SERVI DEL MARE di Alberto Baschieri

Erano venuti entrambi su dal Sud Italia poco più che ventenni dopo essersi sposati, nei bagagli molti sogni e nella pancia di lei un figlio che sarebbe nato da lì a qualche mese.

Lui si faceva chiamare Francesco, il suo nome all’anagrafe forse lo conosceva solo la moglie o magari neppure lei, chi lo sa.

Appena giunti qui in città si erano stabiliti in un monolocale trasudante di muffa, con dei vicini di casa che non facevano altro che litigare dalla mattina alla sera, delle volte sbattevano le porte e si udivano colpi contro le pareti; più volte si erano domandati se fosse il caso di fare qualcosa, di chiamare qualcuno, ma alla fine lasciavano stare sempre, con un figlio in arrivo, meno problemi si causavano meglio era in fin dei conti.

Francesco lavorò come addetto al volantinaggio – si faceva anche venti chilometri al giorno a piedi – poi trovò impiego come aiuto pizzaiolo e infine venne assunto in un’azienda di onoranze funebri. Non era il massimo né ciò che desiderasse e una sera sì e l’altra no tornava a casa piangendo, ma era un lavoro e la paga, quella sì, era molto buona.

Più volte durante la notte veniva svegliato per andare a fare un recupero, all’inizio Anna – la moglie, quello era il suo vero nome – era scocciata da questi avvenimenti, ma poi aveva finito con l’abituarsi e dopo un po’ di tempo non si svegliava più neppure.

Per sfogarsi e per disintossicarsi da tutto il dolore con il quale veniva a contatto Francesco, quando non era impegnato con il lavoro, scribacchiava qua e là, principalmente racconti molto simili per stile e tematiche ai giganti americani che amava leggere, in particolare London e Melville. Forse neppure la moglie lo sapeva – essendo che lui non l’aveva mai messa al corrente di tutto ciò – ma dentro di sé cullava la recondita idea di riuscire un giorno a farne una professione.

Un giorno di inverno freddo come pochi, mentre il vento ululava selvaggio e sferzava contro le pareti delle case, alle prime luci del mattino, nacque Tommaso, un bambino radioso e con il sorriso sempre pronto, con un buffo ciuffetto di capelli sulla testa che ricordava tanto Tintin.

Quello fu il primo dei due grandi cambiamenti della loro vita. Tutto ciò che fino a quel momento non sembrava tollerabile, improvvisamente diventò sopportabile.

Era vero, al lavoro per Francesco ad attenderlo c’erano i morti, i suicidi, gli incidenti d’auto, i maciullamenti, ma quando tornava a casa le lacrime erano tutte di felicità per quel piccolo essere sorridente che madre natura o chi per lei aveva voluto regalargli.

Per Anna purtroppo le cose andarono diversamente: le urla dei vicini, il marito che tornava a casa con un alito di morte e un tanfo di prodotti chimici per il trattamento delle salme, le crescenti responsabilità genitoriali furono per lei troppo.

Si ammalò, su di lei cadde un’ombra nera, una fuliggine spessa, lapilli ardenti di tristezza compatta, per due volte venne ricoverata nel reparto di psichiatria, dopo aver tentato più volte di togliersi la vita. Inutile dirlo, Francesco fu costretto a lasciare il lavoro per occuparsi del figlio e per stare vicino alla moglie ammalata.

Quando tutte le speranze di poter riconquistare una forma di normalità sembravano perse e Francesco stava ponderando seriamente l’ipotesi di scapparsene via con il bambino, avvenne l’incredibile, ciò che nella nostra società odierna può fare la differenza tra il soccombere e il vivere. Lui ricevette una telefonata da un parente stretto che abitava ancora giù, il quale lo informava di aver vinto una somma ingente di soldi e poiché non aveva né figli né moglie con i quali spartirli, aveva immediatamente pensato a Francesco.

I mesi successivi furono frizzanti e di grandi liberazioni: Anna poté cominciare ad essere seguita da uno psichiatra privato, uno dei più rinomati in città, e le sue condizioni di salute, con l’aiuto anche di una terapia farmacologica, cominciarono a migliorare a vista d’occhio, poterono permettersi di assumere una tata che badasse a Tommaso e Francesco decise, dopo aver fatto qualche conto, di aprire una sua attività, una agenzia di assicurazioni.

Il piccolo Tommaso cresceva a vista d’occhio, Anna ormai si era ripresa del tutto e l’agenzia di assicurazioni non era delle più rinomate ma non ci si poteva lamentare, gli introiti arrivavano puntuali ogni mese e si erano potuti permettere pure di assumere qualche dipendente.

Ne parlavano da tempo, ma l’idea non si era ancora solidificata del tutto delle loro menti, un castello di sabbia che attendeva di essere trasformato in cemento; finché, quando Anna fu guarita del tutto, non si decisero a cominciare a considerare seriamente l’ipotesi di cambiare casa.

Entrambi avevano delle idee opposte, a lei sarebbe piaciuta una casa in collina, immersa nel verde, mentre lui avrebbe preferito qualcosa di più cittadino, poiché sebbene la casa attuale non lo facesse impazzire, il quartiere non lo vedeva così male.

Alla fine, come spesso avviene, ebbe la meglio l’idea di Anna. Non che fosse stato facile per lui cedere, ma sia per spirito cavalleresco, sia per paura di darle un dispiacere – e quindi di vederla ricadere nella nebbia – alla fine Francesco aveva deciso di assecondarla, in fondo un po’ di aria pulita e di calma avrebbero potuto far bene a tutti.

