SCARPE di Rosanna Antola
genere: STORIA
Anni e anni fa, un uomo sposato ad una buona donna, tornava a casa dai campi e ritrovava lei, bella e serena, e i suoi figli.
Stava a guardarli mentre, seduto a tavola, riconosceva, nei loro tratti del viso, segni suoi e la finezza della moglie.
In questa fusione, era fiero della prole. Eppure, un sentimento nuovo cresceva nel petto ogni giorno sempre più deciso.
Passava qualche ora della notte, insonne e agitato, immaginando per sé una vita diversa.
Il sole del mattino tornava puntuale, beveva il latte caldo parlando sempre di meno coi familiari.
La moglie lo guardava in silenzio, immaginando una stanchezza crescente derivata dai campi; le scarpe, ormai logore, gliele puliva dall’erba incastrata nelle suole.
Sarebbe stato necessario trovarne di nuove, ma il denaro bastava a malapena per mantenere i figli. Forse Angelo le avrebbe ricucite, pure se le avesse girate sopra e sotto affermando che erano da buttare, ed aveva ragione.
Ma, in cambio di un sacchetto di farina per la polenta, col suo robusto filo ed il mastice, quelle scarpe avrebbero fatto nuova vita per un po’.
Un giorno, la donna raccontò del suo intento al marito. Lui annuì e lo lasciò uscire a piedi nudi.
Lei portò le scarpe ad Angelo, che, come immaginava, le gettò in un angolo, brontolando che le donne gli portavano calzature sempre rovinate, non poteva far nulla. Quando vide la farina gialla, compatì la donna. Ma, gli fece piacere. Anche per lui la fame era tanta.
Ago e spago in mano in cerca di porzioni di pelle non usurata.
Il miracolo avvenne, e restituì alla signora un paio di scarpe dall’aria nuova.
Quel giorno, alla sera lei si trovò sola coi figli, uscì a chiedere notizie del marito e qualcuno le disse che era salito su un camion che da Vicenza andava verso Bolzano. Il solito mezzo che prometteva un forte guadagno; verso quei posti, in montagna, si andava a spaccare pietre, per la costruenda diga.
Senza dire una parola Graziano, marito e padre, era partito. Non aveva lasciato detto nulla a casa. Forse, la decisione era stata così dura per lui, da non poter parlare dei suoi progetti con nessuno.
Restavano le espressioni immusonite nella memoria di lei.
A casa, Teresina teneva in mano le scarpe tornate nuove, pensava di partire anche lei verso Bolzano a portargliele.
Chiamò il figlio più grande e gli parlò del padre e del suo progetto di andarlo a cercare. Coi soldi dentro la scatola di latta nascosta nel cannone della stufa spenta avrebbero potuto mangiare per un po’; non le occorreva molto tempo: avrebbe raggiunto Bolzano, dato le scarpe a Tonino e ritornata a casa.
Giuseppe fece cenno di sì col capo, guardò le scarpe del padre, poi abbassò lo sguardo ai suoi piedi: le sue erano simili, ma andava sulla terra a piedi scalzi, per non consumarle. Spostò lo sguardo sulle gambe della madre, lei indossava gli zoccoli che duravano una vita.
Teresina era partita da Vicenza alla ricerca del marito: il viaggio per Bolzano lo pagò vendendo il collo di pelliccetta.
Il camion viaggiava sulle strade polverose.
Ad ogni curva, Teresina vomitava come quando era incinta.
Bolzano non lo raggiungessero mai.
L’autista beveva di continuo. Solo lui sapeva quanti viaggi faceva con quel mezzo e, per scacciare la stanchezza, tirava un sorso di vino; tanto diceva, il mezzo conosce la strada, corre da solo.
Erano quasi arrivati.
Durante un tornante mal affrontato, la corriera iniziò a rotolare lungo la roccia sporgente. I passeggeri iniziarono a gridare, ma smisero presto, per i colpi micidiali presi.
