello ed occhiali neri, che teneva in braccio un bambino. La ragazza era vestita elegantemente con un tailleur nero che recava sul taschino sinistro un logo e la scritta Boston University. Lui aveva pensato ad uno scherzo o ad un errore e non ci aveva più rimuginato sopra.
I suoi pensieri sono interrotti dalla piccola:
«It is a pleasure to meet you but how I should call you?» che in italiano suonerebbe «È un piacere conoscerti ma come devo chiamarti?»
«You can call him whit his nickname: “piezzo ‘e merda”» cioè «Puoi chiamarlo con il suo soprannome: “piezzo ‘e merda”!»
«May I call you “piezzo ‘e merda”?» chiede la figlia rivolta, con fare educato, verso Gianni che in italiano sarebbe stato «Posso chiamarti “piezzo ‘e merda”?»
«Yes, you can call me as you like, but my name is Gianni!» le risponde Gianni sempre più costernato. Nelle sue intenzioni voleva affermare: «Si, puoi chiamarmi come ti piace, ma il mio nome è Gianni!»
«Oh, yes! Gianni! I prefer it, “piezzo ‘e merda” is too long!» cioè: «Oh, sì! Gianni! Lo preferisco, “piezzo ‘e merda” è troppo lungo!»
Così dicendo la ragazzina gli allunga la mano dicendo:
«Ok Gianni, my name is Elly, nice to meet you!» cioè: «Ok Gianni, mi chiamo Elly, è un piacere conoscerti!»
Gianni stringa la mano di Elly, e un brivido gli attraversa la schiena.
«Ah, “piezzo ‘e merda” ce l’ha fatta a tuccarla!» esclama Anne, fra sé, sempre col suo tono dolce e affabile.
«Mom ! Speak English! I don’t understand!» protesta Elly, indispettita, cioè: «Mamma! Parla inglese! Non capisco!»
«Don’ t worry Elly, it’s our dialect» risponde risoluta Anne, cioè: «Non preoccuparti Elly, è il nostro dialetto!»
«Then, you know each other!» afferma Elly con meraviglia, che vuol dire «Così voi vi conoscete!»
«Yes Elly, your mother and I used to go to the same school!» mente Gianni evitando di guardare negli occhi la ragazzina. Voleva dire: «Si Elly, io e la tua mamma frequentavamo la stessa scuola!»
«Mum! See that I was right to convince you to come here to the country of photos that you always show me!» cioè: «Mamma! Vedi che ho fatto bene a convincerti a venire qui nel paese delle foto che mi mostri sempre!»
«Yes dear, altrimènt nun incuntravàm “piezzo ‘e merda”!»
«Mom! Speak English! I don’t undestand!» protesta ancora Elly, cioè: «Mamma! Parla inglese, non capisco!»
Gianni, poi, spiega alla ragazzina che è libera di scegliere la statuina che più le piace, il pagamento è garantito dal comune.
«Ah, “piezzo ‘e merda” è diventato generoso!» commenta Anne.
«Mom! Speak English! I don’t undestand!» protesta ancora Elly, cioè: «Mamma! Parla inglese! Non capisco!»
Gianni sembra aver superato lo stato di smarrimento procuratogli dall’incontro con le due americane.
Elly decide per l’acquisto di un delizioso, piccolo Arlecchino.
Gianni le spiega che non è proprio una figura tipica del paese; ma concorda con la scelta.
Sempre lui si occupa del pacchetto regalo. Lo si sente protestare con la padrona del negozio perché esige che la ragazza americana debba avere una statuina perfetta senza quel graffio sulla tunica dell’esemplare esposto fuori.
Più o meno lo stesso copione si ripete in gelateria.
Qui Gianni comincia a ricorrere alle sue arti seduttorie; ma nei confronti della figlia della sua ex amata.
Tenta di convincerla a visitare casa sua, insieme alla mamma, dove il terrazzino permette la vista indimenticabile dei golfi.
Elly si fa convincere subito, e comincia una serie di esortazioni verso la mamma per farle accettare l’invito.
