UNA SETTIMANA IN NOVEGNO di Milva Bertoldo
Finalmente non avrei più dovuto vedere la prof di matematica!
Non so cosa le avessi fatto, ma mi aveva “puntata” e per tre anni avevo vissuto un incubo. Trovava sempre il modo di farmi sentire una cretina.
Negli scritti avevo la sufficienza, ma “lei” con due interrogazioni, aveva trovato il modo (lo trovava sempre) di portarmi la media a cinque e mezzo.
Ma ora era finita. Chiuso! Basta! Addio!
Due settimane al mare e poi, una settimana alternativa.
Eravamo saliti spesso al Novegno con Pimpa, il mio instancabile jack russell. Solitamente i suoi simili amano recuperare il bastone, lei i sassi e se non glieli tiri viene a scavarti con le zampette sotto ai piedi.
Mi piace percorrere i viottoli di montagna.
Non so perché ma mi vien sempre una gran fame e quindi: “sosta panino” o col noto “pan al buro” di S. Ulderico e poi pastasciutta o minestrone in malga o al Monte Rione, da dove si ammira un panorama a 360 gradi in quella che fu un’importante fortificazione della grande guerra.
Disseminati per il monte si trovano infatti costruzioni fatte dai soldati italiani che combatterono contro gli austriaci. Quest’ultimi chiamavano il Novegno “l’ultimo monte”, poi avrebbero raggiunto la pianura Veneta: non ci riuscirono.
Suggestiva pure la località “Pria Forà”, una tonda finestra naturale nella roccia da cui si vede Arsiero. Un fischio rivela la presenza delle marmotte: è la vedetta che avverte le altre dei pericoli.
In una di queste gite ho conosciuto il “malgaro” del posto e gli ho chiesto se fosse possibile provare qualche giorno la vita in malga.
‹‹Certo›› mi rispose e così prendemmo accordi per agosto.
Magliette, jeans, pantaloncini, cappellino, scarpe sportive vecchie, le immancabili scarpe da ginnastica ai piedi. Un paio di felpe, il Kway ed una giacca a vento. Biancheria, calzini, spazzolino, shampoo, sapone e dentifricio. C’era tutto.
Avrei condiviso la camera con mia zia e la morosa del figlio del malgaro. Unico bagno, cucina e stanzone per rifocillare gli escursionisti. Tutto molto spartano ed essenziale.
La malga si trova nella conca dove si trova anche l’osservatorio astronomico, posizionato lì per il buio assoluto. Stelle e luna: fuori dal mondo!
Il mattino dopo fui svegliata alle cinque dal malgaro che da sotto la finestra mi chiamava a squarciagola:
‹‹Beatriceeee…. Scendiii!››
Aprii il balcone e lo vidi con una tuta da lavoro blu.
‹‹Vieni a mungere!››
Misi le prime braghe che trovai: salopette, maglietta, scarpe vecchie. Scesi gli scalini a due a due. Mia zia mi attendeva con un pezzo di pane, burro e marmellata in mano:
‹‹Toh … e andiamo che sei in ritardo!››
La stalla distava circa duecento metri. Mi venne in mente che non mi ero manco lavata la faccia e non avevo fatto la pipì!
Stavano pulendo le tette delle vacche, poi attaccarono l’apparecchio per mungerle.
Chiesi di provare a mungere a mano e il malgaro, molto pazientemente mi insegnò.
Dopo vari tentativi in cui la vacca tentò di comunicarmi che non era così che si faceva, riuscii a far venire il latte. Seduta sullo sgabellino, ad un tratto presi una codata proprio in mezzo alla fronte. Siccome non me l’aspettavo, caddi dallo sgabello.
Il malgaro ed il figlio si misero a ridere e pure mia zia, io invece no. Avevo preso tutto molto sul serio e siccome sono un tipo un po’ permaloso, quasi mi offesi.
In ogni caso, dopo circa un’ora e più, la mungitura terminò e ora toccava far uscire le vacche e pulire la stalla.
Agitazione o freddo del mattino: che attacco di mal di pancia … uh, Signur!
I malgari, col carretto, stavano portando il latte nel casotto dove facevano il formaggio.
Consultai la zia:
‹‹Sei in una stalla … falla qua!››
Mi guardai attorno titubante ma ormai non ce la facevo più. Tirai giù la salopette e … feci quel che dovevo fare. Ragazzi … non avevo previsto che nella fretta la pettorina della salopette era rimasta in parte sotto di me… che disastro!
Non potevo rimanere con quelle braghe addosso e corsi a toglierle. Mi lavai mani e faccia, misi un jeans e già fuori il malgaro mi chiamava:
‹‹Beatriceeeee… ma dove sei?››
Ridiscesi le scale correndo, entrai nella casara trafelatissima.
‹‹Ah… eccoti! Ma dove sei stata?››
Farfugliai ‹‹ehm… dovevo andare in bagno…›› e cominciai a seguire la lavorazione del formaggio.
Il pomeriggio si tagliò l’erba con una “BCS” che stava per: Bisogna Camminare Sempre (!).
Non c’era la TV. Ma vi assicuro che la sera non avrei avuto la forza di guardarla.
Il giorno dopo, tutto daccapo.
Settimana intensa ed istruttiva.
Una settimana in Novegno è un racconto di Milva Bertoldo