SAVANA di Franco Lo Presti
SAVANA di Franco Lo Presti
La savana africana è uno dei luoghi più affascinanti del pianeta Terra.
Occupa i territori compresi tra i 10° e i 20° di Latitudine Nord e Sud che costituiscono la fascia centrale dell’Africa.
Questo ambiente determina la zona di transizione tra la foresta pluviale tropicale e il deserto.
È un territorio sconfinato, con due stagioni di cui una secca e una umida, ed una vegetazione che vede in prevalenza praterie erbose, con alberi distanziati che non riescono a realizzare una volta chiusa.
Questa caratteristica è la conseguenza dalla scarsità delle precipitazioni e dalla loro stagionalità che non sono sufficienti allo sviluppo di alberi e arbusti.
Ci sono savane anche nella parte settentrionale dell’Australia, nell’America del Sud e in India. La maggior parte delle savane, però, si trova in Africa.
Qui il terreno è di colore rossastro poiché è ricco di ferro e ha un rilievo pianeggiante.
“Ogni mattina, nella savana africana, al sorgere del sole una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più veloce del leone. Un leone si sveglia e sa che dovrà correre più veloce della gazzella. Ogni mattina, nella savana africana, al sorgere del sole non importa che tu sia leone o gazzella, l’importante è che cominci a correre.” recitava uno spot della TV degli anni ’90.
Si dice che queste parole costituiscono un proverbio africano, ma non tutti sono d’accordo.
Comunque sia, esso rappresenta molto bene una condizione della savana africana che si adatta a due grandi raggruppamenti delle specie animali: gli erbivori che dipendono dalla flora dell’ambiente e i carnivori che dipendono dalla caccia agli stessi.
Perciò, la corsa e gli inseguimenti, tanto bene rappresentati nel presunto proverbio africano, sono fondamentali per la sopravvivenza di molte delle specie animali che popolano i vastissimi spazi aperti della savana.
Tra i protagonisti della savana troviamo, quindi, i carnivori velocisti.
Per primo il leone che può raggiungere i settantacinque chilometri orari e fare balzi fino a dodici metri. Non è molto resistente, però, e la sua tattica è quella di un avvicinamento silenzioso alla preda acquattato fra l’erba alta.
Il super velocista, tuttavia, è il ghepardo che può superare i novanta chilometri orari con le sue zampe lunghe e sottili in una muscolatura forte.
Di indole solitaria è il leopardo, che si distingue per le macchie sulla pelliccia disposte a cerchi. È molto forte e usa proteggere le sue prede dagli altri animali sollevandole sui rami degli alberi dove è capace di arrampicarsi.
Sì, poiché per i predatori della savana il rischio è proprio quello di vedersi soffiare il frutto della caccia dai licaoni e dalle iene.
Se la vita delle specie carnivore della savana è estremamente faticosa, non è meno facile per le specie erbivore.
Queste non sono costrette a lotte e corse per mangiare ma vivono perennemente in allerta e pronte alla fuga con vari stratagemmi per disorientare e far desistere l’assalitore.
La campionessa di tale strategia è la gazzella che gareggia per velocità con il ghepardo, spesso superandolo, capace di repentini cambi di direzione che provocano lo sfinimento del predatore.
Altre specie erbivore sono meno agili ma più grandi e robuste, come la zebra e il bufalo africano. Esse vivono in branchi proteggendosi a vicenda. Il bufalo aggiunge al numero degli esemplari del gruppo, poi, aggressività e corna minacciose, tollerando la presenza di invadenti uccelli che si posano sul suo dorso nutrendosi dei parassiti che vi soggiornano.
Ancora altre specie animali della savana africana sono il rinoceronte, l’ippopotamo, lo gnu, il serval, il dik-dik, e molti altri. Tutti meritano un’attenzione particolare per caratteristiche fisiologiche e regimi di vita.
Spiccano, tuttavia, tra gli erbivori due specie giganti.
La prima è la giraffa, l’animale terrestre più alto poiché raggiunge i sei metri di altezza. Con il suo lunghissimo collo raggiunge i rami più alti degli alberi e mangia le foglie eliminando ogni competizione con le altre specie erbivore.
