VENTI DELL’EST SUL VERBANO di Maria Carla Cravero

Foto di pixabay

 “Nessuna traccia dell’uomo che si sarebbe lanciato nel Lago Maggiore dal traghetto che copre la tratta Laveno-Intra. La persona, dall’apparente età di 50 anni, si sarebbe imbarcata martedì sera a Laveno, sull’ultima corsa verso Verbania, quella di mezzanotte, ma non è mai sbarcata …”.

Quella mattina di inizio maggio Giulio Ronco era seduto sulla panchina davanti al lago, sfogliava distrattamente il giornale prima di arrivare al suo ufficio di investigatore privato, come alle volte gli capita nelle giornate di sole quando non deve seguire qualche caso. Prima di richiudere il quotidiano gli cadde l’occhio su quel piccolo trafiletto, ma non gli diede molta importanza.

Mentre si avviava lentamente verso il lavoro, godendosi la sua passeggiata lungolago, ripensò allo sconosciuto e al fatto che aveva l’età di suo padre quando morì.

Giulio si sentiva molto affezionato al lago, come ad un vecchio amico che incontrava tutti i giorni, di cui però non poteva ignorare i cambiamenti. Aveva ormai perso il fascino che esercitava su di lui quando era bambino, faceva il bagno e sognava tesori nascosti sul fondo.

I ricordi della sua infanzia erano indissolubilmente legati a quegli spazi e dalla morte del padre si sentiva ancora più unito al lago. Quella perdita aveva aperto una ferita mai completamente rimarginata, anche a distanza di 30 anni. Per ritrovare i momenti sereni della sua infanzia, usciva spesso da solo sulla vecchia barca a vela che il padre gli aveva, con pazienza, insegnato a manovrare.

Suo padre, Pietro, medico di Locarno, si era trasferito in Italia a 39 anni per amore di Sofia, sua madre. Lei era una pianista di dieci anni più giovane, cui si prospettava un futuro da concertista. Il loro incontro cambiò la vita ad entrambi, ma non rimpiansero mai di aver rinunciato alle loro carriere per vivere insieme a Stresa, dove Pietro era un medico generico. Da giovane la sua passione per la medicina lo aveva portato a dedicarsi alla ricerca, ma dopo avere conosciuto il padre di Sofia, medico condotto, aveva cambiato idea. Si era appassionato alla cura dei pazienti, anche se non aveva perso del tutto i contatti con i suoi vecchi colleghi svizzeri.

Vissero insieme sino alla morte improvvisa di lui, avvenuta a 50 anni, quando Giulio aveva ne solo 8 e suo fratello Luca 10.

Quella mattina la banale coincidenza fece riaffiorare in lui quel dolore. In quel momento avrebbe voluto poter suonare il pianoforte, salire in barca o farsi un giro con una delle sue moto, senza pensare ad altro.

Quel giorno però doveva sbrigare delle noiose pratiche con la sua segretaria e si accontentò di contemplare le acque ferme del lago che gli riportavano i ricordi della sua infanzia col padre.

Quella perdita, arrivata in così giovane età, unita ad un altro dolore per un’altra morte prematura, lo avevano finora frenato a condividere la sua vita con una donna. Era diventato un uomo solitario e molto riservato. Aveva posto una barriera tra lui e le donne, forse la stessa che sua madre si era costruita dopo la morte del marito.

Pietro, pur morendo prematuramente, non l’aveva lasciata senza risorse. Inoltre, i genitori di Sofia, anche se delusi dalla decisione dell’unica figlia di abbandonare la musica, le avevano fornito una rendita vitalizia e alla loro morte, le avevano lasciato un discreto patrimonio.

Proprio per questa disponibilità né Giulio né suo fratello ebbero mai problemi economici. Poterono scegliere liberamente cosa studiare.

Luca decise di seguire le orme del padre e dopo la laurea in medicina aveva ottenuto un posto da ricercatore a Parigi.

