ULTRONEO di Italo Deffendi

I suoi amici chiamavano quelle carrozze “i vagoni far west”.

Sedili e arredi erano in legno, non esistevano divisori o scomparti, e il tutto ricordava gli interni dei treni nei film western americani, molto in voga al momento.

Di fronte a lui un uomo stava leggendo, completamente assorbito, un quotidiano.

Quel giorno tutti i giornali avevano la stessa immagine in prima pagina, la foto, diffusa dalle brigate rosse, provava il rapimento dell’Onorevole Aldo Moro, così quel lunedì di marzo 1978, la fotografia presente su tutti gli organi di informazione, era entrata in modo dirompente nella vita del nostro Paese.

Un unico argomento teneva banco, quel fatto e le possibili conseguenze per la nostra Società, che a molti sembrava in bilico tra Democrazia e guerra civile.

Ma a lui, ad Ivan Costui, sedicenne studente dell’istituto tecnico industriale A. Volta di Trieste, quella notizia non bastava a distoglierlo dalla lettura del libro che aveva iniziato, “Il Colombre” di Dino Buzzati.

Stava cercando di comprendere l’allegoria del racconto, questo strano pesce, che perseguita il protagonista ed è visibile solo a lui ed alla sua famiglia, gli suggeriva che il proprio futuro va affrontato e non evitato, che l’ansia per le proprie paure non deve condizionare le azioni di tutti i giorni al fine di rinviare le proprie scelte.

Anche quel fatto di cronaca, che monopolizzava i discorsi degli adulti in treno, non bastava a interrompeva il flusso dei suoi pensieri. Questo perché, spesso, il proprio bagaglio culturale non consente di apprezzare la sottile differenza tra conoscenza, comprensione e consapevolezza.

Così un evento accaduto a Roma, per quanto importante, non gli consentiva di comprendere ed ancor meno di essere consapevole di quali avrebbero potute essere le conseguenze per il suo futuro. Allo stesso modo le allegorie nella narrazione del libro, se non commentate, non gli davano una consapevolezza completa dei fatti narrati, ma forse per un ragazzo di16 anni tutto questo è abbastanza normale. Tutto ancora più comprensibile per lui, uno studente di un istituto industriale nel suo primo anno di scuola in una grande città.

Sì, perché lui, Ivan, veniva dalla campagna, aveva sempre vissuto in campagna, aveva fatto il biennio delle superiori in periferia, e quello era il primo anno a Trieste. 

Per raggiungere la scuola doveva prendere un treno locale, al tempo chiamato accelerato, che fermava in tutte le stazioni, anche quelle oggi chiuse, e per arrivare a scuola alle 8:00 doveva partire con il treno delle 6:20, assieme ad una massa di operai che si recavano al lavoro.

Quello era il suo ambiente ogni giorno, per più di un’ora al mattino ed altrettanto al pomeriggio al rientro.

Il treno offriva dai finestrini una vista sulla campagna fino ai margini della città. Ma lui aveva smesso di guardare il paesaggio o a discorrere con i compagni di viaggio, perché aveva scoperto la lettura in treno.  Leggere fuori dagli orari canonici della scuola o dagli impegni casalinghi rappresentava l’unico spazio temporale che era riuscito a trovare da dedicare alla lettura.

Questo modo di leggere in treno gli permetteva comunque di osservare il mondo in modo diverso, gli permetteva di studiare, leggere romanzi, saggistica, e di conseguenza osservare e ragionare sulla condizione umana. Leggere ed osservare in questo modo, ti fa vedere il mondo dalla porta di servizio con l’impressione di non partecipare a quanto accade, ma è proprio così?

D’altra parte, questo leggere in treno rappresentava l’unica soluzione che aveva trovato per prepararsi ad affrontare quello che era diventato il suo grande problema, il professor Fumo.

Il professor Fumo era uno degli insegnanti più autorevoli della sua scuola, insegnava italiano e storia, materie solitamente poco considerate negli istituti tecnici, ma lui era un insegnante all’antica, dal forte carattere, riteneva che tutti dovessero possedere proprietà di linguaggio, anche per esprimersi nelle materie tecniche.

Per questo motivo alla fine delle sue lezioni spesso indicava dei libri da leggere al fine di migliorare il proprio lessico.