Infine, l’elefante africano. È l’animale terrestre più pesante. È un animale sociale che riunisce molti esemplari in mandrie composte essenzialmente dalle femmine e dai loro figli. A capo c’è una matriarca che fa da guida. I maschi adulti vivono da soli o in piccoli gruppi. È un erbivoro che utilizza la sua proboscide per nutrirsi di erbe, piante rampicanti, foglie e cortecce.
L’elefante africano incute rispetto e genera simpatia. Solo alcuni leoni osano attaccarlo e sfidare la sua forza.
Perciò, il proverbio africano che è stato riportato non rende giustizia alla realtà della vita nella savana. Infatti, esso descrive una situazione nella quale per sopravvivere sembrerebbe indispensabile correre e correre sempre più veloce.
Ma, da quello che si vede accostandosi ai comportamenti delle varie specie non è la pura forza ad assicurare la sopravvivenza, bensì l’intelligenza e la strategia che è capace di creare.
*****
Si chiamava Akua ed era la femmina più anziana.
Faceva parte di un branco di elefanti che viveva nella parte della savana africana a nord dell’equatore.
Akua era la matriarca e guidava il suo gruppo fra le zone alberate quando dovevano difendersi dal caldo, oppure li accompagnava nelle aree di pascolo dove gli elefanti potevano cibarsi di graminacee, fogliame, frutti e tanta erba.
Li conduceva, inoltre, sulle rive di un lago dove tutti si dissetavano e i piccoli del branco potevano giocare, spruzzandosi addosso l’acqua che risucchiavano con la loro proboscide.
La vita di Akua e del suo branco trascorreva felice nell’immensa savana.
Un giorno, però, alcuni bracconieri senza scrupoli, organizzarono una partita di caccia agli elefanti per impossessarsi dell’avorio che si ricava dalle loro zanne.
Un colpo partito accidentalmente dal fucile di un bracconiere, mise in allarme Akua che, barrendo freneticamente, chiamò a raccolta i suoi e li guidò in salvo nel parco protetto più vicino, dove prima non voleva andare, temendo di perdere la sua autonomia.
Quando giunsero, comprese di aver fatto la scelta giusta.
Aveva salvato i suoi da morte certa e aveva trovato un rifugio sicuro, in cui venne accolta dai sorveglianti del posto e dagli altri pachidermi che c’erano.
In quest’area trovò cibo a sufficienza e tutta la libertà di movimento che temeva di perdere.
Qui Akua si stabilì.
Per il suo carattere energico venne subito riconosciuta come capo del nuovo gruppo, riuscendo a vivere tranquillamente insieme ai suoi e a riprodursi, senza la paura di essere aggredita dai cacciatori che ne minacciavano l’esistenza.
Erano trascorsi circa dieci anni da quando era arrivata nella zona protetta, e Akua era diventata nonna di cinque nipotini per i quali stravedeva e a cui permetteva di fare ciò che mai aveva concesso alle figlie.
L’ultimo nato si chiamava Bruk. Era il più briccone di tutti, ma anche il più furbo e coccolato del gruppo.
I suoi cugini, più grandi di lui, lo proteggevano nelle esplorazioni che gli elefantini facevano, con il permesso dei loro genitori e, soprattutto, della nonna, alla quale dovevano rispetto e obbedienza.
I piccoli elefanti vivevano con le loro madri, ma avevano formato un gruppo indipendente e si vedevano spesso per correre o giocare, spruzzandosi addosso l’acqua con la proboscide.
Il laghetto era alimentato da un fiume che negli ultimi tempi era spesso povero di acqua pur essendo nella stagione umida, forse per effetto dei cambiamenti climatici che ormai si verificavano frequentemente.
La pioggia, infatti, da qualche tempo, era diventata molto scarsa e gli animali sentivano un gran bisogno di bere e di bagnarsi per trovare un po’ di refrigerio dal grande caldo.
Le sponde del fiume erano asciutte e la poca acqua non arrivava più a bagnare l’erba che cresceva.
Per questo gli animali erano costretti a percorrere un tratto fangoso prima di arrivare sull’acqua per bagnarsi.
