VERSO IL SOLE di Fabio Losacco

“Leo, sei pronto?”

Lui fece solo cenno di sì con il capo perché si sentiva troppo emozionato per riuscire a parlare.

“Non aver paura perché adesso si parte!”

Subito dopo sentì l’istruttore che iniziava a correre e in un attimo si staccarono da terra. Non aveva mai provato una sensazione simile ma bastò un istante perché il suo cuore si trasformasse in una fontana di luce.

Non c’era più la terra ma solo l’aria e un cielo così pulito e lucente che sembrava colorato con un evidenziatore. Il vento adesso li sollevava accarezzando loro mani e volti e portando con sé gli odori delle resine e dell’erba appena tagliata.

L’istruttore virò leggermente e Leo si sentì spingere da una forza decisa ma gentile, come l’abbraccio di sua madre quando da piccolo pensava che il futuro potesse regalargli solo cose belle.

Sotto di loro scorreva tutto il mondo e lui lo guardava meravigliato, perché non aveva mai nemmeno immaginato di poter provare una sensazione simile.

“Ti va se proviamo a salire un po’ di più?”

“Siii!”

Stavolta la sua voce non ebbe nessun timore a uscire.

Le corde mosse con perizia fecero il loro lavoro e il vento li accompagnò ancora più vicini al cielo.

L’istruttore aveva fatto quella manovra un milione di volte in passato e un milione di volte l’avrebbe fatta in futuro eppure, anche per lui, era sempre un’emozione nuova, come un attore che sale sul palco per l’ennesima replica.

“Visto da quassù tutto sembra meraviglioso” si disse Leo.

Adesso erano arrivati sopra a quella che sembrava una piccola fattoria. Fuori a pascolare c’erano delle grosse mucche bianche con grandi macchie di pelo marrone. Un paio di esse avevano anche i vitellini.

La sensazione che Leo stata provando era quella di una pace infinita fatta solo di luce e pensò che tanto più si avvicinasse al cielo tanto più le sue paure si allontanavano. Chissà se anche per l’istruttore era lo stesso, per lui che faceva quelle cose tutti i giorni di tutti i mesi di tutti gli anni.

E se fosse stato proprio quello il segreto della felicità? Forse bastava solo staccarsi dal suolo e poi tutto sarebbe apparso bellissimo, semplicemente perché ogni dolore sarebbe rimasto lontano, imprigionato dalla forza di gravità.

Proprio come era successo a lui.

Il vento oggi era leggero e robusto allo stesso tempo ma l’istruttore lo conosceva bene e lo trattava come si tratta un vecchio amico. Per questo Leo si sentiva al tempo stesso sicuro e sereno come non gli capitava da troppo tempo.

Intanto continuavano a viaggiare.

Le mucche con i loro vitellini erano già lontane e adesso stavano passando sopra la tangenziale dove le macchine erano in fila con i loro clacson che strillavano rabbiosi.

Leo si rese conto di avere la bocca aperta per lo stupore, proprio come quando scartava i regali di Babbo Natale.

Le auto erano rimaste in coda ma loro se n’erano già andati.

Adesso, proprio sotto di loro, c’era un bosco e a Leo sembrò per un attimo di scorgere un cerbiatto che correva, ma forse era solo frutto della sua immaginazione.

Si stava così bene in aria, cullati dalla brezza, e a lui venne di pensare che gli si sarebbe spezzato il cuore quando fosse arrivato il momento di scendere e di tornare alla vita di tutti i giorni, schiavo delle sue benedette e maledette ruote.

Ancora il cerbiatto. Stavolta però guardava in alto. Che li avesse visti? Chissà se lo avevano spaventato. Non sembrava però perché se ne rimaneva immobile con il muso rivolto verso di loro.

Una raffica di vento inaspettata li spostò e Leo sentì l’istruttore armeggiare velocemente con le corde che controllavano quella specie di paracadute.

“Non avere paura, è solo una folata un po’ più forte.”

Ma lui non aveva paura di stare lassù. Aveva, piuttosto, la paura opposta, quella di dover tornare a terra.