Di contro Anne continua con le sue considerazioni, espresse sottovoce nella lingua del paese, sui comportamenti di Gianni, senza accogliere gli inviti di Elly di parlare in inglese.
Gianni elude i mormorii di Anne e si concentra sulla figlia.
È, però, tagliato fuori dall’intervento di Angelo, il figlio del padrone della gelateria, che, in un promettente inglese, inizia a colloquiare con Elly.
La visita all’appartamento di Angelo è, comunque, combinata.
Nella casa egli ci vive da solo, dopo la morte della madre.
La vista dei golfi dal terrazzino è effettivamente da mozzafiato.
Il sole calante riflette un mare d’oro fuso.
Elly è commossa; anche Anne sembra sciogliersi.
Gianni propone a Elly di convincere la madre a rimanere lì per la notte. Lui si sarebbe sistemato altrove. Fra poco sarebbero arrivate le pizze.
Anne, chiede di andare in bagno e si allontana dal terrazzo.
Non ritorna subito, e Gianni paventa qualche azione non benevola.
Infatti, la trova nella camera di sua madre che si pulisce le scarpe con la coperta del letto.
«Si’ pazza! Ma che fai! Qui dorme la bimba!» la rimprovera Gianni, a voce bassa.
Lei gli lancia uno sguardo di commiserazione.
Ma i suoi occhi sono lucidi.
Le pizze sono squisite.
Anne ha smesso di offendere.
Ora sembra fare l’offesa; non parla; tiene la testa alta; scruta l’orizzonte; ed evita accuratamente gli occhi di Gianni.
Elly ha già in mano una copia delle chiavi della casa.
Gianni dichiara di essere disponibile a prendere e riportare all’aeroporto tutti: Elly, la mamma, e, se lo desiderano, anche le cugine Americane, perché assolutamente devono visitare le due cose più belle del Mediterraneo: la grotta dello Smeraldo e la Tomba del Tuffatore.
Elly, è agitata, sta già pianificando diverse, future visite. La sua mamma non si oppone.
Ora la cena è terminata.
C’è silenzio sul terrazzino. Gianni e le due ragazze si godono l’atmosfera di pace e serenità.
Nello stradello di sotto è apparso Angelo. Imbraccia la chitarra. Saluta le due signore americane. Le dedicherà una vecchia canzone napoletana.
Elly è eccitatissima.
«Mom! Mom! Listen, it’s a serenade!» esclama a voce alta, cioè: «Mamma! Mamma! Ascolta, è una serenata!»
«Chi vuole con le donne aver fortuna
non deve mai mostrarsi innamorato.
Dica alla bionda che ama più la bruna.
Dica alla bruna che da l’altra è amato.»
Recita la canzone.
Elly applaude calorosamente.
Ci sono pure uno scambio di bacetti lanciati al volo e promesse per il giorno seguente.
Il ragazzo si sta per accomiatare.
Gianni si sporge dalla ringhiera e con voce suadente e garbata dice:
«Cantànt, perché nun te ne va’ intu ‘u cesso ‘e casa tua?»
Il giovane gelataio/musicista non sembra preoccuparsi più di tanto.
«Francè, quanto siete geloso! Ci vediamo domani!»
Alle richieste di traduzioni di Elly, le risposte della madre sono sempre le stesse:
«It’s their dialect dear!» cioè: «È il loro dialetto cara!»
È giunta l’ora di dormire. È stata una giornata bella, ma faticosa.
Come promesso Gianni lascia la due donne sole nella sua casa.
Si ripresenta la mattina dopo.
C’è una speciale colazione per tutti e tre.
La vista di Anne ed Elly, che si aggirano per le stanze in pigiama, sbadigliando, è uno spettacolo che lo commuove.
Il programma prevede una gita con la sua barchetta a remi per ammirare da vicino la costa di fianco al porticciolo.
Le signore sono già pronte con cappelli, costumi e splenditi occhiali da sole.
Anna non offende più; e nemmeno fa più l’offesa.
Abbraccia la figlia; e l’asseconda in ogni suo progetto espresso.
Non appare nemmeno turbata dalle occhiate insistenti che gli ha riservato Gianni mentre remava.