Giulio scelse di studiare legge, ma era un appassionato di polizieschi, di indagini e di misteri irrisolti. Difendere un colpevole non lo allettava per nulla, così dopo un’esperienza presso uno studio legale decise di diventare investigatore privato, riuscendo, attraverso varie conoscenze, a frequentare un prestigioso studio di investigazioni a Londra.

Giulio, a differenza del fratello, scoprì che non amava vivere a lungo lontano dal lago. Almeno questo era l’alibi che si era creato con la sua famiglia e con gli amici. Il motivo vero era legato ad una morte di cui nessuno della sua famiglia era mai venuto a conoscenza.

Ma la ragione vera era che non poteva più vivere in quella città, che troppo spesso gli avrebbe ricordato Helen, la sua prima vera fidanzata e collega dell’agenzia, uccisa in circostanze mai del tutto chiarite.

Dopo qualche mese da quell’episodio, era tornato in Italia e aveva aperto un ufficio di investigazioni nella piccola città dove era nato. In apparenza nulla sembrava accadere in quell’angolo di provincia, ma in realtà erano molte le persone che si rivolgevano a lui, anche dalla vicina Svizzera, dove la sua agenzia si era guadagnata una discreta fama.

Si occupava di tradimenti, di contro-spionaggio industriale, di frodi alle assicurazioni, di eredità, di piccole e grandi truffe, di indagini patrimoniali e raramente di persone scomparse.

Ultimamente erano molti i genitori che gli chiedevano di spiare i propri figli per essere certi che la loro fiducia non fosse mal riposta. Gli era capitata una mamma molto apprensiva che voleva essere certa che suo figlio non fosse gay. Ronco non poté confortarla, ma solo fornirle le prove dei suoi sospetti.

A volte era stato tentato di abbandonare quel lavoro, in fondo si trattava di spiare le persone, di indagare sulle loro debolezze, suoi loro vizi e tutto questo per denaro. Tuttavia, la ricerca della verità lo appassionava così come il desiderio di conoscere più in profondità uomini e donne.

Ciò che lo attirava era scoprire le motivazioni delle loro scelte, cercare di comprendere le ragioni di certi gesti, di certe decisioni. Non si spiegava come persone insospettabili arrivassero a compiere azioni illegali e a volte anche ad uccidere. Era un vero mago nei travestimenti e spesso li utilizzava per avvicinare le persone su cui doveva indagare, andando, talvolta ben oltre le richieste dei suoi clienti. Giocava anche con i suoi amici, una volta che si truccò da vecchio persino sua madre non lo riconobbe e si spaventò vedendolo entrare in casa.

Giulio condivideva col fratello medico la stessa sete di conoscenza della natura umana, lui per capire le ragioni che spingevano al “male”, Luca per curare i “mali” del corpo.

Nei momenti in cui metteva in discussione la sua scelta gli sembrava di aver sbagliato tutto e si chiedeva se sarebbe stato capace di fare un altro lavoro, ma ormai era troppo tardi per dedicarsi all’altra sua grande passione, la musica.

Giulio era diventato un bravo pianista, prendendo le prime lezioni dalla madre, a differenza di Luca che si era sempre rifiutato di imparare, e non sembrava avere predisposizione per la musica.

Da piccolo preferiva giocare, appassionandosi poi allo studio delle materie scientifiche. Giulio aveva vinto un concorso musicale e avrebbe potuto partire in tournée con un’orchestra importante. Ci pensò molto prima di decidere, ma infine scelse l’Università, la Facoltà di Legge.

La musica rappresentava il legame con sua madre.

Al pianoforte Sofia ritrovava la leggerezza dell’adolescenza e la gioia di esprimere sé stessa. Dopo che i figli erano cresciuti, si era dedicata ad insegnare il pianoforte. Sofia sosteneva che la musica e il pianoforte in particolare potevano cambiare la vita delle persone; infatti, erano molti i ragazzi e le ragazze che attraverso il suo insegnamento avevano scoperto il proprio talento.

Ancora bella, curiosa, aveva amici con cui condividere l’amore per i viaggi, ma nessun uomo, dopo Pietro, era mai entrato nella sua vita.

Giulio arrivando davanti alla porta dell’ufficio vide una donna che aspettava.