Ma c’era ancora tempo e Leo voleva godersi fino in fondo tutto quello che ancora gli rimaneva.

Guardò il cielo e ringraziò di avere indosso i suoi occhiali da sole perché altrimenti sarebbe rimasto abbagliato da tanta luce.

E da tanta bellezza.

Sotto ancora campagna, prati verdi, boschi intervallati da radure e anche qualche essere umano con il naso all’insù.

“Chissà cosa pensano mentre ci guardano” si chiese Leo, ma in quel momento si rese conto che adesso, di quello che pensavano gli altri, non gli interessava proprio niente.

Dall’alto il mondo gli appariva tutto molto diverso.

Anche la sua vita era tutta diversa. Tanto più bella e tanto più leggera.

In lontananza c’era una collina coperta di alberi e desiderò di andarla a vedere più da vicino.

“Possiamo andare di là?” chiese all’istruttore con un gesto della mano.

“Agli ordini” rispose lui e Leo era sicuro che stesse sorridendo.

Del resto, come poteva non sorridere chi aveva tutti i giorni l’opportunità di volare?

Altra virata, non troppo secca ma decisa. Era la stessa sensazione di quando, in auto, si affronta una curva troppo velocemente.

Il vento collaborò a esaudire il desiderio di Leo e in un momento furono sopra la collina.

Lì la vegetazione era così fitta che anche la luce avrebbe faticato non poco per riuscire a entrarvi.

Loro ci volteggiarono sopra e poi si allontanarono.

Adesso a Leo pareva che niente fosse impossibile se avevi dalla tua parte il vento, le corde e il paracadute.

Se avesse potuto scegliere il momento in cui morire avrebbe sicuramente scelto proprio quello, in mezzo al cielo e cullato dalle folate.

Altra virata, stavolta più morbida, e Leo capì che era iniziato il ritorno.

Rivide la coda delle auto sullo svincolo della tangenziale, senza però sentirne più i suoni lamentosi e isterici.

Di nuovo le mucche con i vitellini al pascolo nella fattoria, tanto immobili da sembrare uscite da un libro di fotografie.

Ancora un cambio di direzione, stavolta quasi impercettibile, ma sufficiente per permettergli di scorgere lo spiazzo dove sarebbero dovuti atterrare. Poco lontano c’era l’auto che ospitava i suoi genitori e tutte le loro eterne ansie.

Sua madre aveva certamente passato il tempo del suo volo pregando sottovoce, mentre suo padre aveva provato inutilmente a rassicurarla.

“Stai tranquilla. Non c’è nessun pericolo. Vedrai che tra poco sarà di nuovo qui”.

Sentì l’istruttore giocare ancora con le corde, e il vento, che gli ubbidiva come un docile cucciolo, iniziò farli abbassare in un dolcissimo giro di danza.

Lo spiazzo di atterraggio era adesso sempre più vicino ma Leo preferiva continuare a guardare il cielo e il sole. Ora gli parevano così lontani mentre fino a pochi istanti prima aveva avuto l’impressione di poterli toccare solo allungando la mano.

Adesso mancava davvero poco.

Del verde dell’erba riusciva quasi a contare i singoli filamenti.

Suo padre e sua madre erano scesi dall’auto e lo salutavano con la mano.

Lui rispose al loro gesto anche se desiderava che quella meravigliosa avventura non avesse mai termine. Non voleva tornare a toccare terra, a essere schiavo del suolo e costretto all’inevitabile, insopportabile, prigionia della sua sedia con le ruote. Come potevano i suoi genitori desiderare questo per lui? Come potevano volerlo di nuovo schiacciato al terreno dopo avergli concesso di volare libero nel cielo?

Proprio come le rondini, come le grandi aquile, come i piccoli e fragili colibrì.

Libero come non era più stato dal giorno del suo incidente.

Quando atterrarono erano passati molti minuti.

Difficile dire quanti con esattezza, ma Leo pensava che sarebbero valsi comunque più della sua intera vita.

Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato però, quando fu di nuovo seduto sulla sua carrozzina, si sentì ugualmente pieno di felicità.

Adesso non gli importava di non essere più in grado di camminare perché quel giorno aveva imparato a volare.

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