Erano tanti gli animali che andavano in quel fiume perché era l’unico corso d’acqua della zona.
Perciò, Akua aveva raccomandato ai piccoli di stare molto attenti perché era facile fare qualche cattivo incontro.
Gli elefantini, ubbidendo alla nonna, avevano rinunciato alle visite al lago e avevano cominciato ad esplorare l’ambiente circostante con più impegno, cercando di trovare qualcosa di sfizioso da mangiare.
I piccoli elefanti avevano sentito dai loro genitori che nel confine del parco dove vivevano, c’era una fattoria il cui guardiano, Abdul, era il rappresentante della locale associazione per la protezione animale.
La nonna aveva parlato molto bene di lui ai suoi nipotini.
Quella fattoria era il punto di raccolta di tutta la frutta coltivata in diverse zone dell’Africa per essere spedita in varie parti dell’Europa.
In particolare, l’arancia, coltivata a Shashe, nel distretto di Beitbridge al confine con il Sudafrica e il Botswana, aveva raggiunto per quella fattoria una grande importanza commerciale. Veniva spedita soprattutto nel nord Europa.
Gli elefantini, un giorno pensarono di andare a trovare Abdul nella speranza di assaggiare, di nascosto, qualche frutto delizioso.
Arrivati fino alla rete di protezione della fattoria, si fermarono a guardare da lontano il grande edificio del magazzino, in cui era conservata la frutta, pronta per la spedizione, dondolando la proboscide indecisi sul da farsi.
Abdul li vide da lontano, si avvicinò alla recinzione e con la mano cercò di accarezzarli, ma i piccoli si spostarono timorosi.
Il giovane comprese la paura degli elefantini e si presentò:
«Mi chiamo Abdul, non abbiate paura! Sono un amico di vostra nonna, mi conosce abbastanza bene. In passato ho curato, nel mio capannone, la mamma di qualcuno di voi.»
Gli elefanti capirono dal tono di voce che l’uomo non voleva far loro del male, e si lasciarono accarezzare.
Abdul ne fu proprio contento:
«Bravi, oggi posso darvi un premio per l’amicizia che abbiamo appena fatto. Voglio farvi assaggiare un frutto che sicuramente vi piacerà. Aspettatemi qua, vado e torno.»
Il giovane corse verso il magazzino e ritornò con una cassettina contenente alcuni frutti che gli elefantini non avevano mai visto.
«Ecco, mangiate questo frutto!» disse Abdul «Si chiama arancia. Sono sicuro che vi piacerà!»
Gli elefantini presero l’arancia e con la proboscide la portarono in bocca.
Gustarono per la prima volta il succo di quel frutto, facendo una piccola smorfia.
Allungarono nuovamente la proboscide verso il loro nuovo amico per chiederne un’altra, dimostrando così di aver gradito quel dono.
«Ve ne faccio assaggiare ancora un’altra, ma poi basta. Ve ne darò ancora la prossima volta che verrete a trovarmi. Ne porterò anche una cassettina a vostra nonna, così potrete mangiarle a casa.»
Rise di vero cuore, nel vedere la reazione buffa degli elefanti mentre gustavano le arance. Gli animali alzarono la proboscide in segno di gratitudine e tutti contenti per la nuova esperienza ripresero la strada verso casa, decisi a raccontare tutto alla nonna.
Avevano, infatti, paura che le mamme li avrebbero sgridati.
«Nonna» iniziò a raccontare Bruk «oggi abbiamo conosciuto Abdul di cui ci hai tanto parlato. È una persona buona e gentile. Ci ha fatto assaggiare un frutto molto buono che si chiama arancia. Ne hai mai mangiato uno?»
«Certo che ne ho mangiate, sono molto buone. È un frutto che è piaciuto anche alle vostre mamme e che in genere piace a tutti gli elefanti del parco. Abdul è un uomo molto gentile e tante volte ci ha curato quando ne abbiamo avuto bisogno. Ha il grande dono di comprendere e farsi capire dagli animali. Voi, però, non approfittate della sua gentilezza.» rispose Akua.