Luisa, la segretaria non era ancora arrivata ed i suoi collaboratori erano impegnati fuori. Fu quasi contento di doversi occupare di qualcuno, questo avrebbe scacciato i suoi pensieri di nostalgia e tristezza.

La giovane donna non sembrava avere più di una trentina d’anni, era vestita in maniera semplice, jeans e camicetta, ma firmati e costosi. Era molto curata e senza trucco, ma dall’aspetto del viso sembrava aver passato la notte senza dormire e probabilmente aveva anche pianto.

Giulio rimase subito colpito dai suoi occhi, scuri, un po’ a mandorla.

 «Buongiorno. Stava aspettando me?»

 «Sì, se lei è l’investigatore privato.»

Giulio intanto aveva aperto la porta mostrandole una poltroncina nel suo ufficio.

«Mi chiamo Valentina Shaslamova, mio padre è russo, ma vivo in Italia con mia madre che è italiana, da quando ero bambina. Abito e lavoro a Torino. Vengo al lago in vacanza da alcuni anni, conosco bene questa città e spesso passo davanti alla sua agenzia.»

Fece una pausa guardandosi le mani, e Giulio notò che stava soffocando un singhiozzo.

«Scusi, il motivo per cui sono qui è che Giorgio Sari, mio marito è sparito da due giorni e non so assolutamente cosa fare. Siamo arrivati qua domenica per passare una settimana nella nostra villa sopra Baveno. E’ andato tutto bene sino a martedì, quando Giorgio ha ricevuto una telefonata che lo ha sconvolto e di cui non ha voluto darmi spiegazioni. Mercoledì prima di cena è uscito dicendomi che doveva incontrare una persona a Luino, ma non ha voluto dirmi di più. Mi ha promesso che lo avrebbe fatto al suo rientro, ma è più tornato. Il suo cellulare è muto e neanche a casa nostra in città risponde. Lui ha un’ex-moglie, forse lei potrebbe sapere dove si trova, ma non mi è sembrato il caso di chiamarla.»

«Di cosa si occupa suo marito?»

«È un ingegnere elettronico, lavora in una ditta di componenti per auto di Torino.»

«Quanti anni ha suo marito?»

«Ha appena compiuto 50 anni.»

Giulio non poté fare a meno di pensare che i 50 anni lo stessero perseguitando, quel giorno… 

«Come se ne è andato?»

«Con la sua auto, una BMW X5.»

«Non pensa che sarebbe il caso di avvisare la polizia?»

«Non voglio che i giornali vengano a sapere di questa storia. In questi due giorni ho frugato dappertutto nella villa alla ricerca di qualche documento o di qualunque cosa mi potesse aiutare a capire, ho trovato questo.»

Prese una cartellina dalla sua borsa e gli mostrò dei documenti scritti probabilmente in russo e dei disegni, accompagnati da testi in inglese.

«Vede qui si parla di un contratto di fornitura di un dispositivo elettronico, che è prodotto nella fabbrica dove Giorgio lavora. Questi sono i disegni e i particolari necessari a costruirlo. Forse questo non ha nulla a che vedere con la sua sparizione, ma ho ripensato ad una volta in cui mi aveva detto di temere un uso bellico di un congegno elettronico che la sua ditta avrebbe dovuto iniziare a produrre, alla cui progettazione aveva partecipato attivamente. Dopo qualche tempo, mi disse che erano solo assurdi sospetti e tutto finì lì.»

Valentina si tormentava continuamente le mani, Giulio la osservava e nonostante dovesse concentrarsi sulle sue parole, era distratto da quella bellezza semplice e da quello sguardo triste. La guardava provando il desiderio di abbracciarla con la scusa di consolarla.

Sempre più immerso in questo stato d’animo, ad un certo punto si sentì persino geloso del dolore che Valentina provava per la scomparsa del marito. Per Giulio era una reazione inconsueta, non mescolava mai la vita privata col lavoro. Le poche donne che aveva avuto nella sua vita, dopo Helen, appartenevano ad ambienti distanti dalle sue indagini e lui le teneva all’oscuro del suo lavoro.