Ivan, all’inizio era rimasto allibito da questi consigli, anche perché le risorse economiche della sua famiglia non consentivano certo di acquistare libri che non fossero quelli di testo, ma poi aveva scoperto la biblioteca comunale, dove una giovane ragazza, pochi anni più grande di lui, aveva iniziato a lavorare e far crescere il servizio bibliotecario del suo paese.

Maddalena era sempre cordiale e propositiva, e quando lui arrivava con una richiesta di un libro o di un autore non disponibile in quel momento, quasi sempre glielo faceva trovare o attraverso scambi con altre biblioteche o con gli acquisti che la biblioteca comunale faceva a cadenze mensili.

L’arresto del treno interruppe Ivan della sua lettura, era arrivato alla stazione di Trieste Centrale, gli rimanevano trenta minuti per attraversare la piazza, satura di bancarelle di venditori blue jeans per cittadini Jugoslavi, percorrere via Ghega, poi su per via Fabio Severo, inerpicarsi sul vicolo Ospedale Militare fino a via Monte Grappa e arrivare quindi all’Istituto Tecnico Industriale A. Volta.

Qui all’ultimo piano del grande edificio si trovava la specializzazione Telecomunicazioni, destinazione di studenti amanti dell’elettronica della radio telefonia e delle novità tecnologiche in genere, e qui Ivan aveva per la prima volta incontrato quello che era diventato il suo più grande incubo, appunto il professor Fumo.

Il professor Fumo, insegnante formale ed austero, dava e pretendeva il lei dagli studenti, comunicava sempre subito i voti di prove scritte o interrogazioni, motivando il giudizio.

Italiano e storia erano materie in cui Ivan si era sempre destreggiato, ma li quell’anno, il primo per lui in un grande istituto scolastico, aveva scoperto cosa significava essere considerato il peggiore della classe.

Nei compiti in classe di italiano il professor Fumo usava consegnare i risultati iniziando dal voto più basso, ed il primo era sempre il suo. Così alla fine del primo quadrimestre si era trovato con 3 in italiano scritto e orale e 3 anche in storia, anche se non era mai stato interrogato in nessuna delle 2 materie. I voti rappresentavano la considerazione che il professore aveva nei suoi confronti.

Quel lunedì, come ogni lunedì, le prime due ore di lezione erano dedicate ad italiano e storia, e come al solito appena il professore entrò in classe il brusio degli studenti cessò lasciando il posto ad un silenzio interrotto solo dal suono dei suoi passi. Quel giorno non iniziò le lezioni come al solito ma si rivolse alla classe per commentare i fatti riportati con grande enfasi dalla stampa.

“Oggi è uno dei giorni più bui della nostra Repubblica, ma io vi esorto a comportarvi da cittadini, a dimenticare scioperi o manifestazioni in risposta ai fatti accaduti, ma a comportarvi con il massimo rispetto nei confronti delle Istituzioni e quindi a fare in pieno il vostro dovere; quindi, invito tutti voi a comportarvi da studenti modello, è così che si risponde alle difficoltà.”

Quindi, l’insegnate aprì il registro e prima di decidere chi chiamare per un’interrogazione chiese se qualcuno volesse presentarsi volontario sulla materia del secondo quadrimestre.

Quella frase fece scattare qualcosa nella memoria di Ivan, gli fece ricordare un commento letto poco tempo addietro.

Quindi, cos’è un bivio: niente altro che un’opzione che il destino ti offre.

Ivan si fece forza e decise che doveva agire per farsi padrone del proprio futuro e così, con mano tremante alzo il braccio e si propose.

Il professore alzò lo sguardo perplesso, ma di fronte alla classe assolutamente intimorita e silenziosa, non poté esimersi dall’esaudire l’unica richiesta. D’altra parte, era convinto che se ne sarebbe liberato in pochi minuti.  Così, acconsenti e indicò la lavagna dove si sarebbe tenuta l’interrogazione.

Ivan usci dal banco si recò di fronte alla cattedra, con il cuore che gli batteva aspetto la prima domanda.

Forse per dimostrarsi magnanimo l’insegnante lo invitò ad illustrare uno scrittore a scelta tra quelli previsti dal programma scolastico.

Ivan si giocò la prima carta scegliendo Boccaccio, anche se aveva ricevuto un tre in pagella.

Lui le lezioni le aveva seguite e aveva notato un forte apprezzamento dell’insegnante nei confronti di quell’autore. Perciò, oltre ad aver letto tutte le novelle presenti sul testo scolastico, frequentando la biblioteca di paese aveva scoperto un autore che andava ben oltre a quella che era la rappresentazione cinematografica del momento.