I piccoli annuirono emettendo un barrito.
Dopo alcuni giorni, gli elefantini incontrarono nella grande radura, vicino al grande albero di baobab dove decisero di fare visita al loro amico.
Prima di arrivare da Abdul, si fermarono a bere l’acqua del fiume e ne approfittarono per rinfrescarsi.
Ciò che videro li spaventò molto.
Scorsero, immersi nell’acqua, tanti animali che in passato non avevano mai visto tutti insieme, probabilmente erano stati spinti dal forte caldo.
Nel punto più alto del fiume c’erano degli ippopotami con il corpo sprofondato nell’acqua, da cui affiorava solo il grosso capo.
Emergevano le teste di alcuni coccodrilli, che cominciarono ad avvicinarsi furtivamente, non appena videro gli elefantini.
I cinque cuginetti compresero subito il pericolo e tornarono indietro, fermandosi a guardare da lontano.
Videro, sull’altra sponda del fiume, alcuni leoni che bevevano, e tanti altri animali che si azzuffavano fra loro.
Pensarono allora di andare da Abdul, il cui capannone era nelle vicinanze, convinti che lì sarebbero stati al sicuro.
Nascosto dietro a un folto cespuglio ingiallito, li stava aspettando un ghepardo, pronto per attaccarli.
Aveva, adocchiato Bruk, l’elefante più piccolo e vulnerabile del gruppo.
Ma i suoi cuginetti, prontamente, gli fecero da scudo, iniziarono a barrire per attirare l’attenzione di Abdul, che non doveva essere distante o di qualche elefante adulto che speravano si trovasse nei paraggi.
Il felino pensò quindi di attaccare subito, ma si trovò davanti i due elefanti che cominciarono ad agitare minacciosamente la loro proboscide, barrendo contemporaneamente.
Il ghepardo si lanciò all’attacco e fu colpito da una proboscide che lo fece ruzzolare per terra ma si rialzò subito e saltò sulla schiena di Bruk.
Si udì un colpo di fucile.
Era stato sparato da Abdul che aveva sentito il richiamo dei suoi amici ed era corso in loro aiuto.
Il ghepardo, con un balzo, saltò a terra e corse a rifugiarsi in mezzo all’erba alta.
Abdul andò a vedere come stavano i suoi amici, e raccomandò loro di tornare subito a casa perché aveva notato un branco di ghepardi aggirarsi nei dintorni.
Gli elefantini ringraziarono, e si incamminarono velocemente verso casa.
Raccontarono tutto alla nonna che li confortò e li coccolò, raccomandandogli, ancora una volta, di non andare al fiume in quei giorni.
I piccoli elefanti andarono a giocare nella grande radura, all’ombra del baobab, ma senza allontanarsi troppo.
Dopo alcuni giorni, nonna Akua, diede loro il permesso di fare una passeggiata, così i piccoli elefanti si incamminarono verso il margine della foresta, dove iniziavano le aree di pascolo.
Grosse nuvole nere oscurarono il sole, e due fulmini attraversarono il cielo, per poi scaricare la loro energia nella foresta.
Seguirono subito dopo due tuoni fortissimi.
Poi tutto cessò all’improvviso; le nuvole nere si diradarono e al loro posto apparvero delle nuvole rosa che facevano presagire un definitivo allontanamento del temporale, tanto più che si intravedeva uno spicchio di sole in mezzo a un largo tratto di cielo azzurro.
I piccoli elefanti, spaventati dai tuoni e dai fulmini, si precipitarono verso casa, per non far stare in pensiero la nonna.
Erano quasi arrivati, quando, sentirono un odore di fumo. Stormi di uccelli emettevano strilli di spavento e si alzavano in volo, abbandonando il loro nido sicuro. I rettili scappavano per andarsi a rifugiare sottoterra.
Diverse gazzelle e antilopi, con salti formidabili, scavalcavano tronchi d’alberi caduti per terra e si dirigevano nella direzione del fiume in preda alla paura.
Animali di tutte le specie, correvano a rifugiarsi fra le acque del fiume che ritenevano il posto più sicuro per difendersi dal fuoco, che stava travolgendo tutto ciò che incontrava.