«Vorrei che lei indagasse sulla scomparsa di mio marito e che avvisasse la sua ex-moglie. A me non sembra il caso di chiamarla, non ci conosciamo. Questo è il suo numero.»

«Va bene farò questa telefonata, avvierò alcune indagini e la richiamerò presto. Ovviamente se riceve qualche notizia mi avvisi.»

Nel frattempo, Luisa era arrivata, così disse alla donna di lasciare a lei i suoi dati prima di uscire.

Subito dopo Giulio incaricò Luisa di eseguire alcuni controlli sulla donna e sui numeri di telefono che aveva lasciato.

Ripensò per un attimo alla sparizione di cui aveva letto sul giornale e decise di invitare a pranzo il commissario Paolo Sartoris, che gli doveva più di un favore.

L’incontro non fu per niente fruttuoso, la polizia ne sapeva meno di lui, nessuno si era presentato a denunciare persone scomparse e per ora nessun corpo era stato ritrovato.

Giulio intanto aveva trovato la prima moglie di Sari, la quale era all’oscuro di tutto, e al telefono gli sembrò sinceramente preoccupata. Infatti, gli comunicò che sarebbe arrivata il giorno stesso sul lago. Gli disse che, secondo lei, la cosa migliore era denunciare la scomparsa alla polizia e lo pregò di convincere Valentina a farlo, altrimenti avrebbe provveduto lei.

Giulio aveva dentro una strana inquietudine, forse era l’idea di rivedere così presto quella donna. La giornata era tiepida e così, dopo aver verificato che Valentina Shaslamova fosse a casa, prese la sua Guzzi California, e si recò alla villa di Baveno. Si trattava di un edificio degli anni trenta, in stile liberty, circondata da un parco di piante centenarie. Il luogo, nonostante la giornata di sole, aveva un qualcosa di lugubre, forse per le decorazioni della villa o per l’imponenza del cedro del Libano che accoglieva il visitatore al suo ingresso.

Una ragazza, che Giulio scoprì essere la moglie del custode nonché giardiniere della villa, lo introdusse in un soggiorno arredato con mobili d’epoca e con un moderno divano bianco di un noto designer.

Valentina arrivò dopo pochi minuti e gli chiese subito se ci fossero novità.

Giulio le riferì la telefonata con la prima moglie di Giorgio e il fatto che a lei sembrava più opportuno denunciare la scomparsa alla polizia.

Infine, le riportò la notizia che aveva letto sul giornale. Valentina era un po’ dubbiosa, ma Giulio la convinse che denunciare era la soluzione migliore.

Prima di andarsene le disse che la prima moglie di Sari sarebbe arrivata al lago e si sarebbe fermata da un’amica a Stresa.

Lei restò impassibile e lo fece accompagnare alla porta.

Quel pomeriggio stesso Valentina denunciò la scomparsa del marito.

Nel frattempo, Giulio che si era fatto dare una foto di Sari aveva interrogato i membri dell’equipaggio del traghetto da cui era scomparso l’uomo misterioso.

Uno dei marinai gli disse che l’uomo della foto gli sembrava lo stesso che era salito a bordo a Laveno, senza auto. Se ne ricordava bene perché in quella stagione era difficile avere passeggeri sconosciuti a quell’ora della notte. Il marinaio aveva visto l’uomo restare all’esterno, nonostante l’aria fredda della notte. All’arrivo si era accorto che l’uomo non c’era più, e sicuramente non era sceso prima, ne era sicuro dal momento che si era occupato lui dell’attracco. Lo sconosciuto poteva essersi ucciso nel lago oppure aver simulato un suicidio. Avrebbe potuto lanciarsi in acqua in prossimità di un’altra imbarcazione o della riva.

Nel frattempo, la polizia aveva iniziato a fare le sue indagini e aveva rintracciato l’auto di Sari in una stazione di servizio, oltre Cannobio, verso la Svizzera.

Dopo alcuni giorni di infruttuose ricerche all’aeroporto di Lugano, Giulio riuscì a mostrare la foto di Sari ad una hostess rientrata dalla Russia. Lei gli confermò che quell’uomo era uno dei passeggeri del volo per Mosca partito da Lugano due giorni dopo la sua scomparsa.