Cominciarono a cercare la casa che più di tutte rispondesse alle esigenze di tutti, pure a quelle di Tommaso. La casa avrebbe dovuto avere un ampio giardino, perché Anna avrebbe voluto riempirlo di fiori e di piante da frutto, anche Francesco era d’accordo sul giardino, poiché lui lo avrebbe voluto riempire di animali, stesso risultato, fine diverso.

La casa avrebbe dovuto avere una camera grande per loro, una grande per Tommaso e un’altra ancora, nel caso fosse arrivato un nuovo figlio – a loro non sarebbe dispiaciuto, non lo cercavano, ma neppure lo ostacolavano.

Riuscirono a trovare qualcosa che avrebbe fatto al loro caso, a pochi chilometri dalla città, immersa nel verde, non troppo costosa poiché da ristrutturare, dopo qualche mese andarono a rogito.

Per sentirsi più al sicuro e per assecondare le proprie fobie, Anna fece installare su tutta la recinzione attorno alla casa due strati di filo spinato, per evitare che bestie o visitatori non voluti entrassero in casa.

Con l’acquisto della casa consumarono quasi tutti i soldi rimasti dalla vincita, ma per loro non fu un problema, sentivano che una nuova fase di prosperità stesse iniziando per la loro famiglia.

Francesco vendette l’attività; non vi furono molte spiegazioni date alla moglie, semplicemente la vendette e un giorno venne a casa tranquillamente accennandolo, con la tranquillità di chi ha colto un fiore da un cespuglio. Non vi furono molte discussioni, all’inizio la moglie rimase esterrefatta ma poi – tanta era la fiducia nel marito – si persuase del fatto che ci fosse una ragione al di sotto, sicuramente sensata.

La ragione c’era, e forse non era esattamente definibile nei termini in cui Anna l’aveva raffigurata mentalmente, ovvero sensata. Francesco aveva venduto l’azienda per inseguire il sogno della scrittura; nessuno seppe dire come maturò questa consapevolezza, forse Melville gli era comparso in sogno e gli aveva promesso grandi fortune, nessuno poté saperlo allora. Trascurò moglie e figlio, si chiuse in una stanza e per sei mesi uscì solamente per espletare i bisogni fisici e per mangiucchiare qualcosa di tanto in tanto.

Il romanzo si chiamava “Servi del mare” e raccontava le gesta di due pescatori omosessuali che fuggivano dalle loro mogli per vivere da soli su di un peschereccio.

Fu un disastro, non solo il libro era scritto male e non fu letto neppure da Anna, la quale aveva iniziato a covare molto risentimento, ma ebbe un impatto catastrofico pure sulla loro famiglia. Convinta che il libro fosse una trasposizione fittizia basata su una dose di verità, Anna si convinse che il marito fosse segretamente omosessuale e lo lasciò, ottenendo l’affidamento del bambino. Da solo, con una casa gigantesca alla quale tener dietro, senza più un soldo – quasi – e senza più moglie e figlio, Francesco si buttò con un tuffo a bomba nell’alcolismo e da quello non riuscì più ad uscirne. Vi furono delle udienze in tribunale per stabilire quale dei due genitori fosse più idoneo a educare e crescere il piccolo – che nel frattempo era cresciuto – ma vennero sempre vinte da Anna, che nel mentre aveva chiesto il divorzio e si era accompagnata al suo avvocato con il quale da tempo intrecciava una relazione.

L’unica cosa che gli era rimasta era la casa, la quale tentò più volte di vendere ma senza successo.

Una sera, dopo aver bevuto pesantemente, come quasi sempre avveniva ogni serata, uscì in cortile e andò a farsi una passeggiata nei boschi lì vicino. All’inizio penso che si trattasse di un cerbiatto morto, poi gli parve di aver visto la Madonna assopita sull’erba, ci mise un po’ a realizzare cosa realmente vi fosse davanti ai suoi occhi. Tentò di rianimarla, la schiaffeggiò, le fece la respirazione bocca a bocca, ma niente, alla fine l’unica cosa che gli riuscì, fu di ritornare dentro in casa e di chiamare la polizia.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso, nonostante con quella femmina che gli era capitata magicamente nel bosco non avesse niente a che fare, la stampa, in assenza di altri elementi scagionatori, lo giudicò subito colpevole, e a poco servirono i tre gradi di giudizio che lo dichiararono innocente. Si svegliava la mattina e aveva i fotografi sotto casa, le troupe televisive lo seguivano ovunque e inutile dirlo, non poté più vedere suo figlio neppure da lontano.

Si presentò un giorno alla sua porta un’acquirente, un signore italoamericano che aveva la passione per il giornalismo nero e che voleva comprare la sua casa per poi farne un museo dell’orrore.

Non gli offrì molto, ma quanto gli offrì gli bastò per convincersi che avrebbe potuto utilizzare quei soldi per pagarsi un avvocato che lo avrebbe potuto aiutare a riconquistare suo figlio: accettò la proposta e da quel momento in poi passò le sue giornate in giro, di bar in bar ad ubriacarsi e a coltivare i presupposti per una cirrosi epatica, la notte dormiva dentro la sua macchina – una delle poche cose che la ex moglie non fosse riuscita a portargli via. Oltre all’alcol aggiunse la passione per le corse dei cani e dei cavalli, iniziando a scommettere prima tutte le settimane, poi tutti i giorni. Sperava di poter duplicare il successo del suo parente.

Non durò molto quella vita, venne ritrovato morto durante l’inverno nella sua auto, derubato di quei pochi spiccioli che aveva vinto alle corse, gli inquirenti lo giudicarono come un atto di ostilità tra senza tetto, e archiviarono l’avvenuto nel giro di poco tempo.

Al suo funerale non vennero né la moglie né il figlio.

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