Chi passava per là e, notato che erano tutti morti, cercò di prendersi i soldi e le calzature: alcune erano messe male, ma forse sarebbero ancora andate bene per un po’.
La notizia dell’incidente arrivò a Vicenza e Giuseppe capì che sarebbe toccato a lui occuparsi dei fratelli fino al ritorno di sua madre.
Coi fratelli in braccio e le scarpe quasi nuove, il ragazzo si mosse, a piedi, per riconoscere e tornare a casa con mamma.
Il cammino era lungo e faticoso, la pancia brontolava per la fame e non avevano nulla.
Con altra gente, videro il pullman, addormentato su uno spuntone.
La mamma stringeva al petto le scarpe di suo padre. Un viaggio diverso per lei l’attendeva.
Giuseppe picchiò l’autista, ubriaco ma vivo. Raccolse le scarpe del padre e gli zoccoli della madre.
L’autista chiamava aiuto. Giuseppe aveva la rabbia che scoppiava in testa, sedette per terra con i fratelli. Poi, si alzò e tirò un pezzo di roccia sulla testa di quell’ubriacone rannicchiato sul volante. In tasca gli prese il denaro e i documenti.
Tornò dai fratelli e riprese a camminare verso Bolzano.
Da quel giorno, divenne più cattivo, i familiari gli dovevano obbedienza senza discussioni.
Si fermarono a mangiare con i piedi doloranti per il troppo cammino.
I piedi del più piccolo necessitavano di una calzatura migliore.
Al negozio del calzolaio ne vide un paio lustre, da domenica, ma chiedeva troppi soldi. L’artigiano gli propose le scarpe del figlio, ormai piccole per lui, però vide gli zoccoli da donna e li volle come scambio.
Giuseppe pretese dei lacci nuovi per sé e un barattolo quasi vuoto di mastice. Li ottenne e cedette gli zoccoli della mamma.
Gli mostrò la foto di suo padre, partito da Vicenza verso Bolzano per lavorare alla diga.
Nella bottega intanto era entrata una signora con una bambina, chiese al padrone un paio di scarpette di vernice per la figlia.
Giuseppe guardò i piedi di sua sorella, avvolti negli zoccoletti. Quanto avrebbe voluto che pure lei avesse posseduto scarpe morbide, non avrebbe più sofferto a camminare. Decise che tutti in famiglia dovevano camminare meglio, magari vestirsi come i borghesi: ma ci volevano soldi, molti.
Il bottegaio disse a Giuseppe di sedersi ed aspettare per parlargli dopo, intanto servì le clienti.
I ragazzi si sistemarono per terra. Sedie non ce n’erano e rimasero ad osservare le clienti.
Giuseppe vide le calzature destinate alla bambina e non seppe resistere nell’affermare che aveva notato un difetto e avrebbero avuto bisogno di esser riparate.
Il padrone si avvicinò, gli pose in mano la foto di suo padre e invitò tutti ad uscire. Giuseppe coi fratelli si mise a piangere, mentre la sorella Domizia lo confortava; altra camminata da intraprendere, verso dove nessuno di loro lo sapeva, ma un posto per la notte era necessario.
Provarono a domandare a un falegname, mentre una mano afferrò il braccio di Giuseppe.
“Che avevano quelle scarpe? Pure una volta precedente, mio fratello mi ha venduto delle scarpe con la pelle che si è strappata dopo una settimana. Ho avuto bisogno di farle sistemare.”
Giuseppe in lacrime si scusava, però le disse:
“Quella sinistra aveva la pelle tagliata male e la colla non serviva, son da scucire e rifare”.
“Te ne intendi?”
“Sì, un po’. A Vicenza andavo in fabbrica, ero al finissaggio, ma guardavo gli altri.”
“Come mai qui intorno a Bolzano?”
“Cerchiamo nostro padre, era partita la mamma con la corriera, ma c’è stato un incidente.”