Giulio, con l’aiuto del suo amico commissario, scoprì che all’imbarco aveva presentato un documento falso. Il nome di Giorgio Sari non era stato trovato tra i passeggeri in partenza dall’aeroporto.

Giulio doveva informare Valentina.

Si incontrarono e lei gli comunicò la sua decisione di partire per Mosca dove avrebbe incontrato suo padre che, attraverso le sue conoscenze, l’avrebbe aiutata nelle ricerche.

Per qualche settimana non ebbe più notizie da Valentina, ricevette solo il saldo della parcella.

Neppure i giornali e le televisioni parlavano più di quella scomparsa, sino a quando Sartoris gli disse che il caso era passato nelle mani dell’Interpol, ma lui non ne sapeva più niente.

Giulio non riusciva a dimenticare Valentina e questo lo disturbava. Gli spiaceva non avere sue notizie, aveva provato a chiamarla qualche volta, ma il suo cellulare era sempre non raggiungibile.

Passava molto tempo sulla barca, oppure insegnando i trucchi del pedinamento a un giovane collaboratore. Gli lasciava incarichi che, fino pochi mesi prima, non avrebbe ceduto a nessuno.

Andava spesso da sua madre a suonare il pianoforte o ad ascoltare un vecchio disco.

Un pomeriggio, mentre era in moto vicino alla villa di Baveno, dove lui ogni tanto passava, si fermò a contemplare il lago e qui affiorò il ricordo di Helen che gli fece salire le lacrime.

Improvvisamente dal fondo della memoria riaffiorò un’immagine di sé stesso, bambino, che di nascosto osservava il padre piangere. In quel momento si era vergognato di lui e aveva rimosso quel ricordo. Quella scena ora lo confortava: se anche suo padre piangeva, anche lui poteva concedersi di farlo.

Quel pianto lo fece sentire alleggerito da un peso.

Dopo quell’episodio passarono alcuni giorni ed una sera, mentre stava camminando sul lungolago, al tramonto, il suo cellulare squillò.

Era Valentina. Voleva sapere se potesse incontrarlo, gli disse solo che la storia si era risolta.

Giulio la aspettò in ufficio.

Valentina arrivò, non era cambiata, come la prima volta indossava dei pantaloni e una camicia bianca. A Giulio sembrò dimagrita, sicuramente molto nervosa.

«Sono venuta a salutarla e a dirle come sono andate le cose. Giorgio è stato ucciso a Mosca, forse subito dopo il suo arrivo, in una zona poco frequentata vicino all’aeroporto. Domani tutti i giornali pubblicheranno la notizia, ma non diranno la verità. Le autorità di Mosca devono nascondere i loro traffici con le industrie italiane di armi e daranno la colpa a comuni rapinatori, facendo passare per un viaggio di affari quello di Giorgio a Mosca. La sua partenza in incognito da Lugano verrà tenuta nascosta. È  in gioco qualcosa di troppo grosso. Io sono qui solo grazie a mio padre, che conta ancora molto laggiù e ha impedito che mi succedesse qualcosa. Se la verità su Giorgio finisse sui giornali, la mia vita sarebbe a rischio. Avevo sottovalutato la pericolosità dei poteri che sono coinvolti in questa brutta faccenda.»

Giulio la ringraziò per essere venuta a dargli spiegazioni, anche se in quel momento pensava ad altro, al fatto che non l’avrebbe mai più rivista e a quanto quest’idea lo infastidiva. Lei era lì e doveva fare uno sforzo enorme per non mostrare quanto era sollevato al pensiero che lei fosse salva. Le chiese soltanto:

««««Ora che farà? Tornerà ancora alla villa?»