Un ragazzo si tuffa dallo scoglio e nuota verso di loro.
È Angelo che, appena raggiunge la barca, si attacca al bordo.
Elly è elettrizzata per la sorpresa e saluta Angelo con allegria.
Anche Gianni saluta il nuovo arrivato; ma, con tono fermo, mormora:
«Si sul ‘a tocchi te taglio ‘o cazzo e te ‘o metto su pe’ ‘o mazzo!»
Anche questa volta il ragazzo non sembra agitarsi più di tanto.
«Francè, quanto siete nervoso!»
Gianni ride!
Anche Anne ride!
Ride di gusto!
Anche Elly ride! Non ha capito proprio tutto; ma ride!
OTTO
LA RANA
Si sta bene qui.
Si sta proprio bene.
Quest’ angolo del portico è il punto più fresco del giardino.
Io ho come un sesto senso per queste cose.
E da qui, riesco a tenere sott’occhio tutto: giardino, piscina, cancello, tutto quanto.
Di sicuro Pino ha fatto bene a trovare questo lavoro: dalla festa di Pentecoste, cioè dall’inizio dell’estate, siamo i guardiani della villa che sta di fronte allo Stagnone, vicino a Tharros, sulla costa occidentale della Sardegna, la più grande, quella con la piscina: la villa della famiglia di Milano,
Loro, i milanesi, si sono fatti vedere solo per cinque giorni, era a metà dell’estate, hanno passato tutto il tempo dentro la piscina, facevano delle urla incredibili! Schizzavano dappertutto!
Io non mi sono mosso da qui; loro continuavano a chiamarmi, ma io niente: non mi è mai piaciuta quel tipo di confusione.
Poi, alla fine dei giorni, tante carezze e via; se ne sono tornati tutti a casa, e allora la villa è rimasta a noi due: mia e di Pino.
Di sicuro i padroni sono rimasti contenti, qui hanno trovato tutto in ordine.
Io ci tengo a fare bella figura!
Ecco, come non detto! Guarda là Pino, lo vedi? Guarda cos’è caduto dentro la piscina!
C’è finito un cuscino! Vallo a tirare via! Dai.
Io per queste cose vado giù di testa!
Perché un cuscino non deve rimanere al suo posto?
Non è giusto! Non ci capisco più niente!
E allora sai che faccio?
Io abbaio! Sì! Io abbaio! Abbaio!
«Statte zitto che andiamo al mare!» mi urla Pino.
Al mare! È arrivata l’ora della passeggiatina al mare! Ci andiamo tutte le sere con il tre ruote a motore di Pino. Bello, sì! Però se sono io quello che deve stare dietro sul cassonetto, tu almeno vai piano!
Non ci sono punti per appoggiarsi qui dietro! Io rischio sempre di andare a sbattere contro la sponda.
L’altro giorno alla curva della Salina, ho picchiato con il naso! Sai che passeggiata!
Pino vai più piano! Dai rallenta un poco! Cos’è che fai? Continui ad andare forte? E allora io abbaio! Sì, io abbaio! Abbaio!
«Statte zitto che siamo arrivati!» dice Pino con voce forte.
Ecco, bene, mettimi giù, si, qui sul pari, dove c’ è la sabbia. Bravo.
Però, è sempre bello il mare a quest’ ora!
E non c’è più nessuno, ci siamo solo noi!
Sono già andati tutti a casa!
Sì, bello, veramente bello.
Tra un po’ il sole s’infilerà dentro la fessura dell’orizzonte, là in fondo, e allora scenderà!
La sera, nera come il caffè che prendono i cacciatori. Ma guarda!
Cos’è questo fagotto buttato sulla riva?
Sembra una rete da pescatore piena di robaccia!
Ma perché non l’hanno portata via!
Ma come si fa! Ma che sporcaccioni!
Diamoci pure un’occhiata, ma di sicuro non c’ è niente di buono.
Cosa c’è?
C’è di tutto; e che odore!
Vedo delle cozze, dei pesciolini morti: poverini.
C’ è una bottiglia vuota; doveva essere quella che chiamano birra; vedo dei pelacci neri. Ma che odore strano! Mai sentito prima!