“Ah, sì. Abbiamo sentito, mi spiace. Adesso dove andate?”
“Posso pagare un’osteria e poi vedremo.”
“Ho visto la foto dell’uomo che cercate, vi posso aiutare. Appena girate la strada, c’è un buon posto per fermarvi. Aspettatemi domani. Ciao.”
“Grazie Signora?”
“Cecilia e lei è mia figlia Clotilde. A presto.”
I ragazzi videro le due figure allontanarsi, mentre raggiungevano il locale per fermarsi.
Finalmente potevano fermarsi, riposare i poveri piedi e magari mangiare qualcosa.
All’interno c’erano tante persone, nell’aria l’odore identico alla cucina della mamma: si stava così bene!
Arrivò una donna e chiese di cosa avessero bisogno.
Giuseppe si lasciò andare e come un fiume in piena, raccontò la partenza improvvisa di suo padre senza spiegazioni, la mamma morta lungo la stessa via del marito da Vicenza a Bolzano e loro stessi alla ricerca del genitore.
Gli altri presenti notarono i ragazzi dall’aria smarrita, chiesero il nome dell’uomo che cercavano e alcuni abbassarono il capo, allontanandosi.
Rimasero là fino al mattino seguente, in attesa di Cecilia; la donna aveva detto che sarebbe venuta per raccontare loro qualcosa del loro papà.
Al mattino lei non arrivava, ma dalla porta entrò il calzolaio.
Giuseppe udì bene la conversazione con un uomo. Il bottegaio ritirava le calzature cucite male, per vendere a prezzi correnti, più gliele riportavano per farsele riparare.
Il ragazzo chiese a sua sorella di far cadere un bicchiere, facendo finta di nulla.
Lei si fidava, obbedì al fratello e mille pezzi di vetro finirono per terra, pure alcuni nel sacco delle calzature destinate alla bottega dell’impostore.
Molte persone smisero di parlare, voltandosi in direzione del fragore. Un uomo incrociò lo sguardo della bambina:
“Papà!”
L’uomo rimase in silenzio, al posto senza dire nulla. Giuseppe, in piedi, raccolse le scarpe fallose e le gettò accanto al tavolo dove si trovava suo padre.
“Raccoglile, scucile e confezionale come sai e come so pure io. Che facciamo a Bolzano?”
Uscì una voce:
“Alla diga si guadagna bene.”
“La mamma è morta per te, per noi.”
Il padrone del locale tirò un braccio del calzolaio e lo mise sulla strada, poi parlò a Giuseppe:
“Ma quale diga? A spaccare pietre volete andare? Rimanete coi vostri figli e fateci delle belle scarpe. L’osteria è ben frequentata, guadagnerete altrettanto bene. Qui passa Alfredo che commercia pelli, pensateci”.
“Io torno a Vicenza e farò il tagliatore, tu qui cuci e troviamo qualcuno per il finissaggio.”
Così tutti sentirono la voce di Graziano parlare della sua vita, un viaggio nuovo, quasi ideale.
Due uomini lo chiamarono:
“Signor Graziano, giusto? Siamo due alpinisti e cerchiamo qualcuno che ci fornisca scarponi per la neve? Vuole collaborare? Andiamo sulle Dolomiti, ci servono calzature calde e robuste, chiaro?”
Graziano confuso disse sì, che sua moglie imbottiva le coperte e magari l’idea andava bene per la neve.
Viaggi nuovi, nuove polveri da sollevare, piedi abbracciati alla pelle di vitello: un sogno.
Graziano con Giuseppe e gli altri due.
“Ah, dimenticavo che io sono Giuseppe e sto scrivendo, dal notaio, l’atto di passaggio della fabbrica “Scarpe Teresina” ai miei figli. Se passate a Vicenza, mi trovate facilmente. Il mio marchio di fabbrica è il disegno delle scarpe riparate a cura di mia mamma. Vi aspetto!”
SCARPE di Rosanna Antola
genere: STORIA