«Per qualche tempo voglio restare lontana da questo lago e dalla villa. Mi ricorda troppo i momenti che ho passato qui, con Giorgio. Ci sono ancora tante questioni in sospeso: si deve aprire il testamento e non so come saranno divisi i suoi beni. Non so nemmeno se potrò continuare a vivere nell’appartamento di Torino, dal momento che era suo. In ogni caso devo rientrare al lavoro. Anzi, spero di non avere problemi anche per questo: sono partita all’improvviso, senza dare troppe spiegazioni. Ho detto che mio padre si era ammalato e che dovevo assolutamente partire per Mosca. Quanto a Giorgio, a me resta solo il dolore di averlo perso e avere amato un uomo che mi aveva taciuto chi fosse veramente: un mercante d’armi. Non mi perdono di non aver capito cosa lo interessava di più: i soldi facili, fatti sulla pelle degli altri. Però non ci posso fare niente, sento ancora di avere un forte legame con lui, nonostante tutto. Non mi interessano i suoi soldi, era lui che volevo nella mia vita. Si ricorda quei documenti che le mostrai la prima volta che ci siamo visti? Sono venuta per chiederle di custodirli. Nessuno sa che sono in mio possesso. Sono l’anello mancante che serve per costruire la loro arma, ma il dispositivo di Giorgio può avere anche usi pacifici. Vorrei pensarci su prima di distruggerli. Ovviamente la pagherò per questo. Mi fido di lei e so che non cercherà di venderli.»

«Li conserverò in un luogo sicuro.» Giulio fece una pausa e aggiunse «Vorrei che lei non partisse questa sera.»

Giulio restò stupito di queste parole, gli sembrò che fosse stato un altro a pronunciarle.

«No, devo partire e rimetter insieme i cocci della mia vita, ma mi farò viva per quei documenti. Per ora grazie di tutto e arrivederci.»

Giulio non poteva fare niente per trattenerla.

Sarebbe tornata? Non lo sapeva, ma da quel momento Giulio sentiva di essere guarito. In qualche modo quella storia lo aveva aiutato a dimenticare Helen, si sentiva di nuovo vivo.

A distanza di due settimane Giulio telefonò a Valentina per avvisarla che il suo ufficio era stato svaligiato e che i documenti erano spariti.

Sartoris gli aveva consigliato di sparire per un po’ e lui aveva deciso di rifugiarsi a Londra, sotto falso nome. Là dove aveva ancora amici che lo avrebbero aiutato.

A sua volta le raccomandò di allontanarsi, di rifugiarsi a Mosca, da suo padre.

Quella stessa sera, sull’autostrada per l’aeroporto di Malpensa un grosso TIR pose fine alla vita di Giulio.

Rimase solo un cadavere consumato dalle fiamme dell’incendio dell’auto.

Le indagini non portarono a nulla. Sartoris però sapeva che la morte del suo amico non era dovuta al caso, ma senza prove non si poteva fare niente.

Dopo un anno, Valentina tornò al lago, ignara di quello che era successo a Giulio, si recò all’ufficio, che era ancora aperto. Era stato rilevato da uno dei suoi collaboratori. Lì trovò Luisa che le raccontò l’accaduto e le consigliò di parlare con Sartoris.

Valentina incontrò il commissario Sartoris che le raccontò dell’incidente, della rapina all’ufficio e le consegnò una busta che Giulio gli aveva lasciato per lei prima di partire.

Valentina fu vista volta quella sera prendere l’ultimo traghetto da Intra a Laveno.

La sua auto fu trovata due mesi dopo, abbandonata nel parcheggio dell’aeroporto di Lugano. Aveva un biglietto per Londra e di lei non si seppe più nulla.

Dopo l’incidente di Giulio, Sofia si trasferì per un lungo periodo a Parigi, dove visse vicino a Luca.

Tornata dopo un paio d’anni sul lago, riallacciò le sue vecchie conoscenze.

Ricominciò a vivere, a frequentare i concerti, e conobbe una coppia di inglesi con cui aveva fatto amicizia, anche loro appassionati di musica classica. Li aveva conosciuti al festival di Stresa. Affittavano una villa al Mottarone e spesso li si vedeva a casa di Sofia, che prestava loro la vecchia barca di Pietro.

VENTI DELL’EST SUL VERBANO è un racconto di Maria Carla Cravero

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