Ma guarda! C’ è anche una stella marina!
Si muove ancora! Che carina…
Porco gatto! Non è una stella!
È una mano!
Una mano che si muove!
Non ci capisco più niente! Ma cos’è?
Io con queste cose divento matto!
E allora io abbaio! Sì, io abbaio! Abbaio!
«Statte zitto che ho capito cos’è!» urla ancora Pino.
Pino sei bravo, va bene, ma questa volta mettici un poco di prudenza! Se dentro c’ è qualche cosa che ti morde? Chi ci riporta a casa? Ci hai ragionato?
Niente! Non serve a niente spiegartelo! Eccolo! È già lì che tira fuori tutto dalla rete!
Pino stai attento! Ci potrebbe essere nascosto qualche cosa di brutto!
Ma guarda! Cos’è che ha trovato attaccato alla mano….
Un braccio; ed è attaccato ad un corpicino; a dire il vero i peli sono … capelli. Ma c’è tutto, non manca niente: vedo due braccia; due mani; le gambe.
Ma guarda! Sembra proprio il corpicino di una ragazza!
È mulatta!
Però è messa proprio male, fa fatica a respirare. No, no, non è mulatta! Non ci posso credere è completamente ricoperta di tatuaggi! Ma come è rovinata! Ce li ha dappertutto.
Mi meraviglio di quella mamma che ha permesso una cosa del genere!
Ma guardala! Fa quasi paura!
Forse servono a tenere lontano i pesci, quelli grossi. Ma vedo bene? Non ci sono i piedi!
Ha due lunghe pinne trasparenti, sembrano quelle delle rane!
Io non ci capisco più niente! Ma che cosa è?
È una ragazza? È una rana?
Pino lasciala lì che è tutta sporca!
Non mi dai retta, vero!
E allora io abbaio! Sì, io abbaio! Abbaio!
«Statte zitto che la portiamo a casa!» dice Pino, questa volta piano.
Rientriamo.
Però, devo dire che il ritorno fatto nella cabina del tre ruote non è meglio dell’andata sul cassonetto. No! Per niente! È quasi peggio! Che fregatura!
Lui, quando c’è la curva dalla mia parte mi si appoggia addosso e io finisco schiacciato contro la portiera! Come si fa a viaggiare in questo modo! Vai più piano! Lo capisci?
Allora? Continui ad andare forte?
Io con queste cose vado giù di testa!
E allora io abbaio! Io abbai! Sì, io abbaio!
«Statte zitto che la mettiamo dentro!» dice Pino, ancora sottovoce.
Pino, mettere questa rana dentro la piscina non mi sembra la soluzione più ragionevole, specialmente per chi ha in carico la pulizia della villa, mi spiego?
Mi sembra più sensato appoggiarla un attimo fuori dal recinto, là, di fianco ai bidoni, poi si penserà come è meglio fare.
No, come non detto, l’ha già buttata dentro.
Bravo! Complimenti!
Eccola lì, si è tutta raggomitolata nella vasca; si vede bene. La piscina ha le luci che si accendono di sera. Non sono un esperto di queste cose, ma secondo me non arriva a domani; si capisce che ha patito; e molto; guardala lì com’ è magra! Per me non mangia da molti giorni.
Ma cosa fa? Ha aperto un occhio?
Mi sta guardando? Ce l’ha con me?
Perché ce l’hai con me? Ti ho fatto qualche cosa?
Sai cosa ti faccio?
Io ti abbaio! Sì, io ti abbaio! Sì, ti abbaio!
«Statte zitto, che domani vediamo come sta!» riprende Pino preoccupato.
La mattina dopo.
Si è ripresa! Sì, si è ripresa!
Guardala, è lì con la testa fuori dall’acqua.
Questa mattina l’ho capito subito che stava meglio. Non l’avrei mai detto! Ieri mi sembrava messa così male! Vedrai che oggi le rondini non vengono più a fare il tuffo in piscina, con quella lì dentro!
Brava! Sei stata brava, ce l’hai fatta, complimenti. Ma perché non la smetti di tenermi gli occhi addosso?