Probabilmente, il professor Fumo si era fatto un’idea analoga, pensando che Ivan, Boccaccio e le sue novelle, le avesse lette su Play Boy o qualche rivista del genere. Ma dopo oltre 15 minuti di interrogazione aveva scoperto che il suo alunno aveva una preparazione solida.

Le domande passarono prima su Petrarca, poi su Dante, quindi Ariosto e Machiavelli, sempre senza trovare carenze nella preparazione di Ivan, anzi, disquisendo su approfondimenti nemmeno accennati in classe.

Il campanello interruppe le continue domande dell’insegnante, che, malgrado tutto, non aveva ancora cambiato il suo giudizio sullo studente, ma doveva esprimersi subito.

Per la deontologia dell’insegnante esprimere un giudizio, rappresentava un obbligo, più che un dovere, da motivare di fronte alla classe.

Provò a sentenziare:

 “Va bene signor Costui, lei ha studiato, ma non ha proprietà di linguaggio, non si esprime bene perché lei non legge”.

Ivan non gli lasciò il tempo di continuare, l’interrogazione gli aveva dato consapevolezza e fiducia, e così lo interruppe ed esclamò:

“Veramente quest’anno ho letto diversi libri”.

L’insegnante sempre più allibito ed incredulo chiese:

“Quali libri?”

Ivan inizio citando il Colombrè di Buzzati.

Il professor Fumo strabuzzo gli occhi, era un testo che aveva consigliato in classe poco tempo prima ed ora davanti a lui, quello che lui considerava il peggior studente, glielo citava, non ci poteva credere.

Chiese di riassumerne il testo ad anche in questo caso le sue domande trovarono risposta. Da lì si passò a Calvino con il suo “Il sentiero dei nidi di ragno”, per poi passare a Saba, Steinbeck, Levi, Morante, Sciascia.

Sempre commentando testi che lui durante l’anno aveva invitato a leggere al fine di migliorare la padronanza della lingua.

Ma, dopo due ore di interrogazione, non aveva trovato ne vuoti nella preparazione scolastica dello studente né nelle letture che lui aveva consigliato.

Ricorse, quindi, a quella che lui considerava l’ultima opzione, il confronto.

“Bene, lei ha letto una dozzina di libri che io ho suggerito in classe, ma non mi sembra comunque un granché, vediamo” disse rivolgendosi a Davide Furlan, “lei quanti libri ha letto quest’anno?”

Davide Furlan, lo studente chiamato in causa dall’insegnante, era il primo della classe, ragazzo esemplare per carattere e voti, avrebbe dovuto iscriversi al liceo ma la sua passione per l’elettronica aveva convinto i genitori ad acconsentire alle sue richieste ed iscriverlo all’istituto tecnico.

Davide Furlan si alzò in piedi e, con pacatezza, elencò i tre libri che aveva letto quell’anno.

Il professor Fumo rimase costernato dalla risposta.

Ci fu un silenzio di alcuni secondi interrotto dallo squillo della campanella che indicava il termine della seconda ora.

Ivan Costui colse l’attimo e aggiunse:

“Signor Professore, deve tener presente che ci sono anche altre materie da studiare”.

La frase tramortì l’insegnante, lo fece sprofondare sulla sedia dietro alla cattedra.

Di fronte a lui, lo studente, che aveva trattato nel peggiore dei modi tutto l’anno, non solo non protestava dopo il confronto con il primo della classe, ma anche gli ricordava che esistevano altre materie da studiare.

Se un cavallo fosse entrato dalla porta invitando il professore a recarsi dal Preside, il suo stupore sarebbe stato sicuramente minore.

Il professor Fumo fissò per un istante in silenzio Ivan Costui, e a denti stretti mormoro:

“Signor Costui non so cosa farò con lei”.

Perché, anche se la classe non lo sapeva, le sue prese di posizione nelle riunioni docenti avevano contribuito ad abbassare tutti i voti di Ivan, anche nelle altre materie, perché se l’insegnante più autoritario mette 3 ad un alunno, allora quello di matematica pensa che forse il compito Ivan lo ha copiato, quello di tecnologia magari abbassa mezzo voto e così via. 

Ivan, in quel momento, non lo sapeva ma quell’interrogazione gli avrebbe cambiato la vita perché gli permise di non abbandonare la scuola e di conseguire un diploma, tutto come conseguenza di un’unica interrogazione. 

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