Arrivati a casa, gli elefantini raccontarono tutto alla nonna.
Nel frattempo, le fiamme avvolgevano gli alberi e il fuoco si propagava rapidamente in mezzo all’erba secca, avanzando verso la zona protetta dove vivevano i pachidermi.
Akua chiamò a raccolta tutti gli elefanti del branco, barrendo fortemente.
Quel barrito frenetico attirò l’attenzione.
Abdul prese l’auto cisterna e si diresse verso l’incendio, mentre con il cellulare, allertava i vigili del fuoco, della caserma più vicina alla foresta.
I vigili pensarono di utilizzare l’aereo Canadair che avevano in dotazione per prelevare acqua nella parte più profonda del fiume e spargerla sopra gli alberi.
Il lavoro dei vigili si presentò subito difficoltoso per la poca acqua che c’era nel fiume e la presenza degli animali che lo affollavano.
Comprendevano le difficoltà del momento, ma non si arrendevano; avevano troppo a cuore la vita degli animali.
All’improvviso, il cielo si oscurò di nuovo, nuvole cariche di pioggia si stavano avvicinando.
Si levò un forte vento che abbattè molti alberi. Scoppiò un vero e proprio diluvio, come da tempo non si vedeva.
Quel temporale, seppur così violento, completò l’opera di spegnimento dell’incendio iniziato da Abdul e dai vigili del fuoco.
Il vento e il nubifragio si placarono e Abdul si recò con la sua auto nelle vicinanze del fiume dove immaginava di trovare animali in difficoltà.
Ne rintracciò alcuni di piccole dimensioni che avevano riportato qualche scottatura.
Li portò nel suo capannone e li consegnò a un suo assistente perché se ne prendesse cura, poi, fece ritorno al fiume, temendo altre vittime dell’incendio.
Proprio durante il ritorno, vide Bruk che correva.
Un ghepardo era stato trovato dal piccolo elefante sotto un albero, disteso e privo di sensi. Era bagnato dalla pioggia e con vistose scottature. Stava certamente soffrendo.
Bruk aveva riconosciuto in lui il predatore che qualche giorno prima l’aveva attaccato, ma senza pensarci due volte era corso in cerca di aiuto.
Incontrò Abdul, lo condusse dal ghepardo ferito, e lui lo soccorse. Lo caricò nell’auto e lo portò nel capannone.
Il grosso felino venne curato e appena guarito, fu messo subito in libertà.
Trascorsi alcuni mesi, la vita nella foresta aveva ripreso il suo ritmo naturale.
Gli alberi bruciati erano stati abbattuti e al loro posto, altri erano stati interrati per ripristinare l’ecosistema.
Intanto, ricominciava il caldo tipico della stagione secca e tutti gli animali avevano ripreso il loro modo di vivere e a frequentare il grande fiume che, dopo il temporale, era ricco d’acqua.
Finalmente gli elefantini potevano rinfrescarsi.
Durante una delle loro visite al fiume, un leone, si buttò in mezzo agli elefanti per attaccarli.
Forse nessuno li avrebbe aiutati, erano soli per la prima volta e il panico li assalì.
Cominciarono a barrire molto forte, ma proprio nel momento in cui il leone stava per attaccare, si materializzò davanti a loro un grosso ghepardo, che ingaggiò con il leone una lotta furibonda, tanto da costringerlo ad allontanarsi, abbandonando la lotta e salvando, di fatto, i piccoli pachidermi.
Bruk e i suoi cugini ringraziarono il ghepardo che li aveva protetti e, guardandolo bene, riconobbero in lui l’animale che qualche tempo prima aveva assalito Bruk e che loro stessi avevano salvato quando era in pericolo durante il temporale.
Gli elefanti compresero che con il loro nemico naturale si era stabilita una sorta di amicizia, niente e nessuno avrebbe più scalfito.
Akua ascoltò commossa ciò che era accaduto quel giorno ai suoi nipotini e dichiarò di essere fiera di loro.
Erano ormai diventati adulti.
SAVANA è un racconto per ragazzi di Franco Lo Presti