È tutta la mattina che controlla quello che faccio. Ho provato anche a mettermi dietro al vaso grosso; ci sono stato un po’, poi quando sono venuto via lei era ancora li che mi controllava. Ma cos’hai da guardarmi?
Non ti piaccio? Ti faccio paura?
Guarda che la devi smettere di tenermi gli occhi addosso.
Cosa credi di essere bella tu con quei segnacci che hai!
Guarda che se non la smetti io abbaio! Abbaio sai! Io abbaio!
«Statte zitto che vediamo se mangia!» ripete Pino speranzoso.
Non la mia colazione Pino! Pino non darle la mia colazione! Cos’è che le dai? Cos’è che le dai? Pesce?
Pesce della cucina? Bravo! Se tornano i milanesi voglio vedere cosa gli dici!
E poi quella lì non lo mangia il pesce; non le piace.
Secondo me mangia le cose come i gamberi, quelli piccoli.
No… No… Sbagliato; come ha visto quello che aveva in mano Pino è corsa dalla sua parte; e quanto è stata svelta!
Devo dire che nella piscina si muove davvero bene! Per arrivare al bordo ci ha messo un attimo; e senza fare rumore.
Ma guardala! È arrivata sotto da Pino; con una mano ha stretto la scaletta, e poi si è alzata su di parecchio fino ad arraffare il pesce con l’altra.
Si vede che quelle due cose che ha al posto dei piedi spingono davvero forte! Fanno come il motore della barca di Pino, ma senza fare tutto quel rumore!
Il pesce l’ha mangiato tutto!
Ha mandato giù anche la coda!
Almeno così mi sembra di vedere.
E ha fatto tutto sott’ acqua!
Bene! Almeno così c’è meno da pulire.
Cos’è che vuoi adesso?
Perché vieni qui dalla mia parte?
Vuoi fare la conoscenza?
Va bene, adesso che sei della villa, possiamo fare la conoscenza.
Vieni pure qui; però devi lasciarti annusare; sì, è la regola; ecco … stai fermina; così …brava… lasciati annusare…
M’ha Schizzato! Brutta! Sei brutta!
Non saremo mai amici! Mai! Mai! Mai!
«Statte zitto che la portiamo al mare!» dice Pino deciso.
Siamo al mare.
Pino, ascolta, non è così difficile da capire che io e questa cosa siamo due esseri diversi!
Ma perché ci hai messo insieme dietro sul cassonetto? Non c’è possibilità d’intendersi con questa rana; è da quando siamo partiti che non ha smesso di soffiarmi contro.
Ma cosa ti soffi! Cosa credi di farmi paura?
E tieni giù quelle manacce! Lo so che mi vuoi prendere il collare!
Ma io ti abbaio! Sì, ti abbaio! Ti abbaio.
«Statte zitto che la mettiamo dentro!» dice Pino ancora più deciso.
Bene! Dai, buttala in mare! Buttala dentro!!
Si, bravo, portala in braccio, neanche fosse la festa della Patrona!
Ma guardala! Appena ha visto le onde ha cominciato a dimenarsi come una matta! Ma che schifo! Le cade la saliva dalla bocca!!
Buttala! Pino buttala, che ti sporca tutto!
Ohhh! Si! L’ha buttata!
Meno male! Ci siamo liberati!
Ecco, è già sparita! Sarà già là in fondo; sicuro!
È svelta quella!
È andata!
E non pensare di ritornare sai! Che se ti rivedo qui, io ti abbaio! Sì, ti abbaio! Ti abbaio!
«Statte zitto che quella non la vediamo più!» dice Pino triste.
Ci conto!
Ci conto proprio!
Sì!
Vai, vai, antipatica!
Sì, vai!
Chissà se quella riesce ad arrivare fino dall’ altra parte del mare.
Mah! Chi lo può sapere?
Secondo me ci riesce; se però non finisce dentro la rete di qualche pescatore.
Stai attenta!
Sì, stai attenta!
Pino, andiamo a mangiare!
NOVE
LA PANCHINA
Ciao a tutti.
Sono Piero e vi mando questo messaggio dal punto dove il segnale è più forte: la panchina fuori dal cancello del Cimitero.
Quasi tutti quelli dentro dicono che i messaggi mandati da qui non arrivano mai, qualcun altro invece dice che c’è una possibilità su un milione, e allora se c’è anche solo una possibilità, io li mando.
Avrete già capito di cosa si tratta: io appartengo a quelli dentro.
Quindi, se venite qui dalla panchina non vedete nessuno.
Perché lo faccio?
Perché mi piace scrivere e voglio che quello che mi è successo serva ad altri affinché non facciano il mio errore.
Cosa ho fatto?
Un anno fa sono andato a finire sull’ altra carreggiata della tangenziale proprio nel momento in cui arrivava un camion e la mia storia è finita lì.
Cosa è successo?
È successo che ho fatto una cretinata!
Scrivevo un messaggio mentre guidavo, in paese l’hanno saputo tutti.
Ero uscito dal lavoro e stavo andando al Bar, avevo fretta di anticipare agli amici quello che mi avevano detto sulla moglie di uno che conosciamo.
C’era da scrivere una parola lunga: “le sue cornazze” e quando ho tirato su gli occhi ero già dall’ altra parte con il camion davanti.
Quindi scrivo anche per questo:
NON FATE IL MIO ERRORE!
Lo so che i miei messaggi non arrivano, però se anche uno solo arrivasse, sono sicuro che quello mi risponderebbe:
Ma lì come si sta?
Io questo riesco a spiegarlo così:
quando ero fuori, un anno fa, mi stavo preparando per una settimana di vacanze in Spagna, nello stesso posto dell’ anno prima dove mi ero trovato così bene con gli amici.
Tutte le sere andavo fuori, avevo qualche soldino, bevevo il “blanco”, mi divertivo! In più, il giorno prima di venire via ho conosciuto una ragazza che mi voleva insegnare lo spagnolo.
Mi sarebbe piaciuto tanto rivederla.
Qui, da un anno, tutti i giorni, tutti i Santi giorni!
La Signora che sta sopra di me racconta le sue vacanze in montagna con il marito e la Bianchina nuova: chi vuol intendere, intenda!
Qui dentro ci sono delle cose davvero strane che non vi potete immaginare.
C’è un soldato con la divisa tedesca della seconda guerra, dicono che è stato portato qui di nascosto nel 1946.
Ci sono anche un sacco di gatti, va bene che io devo ancora capire quali sono quelli di qui e quelli che entrano dal cancello.
Dicono che sono stati portati dentro per farli stare vicino alle padrone.
Alcuni sono molto vecchi, nemmeno si muovono.
Ci sono anche due vecchietti uguali, gemelli, Alfredo e Costanzo, però quando rientrano ai loro punti di riferimento, Alfredo va in quello di Costanzo e Costanzo nell’altro.
Dicono che è stato un “baracchino” fatto dalle famiglie per continuare a prendere la pensione migliore.
Un’ altra cosa che vi sorprenderebbe è che qui fumano tutti, ma proprio tutti!
Se di notte si potesse vedere dall’ alto, sembrerebbe un braciere!
Perché lo fanno?
Facile, perché tanto la salute non ci rimette più.
Come fanno ad avere le sigarette?
Basta che una sia stata messa nel box di contenimento di qualcuno ed è come se l’avessero tutti.
Avrete anche capito che noi, in special modo i più giovani, non usiamo le parole vostre per:
Funeral…
Cassa da Mort…
Tomb…
Sono parole che ci fanno stare male, preferiamo:
Ultima cerimonia
Box di Contenimento
Punto di Riferimento
Quindi, quando siete qui dentro, per favore evitatele.
Un altro consiglio che mi sento di darvi è che in caso di ultima Cerimonia per una persona di una certa età, di mettergli dentro al Box di Contenimento un bastone da
passeggio, vi assicuro che diventerà utile.
Finisco qui.
Quindi riassumendo:
quando guidate tenete il telefonino SPENTO!
Venite pure qui dalla panchina che a me non date fastidio.
Ciao a tutti
Piero
RACCONTI STRANI è una raccolta di racconti di Claudio Balboni
genere: ANTOLOGIA